E arrivato il momento di parlare del nostro "essere spezzati". Tu sei un uomo spezzato, io sono un uomo spezzato e tutte le persone che conosciamo direttamente o di riflesso sono persone spezzate. Questo stato è così visibile e tangibile, così concreto e preciso, che spesso è difficile credere che ci sia tanto di diverso da pensare, dire o scrivere al riguardo.
del 01 gennaio 2002 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js=d.createElement(s);js.id= id; js.src = "//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1"; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs); }(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
E arrivato il momento di parlare del nostro "essere spezzati". Tu sei un uomo spezzato, io sono un uomo spezzato e tutte le persone che conosciamo direttamente o di riflesso sono persone spezzate. Questo stato è così visibile e tangibile, così concreto e preciso, che spesso è difficile credere che ci sia tanto di diverso da pensare, dire o scrivere al riguardo.
Abbiamo parlato del nostro "essere spezzati" fin dal momento in cui ci siamo conosciuti. Tu volevi da me qualcosa per l'edizione del «New York Times» per la zona del Connecticut. Io ti ho parlato dei miei scritti come di un modo di trattare con la mia solitudine, il mio senso di isolamento, le mie molte paure e con il mio generale senso di insicurezza. Quando il discorso si è spostato su di te, mi hai parlato del tuo malcontento per il lavoro, della tua frustrazione per non aver tempo e denaro sufficienti per scrivere il tuo romanzo e della confusione generale per quanto riguarda la tua vita. Nell'anno che seguì il nostro primo incontro, siamo diventati sempre più aperti l'uno all'altro, comunicandoci sofferenze e dolori. In effetti, condividere le nostre lotte segrete divenne un segno della nostra amicizia.
Tu hai dovuto vivere una dolorosa separazione e il divorzio, e io ho attraversato un lungo periodo di depressione. Avevi molte delusioni nel lavoro e continuavi a chiederti quale fosse la tua vera vocazione nella vita, mentre io continuavo a essere sommerso dalle molte richieste a scapito del mio tempo e delle mie energie, che spesso mi portavano all'esaurimento e alla disperazione.
Tutte le volte che ci incontravamo diventavamo sempre più consapevoli di come le nostre vite fossero spezzate. Non c'è niente di strano in questo. Quando la gente si incontra fa facilmente il punto sulla situazione. Il brano musicale più ascoltato, il dipinto e la scultura più noti, il libro più letto, sono spesso la diretta espressione dell'umana consapevolezza dell’"essere spezzati". Questa consapevolezza non è mai troppo lontana dalla superficie della nostra esistenza, poiché tutti sappiamo che nessuno di noi sfuggirà alla morte, che è la più radicale manifestazione del nostro stato di persone spezzate.
I condottieri e i profeti di Israele, che erano senza ombra di dubbio scelti e benedetti, vivevano tutti vite spezzate. E neanche noi, come Amati Figli e Figlie di Dio possiamo sfuggire al nostro "essere spezzati".
Vi sono molte cose che vorrei dirti su questo argomento, ma da dove iniziare?
Forse l'inizio più semplice sarebbe dire che il nostro "essere spezzati" rivela qualcosa su chi siamo. Le nostre sofferenze e i nostri dolori non sono semplicemente noiose interruzioni nella nostra vita: ci toccano, piuttosto, nella nostra unicità e nella nostra più intima individualità. Il modo in cui io sono spezzato ti dice qualcosa di unico su di me; il modo in cui tu sei spezzato mi dice qualcosa di unico su di te. Questo è il motivo per cui mi sento molto privilegiato quando liberamente condividi con me qualcosa del tuo profondo dolore, ed esprimo la mia fiducia in te quando ti svelo qualcosa del mio lato vulnerabile. Il nostro "essere spezzati" è sempre vissuto e sperimentato come qualcosa di strettamente personale, intimo e unico. Sono profondamente convinto che ogni essere umano soffre come nessun altro essere umano soffre. Possiamo indubbiamente fare dei paragoni, possiamo parlare della varia intensità della nostra sofferenza, ma, in ultima analisi, le nostre sofferenze sono così profondamente personali che paragonarle con altre non porta quasi nessuna consolazione o conforto. Infatti, sono più grato a chi riconosce che sono veramente solo nel mio dolore, piuttosto che a qualcuno che prova a dirmi che ci sono molti altri che hanno un dolore simile o peggiore del mio.
L'"essere spezzati" è una esperienza davvero nostra. Di nessun altro. È tanto unica quanto il nostro essere scelti" e il nostro "essere benedetti". Il modo in cui siamo spezzati è una espressione della nostra individualità, tanto quanto il modo in cui siano scelti e benedetti. Sì, come coloro che sono Amati, anche se può suonare spaventoso, siamo chiamati a rivendicare il nostro unico "essere spezzati", proprio come dobbiamo rivendicare il nostro unico "essere scelti" il nostro unico "essere benedetti".
Devo provare adesso ad avvicinarmi un po' di più a questa nostra esperienza. Come ho appena detto, è una esperienza del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo, l'"essere spezzati" è generalmente una esperienza intima — è lo spezzarsi del cuore. Sebbene molti soffrano per invalidità fisica o psichica e sebbene ci sia molta povertà e molte persone siano senza tetto e soffrano per non poter soddisfare i loro bisogni primari, la sofferenza della quale io sono di giorno in giorno più consapevole, è la sofferenza del cuore spezzato. Vedo sempre di più l'immensa sofferenza provocata da relazioni spezzate, tra mariti e mogli, genitori e figli, innamorati, amici e colleghi. Nel mondo occidentale, la sofferenza che sembra essere la più dolorosa, è quella del sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Nella mia comunità, ci sono molti uomini e donne gravemente handicappati, ma la più grande sorgente di sofferenza non è l'handicap in quanto tale, ma la sensazione di essere inutili, indegni, incompresi e non amati. È molto più facile accettare l'incapacità a parlare, camminare o nutrirsi da soli, che accettare l'incapacità ad avere un valore speciale per un'altra persona. Noi esseri umani possiamo soffrire immense privazioni con grande forza, ma quando sentiamo di non avere più qualcosa da offrire agli altri, abbandoniamo presto la nostra presa sulla vita. Sappiamo istintivamente che la gioia di vivere dipende dal come viviamo insieme e che i dolori dell'esistenza provengono dai molti modi in cui non riusciamo a farlo bene.
È ovvio che il nostro "essere spezzati" è spesso più dolorosamente sperimentato nella sfera della nostra sessualità. Le mie lotte e quelle dei miei amici evidenziano come la nostra sessualità sia al centro di ciò che noi pensiamo e sentiamo di noi stessi. La nostra sessualità ci rivela il nostro enorme desiderio di comunione. I desideri dei nostri corpi — di essere toccati, abbracciati e rassicurati — appartengono ai più profondi desideri del cuore, e sono segni concreti della nostra ricerca di unione. È proprio in questo desiderio di comunione che noi sperimentiamo tanta angoscia. La nostra società è così frammentata, le nostre famiglie vivono così divise da distanze fisiche e emotive, le nostre amicizie sono così sporadiche, le nostre intimità così "cose tra le altre" e spesso così utilitaristiche, che esistono pochi posti dove possiamo sentirci realmente al sicuro. Noto in me stesso quanto spesso il mio corpo è teso, come di solito tengo la guardia alta e quanto di rado provo realmente la sensazione di sentirmi a casa.
Se allora giro per i sobborghi di Toronto, dove vivo, vedo le pretenziose mega-case, gli orrendi centri commerciali sparsi all'intorno, i richiami al folle consumo, e gli allettanti pannelli pubblicitari, che promettono comodità e svaghi in modi molto seducenti. Tutto ciò, mentre le foreste vengono abbattute, i corsi d'acqua prosciugati, i cervi, i conigli e gli uccelli cacciati dal mio ambiente.
Non mi sorprende che il mio corpo urli dal desiderio di ricevere un piccolo segno di attenzione e un abbraccio rassicurante. Quando ogni cosa di noi sovreccita e acuisce i nostri sensi e quando quello che ci è offerto, per il soddisfacimento dei nostri bisogni più profondi, ha di solito un carattere leggermente seduttore, non c'è da meravigliarsi se siamo tormentati da pazze fantasticherie, da sogni agitati e da sentimenti e pensieri perturbati. È dove siamo più bisognosi e vulnerabili che più sperimentiamo il nostro “essere spezzati". La frammentazione e commercializzazione del nostro ambiente rende quasi impossibile trovare un posto dove il nostro intero essere — corpo, mente e cuore — possa sentirsi al sicuro e protetto. Sia che camminiamo per le strade di Toronto o di New York, è difficile non smarrire il nostro equilibrio e non sperimentare nelle nostre viscere l'angoscia e l'agonia del nostro mondo.
L'epidemia di AIDS è probabilmente uno dei sintomi che più parlano della nostra attuale fragilità. Amore e morte si stringono tra loro in un violento abbraccio. I giovani disperano di trovare intimità e comunione e per questo rischiano le loro stesse vite. Sembra esserci un grido che echeggia attraverso il vasto spazio vuoto della nostra società: meglio morire che vivere in una continua solitudine.
Vedendo morire i malati di AIDS e vedendo la spontanea generosità con la quale i loro amici formano comunità per sostenerli con l'affetto e con aiuti materiali e spirituali, spesso mi chiedo se questa orrenda malattia non sia un chiaro appello alla conversione, diretto ad un mondo condannato dalla competizione, dalla rivalità e da un crescente isolamento. Sì, la crisi dell'AIDS richiede un nuovo sguardo sulla nostra umana fragilità.
Come possiamo rispondere a questa fragilità? Vorrei suggerire due vie: la prima, favorirla, la seconda, porla sotto la benedizione. Spero che tu sia capace di praticare queste vie nella tua vita. Io ho provato e provo continuamente, a volte con più successo di altri, ma sono convinto che queste due vie indicano la giusta direzione per venir a patti con la nostra fragilità.
La prima risposta alla nostra fragilità è allora affrontarla direttamente e favorirla. Questo può sembrare del tutto innaturale. La nostra prima, più spontanea risposta alla sofferenza è quella di evitarla, tenerla a distanza, ignorarla, aggirarla o negarla. La sofferenza, sia fisica, mentale o emotiva è quasi sempre sperimentata come una sgradita intrusione nelle nostre vite, qualcosa che non dovrebbe esserci. E difficile, se non impossibile, vedere qualcosa di positivo nella sofferenza; deve essere allontanata a tutti i costi.
Se questo è l'istintivo atteggiamento verso la nostra fragilità, non c'è da stupirsi se favorirla può sembrare a prima vista masochistico. Tuttavia, la mia personale esperienza di sofferenza mi ha insegnato che il primo passo verso la salute non è un passo lontano dal dolore, ma un passo verso il dolore. Quando infatti il nostro "essere spezzati" è proprio come una intima parte del nostro essere, così come il nostro "essere scelti", e il nostro "essere benedetti", dobbiamo aver l'ardire di domare la nostra paura e di familiarizzare con essa. Sì, dobbiamo trovare il coraggio di abbracciare il nostro "essere spezzati", fare del nostro più temuto nemico un amico e rivendicarlo come un compagno intimo. Sono convinto che spesso la guarigione è difficile perché non vogliamo conoscere il dolore. Nonostante questo sia vero per ogni tipo di sofferenza, lo è particolarmente della sofferenza che proviene da un cuore spezzato. L'angoscia e l'agonia che derivano dal rifiuto, dalla separazione, dall'abbandono, dall'ingiuria e dalla manipolazione della emotività, servono solo a paralizzarci quando non possiamo affrontarle e continuiamo a fuggire da loro. Quando, nella nostra sofferenza, abbiamo bisogno di guida, deve essere innanzi tutto una guida che ci conduca più vicino al nostro dolore, e ci faccia capire che non dobbiamo evitarlo, ma che possiamo favorirlo.
Ricordo benissimo il giorno in cui venni a casa tua, e tu eri appena arrivato alla conclusione che il tuo matrimonio doveva finire. La tua sofferenza era immensa. Vedevi svanire un sogno di vita. Non scorgevi davanti a te nessun futuro che avesse un qualche significato. Ti sentivi solo, colpevole, ansioso, confuso e profondamente tradito. Il dolore era impresso sul tuo viso. Era il momento più duro della tua vita. Io capitavo a New York e venivo a farti visita. Cosa potevo dirti? Sapevo che saresti passato sopra a qualsiasi consiglio, e anche dirti che c'erano ancora delle cose buone da pensare, o che non era tutto cattivo come sembrava, sarebbe stato completamente inutile. Sapevo che la sola cosa che potessi fare era di esserti vicino, stare con te e incoraggiarti in qualche modo a non fuggire dal tuo dolore, ma a confidare che avevi la forza di viverlo. Adesso, dopo molti anni, tu sai che veramente potevi vivere il tuo dolore e diventare più forte con lui. In quel momento sembrava un compito impossibile, eppure, era l'unico compito al quale potessi chiamarti.
La mia esperienza personale con l'angoscia mi ha insegnato che affrontarla e viverla è la via verso la guarigione. Ma non posso farlo da me. Ho bisogno di qualcuno che si unisca a me, che mi assicuri che oltre l'angoscia c'è la pace, oltre la morte la vita e oltre la paura l'amore. Ora so finalmente che cercare di evitare, reprimere o fuggire il dolore è come tagliare un arto che potrebbe invece essere guarito con la dovuta cura.
La profonda verità è che la nostra sofferenza umana ha bisogno non di essere un ostacolo alla gioia e alla pace che noi tanto desideriamo, ma di poter diventare, invece, il mezzo attraverso cui arrivarvi. Il grande segreto della vita spirituale, la vita degli Amati Figli e Figlie di Dio, è che ogni realtà che viviamo, sia essa contentezza o tristezza, gioia o dolore, salute o malattia, può essere parte dell'itinerario verso la piena realizzazione della nostra umanità. Non è difficile dire a un altro: «Tutto ciò che è buono e bello ci porta alla gloria dei figli di Dio», ma è molto difficile dire: «Non sapevi che tutti noi dobbiamo soffrire per entrare nella nostra gloria?» Nondimeno, la vera premura significa la buova volontà di aiutarsi reciprocamente nel fare del nostro "essere spezzati" un passaggio verso la gioia.
La seconda risposta al nostro "essere spezzati" è di porlo sotto la benedizione. Per me porre il nostro essere spezzati" sotto benedizione è una condizione a priori per favorirlo. Infatti, se è così spaventoso da affrontare è perché lo viviamo sotto la maledizione. Vivere il nostro "essere spezzati" sotto la maledizione significa che sperimentiamo il dolore come una conferma dei sentimenti negativi che abbiamo verso noi stessi. È come dire: «Ho sempre sospettato di essere inutile e indegno e adesso ne sono sicuro a causa di ciò che mi sta succedendo». C'è sempre in noi qualcosa che ricerca una spiegazione per ciò che accade nelle nostre vite e, se abbiamo già ceduto alla tentazione di un rifiuto di noi stessi, allora ogni forma di sventura tende ad acuirlo. Quando perdiamo un membro della nostra famiglia o un amico a causa della morte, quando siamo disoccupati, quando veniamo bocciati ad un esame, quando passiamo attraverso una separazione o un divorzio, quando scoppia una guerra, quando un terremoto distrugge la nostra casa o ci danneggia, la domanda che sorge spontanea è: «Perché?», «Perché a me?», «Perché adesso?», «Perché qui?». È talmente difficile vivere senza dare una risposta a questi "perché", che siamo facilmente tentati di collegare i fatti, di cui non abbiamo il controllo, alle nostre valutazioni, consce o inconsce. Quando abbiamo maledetto noi stessi o abbiamo permesso agli altri di farlo, si è davvero tentati di spiegare tutte le situazioni in cui sperimentiamo il fatto di "essere spezzati", come espressione o conferma di questa maledizione. Prima ancora di rendercene conto abbiamo già detto a noi stessi: «Vedi? Hai sempre pensato di non essere buono. Adesso lo sai per certo. I fatti della vita te lo dimostrano».
La grande chiamata spirituale degli Amati Figli di Dio sta nell'allontanare il loro "essere spezzati" dall'ombra della maledizione e di metterlo sotto la luce della benedizione. Non è così facile come può sembrare. Attorno a noi i poteri dell'oscurità sono forti e il nostro mondo trova più facile manipolare le persone che rifiutano se stesse, che quelle che si accettano. Ma quando restiamo attentamente all'ascolto della voce che ci chiama Amati, vivere con il nostro essere spezzati" diventa possibile, non come una conferma della nostra paura di essere indegni, ma come una opportunità di purificare e approfondire la benedizione che è su noi. Il dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la benedizione è sperimentato in modo radicalmente diverso dal dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la maledizione. Anche un piccolo fardello, se percepito come un segno della nostra indegnità, può condurci ad una profonda depressione, e anche al suicidio. Però, i fardelli pesanti e grandi diventano leggeri e facili da portare quando sono vissuti nella luce della benedizione. Quello che sembrava insopportabile diventa una sfida. Quello che sembrava un motivo di depressione diventa una sorgente di purificazione. Quello che sembrava una punizione, diventa una garbata correzione. Quello che sembrava un rifiuto, diventa un modo per una più profonda comunione.
Così il grande compito diventa quello di consentire alla benedizione di raggiungerci nel nostro "essere spezzati". Allora, esso verrà gradualmente visto come una apertura verso la piena accettazione di noi stessi come Amati. Questo spiega come la vera gioia possa essere sperimentata in mezzo alla grande sofferenza. È la gioia di essere educati, purificati e corretti. Proprio come gli atleti che durante la gara sperimentano una grande sofferenza e nello stesso tempo assaporano la gioia di sapere che si stanno avvicinando al loro obiettivo, così anche gli Amati sperimentano la sofferenza come una via per arrivare a quella più profonda comunione che essi bramano. In questo caso, la gioia e il dolore non sono più l'opposto l'uno dell'altra, ma diventano i due aspetti dello stesso desiderio di crescere verso la pienezza dell'Amato.
I programmi articolati in dodici diverse fasi come, ad esempio, quello degli Alcoholics Anonymous, degli Adult Children of Alcoholics e degli Overeaters Anonymous, sono tutti modi di porre il nostro "essere spezzati" sotto la benedizione e, così facendo, trovare un nuovo modo di vivere. Tutte le dipendenze ci rendono schiavi, ma ogni volta che apertamente le confessiamo ed esprimiamo la nostra fiducia che Dio può veramente renderci liberi, la sorgente della nostra sofferenza si trasforma nella sorgente della nostra speranza.
Ricordo chiaramente, come ad un certo momento, io fossi diventato totalmente dipendente dall'affetto e dall'amicizia per una persona. Questa dipendenza mi precipitò nel baratro di una grande angoscia e mi portò sull'orlo di un'autentica depressione autodistruttiva. Ma nel momento in cui venni aiutato a sperimentare la mia dipendenza interpersonale come un'espressione del bisogno di una totale resa all'amore di Dio, il quale avrebbe colmato i più profondi desideri del mio cuore, iniziai a vivere la mia dipendenza in modo radicalmente nuovo. Invece di vivere nella vergogna e nell'imbarazzo, mi riuscì di vivere questa esperienza come un urgente invito a rivendicare l'incondizionato amore di Dio per me, un amore dal quale posso dipendere senza alcuna paura.
Caro amico, mi chiedo se parlandoti in questo modo del nostro "essere spezzati", ti ho aiutato. Entrare in questa realtà e metterla sotto la benedizione, non rende necessariamente il nostro dolore meno acuto. In effetti, spesso ci rende più consapevoli di quanto siano profonde le nostre ferite e di come sia irreale aspettarsi che svaniscano. Vivere con persone con handicap mentali mi ha reso sempre più conscio di come le nostre ferite siano spesso una parte essenziale del tessuto della nostra vita. La paura del rifiuto dei genitori, la sofferenza di pensare di non potersi sposare, l'angoscia di avere sempre bisogno di aiuto anche nelle cose più "normali", come vestirsi, mangiare, camminare, prendere l'autobus, comprare un regalo o pagare un conto nessuno di questi aspetti dell’"essere spezzati" sparirà per sempre o diventerà meno importante. Però, abbracciarli e portarli alla luce di Colui che ci chiama Amati, può rendere l’"essere spezzati" splendente come un diamante.
Ti ricordi quando, due anni fa, andammo al Lincoln Center ad ascoltare Leonard Bernstein che dirigeva musiche di Cajkovskij? Fu una sera davvero emozionante. Capimmo poi che era l'ultima volta che ascoltavamo questo genio della musica. Leonard Bernstein è stato, senza dubbio, uno dei più autorevoli compositori e direttori d'orchestra che mi ha introdotto alla bellezza e alla gioia della musica. Come un ragazzino, fui completamente preso dal modo entusiasmante in cui si esibiva, sia come direttore d'orchestra che come solista, durante una sua performance in un concerto per piano di Mozart alla Rurhaus Concert Hall a Scheviningen, in Olanda. Quando poi la sua West Side Story apparve sugli schermi, per mesi mi trovai a canticchiare le sue melodie accattivanti, tornando al cinema ogni volta mi fosse possibile.
Guardando in TV la sua faccia espressiva, mentre dirigeva e spiegava musica classica per bambini, mi resi conto di quanto Leonard Bernstein fosse diventato il mio più riverito insegnante di musica. Nessuna meraviglia quindi che la sua morte improvvisa mi abbia colpito come quella di un mio vero amico.
Mentre adesso ti scrivo sul nostro "essere spezzati", ricordo una scena dal Mass di Leonard Bernstein (un lavoro musicale scritto in memoria di John F. Kennedy) che, per me, esprime chiaramente la realtà dell’"essere spezzati" posta sotto la benedizione. Verso la fine di questo lavoro, il prete, riccamente vestito di splendidi paramenti liturgici, viene sollevato in alto dalla sua gente. Egli torreggia alto sopra la folla adorante, tenendo nelle mani un calice di vetro. Improvvisamente la piramide umana crolla e il prete ruzzola a terra. I suoi paramenti si strappano e il calice di vetro cade al suolo e si frantuma. Mentre cammina lentamente, tra le macerie della sua tramontata gloria, a piedi scalzi, indossando solo blue jeans e una T-shirt, si sentono voci di bambini cantare "Laude, laude, laude" ("Loda, loda, loda"). Improvvisamente, il prete si accorge del calice frantumato. Lo guarda a lungo e poi, fermandosi, dice: «Non avrei mai pensato che un vetro frantumato potesse splendere così».
Quelle parole non le dimenticherò mai. Per me, catturano il mistero della mia vita, della tua vita e ora, a breve distanza dalla sua morte, della splendida e tragica vita. di Leonard Bernstein.
Prima di concludere queste parole sul nostro "essere spezzati", voglio dirti ancora qualcosa sulla sua implicazione nelle relazioni con le altre persone. Invecchiando, mi rendo sempre più conto di quanto, poco o molto, noi possiamo fare per gli altri. Sì, noi siamo veramente scelti, benedetti e spezzati per essere dati. Ed è di questo che ti voglio parlare adesso.
Henri. J.M. Nouwen.
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