Questa di oggi è una delle maggiori grazie ottenuteci dalla Madonna. Ringraziamola di cuore! Infatti ulteriori indagini misero in chiaro, che era mancato un nonnulla a succedere un'ecatombe.
del 14 dicembre 2011
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Due pericoli minacciano seriamente gli uomini di azione:sono quelli indicati da Gesù nel sollicita es nel turbaris, Egli rimproverò a Marta, cioè preoccupazione di pensieri e inquietudine di sentimenti: due cose tanto facili a riscontrarsi nelle persone costrette a spartire la loro attività erga plurima. non incapparvi ci vuole l’unum necessarium da Maria, cioè non perdere di vista l'unione con Dio. La nave con tutto il carico solca diritta e sicura le onde, finché il metacentro è al suo posto; allora essa possiede stabilità di equilibrio non solo, ma anche energia, diciam così, a ritornarvi, ogni volta che momentaneamente a causa del mareggio sia sbandata. Metacentro della vita attiva è appunto questa unione con Dio, che o impedisca sbandamenti o ristabilisca presto il regolare equilibrio.
Quante ondate colpiscono improvvise la nostra povera navicella! Non patire in simili contrattempi nemmeno il più piccolo sobbalzo visibile è privilegio molto raro d'uomini così uniti al Signore da essere letteralmente un solo spirito con lui, secondo l'espressione di san Paolo. Che Don Bosco sia stato uno di questi uomini privilegiati, ci porta a crederlo anche il suo fare e il suo dire in presenza di accidenti fortuiti, repentini e fastidiosi, i quali, pur contrariandolo bruscamente e di sorpresa, non ne scotevano né punto né poco la vigile calma consueta: cosa propria di chi dovunque e sempre si trovi nel suo centro.
Don Bosco ebbe grossi contrattempi per subiti disastri in opere murarie. Nel 52, nottetempo, crollò buona parte d'una fabbrica in costruzione, tirata su Dio solo potrebbe dire con quanti e quali sacrifici. I giovani, svegliati di soprassalto, scapparono dai dormitori; ma s'imbatterono in Don Bosco che, raccoltili intorno a sé, li condusse in chiesa a ringraziare Dio e la Vergine, che li avevano scampati da maggiori pericoli. Poche ore dopo, durante la ricreazione, ecco nella rimanente fabbrica, arrivata già fino al tetto, piegarsi i pilastri, sfasciarsi le pareti e il tutto precipitare in un cumulo di macerie. Alla nuova disgrazia che annientava repentinamente sforzi e speranze di gran rilievo, Don Bosco, attonito ma sereno, celiando disse: - Abbiamo giocato a mattonelle! Indi con la massima pace in volto e con accento paterno proseguiva: - Sicut Domino placuit; sit nomen Domini benedictum. tutto dalla mano del Signore; egli terrà conto della nostra rassegnazione. Piuttosto, ringraziamo Dio e la Beata Vergine, perché nelle dolorose vicende che opprimono oggi l'umanità, vi sia sempre la mano benefica che mitiga le nostre sventure.
Una sua lettera, scritta di li a tre giorni, ci rivela, insieme con la pena provata, anche la santa pace che gli regnava nell'anima: «Ho avuto una disgrazia: la casa posta in costruzione rovinò quasi interamente, mentr'era già quasi tutta coperta. Tre soli furono lesi gravemente, niuno morto; ma uno spavento, una costernazione da far andare il povero Don Bosco all'altro mondo. Sic Domino placuit».
Nel 61, a mezzanotte, un formidabile rimbombo scosse dalle fondamenta l'Oratorio. Un fulmine, penetrato nella camera di Don Bosco, vi mise tutto a soqquadro, lasciando lui mezzo fuori dei sensi. Il suo primo pensiero volò ai giovani che dormivano nel piano superiore, e li raccomandò fervidamente alla Madonna. Ce n'era bisogno! La scarica elettrica, passata anche di là violentissima, aveva squarciata la volta e riempito di terrore gli animi, sicché il panico minacciava di fare ciò che il fulmine non aveva fatto.
In una confusione babelica di urli, fracassi e tenebre, ecco su per calcinacci e mattoni avanzarsi con il lume in mano la figura dolce e sorridente di Don Bosco. Non abbiate paura, dice con voce rassicurante, abbiamo in cielo un buon Padre e una buona Madre che vegliano su di noi. Come Dio volle, il trambusto si sedò; Don Bosco, accertatosi che le vite erano salve, diede in un Deo gratias, gli veniva proprio dal cuore, e poi continuo: - Ringraziamo, ringraziamo il Signore e la sua santissima Madre! Ci hanno preservati da un grave pericolo. Guai se la casa pigliava fuoco! Chi si sarebbe salvato? - Né d'altro più sollecito in quei primi istanti, fattili inginocchiare ivi stesso dinanzi a un'immagine di Maria, recitò con loro le litanie lauretane.
Più tardi i chierici salirono a fargli visita, desiderosi di assicurarsi se il buon Padre avesse sofferto. Era già la terza volta che il fulmine gli dava briga; ma questa volta con effetti assai più sensibili e duraturi che non le altre due. Si restrinse però a dire:
- Questa di oggi è una delle maggiori grazie ottenuteci dalla Madonna. Ringraziamola di cuore! Infatti ulteriori indagini misero in chiaro, che era mancato un nonnulla a succedere un'ecatombe.
Fu fatta la proposta di collocare un parafulmine. Sì, rispose Don Bosco, lassù collocheremo una statua della Madonna. Maria ci parò così bene dal fulmine, che sarebbe ingratitudine confidare in altro. Una statuetta della Vergine, vero palladio dell'Oratorio primitivo, sta ancora là ad attestare la filiale pietà di Don Bosco verso la potente Regina del Cielo.
Prima che quell'anno finisse, il cedimento di un voltone sotterraneo in una recente fabbrica gettò negli animi gran trepidazione. Don Bosco, ricondotta ne' suoi la calma, osservò senza scomporsi:
- Il demonio ha voluto di nuovo mettere qui la sua coda; ma avanti, e niente paura!
Il medesimo abbandono nelle mani di Dio ritroviamo in lui già vecchio, di fronte a un contrattempo analogo ai precedenti. Ventiquattr'anni dopo, proprio durante il solenne pranzo d'addio a una schiera di missionari, scoppiò nel laboratorio dei legatori l'incendio. Non lungi dal fuoco stavano ammonticchiati i bagagli dei partenti. Si sa bene il finimondo che succede in simili circostanze: una casa va tosto in subbuglio. Don Bosco, tutt'altro che indifferente al triste caso, non si mosse dal refettorio, ma rimase là silenzioso e assorto. Ogni tanto chiedeva se ci fossero disgrazie personali; udito che no, rientrava nel suo raccoglimento. Riferitogli che i danni ascendevano a centomila lire: - È grave! esclamò. Mail Signore dà, il Signore toglie. Egli è il padrone.
Il Niente ti turbi santa Teresa, con cui Don Bosco nell'assegnare uffici di responsabilità premuniva i suoi dagli effetti immediati delle brutte sorprese, veniva in soccorso a lui stesso anche in certi contrattempi, che per sé non apportano gravi inconvenienti, ma che tuttavia disturbano non poco li per li e disorientano chi non ha fatto l'abitudine a pensare sempre che non cade foglia senza che Dio lo voglia.
L'imperturbabilità è tanto più rara in tali disappunti, quanto più sembra ivi al tutto naturale qualche scatto nervoso; onde il conservarvisi invariabilmente e amabilmente sereni è prerogativa d'uomini immersi con tutta l'anima in Dio. Chi, a mo' d'esempio, dovendo viaggiare, non ha avuto qualche volta l'incresciosa contrarietà di perdere la corsa? È un fatto banale; ma può essere occasione improvvisa a rivelare il vero interno di una persona.
Un giorno Don Bosco, sceso dal treno in Asti e trattenutosi un po' nella stazione per un affare, non fece in tempo a prendere la corriera, che doveva portarlo a Montemagno, sicché gli bisognava aspettare là più ore. Non si scompose: attaccò discorso con un gruppo di giovanotti, inducendoli a confessarsi, e a farlo subito, e a farlo nel prossimo albergo. Un'altra volta, perduto il treno da Trofarello a Villastellone, senza alterarsi, cavò di tasca un fascio di bozze e fece la strada a piedi correggendo. Raggiunta la mèta, levò pacatamente gli occhi dall'ultimo stampone, dicendo al compagno: - È proprio vero che anche le disgrazie sono sempre utili a qualche cosa. Nemmeno a casa avrei potuto fare tanto lavoro, quanto ne ho fatto, grazie a questo incidente.
Una mattina, dovendosi recare per ferrovia a un paese non guari lungi da Torino, aveva stabilito di celebrare colà il santo sacrificio. Esce di camera, ed ecco un chierico che ha bisogno di dirgli due parole all'orecchio; Don Bosco si ferma e lo ascolta. Scende la scala, ed eccone un altro che desidera parlargli; Don Bosco si ferma e lo ascolta. Giunge all'ultimo gradino, ed eccoti un terzo chierico che lo attende; Don Bosco tranquillo s'intrattiene con lui. Fa per attraversare il portico, ed ecco là preti e chierici a circondarlo; Don Bosco dà soddisfazione a ognuno. Finalmente può incamminarsi per il cortile verso la porta: ma ecco la voce di un giovanetto, che gli corre dietro chiamandolo; Don Bosco si arresta, si volta e risponde alle sue domande. Il treno però non aspetta: quando arrivò alla stazione, la locomotiva lanciava il vecchio fischio della partenza; Don Bosco fece fronte indietro, andò a dir messa in città e partì con la seconda corsa.
A rendere il superiore così compassionevole e amorevole come in quest'ultimo caso, ci vuole il commercio abituale con Dio, dice san Bonaventura; solo Colui che è bonitatis oceanus 'infonde nell'orazione quella soavità, per cui egli si fa tutto a tutti.
Ma i peggiori contrattempi toccarono a Don Bosco da parte degli uomini: da parte di umili, da parte di ragguardevoli, da parte di autorevoli.
Umile persona il buon coadiutore che, ottenuto di andare in America e destinato a Santa Cruz nell'Argentina, cedette allo sconforto, abbandonò la casa e si ritrasse nella fattoria di un colono. L'inattesa notizia afflisse l'uomo di Dio, che ordinò di farlo tornare in Italia. Alla difficoltà sulla forte spesa del viaggio, rispose calmo e risoluto: - Non si badi a spesa, quando si tratta di salvare un'anima.
Umile persona il buon cuoco dell'Oratorio. Una sera a Don Bosco, che, finito tardi di confessare, veniva a cena dopo la mensa comune, mandò una minestra di riso stracotto e freddo. L'inserviente, sapendo già per esperienza che Don Bosco non vi avrebbe fatto caso, né bastandogli l'animo di presentargli un avanzaticelo di quella sorta, ne rampognò il brav'omo, dicendogli risentito: - Questa roba per Don Bosco? - Ma l'altro, fuor dei gangheri: - E chi è Don Bosco? È uno come gli altri. L'inserviente o per la stizza o per iscagionarsi riferì tali e quali le insane parole. Don Bosco, recando con indifferenza il cucchiaio alla bocca, disse bonariamente: - Oh, il cuoco ha tutte le ragioni.
Umile persona il buon refettoriere, che, ammonito da Don Bosco stesso, perché non aveva cambiata in tempo la tovaglia sudicetta, non sofferse il paterno rimprovero, ma gli scrisse una lettera, insolentendo fino a dirgli che quella era stata la prima volta che aveva visto Don Bosco col volto serio. Il Servo di Dio, non che adontarsi, appena lo incontrò, chiamatolo a sé e alludendo alla famigerata espressione, che aveva fatto il giro dell'Oratorio, gli disse con bontà: - Non sai che Don Bosco è un uomo come tutti gli altri? - Da san Paolo a noi, ogni uomo veramente di Dio si è stimato sempre debitore a tutti, agli stolti non meno che ai savi. E per tornare a san Bonaventura, è il commercio con Dio che rende umile il cuore del superiore: devotio cor humiliat. 
Personaggio ragguardevole l'abate Amedeo Peyron, filologo e orientalista di grido, professore nella Regia Università di Torino. Presiedeva egli un'adunanza di sacerdoti, riuniti per interessi del loro ministero. Caduto il discorso sulle necessità di moltiplicare le pubblicazioni educative adatte al popolo, Don Bosco, presa la palla al balzo, raccomandò le sue Letture Cattoliche. l'avesse mai fatto! Il presidente, quasi non aspettasse altro, vuotò il sacco, inveendo contro i difetti di lingua di grammatica e di stile, che inquinavano quei libercoli. L'autorità dell'uomo, la foga del dire, la causticità di certe frasi fecero rimanere tutti a bocca aperta.
Il Servo di Dio Leonardo Murialdo, che era fra gli uditori, mortificato per la cattiva figura dell'amico, conscio inoltre che parecchi degli astanti avevano poca simpatia per Don Bosco, aspettava trepidante com'egli si sarebbe contenuto e in che modo avrebbe risposto. Non ignorava nemmeno quanta sia la suscettibilità degli autori al sentirsi criticare, non che mettere alla berlina in pubblico. Don Bosco, cessata la gragnuola, parlò così: - Sono qui apposta per avere aiuto e consiglio. Mi raccomando a loro: mi dicano quanto trovano da correggere, e io volentieri correggerò. Anzi, sarei ben fortunato se altri, più buono scrittore di me, volesse rivedere i singoli fascicoli. Il teologo Murialdo respirò. Riandando poi nel 96 quel drammatico episodio diceva d'aver pensato fra sé e sé fin d'allora: - Don Bosco è un santo.
Anche con altri ragguardevoli ecclesiastici, non certo per malevolenza loro, ma per preconcetti. Don Bosco ebbe noiosissimi incontri, nei quali emerse quel totale distacco da sé, che è frutto del non mai interrotto contatto con Dio, la cui pace sovrana domina pensieri e sentimenti umani. Dov'è il Signore, ivi non è commozione. In una cospicua città fuori d'Italia, ove di fresco, aveva aperto un collegio, recatosi a visitare un importante istituto religioso, vi ricevette dopo lunga anticamera accoglienze peggio che glaciali. Appena rivarcata la soglia, colui che accompagnava Don Bosco, sbottò. Sta' allegro, sta' allegro, fece Don Bosco; saranno essi più confusi di noi per averci trattati a quel modo. Poscia senz'ombra di turbamento passò a ragionare di cose più importanti.
Nella medesima città, durante una visita di Don Bosco al collegio, l'ottimo parroco locale per uno di quegli accessi d'impulsività, non tanto infrequenti a questo mondo fra persone ben intenzionate, investì il Servo di Dio con inaudita violenza di linguaggio, accanendosi a lungo. Don Bosco, data giù la burrasca, sollevò un tantino il capo nell'atteggiamento di chi chiede umilmente di parlare e disse così: - Signor Curato, Ella ha ragione di lamentarsi; mi rincresce che non siasi potuto corrispondere pienamente ai suoi desideri; Ella è nostro benefattore; io ricordo con riconoscenza il bene da Lei fattoci; faremo sempre di tutto per servirla. Io morrò presto; ma ho lasciato nel testamento al mio successore che si preghi per Lei. Ogni parola di Don Bosco scendeva mite rugiada sull'animo esacerbato del fiero riprensore, che alla fine chiese perdono e gli fu più amico di prima.
Apriamo un intermezzo a proposito di giornali. Ci sarebbe con che alzare un bel monumento, radunando e mettendo gli uni su gli altri i tegoli venuti a cadere, improvvisi, sull'Oratorio e su Don Bosco da redazioni di gazzette d'ogni colore. Chi scrive, ha un ricordo personale indelebile e molto penoso. La prima volta che fanciullo intese il caro nome di Don Bosco fu per una vignetta di un giornalaccio, dove una figura mostruosa e una vilissima iscrizione travisavano in modo incredibile la sua carità per la gioventù povera e abbandonata. Ma lasciamo che i morti seppelliscano loro morti, tanto più che, anche da vivi, Don Bosco li lasciava abbaiare alla luna; anzi non tollerava vendette, ritorsioni o rancori contro i denigranti, pago che in favor suo parlassero le opere.
Ai colpi obliqui della stampa egli, levando occhi e mani al cielo, soleva ripetere con ferma fede espressioni simili a queste: - Eh, là, pazienza! Anche questo passerà! Buona gente, se la prendono con Don Bosco, che non cerca se non di fare del bene! Avremo dunque da lasciare che si perdano le anime? Avversano senza saperlo l'opera di Dio. Saprà ben Egli sventarne le trame!
Ma più che non impronta loquacità di gazzettieri, offende savi e santi l'atteggiamento sfavorevole di chi è depositario dell'autorità. Don Bosco, che per sua stessa confessione aveva sortito da natura indole focosa e altera, né poteva soffrire resistenza, che brutti quarti d'ora dovette passare ogni volta che, anelante solo alla gloria di Dio e al bene delle anime, si vide attraversata od ostacolata la via da autorevoli rappresentanti dell'una o dell'altra parte! Ma la natura, avvalorata con le soprannaturali energie della grazia, faceva allora di Don Bosco l'uomo più conciliante e pacifico del mondo.
In tempi di pubbliche agitazioni, quante volte le autorità dello Stato, istigate dalle sette, aggravarono improvvisamente la mano su Don Bosco! e quante volte egli, presentandosi anche ai più mal disposti, ne soggiogò gli animi e li ridusse a miti consigli! Ma prima di scendere in lizza, si rivolgeva a Dio nella preghiera, sperimentando quanta fosse l'efficacia di questa a muovere i cuori dei potenti. Con questo mezzo, diceva ai suoi, se sarà bene, si otterrà quanto si desidera; e ciò ancorché si domandasse a chi non nutre per noi né affetto né stima. Dio toccherà in quel momento il cuore dell'uomo, affinchè accolga favorevolmente la nostra proposta. Ecco la fonte del suo magnanimo ardire in contingenze aspre e sconcertanti.
Nel 62 si voleva a ogni costo fargli chiudere le scuole dell'Oratorio. Il regio provveditore agli studi gli accordò un'udienza dopo due ore di attesa; poi lo ricevette, egli pomposamente seduto in poltrona e Don Bosco di fronte a lui in piedi. Prima che il Servo di Dio aprisse bocca, il funzionario gli rovesciò addosso un diluvio di male parole, scagliandosi senz'alcun ritegno contro preti e frati, contro il Papa e Don Bosco, contro le sue scuole e i suoi libri; se non che, al vederlo là sempre calmo e immobile e non accennante mai a difendersi, gli diede dell'imbecille, e punto fermo.
Allora prese Don Bosco la parola. In tono grave e mansueto lo pregò anzitutto di osservare che tutto il detto fino a quel momento non aveva proprio nulla da fare con lo scopo della sua venuta; quindi passò ad esporgli il perché della visita. Il provveditore, che non aveva mai avuto occasione di trattare con uomini come Don Bosco, non credeva a' suoi occhi né alle sue orecchie; da ultimo si sentì dentro cresciuta di tanto la stima e la benevolenza verso lo svillaneggiato di poc'anzi, che, diventato un altro, lo colmò di gentilezze e gli si mantenne ognora amico e protettore. Don Bosco potè, ma non quella volta solamente, far sue, con le dovute modificazioni, parole di Neemia: Ho fatto preghiera al Dio del cielo e quindi ho detto al re... e il re mi ha conceduto ogni cosa, perché la mano aiutatrice del mio Dio era meco.
Lo spirito di orazione, che il Servo di Dio Contardo Ferrini chiama «festa dei santi pensieri», ha realmente questo di proprio, che suscita nell'animo pensieri lietamente santi e santamente lieti, anche in circostanze che per sé imbarazzano e sconcertano. Che fastidio per Don Bosco, «fedele e assennato servo della Chiesa», come lo proclamò Pio XI nel discorso dei miracoli, allorché nascevano contrattempi con autorità ecclesiastiche! Ma con che agilità di mente: sapeva, conciliare i doveri della sudditanza e i diritti della giustiziai Egli cercava in Dio la soluzione di nodi umanamente inestricabili.
Un documento d'archivio reca in margine questa noticina di mano estranea: «Povero Don Bosco! Se non era Iddio con lui, non sarebbe riuscito». Trattasi di una relazione ufficiale stésa è trasmessa alla sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari da un eccellente Monsignore, incaricato ufficioso della Santa Sede presso il Governo subalpino. Vi si dipinge la vita dei chierici di Don Bosco a tinte così fosche da dovere per forza far rinviare alle calende greche la tanto sospirata approvazione della Società Salesiana.
Il buon prelato giudicava come chi, senza comprender nulla di Don Bosco e del suo spirito, applica criteri vecchi a metodi, che nella loro semplicità capovolgono tradizionali concezioni pedagogiche. Messo a conoscenza della cosa, Don Bosco intuì le disastrose conseguenze di quel referto; ma nell'informarne il Capitolo della Società usò termini del più delicato riguardo verso l'autore; anzi ripetutamente lo ricevette nell'Oratorio con sincere dimostrazioni di rispetto e, presentatasi l'occasione di fargli del bene, lo fece Corde magno et animo volenti.
Le trattative per l'approvazione della Società costrinsero il Servo di Dio a inghiottire pillole ben più amare! Egli teneva già commendatizie individuali di molti Vescovi; ma gli sarebbe giovato averne anche una collettiva dagli Ordinari della provincia ecclesiastica torinese. Il momento opportuno venne, quando l'Arcivescovo Riccardi convocò i suffraganei nell'imminenza del Concilio Vaticano. Don Bosco presentò dunque la sua supplica umilissima, perché fosse letta nell'assemblea in cui contava alti protettori. L'esito non gli pareva dubbio. Ma purtroppo le prevenzioni intorbidirono le acque; onde gli toccò sorbirsi la mortificazione di una risposta tanto più cortese nella forma quanto più evasiva nella sostanza. Amaramente deluso: Pazienza esclamò. Sia tutto per amor di Dio e della Santa Vergine!
Durante un soggiorno a Roma per quest'affare dell'approvazione una sgraditissima sorpresa gl'incolse proprio alla vigilia della partenza. A Roma era stato oggetto di simpatia da parte di cittadini d'ogni ordine. Mentre dunque si trovava in visita di congedo presso l'eccellentissima famiglia Vitelleschi, ecco venir annunciato il cardinal Altieri, al quale egli non aveva trovato il tempo di far visita. Sembra che a quest'atto l'aristocratico Porporato ci tenesse alquanto; fatto è che a Don Bosco, avvicinatosi ossequente, disse appena un freddo buon giorno; durante la conversazione che seguì, in una casa dove Don Bosco era molto venerato, non un complimento, non una parola, non uno sguardo. Quei nobili Signori stavano sulle spine, né dopo sapevano darsi pace, conoscendo il carattere inflessibile del personaggio. Il più tranquillo di tutti era ancora Don Bosco. Cosa da nulla! diss'egli. Domani sarà tutto aggiustato. Infatti la mattina appresso, raccomandatosi al Signore, chiese udienza, nella quale ogni nube fu talmente dissipata, che potè mostrar loro prove tangibili di essersi ingraziato il Cardinale.
Procedendo così per ordine gerarchico nella via dei contrattempi, perché non ascenderemo fino al vertice? Don Bosco ebbe un contrattempo anche con la Santità di Pio IX. Una volta, usando del favore che godeva in Vaticano, consentì di raccomandare per una privata udienza pontificia l'avvocato piemontese, più tardi senatore, Tancredi Canonico. Apparteneva questi al gruppo di quegl'infatuati che andavano dietro al fanatico visionario polacco Towianski, precursore dei modernisti, tutte circostanze che Don Bosco ignorava affatto. Giunto alla presenza del Santo Padre, l'avvocato prese a sciorinare le sue fisime, dimenticando talmente dove si trovasse e con chi avesse l'onore di parlare, che l'angelico Pontefice lo interruppe sdegnato e gl'intimo di uscire; il che quegli fece, ma prima depose sul tavolino un suo scritto, contenente le cose che aveva preveduto di non poter dire a voce. Don Bosco, chiamato subito dopo all'udienza, udì il Papa che diceva: - O costui è un gran birbone o Don Bosco è un gran... bonomo. Al che Don Bosco, sorrise. Pio IX, accortosene, gli chiese: - Perché avete fatto entrare costui? E ridete ancora del mio sdegno? Don Bosco, sommesso e tranquillo, prontamente rispose: rido perché è lo sdegno di un padre sempre amoroso. Espose quindi, come, il fatto era andato, lieto di vedere alle sue candide parole sorridere anche il Vicario di Cristo.
Un giorno Don Bosco scrisse a uno de' suoi per confortarlo in certe disdette: «Allegria e coraggio, e specialmente oremus ad invicem». 'orazione fu per Don Bosco il segreto della tranquillità e della pace nelle afflizioni, secondo l'inspirato insegnamento dell'apostolo san Giacomo.
Eugenio Ceria
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