Ora se si considera che Don Bosco, andando a dormire, aveva sempre estremo bisogno di sonno, si ha già in questo una ragione per conchiudere che dunque in lui tanta vitalità di sogni non era umanamente spiegabile.
del 14 dicembre 2011
p { margin-bottom: 0.21cm; }
Il titolo di questo capo è suggerito da una citazione d'Isidoro, fatta da san Tommaso. Scrive l'Angelico: «Isidoro distingue il dono di profezia secondo la maniera di profetare. Riguardo alla maniera d'imprimere le immagini fantastiche fa tre distinzioni: sogno, visione, estasi». Sono grazie gratis datae, per sé non apportano né esigono la santità, ma che la sogliono accompagnare; con esse Dio in modi soprannaturali manifesta alle anime cose nascoste.
Nella vita di Don Bosco tali favori prendono una parte così importante da non potersene prescindere senza rinunciare a un elemento di sommo valore per avviarci alla piena conoscenza della sua comunione intima con Dio. Quanti sono passati per gli ambienti salesiani, han fatto l'orecchio ai così detti sogni di Don Bosco, qual denominazione, venuta da lui stesso, vive nelle sue Case, dove la s'intende ancora senza bisogno di commenti.
Non istaremo noi a dimostrare che esistono realmente sogni soprannaturali; sarebbe sfondare una porta aperta. Chi ignora il somnia somniabunt, da Ioele fra i doni, che in una più larga effusione dello Spirito Santo avrebbero allietati gli ultimi giorni, cioè, spiega san Pietro, i tempi messianici? Veniamo piuttosto a discorrere senz'altro dei sogni di Don Bosco.
Questi sogni sono stati in numero stragrande, perché si succedettero a intervalli non lunghi dall'esordire della puerizia del Servo di Dio fino all'ultima vecchiaia. Di alcuni pochi abbiamo il testo da lui personalmente scritto o riveduto; di altri ci sono giunte relazioni da testimoni auricolari e fededegni; di parecchi corrono qua e là tradizioni orali; di molti o restano solo vaghe rimembranze o si argomenta appena l'esistenza da vaghi indizi. In diciotto volumi delle Memorie Biografiche, narrati per disteso e accennati per sommi capi, se ne annovera un buon centinaio.
Generalmente le scene ivi descritte si svolgono or più, or meno drammatiche, sopra uno di questi tre sfondi: Chiesa Cattolica, Società Salesiana, Oratorio di Valdocco. Della Chiesa gli si spiegano dinanzi le future vicende o nella sua vita generale o in nazioni particolari; della Congregazione vede chiaramente opere da compiere, vie da seguire, scogli da evitare; dei giovani gli si svelano stati di coscienza, vocazioni, morti prossime. In quali condizioni egli si trovasse sognando, lo possiamo arguire da certi suoi modi d'esprimersi.
Così, di un sogno avuto nella notte fra il 67 e il 68 dice: «Era un sonno, nel quale uno può conoscere quello che fa, udire quello che si dice, e rispondere se interrogato». Gli si soleva mettere a fianco per guida e interprete un personaggio, non sempre il medesimo; da probabili indizi sembrerebbe che fosse ora qualche allievo defunto, ora san Francesco di Sales, ora san Giuseppe o altro Santo, ora un Angelo del Signore, talvolta la Madonna; vi si univano in certi casi per corteggio o per compagnia apparizioni secondarie.
Che cosa pensava Don Bosco de' suoi sogni? Sulle prime andò a rilento nel prestarvi fede, attribuendoli a scherzi di fantasia; onde nel raccontarli, se vi entrassero previsioni del futuro, temeva sempre o di aver preso abbaglio o di dir cose da non doversi pigliare sul serio. Il fatto è però che distingueva benissimo fra sogni e sogni e se alcuni, come accade, si dileguavano senza che gli facessero impressione di sorta, altri gli lasciavano nell'animo un'impressione durevole. Discorrendone familiarmente con intimi, disse che ripetute volte, dopo aver raccontato di questi ultimi, se n'era confessato a Don Cafasso, come di un azzardato parlare, e che il santo prete, ascoltatolo e riflettutovi sopra maturamente, alla fine un giorno gli aveva risposto: - Giacché quel che dite si avvera, potete stare tranquillo e continuare.
Tuttavia non credette opportuno abbandonare subito le cautele. In una delle menzionate cronachette, sotto il 13 gennaio 1861, sono raccolte queste sue parole riguardo a un sogno svoltosi a tre riprese in tre notti consecutive: «Nel primo giorno io non voleva dar retta, poiché il Signore ce lo proibisce nella Sacra Scrittura. Ma in questi giorni scorsi, dopo aver fatte parecchie esperienze, dopo aver presi diversi giovani a parte, e aver dette loro le cose tali e quali le aveva viste nel sogno e dopo che essi mi assicurarono essere proprio così, allora io non potei più dubitare che questa sia una grazia straordinaria, che il Signore concede per tutti i figli dell'Oratorio. Io perciò mi trovo in obbligo di dirvi che il Signore vi chiama e vi fa sentire la sua voce, e guai a coloro che vi resistono!».
Ciò nondimeno, umilmente diffidando di sé, volle abbondare in precauzioni; onde sotto il giorno 15 torniamo a leggere: «Dirò quello che ho già detto; io feci quel sogno, ma per una parte non voleva darvi retta; per l'altra parte lo vedeva troppo importante, e perciò esaminai ben bene la cosa». L'esame consistette di nuovo nell'interrogare tre dei giovani, di cui nel sogno aveva conosciuto il misero stato e che trovò esattamente nelle condizioni a lui note. Sette anni dopo, il 30 aprile del 68, riparlava nel modo seguente: «Miei cari giovani! Ieri sera vi ho detto che io avevo qualche cosa di brutto da raccontarvi. Ho fatto un sogno, ed ero deciso di non farne parola a voi, sia perché dubitavo che fosse un sogno come tutti gli altri, che si presentano alla fantasia nel sonno, sia perché tutte le volte che ne ho raccontato qualcheduno, ci fu sempre qualche osservazione e qualche reclamo. Ma un altro sogno mi obbliga a parlarvi del primo». In quest'altro sogno, come narrò poi, la voce del personaggio gli aveva detto: - Perché non parli? - Non si può credere davvero che in questa come in cent'altre cose abbia fatto difetto a Don Bosco la prudenza!
Intanto, il fin qui detto ci aiuta a comprendere una confidenza da lui fatta con aria grave e con un senso di preoccupazione nel 76 a Don Giulio Barberis: 'Quando penso alla mia responsabilità per la posizione in cui mi trovo, tremo tutto. Le cose che vedo accadere, sono tali, che caricano sopra di me una responsabilità immensa. Che rendiconto tremendo avrò da rendere a Dio di tutte le grazie che ci fa per il buon andamento della nostra Pia Società! Si può dire che Don Bosco vede tutto ed è condotto avanti per mano dalla Madonna. Ad ogni passo, in ogni circostanza, ecco la Beata Vergine!».
Come raccontava Don Bosco i suoi sogni? Con quale animo li raccontasse, traspare abbastanza. dalle citazioni surriferite; tuttavia vi è qualche aggiunta da fare. Esponeva le cose «con semplicità, gravità e affetto», c'informa un testimonio. Esordiva per lo più molto alla buona, evitando tutto ciò che potesse far colpo o insinuare l'idea di merito o privilegio suo. Raccontando, intercalava frasi argute o descrizioncelle giocose, per distrarre l'attenzione degli uditori dai punti di maggiore singolarità; non mancavano per altro individui perspicaci, che capivano e notavano.
Sempre col fine di affievolire l'impressione dello straordinario, dava nomi insignificanti al personaggio che soleva accompagnarlo, chiamandolo guida, interprete o, più vagamente ancora, sconosciuto; solo discorrendo a tu per tu con alcuni, ne dava indicazioni meno imprecise. Aveva poi una cura ben dissimulata di mettere in rilievo quanto ridondasse a sua umiliazione. Così, narrando un sogno nel 61, dopo aver detto del suo grande cruccio al vedere che giovani dell'Oratorio facevano i sordi a' suoi consigli e mal corrispondevano a' suoi benefici, proseguiva: «Allora il mio interprete prese a rimproverarmi: - Oh, il superbo! Vedete il superbo! E chi sei tu dunque che pretendi di convertire, perché lavori? Perché tu ami i tuoi giovani, pretendi di vederli tutti corrispondere alle tue intenzioni? Credi tu forse di essere da più del nostro divin Salvatore nell'amare le anime, faticare e patire per esse? Credi tu che la tua parola debba essere più efficace di quella di Gesù Cristo? Predichi tu forse meglio di lui? Credi tu di aver usata più carità, maggior cura verso i tuoi giovani, di quella che abbia usato il Salvatore verso i suoi apostoli? Tu sai che vivevano con lui continuamente, erano ricolmi ad ogni istante d'ogni sorta di suoi benefici, udivano giorno e notte i suoi ammonimenti e i precetti della sua dottrina, vedevano le opere sue, che dovevano essere un vivo stimolo per la santificazione dei loro costumi. Quanto non ha fatto e detto intorno a Giuda! Eppure Giuda lo tradì e morì impenitente. Sei tu forse da più degli apostoli? Ebbene, gli apostoli elessero sette diaconi: erano solo sette, scelti con ogni cura: eppure uno prevaricò. E tu fra cinquecento ti meravigli di questo piccol numero che non corrisponde alle tue cure? Pretendi di riuscire a non averne alcuno cattivo, alcuno che sia perverso? Oh, il superbo!».
Ridurre al minimo possibile ciò che potesse suscitare opinione di soprannaturale, umiliare la propria persona con riferire si forti rimproveri, sta bene; ma la verità aveva pure i suoi diritti. Perciò egli esortava a guardarsi dal mettere in burla le cose udite, e a fare ognuno per sé le debite applicazioni. Per altro, anche queste esortazioni erano condite di evangelica umiltà.
Non dispiaccia un'altra citazione un po' lunga, ma che sarà l'ultima. Il sogno del 61, in cui si buscò il rimbrotto precedente, fu raccontato in tre sere di sèguito; eccone la chiusa: «Adesso che vi ho raccontato tutte queste cose, voi penserete: - Chi sa? Don Bosco è un uomo straordinario, qualche cosa di grande, un santo sicuramente! Miei cari giovani! Per impedire stolti giudizi intorno a me, vi lascio tutti in piena libertà di credere o non credere queste cose, di dar loro più o meno importanza: solo raccomando di non mettere niente in derisione, sia coi compagni sia con gli estranei. Stimo però bene di dirvi che il Signore ha molti mezzi per manifestare agli uomini la sua volontà. Alcune volte si serve degli strumenti più inetti e indegni, come si servì dell'asina di Balaam, facendola parlare; e di Balaam, falso profeta, che predisse molte cose riguardanti il Messia. Perciò lo stesso può accadere di me. Io vi dico adunque, che non guardiate le mie opere per regolare le vostre. Quel che voi dovete unicamente fare, si è di badare a quello che dico, perché questo, almeno lo spero, sarà sempre la volontà di Dio e ridonderà a bene delle anime. Riguardo a quel che faccio, non dite mai: - L'ha fatto Don Bosco; dunque è bene. No. Osservate prima quello che faccio; se vedete che è buono, imitatelo; se per caso mi vedete fare qualche cosa di male, prendetevi guardia dall'imitarlo: lasciatelo come malfatto».
Non tutte diceva in pubblico le cose apparsegli o udite nei sogni; ma alcune comunicava in privato a chi v'aveva esclusivo interesse; altre palesava a chi, godendone maggiormente la familiarità, ne lo interrogasse a quattr'occhi; altre infine serbava per sé, come a lui personalmente destinate. Ecco infatti uno dei cronisti informarci che per certi sogni si veniva udendo così a spizzico tanto di nuovo, da potersene «duplicare o triplicare la materia», e che per certi altri, a prender nota di tutto, ci sarebbero voluti altrettanti volumi.
A mo' d'esempio, riandando il suddetto sogno del 61, Don Bosco disse d'avere in quelle tre notti acquistate più cognizioni di teologia che non in tutti gli anni di seminario, e che aveva intenzione di scrivere su tali questioni teologiche, lasciando «i fatti specifici» della terza notte e dando solo «le teorie» delle due prime. Onde si deduce che, dovendo le sue narrazioni avere per iscopo l'edificazione, il conforto, l'ammaestramento altrui od essendo anche taluna di esse un grido d'allarme, egli faceva pel racconto pubblico saggia selezione di parti, sicché l'insieme fosse per riuscire di reale vantaggio agli ascoltatori. E gli effetti che ne derivavano, li avrebbe visti un cieco. Specialmente cresceva a più ridoppi l'orrore del peccato; quindi un confessarsi con maggior compunzione, un moltiplicarsi di confessioni generali, una frequenza di tutti alla santa comunione: era insomma, per dirla con frase usata da Don Bosco in tali occasioni, la bancarotta del demonio.
Ce ne sarebbe dunque d'avanzo per sottoscrivere a due mani il seguente giudizio del canonico citato poco fa: «A noi, sebbene non più fanciulli, non si rappresentava altra spiegazione ragionevole e plausibile se non quella dei doni straordinari concessi a Don Bosco dal Signore». E ciò tanto più quando si ponga mente, che Don Bosco non solo non provocava in qualche modo né desiderava sogni di questo genere, ma ne aveva paura, perché fisicamente ne pativa non lievi disturbi; a volte per giunta, finito appena il racconto, non rammentava più quel che aveva detto, cosa non insolita ad avverarsi nelle persone che parlano mosse da ispirazioni soprannaturali. Ma, oltre al già molto che siamo venuti esponendo, ci si presentano ancora due caratteri notevolissimi, che non permetteranno mai allo psicologo di giudicare i sogni di Don Bosco alla stregua dei sogni puramente naturali.
Un primo carattere risiede nell'elemento psicofisico. Nei sogni naturali impera o imperversa la fantasia, non governata dalla ragione. Normale condizione per l'inizio del sonno è la stanchezza. La stanchezza produce sostanze intossicatrici del cervello, senza che però si arrivi all'intossicazione completa: la natura vi ha provveduto, facendo si che quelle, raggiunta una certa quantità, agiscano come un meccanismo d'interruzione e arrestino l'apparato motore che consuma la maggiore energia. Tale interruzione toglie ai centri superiori dal sistema nervoso l'energia psicofisica necessaria per l'attività normale, tanto di più quanto maggiormente l'individuo ha bisogno di sonno. Il piccolo residuo di energia psicofisica rimasta nei centri superiori basta per la vitalità del sogno; ma l'ordinario è troppo scarso per eccitare efficacemente i centri motori, irradiando dai centri sensoriali.
Ora se si considera che Don Bosco, andando a dormire, aveva sempre estremo bisogno di sonno, si ha già in questo una ragione per conchiudere che dunque in lui tanta vitalità di sogni non era umanamente spiegabile.
Ma c'è di meglio. Il meccanismo d'interruzione che isola l'apparato motore, e la diminuzione d'energia psicopatica del sistema nervoso centrale influiscono sull'attività della fantasia causandovi i due fenomeni dell'irregolarità e del mutamento improvviso, che durante il sonno tutti abbiamo potuto sperimentare; poiché l'insufficienza dell'energia psicofisica rende impossibile il seguire a lungo un motivo, ma basta qualunque stimolo esterno a dirigere per altra via quel resticciuolo di energia, sicché allora tutta l'immagine del sogno si dissolva. Ond'è che generalmente nel sogno l'attività della fantasia non è diretta da alcun intento positivo; perciò nei sogni naturali non si suol verificare né ordine razionale di rappresentazione né concatenamento logico di pensiero, ma vi si salta di palo in frasca, con improvvisi scatti di bizzarrie e con repentini sbalzi nel ridicolo o nello stravagante.
Tutto l'opposto accade nei sogni di Don Bosco. Essi sono rappresentazioni simboliche simili a quella che si mostrò a san Pietro nella visione estatica del lenzuolo calato dal cielo e pieno d'animali mondi e immondi. L'intreccio vi è or più or meno complicato, protraendosi lo svolgimento talora a lungo e con distinzione di atti, come nei veri drammi; inoltre, e qui sta il singolare, vi si ammira costantemente nelle immagini vedute un succedersi che ha sempre la sua ragione di essere, e nelle parole udite o lette un valore significativo che forma con le immagini stesse un sol tutto.
Ogni sogno si aggira intorno a un'idea centrale e va diritta a uno scopo ben determinato; l'azione intera vi si sviluppa progressivamente e ordinatamente, come nelle migliori composizioni drammatiche. Manco a dirsi poi che, sebbene le forme sensibili si adagino nel simbolismo acconcio alla mentalità comune, però vi s'introducono elementi bislacchi o volgari o frivoli o comunque disdicevoli a un fine santo. L'esemplificare sarebbe cosa piacevole; ma l'economia del nostro lavoro ci tiene stretto il freno.
Un secondo carattere dei sogni di Don Bosco è dato dall'elemento profetico. La nostra immaginazione, quando nel sonno combina e scombina senza direttive della ragione, sarà vero che divina il futuro? Eh, non ci si riesce nemmeno, quando vi si aguzza da svegli l'intelligenza! Moltiplicando osservazioni su fatti e fenomeni vicini, si presagiscono appena effetti più o meno remoti, ma se manca un reale punto d'appoggio, è vano ogni tentativo di gettar lo scandaglio nell'avvenire; figuriamoci durante l'incoscienza del sonno! Eppure i sogni di Don Bosco non contenevano vaghi o sibillini presagi, ma rivelazioni chiare e nette di eventi nascosti nelle profondità del futuro.
A dir vero, lo spirito profetico abitava in Don Bosco, tante predizioni egli fece di cose libere e contingenti, avveratesi avanti o dopo la sua morte, nel tempo e nel modo da lui annunciati. Il più volte menzionato canonico Ballesio scrive: «Questo in Don Bosco non sembrava un istantaneo fulgore come di rapido baleno nel suo intelletto, ma che fosse divenuta l'ordinaria condizione della sua mente, per modo che egli profetava pregando, conversando, celiando, e profetava non accorgendosi quasi più né egli di profetare né altri che egli profetasse». E profetava anche sognando.
Nei sogni il contenuto profetico, quando non era tutto, era parte rilevante. Così, quanti annunci di morte non diede in antecedenza, perché avvertitone in sogno! Non pronunciava nomi, ma precisava date; del nome a volte svelava in pubblico la lettera iniziale, a volte dava comunicazione privatamente a qualcuno sotto segreto. Per l'avveramento poi si compiacevano i buoni, cioè quasi tutti, avvezzi com'erano ad accogliere venerabondi i suoi detti, e ammutolivano i diffidenti, che, sebbene rari nantes in gurgite vasto, con la loro ritrosia a credere garantivano per allora e per ora la storicità dei vaticini. Su ciò non affastelleremo noi episodi, rubando la penna ai biografi; piuttosto dalle solite pagine ingiallite ci dica Don Bosco stesso ancora due parole in proposito.
Uno dei compilatori di cronachette domestiche, sotto il 17 febbraio 1861, prende nota di questa sua osservazione, alludente a profezie di sogni. «Se queste cose che si fanno e si dicono nella nostra casa, le quali però sono certamente singolari e che devono stare tra di noi, qualcuno del mondo le sapesse, le giudicherebbe favole. Ma noi abbiamo per massima sempre che, quando una cosa volge a bene delle anime, è certo che viene da Dio e non può venire dal demonio».
Per altro, il nemico di Dio e delle anime un campo differente erasi riservato, donde sferrare i suoi assalti contro Don Bosco. Il Poulain, che fa testo in materia di mistica, ha questa osservazione opportunissima al caso nostro: «Dalla vita dei Santi sembra risultare che, se patiscono gravi ossessioni, ciò accade per lo più, quando sono giunti al periodo dell'estasi o anche solo delle rivelazioni e visioni divine, sia che tali grazie continuino, sia che vengano temporaneamente sospese. All'azione straordinaria di Dio fa allora da contraltare l'azione straordinaria dei demoni». Anche per i santi della Chiesa militante la terra è campo di battaglia.
Della guerra ingaggiata dal demonio contro Don Bosco noi possediamo bollettini ufficiali redatti durante una prima fase; questo ci basta per farci un'idea di tutta la campagna, durata tre anni. Il demonio esercitava le sue ostilità contro il Servo di Dio specialmente col non lasciarlo dormire di notte. Ora un vocione all'orecchio lo stordiva, ora un soffio come di bufera lo percuoteva; insieme poi un rovistare per ogni angolo, un disperdere carte, un disordinare libri.
Alcune sere, corrette le bozze del suo opuscolo La Potestà delle tenebre, posava sul tavolino; ma, levandosi all'alba, o le trovava sparse per terra o non le ritrovava affatto. Dalla stufa spenta si sprigionavano fiamme avvampanti. Coricatosi appena, una mano misteriosa gli tirava lentamente le coperte verso i piedi; riassettatele, se le sentiva di bel nuovo scivolare lungo la persona. Accesa la lucerna, il fenomeno cessava, per ricominciare tosto nel buio; una volta il lume gli fu spento da un potente soffio d'ignota provenienza. Sul punto di pigliar sonno, ecco la danza del capezzale sotto la testa. Il segno della croce o qualche preghiera gli ritornava la quiete; ma sul riassopirsi ecco 'traballare il letto intero. La porta gemeva quasi per urto di vento impetuoso.
Rumori spaventevoli sopra la camera facevano pensare a molte ruote di carri in corsa; ivi pure scoppiavano all'improvviso altissime grida. Una notte l'uscio si spalanca ed entra con le fauci aperte un orribile mostro, che si avventa per divorarlo, ma è fugato dal segno della croce.
Un sacerdote molto coraggioso volle vegliare nella camera, ma non potè rimanervi perché a mezzanotte, atterrito da un fragore infernale, scappò via a precipizio. Due chierici, che si offersero a ripetere insieme la prova, stando nell'attigua biblioteca, dovettero anch'essi battere tosto in ritirata, presi da tremito convulso. Il povero Don Bosco, per trovar pace, si recò presso il Vescovo d'Ivrea; ma dopo una prima notte tranquilla il nemico lo raggiunse e si fu da capo e peggio che mai. Tanto basti per un saggio di questa lotta terribile con lo spirito delle tenebre; parlando della quale nel 65. Don Bosco accennò d'avervi finalmente trovato il rimedio, e di somma efficacia, ma non si volle spiegare più chiaramente. Può darsi che fosse qualche penitenza straordinaria.
I sogni soprannaturali appartengono alla specie di visioni chiamate dai mistici immaginative, perché svolgentisi per via d'immagini impresse nella fantasia da causa superiore; ma di siffatte visioni se ne producono pure durante la veglia. È invalso l'uso di qualificare promiscuamente per sogni di Don Bosco visioni dell'una e dell'altra maniera, mentre, nonostante la stretta analogia, differiscono fra loro non poco. Così la visione immaginaria nello stato di veglia sembra non potersi mai scompagnare da qualche grado di estasi, da quelle estasi cioè nelle quali or maggiore or minore sia l'astrazione dai sensi.
Vide a questo modo il Servo di Dio nel 70 una serie complessa di avvenimenti pubblici, di cui è tuttora in corso di svolgimento l'ultima parte. L'esordio del testo, scritto da lui e mandato a Pio IX, conferma, pare, questa opinione; egli infatti vi si esprime nei termini seguenti: «La vigilia dell'Epifania dell'anno corrente 1870 scomparvero tutti gli oggetti materiali della camera e mi trovai alla considerazione di cose soprannaturali. Fu cosa di brevi istanti, ma si vide molto. Sebbene di forma, di apparenze sensibili, tuttavia non si possono se non con grande difficoltà comunicare ad altri con segni esterni e sensibili. Se ne ha un'idea da quanto segue. Ivi è la parola di Dio accomodata alla parola dell'uomo». Vide nello stesso modo davanti e in numerose circostanze il santo giovane Luigi Colle di Tolone, da lui conosciuto poco prima che quegli volasse diciassettenne al cielo. Fra l'81 e l'85 l'estinto gli apparve mentre confessava, mentre diceva la messa, mentre distribuiva la comunione, una volta perfino nella stazione di Orte durante un'attesa di quattro ore. Tali apparizioni erano sempre luminose e liete, a volte con colloqui, a volte senza.
Una visione della medesima natura egli ebbe forse nell'agosto dell'87 a Lanzo Torinese. Una Figlia di Maria Ausiliatrice, bramosa di riceverne la benedizione e stanca di attendere nell'anticamera chi la introducesse dal Servo di Dio, sospinse leggermente la porta socchiusa dello studio di Don Bosco, e che vide? Il buon Padre nell'atteggiamento di persona fuori di sé, la quale stia in ascolto. Il viso era trasfigurato da viva e bianca luce; la fisionomia soave e tranquilla; le braccia aperte verso l'alto e il capo accennante di tratto in tratto a fare di sì. Viva Gesù! Padre, è permesso? - disse ripetutamente la suora; ma egli nulla. Finalmente la scena, durata non meno di dieci minuti, si chiuse con un segno di croce e con un inchino riverenziale indescrivibile. È da notare che Don Bosco in quell'anno mal si reggeva in piedi senza il braccio altrui; ed era sempre un po' curvo; là invece stava con tutta la persona eretta.
Oltre alle immaginarie, si conoscono ancora due specie di visioni, una inferiore alle precedenti e l'altra superiore. Inferiore è quella delle visioni dette sensibili, corporali, oculari; in esse i sensi percepiscono cose esterne che non si potrebbero né vedere né intendere senz'aiuto soprannaturale.
Don Bosco ebbe una visione di questa specie, quando gli fu rivelato l'avvenire del giovinetto Cagherò, gravemente infermo. Al metter piede sulla soglia della sua stanza per visitarlo e disporlo a ben morire, ecco due apparizioni successive, durate un attimo ciascuna. Da prima, una colomba luminosissima, recante un ramoscello d'olivo nel becco, la quale, fatti alcuni giri per la camera, da ultimo raccolse il volo sul morente, con l'olivo gli toccò le labbra e poi glielo lasciò cadere sul capo: presagio di apostolato missionario e di pienezza del sacerdozio. Indi una folla di selvaggi, dalle forme nuove, curvi e trepidanti sul fanciullo, e fra essi emergenti due bei tipi caratteristici e di razza diversa, che gli eventi fecero poi conoscere rappresentanti dei Patagoni e dei Fueghini.
Le visioni dell'altra specie, che è la più alta di tutte, vanno sotto il nome di intellettuali; in esse la mente intuisce verità spirituali senza alcun concorso d'immagini sensibili. Dio ne avrà concesse a Don Bosco? Non possiamo affermarlo con sicurezza. Ma chi saprà mai tutta la dovizia di carismi soprannaturali, che arricchirono l'anima di Don Bosco?
La sua spontanea naturalezza in tutte le cose e la sua abituale semplicità di vita erano fatte apposta per celare le segrete operazioni della grazia, quando la notizia di queste non dovesse recare al prossimo qualche giovamento. In ogni modo, i casi di levitazione e d'irradiazioni luminose non avvalorerebbero per avventura l'ipotesi che nemmeno visioni dell'ordine supremo gli siano mancate?
Nel 79 il Servo di Dio, dicendo la messa, nella sua cappella privata, fu visto in tre giorni differenti irradiare dal volto una luce che rischiarava tutta la camera, e poi con tutta la persona staccarsi dalla predella, innalzarsi a poco a poco e rimaner sospeso in aria per una diecina di minuti.
Lo storico Don Lemoyne per tre sere di seguito sul tardi vide la faccia di lui accendersi gradatamente fino ad assumere una trasparenza luminosa; tutto il volto mandava uno splendore forte e soave. Il Rettor Maggiore Don Rinaldi, come narrò allo scrivente, vide improvvisamente in tre incontri, a dieci anni di età, a ventidue, e sui trenta, in pieno giorno e in luoghi diversissimi, illuminarsi gli occhi di Don Bosco e fiammeggiare, poi estendersi la luminosità a tutta la persona e venirglisi formando un'aureola sfolgorante, che vinceva la luce naturale e che brillava a forma del nimbo dei Santi. L'agilità e lo splendore sono due belle doti riserbate ai corpi gloriosi. Se pertanto di tali doti si scorgono quaggiù anticipazioni mirabili in corpi di viventi, non sarà lecito pensare che un tanto fenomeno avvenga, quando le anime, quasi indiate, godono delle cose divine una visione, arieggiante più o meno da lungi la futura intuitiva visione beatifica?
La notizia di questi ultimi favori celestiali non ebbe tanta risonanza, quanta la fama di taumaturgo, che ne accompagnò il nome con un crescendo continuo fino alla tomba. Sul dono dei miracoli non è affar nostro dilungarci; tuttavia un cenno fugace, che risponda al nostro disegno, non parrà inopportuno prima di por termine a questo capo.
Da un Memoriale, che Don Bosco già vecchio, nel 1884, mise a poco a poco in iscritto con mano stanca e a cuore aperto, per lasciarci quasi paterno testamento, utili ricordi e ammonimenti a' suoi figli, stralceremo alcuni periodi che fanno qui a proposito. Il buon Padre vi esprime sentimenti, dei quali, anche senza che egli nulla dicesse, erano arciconvinti coloro che ebbero con lui diuturna consuetudine di vita; per noi lontani invece le sue dichiarazioni sono quanto di meglio si possa desiderare a fine di ben conoscere quali fossero i suoi intimi pensieri nella piena di doni soprannaturali che ne inondavano lo spirito e si riversavano al di fuori, facendolo acclamare operator di miracoli.
Con tutto candore egli scrive adunque così: «Io raccomando caldamente a tutti i miei figli di vegliare sia nel parlare sia nello scrivere, di non mai raccontare né asserire che Don Bosco abbia ottenuto grazie da Dio o abbia in qualsiasi modo operato miracoli. Egli commetterebbe un dannoso errore; sebbene la bontà di Dio sia stata generosa verso di me, tuttavia io non ho mai preteso di conoscere ed operare cose soprannaturali. Io non ho fatto altro che pregare e far domandare grazie al Signore da anime buone. Ho poi sempre esperimentato efficaci le preghiere comuni dei nostri giovani, e Dio pietoso e la sua santissima Madre ci vennero in aiuto nei nostri bisogni. Ciò si verificò specialmente ogni volta che eravamo in bisogno di provvedere ai nostri giovanetti poveri e abbandonati, e più ancora, quando essi trovavansi in pericolo delle anime loro».
Conchiuderemo facendo nostra l'osservazione dell'avvocato della Causa, che il dono dei miracoli conferma luminosamente la soprannaturalità delle comunicazioni.
 
Eugenio Ceria
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)