del 14 dicembre 2011
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L'autore danese d'una vita di Don Bosco, studiando il Santo, ne riportò un'impressione, che tutti i biografi anteriori non potevano non provare, ma che egli solo espresse in modo geniale. Scrive: «Don Bosco è uno degli uomini più completi e più assoluti che abbia conosciuto la terra. Nella maggior parte delle creature che la Chiesa coronò con l'aureola dei Santi, c'è sempre alcunché di umano, e certe volte, come in Sant'Ambrogio, perfino di troppo umano. Nella vita di Don Bosco niente o quasi niente di tutto ciò. In lui tutto è luce, senza ombre, il che, da un puntò di vista artistico, costituisce una difficoltà. Tutto il quadro infatti dev'essere eseguito in bianco: bianco su bianco, luce su luce. I giusti, il Vangelo, splenderanno come il sole. chi può dipingere il sole?» Ebbene, su questo fondo di candida innocenza Don Bosco venne erigendo l'edificio della sua santità sacerdotale.
Questo è il carattere della santità di Don Bosco; perché, anche prima di essere sacerdote, anelava a diventarlo e siffatta aspirazione diede, si può dire, il tono a tutta la sua vita, dai cinque ai ventisei anni. Quando il pensiero di farsi prete si sia affacciato alla sua mente, è difficile determinarlo: sembra quasi nato con lui, e lo manifestò non appena le circostanze gli permisero di percepire chi fossero e che cosa facessero i preti. Da quel momento l'ideale del sacerdozio s'impadronì talmente di lui, che impresse alla sua condotta una sacerdotale direttiva.
Lasciamo stare il mimetismo delle cerimonie liturgiche, fenomeno non infrequente nei fanciulli di famiglie cristiane; parlo invece di quell'apostolato, che prese ad esercitare fin da piccino nelle forme proprie dello zelo sacerdotale. Son cose note. Allorché poi divenne chierico, mise ogni cura a spogliarsi di ogni abitudine che avesse pur solo qualche parvenza di mondanità, rinunciando a sonare il violino, suo strumento prediletto, ad andare a caccia e perfino a leggere i classici profani e dedicandosi tutto a studi sacri, a insegnare il catechismo, alle funzioni del culto, così che, accostandosi a ricevere il presbiterato, vi portava un'anima già da lunga data sacerdotale, che dopo l'imposizione delle mani e la grazia del sacramento vibrò ancor più di prima per quaecumque sunt vera, quaecumque pudica, quaecumque iusta, quaecumque sancta, quaecumque amabilia, è detto con parole dell'Apostolo nella Messa in suo onore. Don Bosco volle dunque essere e fu essenzialmente sacerdote nell'esempio e nella parola, nell'azione e nella preghiera.
L'esemplarità sacerdotale di Don Bosco non va ricercata qui nella pratica delle virtù: la canonizzazione ci assicura fuor d'ogni dubbio, che le esercitò egli in grado eroico. Ora ci contenteremo di mettere in rilievo quanto egli fosse esemplare nel concetto che aveva della dignità sacerdotale. Lo fece sentire in una forma, direi, unica nel 1866. Quando il Governo della nuova Italia stava ancora a Firenze, il Presidente del Consiglio lo pregò di accettare le parti d'intermediario officioso presso Pio IX per la soluzione di spinosi affari. Il Santo, nella speranza di render un gran servizio alla Chiesa, aderì all'invito; ma, nell'atto di presentarsi al Ministro, sapendo con chi aveva da trattare, prima di entrare in materia, non temette di fargli questa dichiarazione perentoria: - Eccellenza, sappia che Don Bosco è prete all'altare, prete in confessionale, prete in mezzo a' suoi giovani; e come è prete in Torino, così è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del Re e dei Ministri.
Par di vederlo e di sentirlo! Era suo costume parlare adagio, con dolce gravità, dando peso a ogni parola; così dovette aver parlato quella volta. Noi immaginiamo facilmente la sorpresa del Ministro, che tuttavia si affrettò a dargli le più ampie assicurazioni. Se invece avesse fatto lo scandalizzato, Don Bosco avrebbe con tutta semplicità e franchezza risposto a lui, come già ad altri: - Le par nuovo il mio linguaggio, perché Ella non ha mai avuto occasione di parlare con un prete cattolico.
Il prete, secondo un assioma ripetuto spesso da Don Bosco, è sempre prete, e tale deve manifestarsi in ogni istante. Sei anni dopo l'ordinazione sacerdotale, fra i ricordi degli esercizi spirituali, si era trascritto il detto di S. Giovanni Crisostomo: «Il sacerdote è soldato di Cristo». E per l'appunto, il soldato è sempre soldato, sempre cioè in attività di servizio.
L'alto concetto che Don Bosco aveva del sacerdozio, traluce pure da altre sue manifestazioni. Egli, sempre così umile, gradiva i segni d'onore, che riceveva da tante parti, anche da intere popolazioni durante i suoi viaggi. Perché? Lo diceva: perché tali dimostrazioni riteneva rivolte non alla sua persona, ma al carattere sacerdotale e quindi alla Chiesa e alla fede.
Un giorno, ospite di una nobile famiglia torinese, sentendosi fare grandi elogi, lasciò dire e poi rispose: - Sono ben contento che si abbia tanta stima del carattere sacerdotale; per quanto si dica bene del sacerdote, ossia della sua dignità e del corredo di virtù, delle quali deve essere fornito, non si dirà mai abbastanza. Un'altra volta diede libero sfogo al suo sentimento in una forma improvvisa e vivace. Entrando in un istituto femminile con un prete suo amico, dopo aver mormorato fra sé e sé la preghiera: Fac, Domine, ut servem cor et corpus meum immaculatum Ubi, ut non confundar, al compagno: - Vedi, mio caro, un sacerdote fedele alla sua vocazione è un angelo, e chi non è tale. 'che cosa è? Diventa un oggetto di compassione „e spregio per tutti. Per questo, è naturale che onorasse negli altri il carattere sacerdotale; infatti con i sacerdoti abbondava in segni di stima e di rispetto e, venendo a sapere di chi non rispettasse il suo carattere, se ne affliggeva fino alle lacrime e avrebbe voluto nascondere colui agli occhi di tutti. Con quanta carità si adoperava a riabilitare i disgraziati raccomandatigli dai Vescovi! Di questo riparleremo.
È a deplorare che non si abbiano intere le sue prediche a sacerdoti in esercizi spirituali. Argomentando dai magri riassunti rimastici, se ne indovina l'efficacia, perché doveva parlare ex abundantia cordis.Quanto sono contento di essere sacerdote! esclamò una volta, discorrendo con un prete. Lo disse, perché umilmente pensava che solo l'essere stato sacerdote l'avesse in tempi difficili preservato dalle vertigini di certe teste riscaldate; ma l'essere sacerdote formò in ogni tempo la sua più intima soddisfazione, com'era il suo maggior titolo d'onore, che non omise mai di premettere al proprio nome nei libri e nelle lettere, cosa allora affatto fuori d'uso.
Chi poi pi√π sacerdote di lui nel parlare? Possiamo ritenere con morale certezza, che Don Bosco non dovette render conto a Dio di alcuna parola oziosa. Di Don Bosco predicatore abbiamo detto abbastanza nel capo dodicesimo; di altre sue manifestazioni verbali si occupano specialmente i capi tredicesimo e sedicesimo. Ma l'amore sacerdotale delle anime, che animava la sua parola in pulpito o in camera o in cortile, non lo abbandonava neppure altrove.
In casa e fuori di casa, o trattasse di affari o partecipasse a liete conversazioni, gli astanti sentivano sempre la presenza del sacerdote, abituato al pensiero di Dio e dell'eternità, perché a tempo e luogo sapeva èssere sale e luce. comprese a meraviglia in Francia quel Marchese, che dinanzi a un eletto circolo di persone aristocratiche non potè trattenersi dall'esclamare: Don Bosco, prèche toujours. ben comprendevano il valore delle sue parole quei giovani chierici e preti dell'Oratorio che non solo ne facevano tesoro, ma le consegnavano fedelmente ai loro quaderni, alcuni dei quali sono giunti fino a noi.
Della sua azione sacerdotale ho pure già detto molto; tuttavia qualche altra osservazione non sarà di troppo. Ce ne porge il filo la dichiarazione riferita in principio. «Prete all'altare». L'abbiamo visto: celebrava come un Serafino. «Prete in confessionale». Sentiva di essere sacerdote soprattutto per rigenerare anime alla grazia; che cosa operasse in lui questo sentimento, lo dicono abbastanza le poche pagine del capo decimo. «Prete in mezzo a' suoi giovani». Amava tanto i suoi giovani! «Basta che siate giovani, perché io vi ami», confessa loro nella prefazione al Giovane Provveduto. amava da prete. «Difficilmente potreste trovare, soggiunge ivi stesso, chi più di me vi ami in Gesù Cristo». E lo dimostrava da prete, non perdonando a fatiche, pene e sacrifici d'ogni genere e d'ogni momento per il bene delle loro anime. Li trattava poi da prete.
Fu massima costantemente da lui predicata e praticata di far in modo che non mai un fanciullo parta malcontento da noi. Parlava loro da prete. La salvezza dell'anima: ecco la sostanza de' suoi discorsi ai giovani in pubblico e in privato. Questa la prima parola nel ricevere un alunno, questa l'ultima nel congedarlo, questa sempre incontrandolo uomo fatto.
«Prete a Firenze come a Torino». Ossia in ogni circostanza, dovunque. Durante i suoi viaggi in Italia, in Francia e nella Spagna l'ammirazione generale per il taumaturgo non sopprimeva la venerazione per il sacerdote santo, quale appariva agli occhi di tutti coloro che lo avvicinavano; onde un accorrere ad ascoltarne la Messa, a udirne la parola, ad aprirgli la coscienza. Di ritorno da Parigi nel 1883 disse d'avervi dovuto risolvere buon numero di casi, ognuno dei quali avrebbe meritato che facesse quel viaggio.
«Prete coi poveri». Al par di Gesù predilesse i poverelli e tra i figli dei popolo cercava, al par di Lui, i suoi discepoli. E poi chi non sa, che dire Don Bosco, è dire gioventù povera? Narrando come nessun bisognoso ricorresse a lui senz'averne qualche soccorso, il biografo conchiude con una luminosa espressione: «Così povero, Don Bosco era generoso come un re». Il Messia fra i caratteri distintivi della sua missione indicò il pauperes evangelizantur 'Isaia; il prete tanto più è prete, quanto più ritrae del divino modello nell'evangelizare pauperibus.
Prete con i grandi. Così riassumo la frase che viene dopo i poveri nella dichiarazione fiorentina per potervi includere, con quel ch'egli espresse, anche quello che certamente intese. Non tutto era là da specificare. Ma tra i poveri e i re, non ci stanno solo i ministri; c'è posto anche per altre categorie di persone, come di quelle facoltose e delle istruite. Don Bosco ebbe frequentissimi contatti con uomini ricchi di avere o di sapere. Alle porte dei doviziosi picchiò, picchiò senza tregua. Ricevette in copia. Profonda la sua gratitudine, ma da prete, ossia ignara di ciò che fosse servilismo. Egli infatti moveva da questo principio: - Noi facciamo pure ai ricchi una grande carità, aiutandoli a osservare il precetto divino del quod superest, date eleemosynam.
A ricchi schiavi delle ricchezze faceva egli stesso preziose limosine spirituali. Perfino un israelita danaroso, che aveva desiderio di conoscerlo e n'era stato appagato, uscì dall'Oratorio dicendo che, se in ogni città vi fosse un Don Bosco, tutto il mondo si sarebbe convertito. Un altro israelita dovizioso e per giunta rabbino diceva di essere stato due volte a trovare Don Bosco, ma che non vi sarebbe più tornato una terza, perché si sarebbe sentito costretto a stare con lui. Da simili espressioni è facile arguire che entrambi videro di Don Bosco non soltanto l'abito, ma anche l'animo sacerdotale.
Se con i ricchi non piaggiava, con i dotti non si metteva in soggezione. Possedeva anche lui la sua scienza, quella che la Scrittura dice dover essere deposito sacro dei ministri di Dio, e la dispensava volentibus et nolentibus. avvocato straniero di grande rinomanza, ricercato difensore dei diritti ecclesiastici, dopo aver ragionato col Salmo della propria attività in favore della Chiesa, si sentì rivolgere a bruciapelo questa domanda: - E lei, signore, questa religione che tanto onoratamente sostiene, la pratica anche? - L'altro, sconcertato, tentava di cambiar discorso; ma Don Bosco, tenendone la mano stretta fra le sue, a insistere: - Non si divincoli, risponda: questa religione che pubblicamente difende così bene, la pratica pure? - Fu il colpo di grazia per l'interlocutore, il quale era arrivato al punto da non credere più nemmeno alla confessione.
Accomiatandosi da una nobile famiglia dopo la mensa, Don Bosco aveva detta a ognuno la sua buona parola, salvo che a un generale, ospite al par di lui. Uomo istruito, ma indifferente nelle cose di fede, il vecchio soldato gli chiese anche per sé qualche parola da serbare come ricordo del felice incontro. Preghi per me, signor generale, fece il servo di Dio, preghi, perché il povero Don Bosco si salvi l'anima. Scosso, il generale replicò: - Io pregare per lei! Piuttosto suggerisca a me qualche buon consiglio. Don Bosco, fermatosi un istante come per raccogliere le idee, rispose con serena fermezza: - Signor generale, pensi che ha ancora una gran battaglia da combattere; se vince, sarà ben fortunato. Quella per la salvezza dell'anima. I presenti si guardarono stupefatti; ma il generale esclamò che solo Don Bosco gli poteva parlare così franco.
Ci commuove un suo colloquio con il settantenne conte Cibrario, storico liberale di certa fama e ministro di Stato. Il dialogo si chiuse intorno a queste parole altamente sacerdotali: - Signor Conte, Ella sa che io le voglio molto bene e nutro per lei grande stima. Se, come dice, la sua vita non può più essere lunga, si ricordi che prima di morire ha qualche partita da aggiustare con la santa Chiesa.
A Parigi, visitato da Paolo Bert, già ministro della pubblica istruzione, portò il discorso sulla vita eterna e adagio adagio lo indusse alla revisione immediata d'un suo libro di morale per le scuole, sul quale si erano versati poc'anzi fiumi d'inchiostro. A Parigi pure, come fu drammatica la conversazione con Victor Hugo! Ne possediamo il testo, redatto secondo il ragguaglio datone da Don Bosco e ritoccato di suo pugno. Il celeberrimo romanziere, entrato con tutt'altre idee, uscì pensieroso sul mistero dell'oltretomba.
Moltissimo Don Bosco ebbe da fare con persone autorevoli. Rispettava la loro autorità, ma trattando con esse non lasciava alla porta la sua sacerdotale autorità. Lo sperimentò il ministro Urbano Rattazzi una volta che, interrogatolo se fosse incorso nella scomunica con i suoi atti di governo, ne ricevette dopo tre giorni la seguente risposta: - Ho esaminato la questione, ho cercato, ho studiato per poterle dire che no; ma non ci sono riuscito. Della risposta il fiero liberale gli si professò riconoscente, dichiarandogli di essersi rivolto a lui, perché ne conosceva la schiettezza.
Nel 1874 a Roma, uscendo dal gabinetto del ministro degli interni, confidò a persona intima d'averne dette di secche a sua eccellenza, e non senza frutto. A Lanzo Torinese due anni dopo, inaugurandosi la ferrovia, fu scelto quel collegio salesiano per il ricevimento delle autorità. Vi erano tre ministri famosi con un seguito di senatori e deputati, tutti liberaloni di sei cotte. Don Bosco vi si recò. Durante il sollazzevole e non breve trattenimento, divenne a poco a poco il re della conversazione; del che si valse per piegare con urbana piacevolezza le chiacchiere di quei signori a riflessioni utili, su cose di religione, che essi non udivano più da chi sa quanto tempo.
Ma anche a teste coronate e scoronate Don Bosco non aveva, anni addietro, risparmiate verità salutari. Agli ex-reali di Napoli, esuli in Roma, ricordati i torti fatti dai loro maggiori alla Chiesa, consigliò la rassegnazione, perché i disegni della Provvidenza non erano quelli da essi vagheggiati.
Prima ancora, la devozione e l'affetto a' suoi Re Sabaudi non l'avevano trattenuto dal levar la voce per ritrarre il Sovrano da mali passi. Effetto non vi fu purtroppo; ma più tardi Vittorio Emanuele II mostrò di aver apprezzato la sua franchezza sacerdotale, dicendo all'Arcivescovo di Genova, già suo precettore a corte, che Don Bosco era veramente un santo prete. Così Don Bosco obbediva, sì, all'ingiunzione dell'Apostolo: Reddite omnibus debita... cui honorem, honorem, quindi non mai una parola irriverente, e voleva ne' suoi il rispetto alle autorità costituite; ma per quanto corressero critici i tempi, tenne sempre alto il suo decoro di sacerdote.
Don Bosco, se fu prete con tutti, lo fu anche con superiori e confratelli nell'ordine sacerdotale. Fu prete col Papa. La sua condotta verso il Vicario di Gesù Cristo non poteva essere più rettilinea. Se n'era tracciato il programma così: - Tutto col Papa, per il Papa, amando il Papa. Da questa premessa i corollari venivano senza sforzo. Eccone uno per i giovani: - Quando vedete che un autore scrive poco bene del Papa, sappiate che il suo non è un libro da leggere. Eccone un altro per certuni che lo interrogavano sulle violente annessioni di province romane: - Come cittadino, sono pronto a difendere la patria anche con la mia vita; ma, come cristiano e come sacerdote, non potrò mai approvare queste cose.
Un suo perfetto conoscitore, il Vescovo Manacorda di Fossano, attesta nell'elogio funebre: «Nessuno, fra quanti l'avvicinavano, udì parola da lui che non fosse improntata alla docilità d'innocente fanciullo» verso il Papa. Abbiamo udito le sue dichiarazioni sul letto di morte.
Prete con i Vescovi. Venerava in essi e faceva venerare la pienezza del sacerdozio. Prove sublimi della sua coraggiosa devozione ai Pastori della Chiesa si ebbero i gloriosi perseguitati politici: l'Arcivescovo Fransoni di Torino durante la prigionia e l'esilio; il Vescovo di Fermo Card. De Angelis e il Vescovo Rota di Guastalla, condannati a domicilio coatto in Torino. Ospitare un Vescovo nell’Oratorio stimava Don Bosco gran fortuna. Né annunciava la venuta, Io attendeva alla porta, lo presentava ai giovani, lo circondava di mille attenzioni. Nel decreto sull'eroicità delle virtù fa capolino un'allusione alle difficoltà corse fra Don Bosco e l'Arcivescovo Gastaldi: la storia dice fino a qual segno in circostanze inverosimili Don Bosco siasi mostrato prete con il suo Vescovo.
Prete con i preti. Il carattere sacerdotale, rispettato nella propria persona, gli era oggetto di riverenza negli altri. Quanta cordialità trovavano sempre nell'Oratorio i sacerdoti! Ma intanto Don Bosco non si scordava mai di essere prete anche con loro, non perdendone di vista le anime. Gli fiorivano sulle labbra secondo i casi ora l'una ora l'altra di alcune sue massime: - Il prete deve attendere alla salvezza delle anime, ma prima d'ogni altra deve pensare a salvar la propria. Un prete non va mai solo né ih paradiso né all'inferno. Salve; salvando salvati.
Che deferenza nelle sue relazioni con parroci! Ma che schianto all'udire di preti, che disonoravano il loro carattere! Non si perdeva per altro in sterili deplorazioni. Con rispettosa carità, ora di propria iniziativa ora per raccomandazioni di Vescovi, s'industriava a riabilitarli, esortandoli, tenendo con èssi lunghe conferenze, porgendo soccorsi pecuniari, accogliendoli presso di sé per un dato tempo. Dava poi santamente la caccia a preti e a ex-preti politicanti e antipapali nell'unico intento di trarli a ravvedersi. Il celebre ex-gesuita e gran teologo Passaglia, il quale pur laicizzato, disse che Don Bosco possedeva tutti i carismi dello Spirito Santo, evitava d'incontrarlo per timore di essere da lui vinto. Sperò anche di guadagnare il famoso ex-canonico Gioberti. Gli fece visita col teologo Borel, ne scandagliò l'anima, entrò nell'argomento scottante; ma il caritatevole e sacerdotale tentativo naufragò contro l'orgoglio dell'uomo. Ma ricondusse un bel numero di preti traviati all'onore sacerdotale. Del suo zelo per fare dei preti abbiamo già parlato.
Appartiene all'azione sacerdotale anche la sua feconda attività di scrittore: è l'argomento del capo dodicesimo. Pongo ancora qui un suo canone letterario, che ci fa toccar con mano, quanto delicata fosse la coscienza sacerdotale di lui come scrittore. Ragionando con Salesiani della sua Storia ecclesiastica, : - Io non scrivo per i dotti, ma per il popolo e per f giovanetti. Se, narrando un fatto poco 'onorevole e controverso, turbassi la fede di un'anima semplice, non sarebbe un indurla nell'errore? Se espongo a una mente rozza il difetto di un membro d'una Congregazione, non le ingenero dubbi verso l'intera comunità? E questo non è errore? Solo chi consideri tutta la storia di duemila anni, può vedere che le colpe anche di uomini eminentissimi non offuscano affatto la santità della Chiesa, ma sono una prova della sua divinità. Le sinistre impressioni ricevute in tenera età da parole imprudenti portano sovente lacrimevoli conseguenze per la fede e per il buon costume.
Fra' Angelico diceva che chi fa le cose di Cristo, deve stare sempre con Cristo. Ottimo canone di arte religiosa senza dubbio; ma sarà tanto più legge fondamentale di sacerdotale ministero questa, che, chi intende a formare Cristo stesso nelle anime, viva abitualmente di Cristo. Don Bosco sarebbe davvero un forte enigma, se noi potessimo anche solo dubitare che la sua portentosa efficacia nel ministero sacerdotale egli la derivasse da altra fonte che non sia la intensa vita di unione con Gesù Cristo, del quale volle essere e fu in ogni tempo solo fedele ministro.
Vi fu bene chi, impressionato dal gran lavoro che Don Bosco andava continuamente facendo, si domandò dinanzi a Pio XI quando egli potesse trovare il modo di raccogliersi con Dio in preghiera; ma il Papa, che conosceva bene Don Bosco, argutamente rispose che bisognava piuttosto cercare non quando pregasse, bensì quando non pregasse. Se si volle dire che egli non dedicava lungo tempo, come fecero altri Santi, alla meditazione, questo è vero; ma è anche vero che santa Teresa ammonisce: «Credete a me, non il lungo tempo dato alla preghiera fa progredire l'anima; se anche impiega parecchie ore in opere buone per carità o per obbedienza, il suo amore s'infiamma più rapidamente in pochi minuti, che non dopo lunghe ore di meditazione. Tutto deve venire dalla mano di Dio».
Qui dunque verrebbe la quarta cosa da trattare, la preghiera; ma se n'è già detto tanto in questo volume! Tuttavia desidero insistere sulla singolarità più volte ricordata del suo pregare. Questa però non era così sua, che non entrasse già nella dottrina e nella pratica antica. È, per esempio, pensiero di S. Gregorio Magno, che la contemplazione debba andare strettamente unita all'amore attivo; su di che ha alcune pagine assai profonde. Un periodo solo fa proprio per noi, là dove dice: «La nostra carità dev'essere infiammata dall'amor' di Dio e del prossimo, in modo che per la quiete della contemplazione e dell'amor di Dio la nostra mente non lasci la carità del prossimo, e in seguito non voglia tanto occuparsi nei servizi del prossimo da lasciar spègnere in sé la fiamma di quell'eterno amore». Così appunto visse Don Bosco: fu in lui fervida azione non disgiunta da intensa contemplazione.
Perciò attuava ottimamente in sé lo stato descritto da san Bernardo, quando inculca che la contemplazione formi quella raccolta di idee, di amore e di energia, che per sovrabbondanza si riversi nell'azione. Tutto ciò concorda con il giudizio di un vivente scrittore d'ascetica, il quale scorge in Don Bosco «una perfetta unificazione dell'orazione e della contemplazione», tanto che egli può dirsi «un contemplativo operante».
Il pensiero della santità sacerdotale di Don Bosco dominava la mente di Pio XI, allorché, parlando a un numeroso stuolo di seminaristi, cominciò dicendo: «Si è chiuso l'Anno Santo con la figura di un grande sacerdote, che ebbe la vera e fattiva coscienza di essere lo strumento della Redenzione, specialmente nei riguardi della gioventù così insidiata, così pericolante, così bisognosa». Svolgeva quindi il suo concetto spiegando come il nuovo Santo dovesse venir proposto a modello di futuri sacerdoti, quali erano coloro che lo ascoltavano. Pertanto Don Bosco resta e resterà il modello dei sacerdoti, che consumano quotidianamente le loro forze in promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime; poiché egli è veramente gemma sacerdotum, la Chiesa chiama nel divino Ufficio san Martino di Tours.
Se Don Bosco fu la perla dei sacerdoti, questo non vuol dire che soltanto ai sacerdoti sia da proporre a modello. Il 'Papa di Don Bosco' in numerose udienze pubbliche dopo la beatificazione e dopo la canonizzazione, rivolgendo la parola e distribuendo la medaglia del nuovo Beato o del nuovo Santo alle più disparate qualità di persone, trovava sempre in lui qualche opportuno lato speciale da presentare alla loro imitazione. E ciò faceva senza sforzi dialettici, ma con osservazioni evidenti e naturali e, soprattutto, fondate nella realtà.
Dopo aver lette le relazioni di quelle udienze, vien quasi da pensare che la santità di Don Bosco sia stata, per dir così, una santità enciclopedica, cioè di carattere universale. Lo dimostrò infatti il mondiale entusiasmo, che salutò la sua elevazione agli onori dell'altare e lo dimostrano tuttora sia il suo culto diffuso fra tutte le genti sia la sua divozione praticata presso ogni ceto di persone.
Egli appare veramente il Santo di tutti.
 
Fine libro.
 
 
Eugenio Ceria
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