Don Bosco a Bricherasio - Lettera da Firenze che gli dà notizia delle pratiche per la Chiesa del SS. Sudario - Le feste negli Oratori di S. Luigi e S. Giovanni Battista - Lettera di Pio IX a Don Bosco per gli atti di ossequio dell'11 aprile - Fastidi che danno a Don Bosco le eredità - Pretese di certi parenti sull'eredità Bertinetti: Lettera del Prefetto di Torino a Don Bosco; e risposta - Don Bosco scrive ad una signora genovese per aver aiuto nella compra del terreno presso l'Oratorio di S. Luigi - Accettazione del Collegio di Cherasco - Delicatezza di Don Bosco nel proporre a due Salesiani un mutamento di casa - Due lettere di Don Bosco riguardo al nuovo Collegio - Don Bosco va a S. Ignazio: il solito ammonimento a certi giovani dell'Oratorio che vanno alla Dora - Ultimo memorabile colloquio di Don Bosco col Conte Cibrario.
del 05 dicembre 2006
Mentre succedevansi le incresciose vertenze per l'Exequatur, le lettere scritte o ricevute da Don Bosco dovevano indicarci alcuni altri affari nei quali egli si occupava.
Il 14 giugno lo troviamo a Bricherasio nella villeggiatura del conte di Viancino. Aveva scritto alla Signora Contessa.
 
Oratorio di S. Francesco di Sales.
 
Torino - Valdocco, 14 giugno 1869.
 
Chiarissima signora Contessa,
 
Per non affidare gli affari importanti alla carta, ho pensato d'inviare un plenipotenziario nella persona di Don Bosco, affinchè tratti le cose di presenza
Pertanto pel convoglio che giunge a Pinerolo alle 6, mercoledì a sera, l'incaricato si recherà al suo posto. Si raccomanda soltanto alla signora madre che faccia un po' più economia, dando al balordo figlio le porzioni un po' più piccole.
Porterò meco i libri che accenna il sig. Conte; chi sa che non sia anche meco il sig. Cav. Villanova.
Ogni celeste benedizione scenda copiosa sopra di Lei, sopra l'amato di Lei marito, e ad ambedue porti ogni bene spirituale e temporale.
Preghi per la povera anima mia e mi creda con gratitudine
Di V. S. chiarissima,
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
A Torino lo aspettavano lettere venute dal Ministero degli Affari Esteri, dove, oltre l'avv. Carlo Canton, egli contava due altri amici: Gal cav. avv. Giovanni Battista, capo Sezione di prima classe, e D'Ondes Reggio Barone Vito, uffiziale dell'Ordine Mauriziano, professore, deputato membro del Consiglio del Contenzioso Diplomatico.
 
Firenze, 16 giugno 1869.
 
Rev.mo Signore,
 
Era sul punto di scriverle, quando ho ricevuto la sua veneratissima lettera riguardante il Franceschini e che comunicherò al medesimo.
La ragione per cui le scriveva è questa. Il Conte Gal mio collega ed amico carissimo, assentandosi da questa città per suoi gravi interessi, mi lasciò l'incarico, che io ben volentieri ho accettato, di leggere le lettere a lui inviate, concernenti cose di nostra Santa Chiesa e darvi opera come meglio potrei. Laonde ho in mia mano la  lettera che V. Reverenza scrisse al medesimo per ottenerle dal Governo la cessione della Chiesa in Roma, ed io ne ho già parlato efficacemente al Segretario Generale del Ministero degli affari esteri Comm. Blanc. Speriamo avere favorevole risoluzione.
La ringrazio di tutto cuore degli auguri che mi fa per ogni mio bene; io non merito nulla per quel poco che faccio nel difendere la nostra Santa Madre Chiesa. È un dovere rigoroso che adempio come cristiano Cattolico.
Mi comandi in ciò che posso servirla,
Dev.mo
D'ONDES REGGIO.
 
Neppure le imminenti solennità interruppero il continuo lavorio della mente di Don Bosco, sebbene vi prendesse viva parte. Le amava per la gloria che arrecavano a Dio e per il gran bene che producevano ai giovani, specialmente coi Sacramenti. In quei giorni il suo cuore di padre riposava partecipando alla gioia di tutti. Era in lui naturale il gaudere cum gaudentibus. Il suo volto tranquillo e raggiante e il suo amabilissimo sorriso raddoppiavano la contentezza, l'entusiasmo e la riconoscenza di quelli che sentivano di essere suoi figli. Così accadde anche in quell'anno alla festa di S. Giovanni Battista, celebrata colla solita pompa, e a quella di San Luigi Gonzaga.
Di quei giorni una lettera di un suo antico collaboratore, ricordandogli i tempi antichi e dedicandogli la traduzione del Betlemme del celebre oratoriano di Londra, il P. Guglielmo Faber, gli doveva tornare di conforto
 
 
Caro Don Bosco,
 
Scorsero ormai più di vent'anni dacchè io veniva alla domenica a fare il catechismo ai suoi monelli nel suo germe di futuro Oratorio. Una cameruccia al pian terreno con soffitto e solaio sorretto da un trave ritto in mezzo a fare l'uffizio di colonna, la cui rozza forma era velata da qualche brano di tappezzeria di carta, in un luogo appartato, disabitato, eccettuata la sua casuccia, e quasi fuori di città, era quel germe gettato in terra buona, e che ebbe a sorgere poi in albero, tra i cui rami migliaia di uccelli dovevano venire a rifugiarsi.
Quante cose passarono da quel tempo! Una di esse, che io non posso mai dimenticare, è la perdita di quella bell'anima di D. Cafasso. Un'altra che pur mi commove vivamente, è il veder ancora sul suo Trono, prospero come allora, e sopra il Trono divenuto anche più glorioso benchè smembrato, lo stesso Regnante Pontefice, che allora, come adesso, era portato a cieli dai buoni, mentre i tristi macchinavano contro a Lui nell'ombra; ed il vedervelo mentre tanti, che gli cantarono sì spesso le esequie, sono già col corpo nella fossa, e coll'anima, dove il Giudice Supremo l'avrà posta.
Un'altra ancora è il veder imminente un Concilio Ecumenico convocato dal Papa, mentre eravamo avvezzati a considerare la convocazione di un tale Concilio, come cosa d'impossibile effettuazione in avvenire, dopo il Concilio di Trento. Quanto dovranno essere grandi gli effetti del nuovo Concilio'
Quella cameruccia faciente uffizio di cappella, dove i bimbi di Dio accorrevano a udire l'insegnamento della Chiesa, per mezzo della quale parla Cristo stesso, mi rappresentava Betlemme e Nazaret, dove la Santa Infanzia di Gesù aveva per tempio una squallida spelonca ed una povera casa. E poichè piacque al nostro caro Gesù di considerare come fatto a Lui stesso ciò che facciamo ai suoi poverelli, parevami di fare, come i pastori a Betlemme, qualche cosa per Lui, parlando di Dio a quei fanciulli attirativi al Suo Santo Nome. Nè a ciò arrestasi l'analogia che mi passa per la niente. Io cerco oggi invano quella povera cameruccia faciente uffizio di cappella; vi trovo invece un tempio magnifico, uno dei più belli di Torino, come il povero Betlemme di Gesù si trasformò nello stupendo e divino edifizio della Chiesa Universale.
Mettendo in veste italiana questo libro su Betlemme, del rinomato Padre Faber, non potei evitare di sentirmi più vivamente presenti alla mente quelle dolci rimembranze; ed offrendolo al pubblico mi pare naturale di porlo sotto gli auspicii d'un corrispondente nome a me caro, quale è quello di Vostra Reverenza. Con ciò non miro a dare rinomanza nè alla materia del libro, nè a V. R., chè tanto l'uno che l'altra ne hanno più che non possa procurargli ogni mio sforzo; ma bensì a rinfrescare quei teneri ed affettuosi sentimenti che mai cessarono tra noi, ed affinchè V. R. non dimentichi, specialmente quando prega, la povera anima del suo affezionatissimo
 
Mondonio, festa di S. Litigi, 1869,
LUIGI MUSSA.
 
Se fu gradita al Venerabile questa lettera, un conforto ed un'allegrezza mille volte maggiore gli doveva arrecare un foglio del Romano Pontefice, con firma autografa, che portava la data della vigilia della natività di San Giovanni Battista.
 
 
PIO PAPA IX.
Diletto Figlio, Salute ed Apostolica Benedizione.
 
I molti segni di fede e di devozione che tu Ci hai dati, tendevano senza alcun dubbio a farci conoscere il tuo grande attaccamento all'Apostolica Sede e a Noi stessi. Anzi essi Ci facevano Palese come tu diligentemente li adoperi a infondere anche in altri l'amore che nutri per questa Cattedra Suprema, e che hai molti seguaci nel tuo amore. E di ciò un altro splendido pegno Noi l'avemmo nell'affettuosissima lettera che Ci hai inviata in tuo nome e in nome degli Oratori e degli Istituti al quali presiedi, quando commemorammo, dopo cinquant'anni, la Nostra Prima Messa. È quasi inutile che Noi li diciamo come Ci sieno tornati carissimi tali pegni di devota congratulazione, e perciò Ci farai cosa carissima, se ciò vorrai comunicare al sacerdoti, agli alunni, e agli altri giovanetti di cui hai cura. Che anzi tu potrai aggiungere, che Noi nel celebrare la S. Messa, com'essi avevano desiderato, li abbiamo ricordati al Signore nelle nostre preghiere, avendo particolarmente raccomandati al Signore tutti quelli, che a lor volta avrebbero pregato per Noi. Del resto essi avranno tutta la Nostra riconoscenza, se continueranno a pregare, come faranno, per la conversione di coloro che deviarono dal retto sentiero, affinchè tutti conoscano ed amino il Padre Celeste e il suo Inviato, Gesù Cristo, del quale, benchè immeritevoli, in terra facciamo le veci. Intanto, in pegno della nostra particolare benevolenza ed auspice della grazia divina, impartiamo con sommo affetto a te e ai suddetti amati figli, affidati alle tue cure, l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, Presso S. Pietro, il 23 giugno 1869, l'anno 24° del Nostro Pontificato.
 
PIO PP. IX..
 
Il Diletto Figlio Don Giovanni Bosco, Torino.
 
Questa lettera, che si conserva religiosamente insieme, con la busta nei nostri archivi, recava esternamente l'indirizzo: All'Ill.mo Signore, il sig. Don Giovanni Bosco, Torino.
Ma le gioie e, se non sempre i dolori, almeno i fastidi, si alternano incessantemente in questo povero mondo, e i più noiosi a Don Bosco provenivano da certe eredità colle quali alcuni dei suoi ammiratori ed amici, non avendo credi necessarii, gli lasciavano parte delle loro ricchezze, perchè le impiegasse nelle sue opere di beneficenza. Quasi ognuna di esse portava con sè una sequela di disturbi gravissimi, di ostilità e liti, spesso senza fine, per causa di coloro che si trovavano esclusi dal testatore e contestavano le sue ultime volontà. Per questo Don Bosco, insisteva sempre: - Chi vuol fare carità, la faccia mentre è sano, e non aspetti in punto di morte.
L'ultima eredità (altri lasciti erano stati di poca importanza fu quella del sig. Bertinetti di Chieri, che D Bosco, morta l'usufruttuaria, avrebbe destinata per qualche opera a benefizio di quella città. Ed ecco giungergli il foglio seguente:
 
 
PREFETTURA
DELLA PROVINCIA DI TORINO
Div. 2° Sez. 2a
N. 12916.
Torino, giugno 1869.
Oggetto :
Eredità di Bertinetti Carlo.
 
D'incarico del Ministero Interni, mi pregio trasmettere alla S. V. Rev.ma l'unito ricorso col quale alcuni parenti del fu Carlo Bertinetti fanno istanza, acciò nell'autorizzazione sovrana del promuoversi a favore della Pia Opera di S. Francesco di Sales per poter accettare l'eredità lasciatale dallo stesso Bertinetti con testamento segreto delli 15 ottobre 1868, venga imposto l'obbligo all'Opera Pia erede di corrispondere un annuale sussidio ad essi ricorrenti.
Attendo dalla compiacenza di Lei, colla restituzione del memoriale, ecc. ecc.
Il Prefetto
RADICATI.
 
Don Bosco rispose:
 
 
III.mo signor Prefetto,
 
In riscontro alla lettera 28 corrente, relativa alla eredità Bertinetti, lo scrivente si fa premura di dare i seguenti schiarimenti:
1° L'istituzione che in Torino è nota sotto al titolo di Pia Opera di S. Francesco di Sales non ha alcuna relazione con quella di cui il Sac. Bosco è direttore, sotto al nome di Oratorio di S. Francesco di Sales.
2° Dal momento che il Testatore non ha in alcun modo nominato i pretendenti alla sua eredità, è chiaro segno che egli intendeva disporre altrimenti delle sue sostanze.
3° Questa eredità è per intiero in mano della sorella sig. Giaciuta Bertinetti, che ne gode l'intiero usufrutto, sua vita naturale durante.
4° Il testatore non ha costituito erede alcun corpo morale che abbisogni di essere autorizzato a ricevere l'eredità; ma ha testato a favore e in capo allo esponente con quelle disposizioni e clausole che sono espresse nel testamento. Pronto a dar volentieri qualunque altro schiarimento possa occorrere al riguardo ho l'onore di professarmi
Umil.mo esponente
Sac. Gio. Bosco.
 
Mentre cercava di liberarsi da queste insistenze, non perdeva di vista la compera del terreno necessario per dar sviluppo all'opera sua presso l'Oratorio di S. Luigi, sul corso del Re in Torino. Abbiamo altre copie della riferita Circolare, rimesse dì quei giorni al Conte De Maistre e ad una signora Genovese, alla quale scriveva questa lettera.
 
Torino, 30 giugno 1869.
Torino, 3 - 7 - 69.
 
Pregiatissima Signorina,
 
Ben di buon grado m'associo alle preghiere della signora di Lei genitrice per implorare quella grazia speciale che le sta tanto a cuore.
Facciamo adunque così: Dal giorno 4 del corrente (domenica) si dicano per nove giorni tre Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con tre Salve Regina alla B. V. A. Noi qui daremo ogni sera la benedizione col venerabile Sacramento con particolari preghiere all'altare della Santa V. con tutti i nostri giovanetti radunati. Io poi nella mia pochezza farò ogni giorno un memento speciale nella Santa Messa. Speriamo.
La ringrazio poi della carità che promette per la Chiesa di M. A. che veramente è tuttora priva di mobiglio interno; e pei nostri poveri giovani che certamente non mancheranno d'invocare le benedizioni del cielo sopra di Lei e sopra tutti quei benefattori che loro somministrano il pane della vita.
Ho un'impresa molto urgente, come vedrà dal foglietto che le unisco. Chi sa che Ella non possa raccomandarla a qualche pia persona e così cooperare a togliere le anime dei poveri fanciulli dalle fauci dell'eresia. In ogni modo mi compatisca la libertà. Dio benedica Lei, la sig. sua genitrice e fratello, con tutta la famiglia Cataldi. La Santa Vergine ottenga dal suo divin Figlio che tutti abbiano lunghi anni di vita felice e il dono prezioso della perseveranza nel bene. Amen.
Mi raccomando alle sue preghiere e mi professo con gratitudine,  Di V. S. pregiatissima,
 
Obbl.mo Servitore
Sac. Bosco Gio.
 
In calce alla circolare inclusa in questa lettera si legge la postilla: “Raccomando rispettosamente alla signora Cataldi Carolina l'oggetto sovra indicato, con preghiera di voler eziandio intercedere presso a quelle caritatevoli persone nel modo che nella sua prudenza giudicasse opportuno. - Torino, 3 luglio 1869 - Sac. Gio. Bosco ”.
Un altro pensiero occupava Don Bosco in questi mesi. Il Municipio di Cherasco s'era rivolto a lui per aprire un Collegio Convitto in quella città e le trattative erano ormai a buon punto.
Le condizioni del Contratto furono, nella sostanza, quelle proposte al Municipio di Cavour; e vennero accettate. Il locale destinato pel collegio fu il magnifico convento della Madonna del Popolo, appartenente, prima della soppressione degli Ordini Religiosi, ai Somaschi, i quali avevano pur l'incarico dell'annessa parrocchia, la direzione delle pubbliche scuole e l'insegnamento nelle medesime. Mons. Galletti, Vescovo d'Alba, approvava quella convenzione e, morto il religioso amministratore, stabiliva che parroco della chiesa sarebbe stato il Direttore scelto da Don Bosco.
La Chiesa della Madonna del popolo, per la magnifica facciata, per l'interna forma quasi ottangolare, per la vasta ed elevata cupola e pei molti pregevoli ornati in stucco, è riguardata come uno dei tempii più maestosi del Piemonte.
Sarebbe stata la quarta casa salesiana, non contando Trofarello; e Don Bosco bisognava che pensasse al personale dirigente e insegnante. Era necessario fare qualche mutamento e così scriveva ad alcuni di quelli che aveva messi in lista. Chiunque legga, non può non ammirare l'amabile delicatezza delle sue frasi.
Scriveva a Don Antonio Sala, Prefetto nel Collegio di Lanzo.
 
 
Torino, 3 - 7 - 69.
 
Carissimo D. Sala,
 
Ci troviamo in assoluto bisogno di un economo, giacchè D. Savio non può più occuparsi della casa di Torino. Ora dimmi se tu potresti anticipare la tua venuta senza sconcerti nel tuo ufficio. Bodratto, aiutato da D. Costamagna, potrebbe bastare. Tu potresti venire non come cosa definitiva ma per aiutarmi, e all'epoca degli esami potresti ritornare in Lanzo per giorni ed anche settimane. Per tua norma ti dico che niuno sa che ti scrivo questa lettera, perciò dimmi liberamente il tuo parere.
Dio benedica te e le tue fatiche; prega per me che ti sono con vero affetto
Aff.mo in G. C.
Sac. Gio. Bosco.
 
Pi√π tardi un altro foglio era da lui spedito a D. Francesco Provera, prefetto nel Collegio di Mirabello.
 
 
Carissimo Don Provera,
 
La mia testa corre sempre di progetto in progetto; e fra gli altri è questo.
Se si mandasse Bodratto a Cherasco e tu andassi a Lanzo, che ne diresti nel tuo cuore? Io voglio fare ciò, ma se 1° è di tutto tuo gradimento; 2°se non hai, anche in modo il più confidenziale, da fare alcuna osservazione in contrario. Farei questa mutazione, perchè Bodratto è pratico di coltivazione di terra e delle scuole elementari; a Cherasco le elementari, almeno per quest'anno sono affidate a maestri esterni, e noi non abbiamo alcuno che possa controllare.
Intendo che ciò sia noto solo a noi due per ora; scrivimi a Trofarello a volta di corriere. Dio ci benedica. Amen.
Aff.mo in G. G.
Sac. Gio. Bosco.
 
A proposito delle trattative col Municipio di Cherasco abbiamo due lettere a personaggi che avevano molto contribuito all'apertura di quella Casa. La prima è diretta ad un Teologo, del quale non abbiamo l'indirizzo, dove si fa menzione del Cav. Lissone, e dei fratello parroco della Chiesa Primaziale.
 
 
Torino - Valdocco, 26 - 7 - 69.
 
Carissimo Sig. Teologo,
 
La sua lettera mi giunse tardi e non potei più risponderle a tempo; ma le cose di cui si trattò vi fu pieno accordo nel senso del Municipio. Ora le mando il programma del Collegio: io avrei bisogno che fosse attentamente letto dal Cav. Lissone e da chi si giudica opportuno; che mi fossero fatti i più piccoli riflessi, e quindi inviarmelo per prepararne la stampa. Il medesimo cavaliere saprà anche dire se per la parte del convitto, essendo una specie di continuazione del già preesistente, bisogna dimandare facoltà al Provveditore, e se egli si assumerebbe questa trattativa; o se giudica che io mi metta all'opera. Meglio però se io sto indietro.
La prego di riverire il prelodato signore con suo fratello Abate e nel raccomandarmi alle sue preghiere mi professo con affetto
Di V. S. Rev.ma
Aff.mo Amico
Sac. Gio. Bosco.
 
La seconda lettera, senza data, è diretta al Cav. Lissone.
 
 
Chiarissimo Sig. Dottore,
 
Credo bene di scrivere a V. S. alcune linee per vedere se si possa dare principio alla pratica del pareggiamento al più presto possibile. Credo che il provveditore non esigerà copia del capitolato col Municipio, perchè le convenzioni finanziane sono affatto estranee all'insegnamento.
Per Lanzo non si è presentato; ad ogni modo si può cominciare a presentare la memoria col programma, disegno topografico e dichiarazione igienica, e, se occorre poi altro, sarà dimandato.
Credo meglio che sia fatta la dimanda dal Municipio come proprietario, giacchè io non ne sono che amministratore e direttore dipendente dal municipio. Si potrebbe, p. e., dire che il Municipio aveva l'insegnamento pareggiato ab antico; e che quasi ad esperimento chiese che tale pareggiamento fosse trasferito al corso tecnico; ma che il troppo piccolo numero degli allievi persuase di ritornare al corso ginnasiale, per cui si chiede la conferma del pareggiamento, nella persona dei professori titolari ecc. Forse do lezioni a Minerva, ma se non altro ha il mio pensiero. Del resto abbia soltanto la bontà di scrivere due linee, ed io farò anticipatamente una gita a Cherasco quando che sia.
Il Collegio essendo già stato pareggiato, forse potrebbe farsi a meno del disegno e della dichiarazione igienica; ma in ciò è bene abbondare. Dio le dia ogni bene e mi creda colla più sentita gratitudine,
Di V. S. Chiarissima,
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
Intanto, prima della fine di luglio, Don Bosco andava a S. Ignazio per gli esercizi spirituali. In que' giorni tre giovani uscirono nascostamente dall'Oratorio per recarsi a prendere un bagno nella Dora, ed ecco una mano misteriosa a percuoterli replicatamente e con violenza sulle spalle, sicchè spaventati uscirono dalle acque, tornarono nell'Oratorio, e narrarono ai compagni il fatto, confermando così un annunzio che Don Bosco aveva mandato. Don Luigi Rocca, Economo generale della Pia Società, che in quell'anno faceva il quinto corso ginnasiale, ci asseriva più volte che tutti gli alunni erano informatissimi di quel fatto, e che conosceva quelli che erano stati colpiti.
Scendendo da S. Ignazio, il Venerabile si recò al Collegio di S. Filippo a Lanzo, ove apprese che il Conte Cibrario era giunto colà per recarsi ad Usseglio sulle Alpi, a passare qualche giorno di campagna. Era alloggiato al Cappel Verde. Don Bosco andò a visitarlo, accompagnato dal Direttore del Collegio. Il nobil uomo era in quei giorni un po' disgustato
per avere uno dei nostri Direttori scacciato un giovane da lui raccomandato. Don Bosco, prevedendo una discussione animata, volle affrontarla per togliere ogni malinteso. Ammesso all'udienza, entrò nella sala, lasciando il suo compagno nell'anticamera, e il colloquio durò più di un'ora. Il Venerabile narrò che il Conte gli fece un'accoglienza tutt'altro che pacifica. Dopo qualche tempo però, essendosi calmato, uscì fuori egli stesso, e invitò chi stava nell'anticamera a entrare. Don Bosco era seduto a destra. Il ministro prese a parlare dell'avidità che avevano gli Americani per i titoli onorifici, non ostante che per legge non possano farne pompa in pubblico, e come fossero pronti a pagare anche 30.000 lire per opere pie, per una semplice croce da porre nel loro salotto.
Il Servo di Dio ricordò, con riconoscenza, il gran bene che il signor Conte aveva fatto così, specialmente in favore dell'Oratorio.
Questi ringraziò, affermando che avrebbe sempre aiutato Don Bosco con tutto il suo potere.
Il Venerabile, allora, aggiunse come anche in altre guise egli fosse stato aiutato dal signor Conte.
 - Io non so d'averla aiutata altrimenti, se non col procurarle qualche elemosina per mezzo delle decorazioni osservò il nobil uomo.
 - Eppure, Eccellenza, in ben altri modi Ella mi ha giovato. Ella non può immaginarsi quanti vantaggi mi abbia procurato la lettura delle sue opere storiche. Veda, di certe intricate questioni, che non aveva mai ben comprese, ne capii la soluzione naturale, evidente, solo nelle sue pagine.
Ed entrò a fare i più grandi elogi sui molteplici scritti del Conte, e sul loro pregio, e sull'indefesso lavoro dell'uomo venerando come scrittore, non ostante le tante altre sue occupazioni.
Il Conte sorrideva soddisfatto dicendo: - Certo che il tempo io non l'ho mai perduto. Al mattino immancabilmente m'alzo verso le 4, e mi metto tosto a tavolino e lavoro fin verso le 9, quando incominciano le udienze. Talora poi, a tarda sera, mi rimetto sulle mie carte sin verso mezzanotte.
 - Dunque abbiamo motivo di rallegrarci di più, nel conoscere che la patria sarà da lei onorata con nuovi scritti.
 - Ho di fatto qualche cosa per le mani; ma ormai son vecchio e mi avvicino ai settanta.
 - Lei vecchio? È vecchio chi è oppresso da infermità. Ma lei è sano, robusto, ha la mente limpidissima come un giovanotto. Speriamo, speriamo.
 - Sì, speriamo; tuttavia l'uomo è sempre uomo, e volere o no, n'avrò forse per poco.
 - Io le auguro una vita ancor molto lunga. Però se mi permette, vorrei dirle una cosa, signor Conte.
 - Parli, parli, Don Bosco.
 - Sa che io l'amo ed ho molta stima per lei. Or bene, se la sua vita avesse ad essere non troppo lunga, prima di morire si ricordi che ha qualche partita da aggiustare colla Chiesa.
Il Conte a questa improvvisa uscita di Don Bosco si fece serio, abbassò il capo, stette un istante pensoso, indi prese la mano di Don Bosco e stringendola:
 - Ha ragione, gli disse; vi ho già pensato... Lo farò, lo farò certamente... e presto.
Così finì quella visita, e fu l'ultima volta che Don Bosco vide il conte Cibrario.
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