Capitolo 1

L'indipendenza della patria dallo straniero desiderata dagli Italiani - I liberali - Scaltro lavorio delle sette cosmopolite

Capitolo 1

da Memorie Biografiche

del 02 novembre 2006

Sul principio del 1847 era generale l'aspettazione di novità politiche. Libri, opuscoli e fogli riboccanti di amor patrio proclamavano la necessità di infrangere il giogo straniero che pesava sulle migliori province italiane e di stringere in confederazione i vari Stati della penisola per conquistare e difendere la propria indipendenza. Queste aspirazioni per sè non recavano offesa nè alla religione nè alla morale; e rispondendo ad un desiderio latente in tutti i cuori, furono causa per cui molti di ogni ordine e condizione secondarono poi quel movimento, che dicevasi nazionale. Nello stesso tempo Silvio Pellico col suo racconto delle “Mie Prigioni”, ingenuo e senza recriminazioni, aveva destato e teneva vivo nel cuore dei giovani italiani un fermento di odio inestinguibile contro l'Austria.

Quelli intanto che erano designati col nome di liberali, giovandosi di tanta eccitabilità degli animi, davano la spinta ai popoli coi grandi nomi di Religione e di Patria, a fine di predisporli in vari modi agli avvenimenti che andavano preparando. La mutazione di forma nel governo era il primo svolgimento dei loro ideali. Fra questi non pochi erano onesti, affezionati al loro sovrano ed in buona fede, quantunque fossero caldi per qualche idea non totalmente equa e scevra di errore; si professavano ed erano sinceramente cristiani, perchè il liberalismo non si era ancor palesato come un sistema contrapposto alla Chiesa Cattolica, alla fede, al Decalogo del Signore. Questi pel bene dei popoli domandavano istituzioni politiche rette da principi di savia e più ampia libertà, una maggiore autonomia dei Municipi dalle Autorità centrali, e disapprovavano i moti di piazza preparati nelle Congiure.

Ma leali come costoro non erano altri dello stesso partito, ai quali l'educazione, le pessime letture, l'indole ambiziosa e insofferente di ritegno facevano desiderare quel governo costituzionale, spento prima di esser nato nel 1821, non tanto per amore di libertà, quanto per salire ai seggi più eminenti del potere ed avere il monopolio della cosa pubblica. Essi non rifuggivano dalle macchinazioni segrete e dai tumulti per raggiungere il loro scopo. Infatti non potendo da soli nulla tentare, si erano collegati coi settari, i quali, pochi allora, ma astuti, avevano loro promesso aiuto. In contraccambio però vollero ed ebbero l'assicurazione che lo Stato sarebbe messo sulla via del progresso moderno, rompendola colla Santa Sede e calpestando le immunità e gli altri diritti ecclesiastici. Tenevano però nascoste le loro aspirazioni estreme cioè l'idea repubblicana. Tosto si videro scrittori scaltri ed infinti con modi blandi ed ingannevoli cercar di trarre i cattolici alla rivoluzione e vestire di forme religiose le dottrine settarie per sedurre gli incauti; e mentre talvolta assalivano le Istituzioni della Chiesa in modo di far aborrire il clero, designavano e lodavano ipocritamente la religione stessa come fonte e strumento di patrio amore.

Tuttavia eziandio tale alleanza nulla poteva innovare nel Piemonte senza il consenso di Carlo Alberto, stando per lui l'amore del popolo e la fedeltà dell'esercito. Ed egli era gelosissimo e di irremovibili propositi in ciò che riguardava le prerogative della Corona e le attinenze della Religione. Questi liberali invero erano in tempo riusciti a cattivarsi l'animo del Re, come abbiamo narrato, sedevano ne' suoi secreti consigli, approvavano il suo disegno di fondare un regno italico, ma non era ciò che essi avevano solamente ideato. Volevano servirsi di lui come di arma e bandiera contro tutti i principi d'Italia e in specie contro il Romano Pontefice; mentre il Re sabaudo, nemico della supremazia austriaca, vagheggiava di unire ai suoi domini non più di Parma, Piacenza, Modena Reggio, la Lombardia ed il Veneto. Egli designava con tale conquista formare un baluardo in difesa del Papato del quale egli dichiarava, che sarebbe stato fino all'ultimo valoroso difensore.

Per altro i liberali avevano potuto ottenere un gran vantaggio, quello di attenuare nella Corte l'influenza dei conservatori dell'ordine stabilito, i quali erano schietti cattolici, devoti a tutta prova alla dinastia di Savoia, e di loro contendere politicamente il campo. Gioberti co' suoi odiosi libelli, riusciva a farli qualificare come una setta Austro-Gesuitica nemica della patria. Oltre a ciò, coi settari del Piemonte - speravano in un trionfo non lontano, poichè erano sostenuti da tutte le sette cosmopolite repubblicane, strette fra loro in lega, offensiva e difensiva. Protette efficacemente da Lord Palmerston ministro degli Affari Esteri in Inghilterra e capo della Massoneria, avevano silenziosamente arreticata l'Europa colle loro trame sovversive e andavano preparando moti improvvisi di popoli. Ogni loro pensiero ed opera indirizzavano nell'abbattere i troni e la Chiesa Cattolica, prima rappresentante e custode dell'autorità. La Francia colle sue dottrine rivoluzionarie, causa di enorme guasto morale; l'Austria indebolita dalle dottrine di Giuseppe II e che pretendeva servirsi della Chiesa come strumento di governo, invece di ascoltarla come maestra e obbedirla come madre; gli Stati, protestanti della Germania, col loro principio di libero esame scalzante ogni principio di rispetto all'autorità divina ed umana sembrava dovessero rimanere preda non difficile dei congiurati, Toscana e Napoli colle dottrine Leopoldine e Tanucciane fatto sorgere una generazione di ingegni avversi alla Ecclesiastica legislazione. Con tutti questi elementi crescevano facilmente e si moltiplicavano le congreghe occulte in ogni, parte d'Europa, e sotto ad ogni trono era stata preparata la mina. I capi si erano accordati che, per quanto fosse possibile, le insurrezioni scoppiassero simultaneamente, sicchè in nessun modo ogni governo stabilito potesse ricevere aiuto dagli altri; e così essi rimanere i padroni della terra, e dei popoli. Nell'ordire tutte queste macchinazioni, volgevano il loro sguardo, infiammato dall'odio, verso la sede del Romano Pontefice per distruggerne il potere temporale e spirituale, mentre in questi giorni Roma accoglieva tra le sue mura o palesi o, nascosti un gran numero dei più audaci settari, quivi discesi da ogni parte. Omai la pubblica tranquillità dipendeva dal beneplacito di costoro, e l'Angelico Pio IX, senza quasi avvedersene, era da loro assediato nella sua capitale, mentre non cessavano le pubbliche e assordanti feste in suo onore. Ciò nonostante l'ordine e la pace continuavano, generalmente, a regnare in Europa se eccettuasi la Svizzera, ove già da tempo i radicali, stracciati gli antichi statuti e i patti giurati, con inaudite violenze avevano mutata la costituzione federale. Ultimo ostacolo da superare per render salda la loro tirannide erano i sette Cantoni cattolici. Perciò, raccogliendo nelle loro file quanti malvagi avevano trovata salvezza in quelle regioni, fuggendo dalla giustizia dei loro paesi, mossero per impadronirsi del governo supremo di tutta la confederazione. Nelle terre Elvetiche adunque in quest'anno incominciarono i tumulti, e bande armate di migliaia di malfattori percorrevano i monti e le valli dei territori cattolici commettendo ogni sorta di infamie e di nequizie. I sette Cantoni prevedendo allora che sarebbero ben presto assaliti dall'esercito regolare, si strinsero in alleanza tra loro e invocarono, l'intervento delle Potenze in difesa della giusta loro causa. Avendo chieste armi, delle quali difettavano, a Carlo Alberto, le ottennero dalla sua magnanima generosità, e questi fu il solo tra i regnanti che cercasse di sorreggerli nell'ora dell'infortunio. Tuttavia i cattolici nel novembre 1847 soccombettero. Si difesero con grande valore dall'invadente esercito radicale forte di 118.000 uomini, ma i tradimenti, le tregue violate li diedero in mano ai loro nemici. Assassini di sacerdoti, saccheggi di conventi, incendi di templi, leggi inique che spogliavano e vincolavano la Chiesa Cattolica, prigionie di Vescovi, avevano disposta, accompagnata e stabilita siffatta conquista, col grido di “Viva la libertà!”

Questo colpo sanguinoso faceva parte dei disegni della rivoluzione universale. Confinando la Svizzera con l'Alemagna, colla Francia e con l'Italia, ed essendo nazione indipendente, si prestava a meraviglia per stabilirvi il quartiere generale di tutti i capi settari: quivi sarebbe stato impunemente mantenuto acceso il focolare dal quale si propagherebbero gli incendi delle rivolte nei regni circostanti; e questo luogo servirebbe di rifugio sicuro e d'asilo di tutti i complici ed emissari delle

congiure, qualora non arridesse la fortuna ai tentativi scellerati. E così venne fatto, perchè i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. Tutto adunque era stato preparato: strette le ultime fila delle trame; più non aspettavasi che il segnale per insorgere. Speravano di trionfare non pensando che le sorti della Chiesa e di tutte le nazioni della terra stanno nelle mani, di Dio, che nulla accadrà senza ch' Ei lo permetta, e saprà Egli a suo talento mutare il corso degli avvenimenti: chè le prove più o meno lunghe per gli uni, i castighi per gli altri si avvicenderanno, ma il trionfo sarà sempre per la sua legge. Ad ogni passo Egli dimostrerà ai ribelli che non est sapientia, non est prudentia, non est consilium contra Dominum. Equus paratur ad dieni belli; Dominus autem salutem tribuit.

 

 

 

 

 

 

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