Il mattino di un giorno festivo nell'Oratorio - Il contegno dei giovani in chiesa - La santa Messa e le Comunioni - Ripetizioni scolastiche - Dispiaceri di D. Bosco - Dolcezza e carità - Un santo sdegno non è contrario alla virtù della mansuetudine.
del 06 novembre 2006
 Non sarà discaro ai nostri lettori che ritorniamo sovra un argomento già toccato più volte, ma in tempi diversi, quello cioè dei giorni festivi nell’Oratorio di S. Francesco di Sales. È troppo dolce cosa ripresentarci D. Bosco in mezzo al campo delle sue fatiche, narrare alcune prove della sua carità, delle quali ancora non abbiamo fatto parola, far risorgere quei tempi antichi collo, spirito vivificante che diffondevasi dal suo nuovo regolamento.
A procedere con ordine, notiamo fin sulle prime il modo col quale di consueto si santificava il giorno del Signore, e come dopo lunga esperienza avesse sanzione da D. Bosco, nella parte seconda, capo sesto delle Regole:
“ 1. Le pratiche religiose tra di noi sono: La Confessione e Comunione, e a tale fine ogni Domenica e festa di precetto, si darà comodità a quelli che vogliono accostarsi a questi due augusti Sacramenti.
” 2. L'Ufficio della B. Vergine, la santa Messa, la lezione di Storia Sacra od Ecclesiastica, il Catechismo, il Vespro, il discorso morale, la Benedizione col SS. Sacramento sono le Funzioni religiose dei giorni festivi ”.
Aggiungiamo che una terza parte del Rosario talora si recitava al mattino, tal altra alla sera.
Vi furono persone pie, ed anche religiose, alle quali non sembravano opportune queste molteplici sacre funzioni e obiettavano aver ragione di temere che i giovani le prenderebbero in uggia. Ma D. Bosco rispondeva sempre: “ Diedi il nome di Oratorio a questa casa per indicare ben chiaramente, come la preghiera sia la sola potenza sulla quale dobbiamo fare assegnamento, e si recita il santo Rosario perchè fin dai primi istanti misi me stesso ed i miei giovani sotto la protezione immediata della SS. Vergine”. D'altronde aveva saputo introdurre tanta varietà in queste pratiche, che la folla dei giovani non dava segni di noia; tanto più che in essi sapeva infondere la certezza delle grazie senza numero, eziandio temporali, preparate dal Signore e dalla Madonna in premio della loro devozione.
Così al mattino per tempo si apriva la chiesuola di Valdocco, e D. Bosco comparendo sulla porta radunava i giovani che puntuali accorrevano da ogni sentiero. Essi ricordavano le sue ammonizioni: “ Siamo cristiani, aveva detto loro, perciò dobbiamo venerare tutto quello che riguarda specialmente la chiesa, che è denominata tempio del Signore, luogo di santità, casa di orazione. Qualunque cosa domandiamo al Signore in chiesa, la otterremo: “In ea omnis qui petit, accipit.” Ah, miei cari figliuoli! che grande piacere recate a Gesù Cristo, che buon esempio date al popolo standovi con devozione e raccoglimento! Quando S. Luigi andava in chiesa, la gente correva per osservarlo, e tutti erano edificati dalla sua modestia e dal suo contegno. Entrate in chiesa senza correre o fare strepito. Fatta la debita riverenza all'altare, o la genuflessione se vi è il SS. Sacramento, andate al posto assegnato e ponendovi in ginocchio adorate la SS. Trinità con tre Gloria Patri. In caso che non sia ancor tempo delle sacre funzioni potete recitare le sette Allegrezze di Maria o fare qualche altro devoto esercizio di pietà. Guardatevi poi bene dal ridere in chiesa o dal parlare senza necessità, perchè basta una parola od un sorriso per dare scandalo e disturbare quelli che assistono alle sacre funzioni ”.
I giovani tosto andavano ad inginocchiarsi intorno al luogo destinato per le confessioni e talora D. Bosco con brevissima esortazione li preparava a confessarsi bene, raccomandando una figliale confidenza col loro confessore anche nei soli dubbi di coscienza; quindi sedevasi per ascoltare i penitenti. Venivano eziandio a confessarsi da lui molte altre persone estranee adulte, che poi ascoltavano la santa Messa facendo la loro Comunione coi giovani. Finite le confessioni, D. Bosco diceva la santa Messa, quando egli doveva assentarsi, la celebrava qualche altro buon prete, e il più delle volte il Teol. Giovanni Vola. I giovani vi assistevano con molta devozione. D. Bosco non soffriva che una spensierata abitudine li conducesse ai sacri misteri, ma, come ci narrano gli allievi di questi anni, ripetendo sovente ciò che aveva scritto nel Giovane Provveduto, parlava con grande fuoco della natura e del valore infinito del sacrificio dell'altare. Esclamava: “ Il vedere nel mondo tanti figliuoli con volontà deliberata assistere distratti alla santa Messa, irriverentemente, senza modestia, senza rispetto, rimanendo in piedi, guardando qua e là, è uno spettacolo troppo affliggente. Ah! costoro rinnovano più volte, come i Giudei, i patimenti del Calvario con grave scandalo dei compagni e disonore di nostra santa Religione. Assistete dunque alla Messa, miei cari figliuoli, colle disposizioni di vero cristiano, statevi con modestia e raccoglimento tale, che alcuna cosa non riesca a disturbarvi. Il vostro spirito, il vostro cuore, i sentimenti vostri non siano ad altro intenti che ad onorare Iddio. Supponete di vedere Gesù Cristo nel tempo della sua dolorosa passione soffrire e morire per la nostra salvezza. Abbiate grande premura di andare alla santa Messa, eziandio nei giorni feriali, tollerando a tal fine anche qualche incomodo. Con ciò otterrete dal Signore ogni sorta di benedizioni, per modo che ogni vostro lavoro riuscirà a bene. Pregate per voi, per i vostri parenti e benefattori, e per le anime del purgatorio ”.
I giovani lo comprendevano, e venuto il momento della Comunione, era una scena commoventissima osservare anche nelle feste ordinarie duecento e più di loro, pienamente liberi di sè e prima così sbrigliati, accostarsi alla sacra Mensa colle mani giunte e con grande raccoglimento. Si vedeva la fede splendere nei loro occhi, e D. Bosco comunicandoli gustava una gioia di Paradiso.
Finita la messa, D. Bosco saliva il pulpito, ed era ascoltato con grande attenzione e piacere dai ragazzi. In quest'anno incominciò a raccontare la Storia Sacra. Come l'ebbe finita passò più tardi ad esporre la Storia Ecclesiastica e poscia la vita dei Papi.
Era così intelligibile nelle sue narrazioni e nei commenti, che in sul finire, interrogando, come soleva, pubblicamente alcuni, questi non solo ripetevano le sue parole, ma erano in grado di rispondere alle amene, ma pure importanti domande, che loro muoveva. Ciò riferiva Mons. Bertagna Giovanni Battista, che, allora chierico, andava ad insegnare il catechismo in Valdocco.
Abbiamo già detto che dopo questo sermone del mattino D. Bosco voleva che sempre si cantasse la giaculatoria “Lodato sempre sia il nome di Gesù e di Maria”. Con ciò intendeva riparare alle tante bestemmie che si udivano nel mondo. Talora egli stesso l'intonava dal pulpito senza attendere la voce del capo cantore. Finita la giaculatoria i giovani uscivano di chiesa cantando l'inno “Luigi, onor dei Vergini”.
Quindi la maggior parte andava a casa a far colazione; per alcuni di quelli che rimanevano, secondo la possibilità e i bisogni di ciascuno, avevano luogo varie scuole, come già abbiamo detto; qualche studente era aiutato di grammatica e di sistema metrico con una breve ripetizione; D. Bosco stesso si occupava in tale insegnamento, oppure ne incaricava uno o due suoi amici, come ci asseriva D. Giacomelli. Infine dopo una ricreazione di vario genere, alla quale D. Bosco sempre presiedeva, a mezzogiorno erano tutti licenziati perchè andassero a pranzo.
D. Bosco provava grandi consolazioni per la corrispondenza affettuosa dei giovani alle sue cure; ma a queste si frammischiò sul principio dell'anno qualche dispiacere da lui vivamente sentito. Ne era cagione il veder trattati talora con modi severi i suoi allievi da qualcuno dei suoi coadiutori.
Egli stesso raccontava: “Una Domenica sera vidi certo giovane adulto maltrattare uno dei suoi compagni più piccoli. A quell'atto io fremetti e dovetti farmi grande violenza per non parlare. All'indomani però, incontrato quel giovanotto, non tralasciai di fargli un'amorevole correzione ”.
Ma non ostante i ripetuti avvisi, non poteva sempre impedire simili inconvenienti, sia perchè certuni, destinati all'assistenza, erano di natura piuttosto rozza ed imperiosa, sia perchè la loro scarsa pazienza era spesso messa a dura prova. Perciò, specialmente nella chiesa, dispensavano troppo sovente pesanti scapaccioni su quei pochi che dormivano o che disturbavano in tempo della predica o delle orazioni. Per questo motivo talora vi fu malcontento dentro e fuori dell'Oratorio. Temendo però D. Bosco di recar disgusto e di allontanare da sè certi sorveglianti che pur erano di buona volontà, predicando dissimulava e studiava di contenersi; ma, risoluto di porre un termine a quel disordine, si accordava col giovane Brosio Giuseppe, il quale fin dal 1841 aveva incominciato ed aiutarlo a S. Francesco d'Assisi. Brosio, che a lui si mantenne sempre famigliare ed amico per ben quarantasei anni, fu lieto di poter togliere D. Bosco di pena. Siccome guidava egli le preghiere stando nel presbiterio, finite queste andava a passeggiare su e giù per la chiesa, al fine di prevenire ogni atto violento dei compagni assistenti. Di quando in, quando leggermente scuoteva quelli che dormivano, e talora, se vedeva che volontariamente si abbandonavano al sonno, coll'ingrata sorpresa di un po' di tabacco nel naso li faceva star desti; quelli poi che disturbavano, chiacchierando e muovendosi, li fissava con uno sguardo molto serio che imponeva obbedienza, essendo egli di alta statura e sui venti anni. Se alcuni non davano retta al primo invito, un gesto di minaccia bastava. Intanto qua e là prometteva qualche piccolo premio a chi stesse buono, e allorchè D. Bosco saliva in pulpito, la sua udienza era perfettamente tranquilla.
A queste industrie D. Bosco aggiungeva la sua persuasiva parola, e nelle prediche, e nei ragionamenti in cortile, raccontava esempi che dimostravano la necessità della fratellanza che doveva regnare tra compagni, e principalmente della buona unione tra i figli dell'Oratorio per essere degni delle benedizioni di Dio. E riuscì nel suo intento. In breve cessò il lamentato disordine e non si udì più alcuna mormorazione a questo riguardo.
D. Bosco infatti, asserisce il giovane Chiosso che interveniva all'Oratorio in questi anni, non castigava mai, tranne rarissime volte allorchè si trattava di qualche giovane insolentemente ribelle, o bestemmiatore, o sorpreso a fare discorsi immorali. E ciò in quei soli casi nei quali, tolto lo scandalo, sarebbe stato fatale per l'anima di quell'incauto il cacciarlo dall'Oratorio. Difficilmente i compagni si accorgevano della punizione inflitta; ma talora, essendo palese, tutti parteggiavano per D. Bosco, e dicevano: “ Ha fatto bene ”. E poi ne convenivano eziandio i colpevoli, perchè giammai accadeva che si lasciasse guidare dall'amor proprio ferito: la sua dolcezza era abituale.
E questa formava il fondo del suo sistema, poichè era fermamente persuaso essere necessario per educare i giovani, aprire i loro cuori, potervi penetrare come in casa propria, per estirparne i germogli del vizio e coltivarvi i fiori delle nascenti virtù. Era suo studio formarli colle sue belle maniere, all'espansione, alla semplicità, alla schiettezza; per guadagnarsi la loro confidenza, cercava di procurare in ogni modo che lo amassero e sapessero di essere amati. I cuori chiusi che nascondevano i loro segreti, vale a dire quasi sempre i loro vizi, coloro che stavano solitari, cupi, dissimulatori, ipocriti formavano il suo tormento, e studiava ogni via per vincerli e rendersene padrone coi benefici.
Il Teologo Savio Ascanio, che in questi anni, come vedremo, visse con lui, disse che D. Bosco usava sempre bei modi, soavi, paterni, ispirati a mansuetudine nell'attirare alla virtù i ragazzi, nè mai lo vide trattare alcuno con sgarbatezza, o minacciare di castighi, anche i più spensierati o discoli. Ed è perciò che l'Oratorio rigurgitava di fanciulli e di adulti, e la maggior parte di essi si accostava ogni domenica ai Sacramenti.
Tutti coloro che conversavano eziandio una volta sola con lui, restavano innamorati della dolcezza e nobiltà dei suoi modi, della giovialità del suo tratto, dell'opportunità e grazia delle sue parole. Ciò spiega in parte il fascino che esercitava sopra i suoi giovani attirandoli irresistibilmente a sè. I loro cuori sempre aperti e confidenti davano ai loro volti quell'attrattiva speciale ch'è, direi così, la trasparenza dell'anima. Lo circondavano con gaudio ineffabile, e tanto loro costava il separarsi da lui, che non sapevano indursi ad andarsene: quasi bisognava che D. Bosco stesso li staccasse da sè.
La fisionomia di D. Bosco, ci narrò molte volte Giuseppe Buzzetti, e con lui cento e cento altri, aveva un'espressione simpatica, così bella, amorevole, e direi angelica, che sembrava non fosse cosa di questo mondo; nello sguardo e nel sorriso palesava l'incanto della santità che aveva dentro di
sè. Le cento volte si udivano i giovanetti che gli stavano intorno ripetere: “ Sembra Nostro Signore! ”. Frase divenuta loro abituale.
Tuttavia sarebbe illusione credere che in D. Bosco tanta amabilità avesse talora principio da debolezza o da trascuratezza. Egli sapeva mostrarsi corrucciato, perchè anche l'ira è strumento di virtù, ma non mai fuor di modo e solo quando si trattava dell'onore di Dio oltraggiato. Lo stesso N.S. Gesù Cristo si adirò più volte contro dei Farisei: Circumspiciens eos cum ira, e l'ira ben governata non si oppone alla virtù della mansuetudine. Nel corso di queste Memorie vedremo rifulgere anche per questo lato lo zelo del caro D. Bosco.
 
 
 
 
 
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