Capitolo 10

Gli esercizi spirituali: D. Bona di Brescia - Commedia latina: congratulazioni e ringraziamenti del P. Palumbo - Lettere di personaggi illustri da Milano e da Firenze a Don Bosco: si desidera studiare il sistema correzionale dell'Oratorio: si domandano consigli e concorso per la direzione di un Istituto di monelli fiorentini - Sovvenzione del Ministro delle Finanze -Quattro preti della Pia Società gravemente infermi - Ultime lettere di D. Alasonatti a D. Bosco - Dolore del Vescovo di Mondovì per la malattia di Don Alasonatti -Il mese di maggio: Parlata di D. Bosco: sogno: i doni dei giovani alla Madonna.

Capitolo 10

da Memorie Biografiche

del 06 dicembre 2006

 Erano stati predicati gli esercizi spirituali ai giovani dell'Oratorio dal Sac. Giovanni Bona, Rettore del Santuario della Madonnina presso Brescia, il quale, anni prima, aveva fatto il quaresimale in Torino nella chiesa di S. Filippo. L'entusiasmo destato nei cittadini dalla sua semplice e attraente parola produsse un gran frutto di salute alle anime: ed anche gli alunni di D. Bosco corrisposero quanto meglio si poteva sperare alle sue meditazioni ed istruzioni, veri gioielli intessuti di fatti, paragoni, parabole, descritte con vivezza impareggiabile.

Finiti gli esercizii spirituali, con nuovo ardore gli studenti ripigliavano l'applicazione ai loro doveri e si esercitavano nel dare qualche rappresentazione anche in lingua latina. L'Unità Cattolica del 18 maggio scriveva: “ Oggi (18) gli allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales reciteranno per la seconda volta la bellissima commedia latina col titolo: Larvarum victor. Questa commedia scritta dal valoroso latinista il P. Palumbo della Compagnia di Gesù è stampata coi tipi dell'Oratorio stesso ”.

Il Palumbo stesso ne mandava le sue congratulazioni a Don Bosco:

 

Napoli, 5 giugno 1865.

Veneratissimo Sig. Direttore,

 

E' qualche tempo che le debbo un vivo e sentito ringraziamento per la cura presasi in far rappresentare nel suo reputatissimo collegio la commedia latina del Vincitor delle fantasme, scritta da Mons. Rosini, e da me ritoccata. Vengo adunque con questa a sciogliere il mio debito di gratitudine ora che i pubblici diarii, per occasione della detta rappresentanza, fanno le più giuste lodi alla sua operosità ed al suo buon gusto, per saper Ella così bene informare la gioventù alla virtù ed alla classica letteratura. Che se alle sue lodi mescolano anche le mie, di queste stesse io mi tengo debitore a Lei, che si è degnato fare alcun conto dei nostri scherzi Plautini, e metterli in iscena. Non possono per altro negare che Ella, più che un divertimento ai Torinesi, ha procurato un vantaggio alla gioventù studiosa, ed ha dopo mezzo secolo e più attuato quello stesso a cui intese il mio prestantissimo Mons. Rosini. Tanto più che Ella ha voluto non pure produrre la Commedia nella scena, ma sì nella stampa, perchè fosse materiale di studio, e sì la utilità ne divenisse ai giovani più durevole: e non dire che i giovani mentovati, e sopratutto gli attori, conserveranno in quella stampa un ricordo perenne dei loro studii e dei plausi che colsero nella collegiale rappresentanza. Io dunque di tutto ciò la ringrazio vivamente a nome mio, ed a nome di quei pochi già vecchi discepoli della scuola rosiniana, che ancor sopravvivono al tristo scempio, che si è fatto e che tuttora si va facendo ai nostri tempi delle lettere latine, da quelli che pur dicono d'amar la patria, mentre ne odiano le glorie. Gran fortuna, mio veneratissimo Sig. Direttore, se la moderna società, volta oggi coi suoi pensieri a tutt'altro, potrà un tempo congratularsi con lei, o almeno consolarsi della sua memoria, per aver Ella mantenuto vivo in codesto collegio il fuoco sacro della latinità! Sarebbe un'altra bella prova pel laicato, che la Chiesa non fu mai la guastatrice, ma la salvatrice del bello e del buono.

Aggiungo i miei ringraziamenti prima al chiarissimo amico Vallauri, dal quale fui stimolato a compiere e mandare costà il lavoro: e poi all'ottimo ed operoso D. Francesia, le cui fatiche in preparare i giovani per la rappresentanza io più che altri posso immaginare ed apprezzare.

Finalmente un saluto ed un plauso cordiale agli attori. E con ciò profferendomele cordialissimamente mi dico con piena stima e rispetto

Di Lei, Sig. Direttore,

Um.mo e Dev.mo Servo

Luigi Palumbo.

 

Non meno che per la classe degli studenti, faceva maravigliare i conoscitori dei bisogni della Società, l'operosità e sapiente intraprendenza di D. Bosco per la classe operaia. Eccone una prova:

 

Molto Rev. Sig. Direttore,

 

La squisita accoglienza che incontrai nel di lei Istituto quando mi recai a visitarlo or sono due anni; e le cortesi informazioni che io ottenni sul prosperamento di esso, le quali poscia potei io medesimo rilevare dai fatti, mi incoraggiscono ad accompagnare con lettera d'introduzione, se pure fa d'uopo, presso di lei l'illustre ed egregio sig. Dott. Biffi, che porge la presente, Direttore d'uno stabilimento sanitario, di molta rinomanza nella nostra Milano, membro della Commissione visitatrice delle Carceri e di varie Accademie, il quale volendo far risaltare l'economia morale e sociale delle case riformatorie, si reca a Torino per viemmeglio conoscere i dati e i risultati dei vari istituti che a quest'opera attendono, ed era desideroso d'essere introdotto nel di Lei tanto applaudito stabilimento. Perdonerà questo tratto di confidenza, persuaso di metterla in rapporto con persona degna di tutta stima e tutta intenta a migliorare la condizione della società.

Col pi√π profondo ossequio mi professo di Lei

Milano, 25 maggio 1865,

Seminario delle Missioni Estere,

Devoto Servo

D. Carlo Salemi.

 

 

Un'altra lettera conferma la medesima stima:

 

Firenze, 30 agosto 1865.

 

Molto Rev. Signore,

 

La nobilissima impresa da Lei assunta di ritornare alla pratica del dovere una classe di sciagurati, che o il bisogno, o l'ignoranza, e pi√π spesso il difetto assoluto di educazione domestica pone sul cammino del disonore, ha trovato un'eco anche in questa Provincia, ed io son fortunato che mi si presenti una circostanza, per attestarle i sensi della pi√π profonda ammirazione per l'opera eminentemente cristiana e civile alla quale solo poteva bastare il suo zelo.

Unito con Lei in un medesimo spirito di carità, più volte questo Consiglio Direttivo s'era augurata una qualche occasione che gli fornisse agio di porsi in rapporto colla S. V. molto Rev.da, persuaso che le necessità del tempo consigliano oggi più che mai la unità dei propositi non solo, ma anche la comunanza delle opere nell'esercizio della carità.

Dall'opuscolo recentemente pubblicato che contiene gli atti della Società nostra per gli anni 1862 e 1863 e che ho l'onore di accompagnarle colla presente, Ella vedrà quali sieno i nostri intendimenti, ed in parte anche i risultati per noi ottenuti. Se Ella trovasse nella lettura di questo fascicolo un eccitamento ad entrare in relazione con noi, ad aiutarci dei suoi lumi e consigli, a darci in breve qualche notizia dell'ordinamento per Lei dato alla sua generosa Fondazione, il sottoscritto non ha parole a dirle quanto se ne sentirebbe onorato.

Quando poi Ella mi incoraggiasse nella di Lei benevolenza per questo primo favore, io mi riserverei a valermi anche in altre contingenze del di Lei concorso in profitto d'una istituzione che ha comuni con la sua gli intendimenti e i propositi.

Voglia condonarmi, Molto Rev. Signore, la libertà colla quale io mi dirigo al suo zelo, ed ho l'onore di protestarmi con tutto l'ossequio

Il Segretario aggiunto

Avv. NICCOLO' BICCHIERAY.

 

 

Anche il Ministro delle Finanze riconosceva i meriti di D. Bosco per la cura che prendevasi dei giovani poveri ed abbandonati.

 

Torino, 14 maggio 1865.

 

Rev.mo Signore,

 

Mi è grato di partecipare alla S. V. molto Reverenda che il Signor Ministro delle Finanze ha recentemente concesso, a mia proposta, una sovvenzione di L. 300 al Pio Istituto da Lei con tanta lode diretto.

Il relativo mandato di pagamento spedito in capo della S. V. sarà quanto prima esigibile presso la tesoreria provinciale di Torino.

Sono ben lieto di aver potuto in qualche modo contribuire ad un provvedimento che torna a vantaggio di un Istituto così benemerito dell'umanità ed ho intanto il pregio di ripetermi con ben distinta stima e considerazione

Suo dev.mo ed obbl.mo Servo

C. CUTTICA.

 

Ma tra i fiori di maggio spuntavano anche spine acute, le quali dovevano ferire dolorosamente il cuore di D. Bosco. Quattro dei suoi sacerdoti erano caduti infermi di malattie incurabili.

D. Francesco Provera, Prefetto del Collegio di Lanzo, ordinato sacerdote nel 1864, sentiva farsi più acuto in un piede il dolore che avealo già afflitto anni prima. Corrodevagli l'osso una carie progressiva, sicchè non andò molto che fu costretto a rimaner inchiodato sopra una sedia. Il dott. Magnetti, che lo curava, lo aveva sottoposto a dolorose operazioni, restando così meravigliato della fortezza colla quale l'infermo sopportava tanti tormenti, che ebbe ad esclamare:

- Quest'uomo deve essere un santo!

Per mesi Don Provera non potè più celebrare la Messa, ma vi suppliva col fare quasi ogni giorno la santa comunione: e intanto continuava a lavorare, a provvedere ogni cosa per mezzo di un confratello, e a dare udienze ai parenti degli alunni. E tutto disimpegnava con carità ed allegria.

Valenti medici, radunati a consulto, dichiararono incurabile il suo male e parlarono di un'amputazione; ma scorgendolo così sfinito conclusero che l'amputazione non sarebbe riuscita a salvarlo, ma solo a farlo soffrire di più; essere perciò miglior partito lasciar fare dalla natura. D. Bosco nell'udire questa prognosi soggiunse:

- Rimanga adunque sotto la cura della Provvidenza!

E Provera, che non potè più posare in terra il piede finchè visse, sostenendo il ginocchio con una piccola gruccia di legno ed appoggiato ad un bastoncello, continuò a muoversi qua e là per la casa. D. Bosco gli aveva predetta questa croce fin dall'anno 1862.

Anche il Direttore del Collegio di Lanzo, il sacerdote Ruffino, era caduto infermo, vittima del suo zelo. Venuto in Torino nei primi giorni della settimana santa per chiedere consigli a D. Bosco, ritornò al suo collegio sull'imperiale della vettura, con un viaggio di quattro ore, esposto ad una pioggia continua. Non appena giunto a casa, seppe che in parrocchia il Vicario e il suo vice parroco non bastavano a contentare il gran numero di penitenti che si preparavano per fare la Pasqua, e senza mutarsi gli abiti si recò a confessare e confessò più ore. Per questa generosa imprudenza, non tardò, essendo di gracile costituzione, a colpirlo un violento mal di petto, che in pochi mesi doveva condurlo agli estremi.

Erano adunque gravemente infermi il Direttore e il Prefetto del Collegio di Lanzo, e D. Bosco provvide col mandare in loro aiuto il Direttore spirituale dell'Oratorio, D. Bartolomeo Fusero, giovane prete, di molta scienza e anch'esso di sante speranze. Pur questi, appena giunto al collegio, fu colpito da lenta paralisi al cervello e dovette essere rinviato a Torino e in fine venire affidato ad una casa di salute.

Il quarto infermo era nell'Oratorio, e D. Bosco nel suo dolore avrebbe per lui offerto in sacrificio la propria vita. Era questi Don Vittorio Alasonatti, ormai maturo pel cielo. Egli andava visibilmente spegnendosi. Un doloroso reuma infieritosi sulla spalla destra ed un'ulcere nella gola che allargandosi minacciava ad ogni ora di soffocarlo, lo costringevano all'inazione. Nella speranza che l'aria nativa venisse a giovargli, cedendo al consiglio di D. Bosco, erasi recato ad Avigliana, donde scriveva al suo caro Superiore:

 

W. G. M. G.

7 maggio 1865.

Venerato Sig. D. Bosco,

 

Sento il dovere di scriverle ed ho forte brama eziandio di avere notizie della preziosa salute di V. S. Stim.ma, coll'appendice dell'andamento dei RR. collaboratori e degli allievi. Le scrivo breve allo scopo di sottomettermi alla rispettabilissima di Lei volontà con sempre nuova costanza, pregandola di comandarmi senza riserva qualora mi creda vantaggiosa una qualche sua disposizione opposta alle precedenti a me comunicate. Pregandola dunque di un cenno per se vel per alium, accetterò come un vero favore qualunque sua comunicazione od ordine o consiglio, perchè la credo emanata dal cuore di mio bene unicamente desideroso. Un'indicazione dell'andamento della casa, della Congregazione, mi sarebbe carissima altresì, quando Ella mi stimi degno di tal favore.

Passo ora alle cose mie, se stima volerle conoscere. Premetto i rispetti di mio padre e della famiglia a V. S. Rev.ma e le accerto che io non potrei per nessun modo bramare attenzioni maggiori, fino ad offerirmi denaro per i bisogni che mi occorressero. La quiete che qui si può godere mi alleggeriva fin dai primi giorni a poco a poco della tosse ostinatissima, asciutta, che mi impediva il sonno. A questo punto non mi molesta più gravemente, ma non lascia di essere difficile a sfogare, procurandomi un rantolo prolungato e frequente. Il mal di capo mi assale ancora per poco mi occupi a leggere, a pregare, a scrivere, ma meno regolarmente. La spalla destra è quella che più mi indolentisce dì e notte, giacchè, malgrado i rimedi sempre usati e continuativi, la ghiandola tiroidea non cede che forse poco, se non forse niente: per il che dopo una prova ancora più o meno prolungata, se così a Lei piacerà e secondo suo consiglio, mi riferirò alle ordinazioni che verrà invocando da V. R. ovvero mi porterò, si Deus dederit, costì per vederla e consultare.

Vede quanto io penso pel corpaccio. Ma e di virtù come io stia, non saprei dirglielo. Mi raccomando alle orazioni dell'Oratorio intiero e massime della S. V. e dei RR. consacerdoti, ai quali prego la Bontà Vostra di degnarsi comunicare i continui e cordiali miei sentimenti di unione in Domino, colla speranza di non venir rigettato dal rispettabilissimo e favorevolissimo loro Consorzio.

Finora non ho fatto visita che ai RR. Parrocchiali di ambe le case di questo Borgo ed ai RR. Cappuccini. Il Vicario Foraneo mi largì f. 10 e D. Balbiano f. 1 per la Chiesa.

Non saprei se D. Martina sia stato servito di copie del disegno, così D. Gavotto ecc. di Giaveno. A D. Martina sarei un qualche pomeriggio contento di portarlo: a Giaveno potrei mandarli, se le mie gambe non vorranno favorirmi meglio, ovvero prenderò la vettura.

Il braccio che porta la mano scrivente spiega quanta sia la sua bravura, e la mia testa proverà l'abbondanza di ordine e chiarezza nella mia esposizione.

Qui il mese di Maria è quanto si può desiderare ben celebrato in ambedue le parrocchie. Oggi è stato il fine del Giubileo. Il nostro Parroco ne è più che non credeva soddisfatto. Ci mancano all'universale pochissimi capri pasqualini. I RR. Cappuccini, i Parrochi ad ogni ora si trovano presti e caritativi a confessare. Deo gratias!

Gli esercizi triduani costì avranno fruttato ad honorem Dei! Utinam! Tanti saluti al Rev. ed ottimo D. Bona, se è ancora tra le amate nostre mura, a D. Cagliero in primis, DD Ghivarello, Savio, Francesia, ecc.

Gradisca la rinnovazione dei sentimenti di mia figliale obbedienza e di sincero ossequio. Voglia il Signore che non venga mai a scemarmi il rispettoso affetto che mi sento per Lei.

Ella mi benedica anima e corpo, a gloria di Dio unicamente, onde io faccia l'adorabilissima sua volontà. Mi perdoni tutto, quanto in questa, e mi reputi sempre

aff.mo sebben indegno servo, figlio ed amico

Sac. VITTORIO ALASONATTI.

 

La seconda lettera, forse l'ultima che scrisse in vita sua D. Alasonatti, continua a svelarci la grande virtù di chi dopo D. Bosco ha diritto di essere chiamato padre della Pia Società di S. Francesco di Sales.

 

 Avigliana, Porta ferrata, 20 maggio 1865.

W. G. M. G.

 

Molto Rev.do e Carissimo Sig. D. Bosco,

 

Oggi, sabato, è giorno dei conti, quindi ben è dovere che io rassegni quanto al morale, al letterario e fisico mio andamento si passò nella settimana al mio affezionatissimo sig. Padre, Direttore ed amico vero.

Ogni mattino per lo più alle 4 ½ ho finito la S. Messa in cui mi ricordo, com'è di tutta ragione, di V. R., dei compagni e dei giovani. .Non ho più letto nè scritto in tutta la settimana, fuorchè un percorrere superficialmente ed oggi scrivere a Lei ed al sig. D. Savio. Non ho fatto visita a persona, nè oltrepassato il limite della mia parrocchia alla quale tornava qualche giorno nelle ore pomeridiane. La ragione di tutto questo mio fare sta che appena giunto a casa mi trovai serrato più che prima nello stomaco e travagliato dalla tosse per alcuni colpi d'aria presi nel vapore. Il mio fiato era lungo due dita ed il rantolo costante: da due giorni questa faccenda mi volge in bene, mediante camomilla a caldo e l'olio di lino, sui quali mezzi ho molta speranza di portar avanti un po' e presto le forze della mia bestia.

La notte dormo fin circa le due e poi conviene che io mi alzi per le scariche (da veniam) della tosse. Le doglie alla testa e alla spalla continuano, e perciò mi tengo in osservanza del divieto d'occuparmi, sentendole aggravare dopo qualunque applicazione e dopo le refezioni. Dopo la S. Messa prendo il rimedio, e poi mi rifaccio del sonno perduto sinchè mi portano una minestra per colazione. Mi trovo in mezzo a persone che vanno a gara in usarmi attenzioni prevenendo perfino i desiderii miei da loro immaginati. Non è questa una bella vita?!

Non la trattengo di più in sì bassa cosa e la prego di gradire i rispettosi saluti del mio buon papà, di D. Maurizio, dei Parrocchiali nostri e di quel di Buttigliera, con quelli del fratello di Giacomelli, ecc.

Mio padre le fa invito di venire un giorno intero con esso lui (però lunedì posdomani eccettuato) con qualche compagno, per es. il Cavaliere o D. Savio. Io desidero vivamente di vederli e, se verrà, di avere da Lei una benedizione, altrimenti la dia di costì.

La SS. Vergine Auxilium Christianorum ci assista tutti e nel giorno di sua festa ci benedica. Il Signore la conservi ed Ella mi continui la sua benevolenza, alla quale mi pare di aver voluto e voler corrispondere.

Ricordandosi sempre di me, saluti i giovani tutti e massime i sigg. consacerdoti e coadiutori e compagni con D. Giacomelli; mi aiuti colle sue sante orazioni e sacrifizi e da ultimo si degni credermi, se lo merito, col massimo ossequio e con figliale affetto nel Signore

Dev.mo Servo

Sac. ALASONATTI VITTORIO.

 

 

Don Alasonatti vedendo che l'aria nativa non recavagli alcun miglioramento, anzi accresceva i suoi dolori, domandò per favore a D. Bosco di venir a morire nell'Oratorio. Gli fu concesso; ma quale fu la costernazione di D. Bosco, dei preti, dei chierici, dei giovani, di tutta la casa nel vederlo rientrare nell'Oratorio in più lagrimevole stato! Gli si prodigarono tutte le cure dell'arte, e vane erano le visite dei medici più periti, vane le premure degli infermieri, vane le preghiere di tutto l'Oratorio per richiamare al primo vigore quella cara esistenza.

Avuta notizia di questa malattia, Mons. Ghilardi scriveva a D. Celestino Durando da Mondovì, il 20 luglio 1865:

“ Oh quanto mi addolora la notizia della disperata salute dell'ottimo D. Alasonatti! Davvero che codesto Stabilimento non aveva bisogno di questa visita del Signore, ma pure conviene baciare la sua benedetta mano anche quando ci percuote perchè sempre mano di un padre il quale, quos corripit, amat. Domani dirò la S. Messa pel suddetto, ed Ella voglia fargli una visita per me dicendogli tante cose di conforto per parte mia. Lo stesso faccia col carissimo D. Bosco, che dirà con S. Paolo: Absit mihi gloriari nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi ”.

Fra queste pene il Servo di Dio si consolava colla divozione a Maria SS., onorata nel mese di Maggio da tutta la comunità in modo speciale. Dei suoi discorsetti serali la Cronaca ci ha conservato solamente quello del giorno 30 del mese, il quale però è sommamente prezioso.

 

30 maggio.

 

Vidi un grande altare dedicato a Maria ed ornato magnificamente. Vidi tutti i giovani dell'Oratorio i quali in processione si avanzavano verso di esso. Cantavano le lodi della Vergine Celeste, ma non tutti allo stesso modo benchè cantassero la stessa canzone. Molti cantavano veramente bene e con precisione di battuta e di questi quale più forte e quale più piano. Altri cantavano con voci pessime e roche, altri stonavano, altri venivano innanzi silenziosi e si staccavano dalla fila, altri sbadigliavano e pareano annoiati; altri si urtavano e se la ridevano fra di loro. Tutti poi portavano dei doni da offerire a Maria. Tutti avevano un mazzo di fiori, quale più grosso e quale più piccolo e diversi gli uni dagli altri. Chi aveva un mazzo di rose, chi di garofani, chi di violette, ecc. Altri poi portavano alla Vergine dei doni proprio strani.

Chi portava una testa di porcello, chi un gatto, chi un piatto di rospi, chi un coniglio, chi un agnello od altre offerte.

Un bel giovane stava davanti all'altare, il quale a considerarlo attentamente si vedeva che dietro le spalle aveva le ali. Era forse l'Angelo Custode dell'Oratorio, il quale di mano in mano che i giovani offrivano i loro doni, li riceveva e li ponea sull'altare.

I primi offrirono magnifici mazzi di fiori e l'angelo senza dir nulla li posò sull'altare. Molti altri porsero i loro mazzi. Esso li guardò; sciolse il mazzo, ne fece togliere alcuni fiori guasti che cacciò via, e ricomposto il mazzo, lo posò sull'altare. Ad altri che avevano nel loro mazzo fiori belli ma senza odore, come sarebbero le dalie, le camelie, ecc. l'Angelo fe' togliere via anche questi, perchè Maria vuol la realtà e non l'apparenza. E così rifatto il mazzo, l'Angelo l'offerse alla Vergine. Molti tra i fiori avevano delle spine, poche o molte, ed altri dei chiodi, e l'Angelo tolse questi e quelle.

Venne finalmente colui che portava il porcello e l'Angelo gli disse: - Hai tu coraggio di venir ad offrire questo dono a Maria? Sai che cosa significa il porco? Significa il brutto vizio dell'impurità, Maria che è tutta pura non può sopportare questo peccato. Ritirati adunque, chè non sei degno di stare davanti a lei.

Vennero gli altri che avevano un gatto e l'Angelo disse loro: - Anche voi osate portare a Maria questi doni? Sapete che cosa significa il gatto? Esso è figura del furto e voi l'offrite alla Vergine? Sono ladri coloro che prendono danari, roba, libri ai compagni, coloro che rubano commestibili all'Oratorio, che stracciano le vesti per dispetto, che sciupano i denari dei parenti non studiando. - E li fece ritirare anch'essi in disparte.

Vennero coloro che avevano i piatti di rospi e l'Angelo guardandoli sdegnato: - I rospi simboleggiano i vergognosi peccati di scandalo e voi venite ad offrirli alla Vergine? Andate indietro; ritiratevi cogli altri indegni. - E si ritirarono confusi.

Alcuni s'avanzavano con un coltello piantato nel cuore. Quel coltello significava i sacrilegi. E l'Angelo disse loro: - Non vedete che avete la morte nell'anima? che se siete in vita è una speciale misericordia di Dio? altrimenti sareste perduti. Per carità fatevelo cavare quel coltello! - Ed anche costoro furono respinti.

A poco a poco tutti gli altri giovani si avvicinarono. Chi offrì agnelli, chi conigli, chi pesci, chi noci, chi uva, ecc., ecc. ][,'Angelo accettò tutto e mise tutto sull'altare. E dopo aver così divisi i giovani, i buoni dai cattivi, fece schierare tutti coloro i cui doni erano stati accetti a Maria, davanti all'altare; e coloro che erano stati messi da parte furono con mio dolore molto più numerosi di quello che credeva.

Allora da una parte e dall'altra dell'altare comparvero due altri angioli, i quali sorreggevano due ricchissime ceste piene di magnifiche corone, composte di rose stupende. Queste rose non erano propriamente rose terrene, sibbene come artifiziali, simbolo dell'immortalità.

E l'Angelo Custode prese quelle corone una per una e ne incorono tutti i giovani che erano schierati innanzi all'altare. Fra queste corone ve ne erano delle più grandi e delle più piccole, ma tutte di una bellezza ammirabile. Notate anche che non v'erano i soli attuali giovani della casa, ma sibbene molti altri che io non aveva mai visti. Or bene accadde una cosa mirabile! Vi erano dei giovani così brutti di fisonomia che quasi mettevano schifo e ribrezzo; a costoro toccarono le più belle corone, segno che ad un esteriore così brutto suppliva il dono, la virtù della castità, in grado eminente. Molti altri avevano, pure la stessa virtù, ma in grado meno eminente. Molti si distinguevano per altre virtù, come l'obbedienza, l'umiltà, l'amor di Dio, e tutti in proporzione dell'eminenza di queste virtù avevano proporzionate corone. E l'Angelo disse loro:

- Maria oggi ha voluto che voi foste incoronati di così belle rose. Ricordatevi però di continuare in modo che non vi vengano tolte. Tre sono i mezzi per conservarle. Praticate: 1° L'umiltà; 2° l'ubbidienza; 3° la castità: tre virtù le quali vi renderanno sempre accetti a Maria e un giorno vi faranno degni di ricevere una corona infinitamente più bella di questa.

Allora i giovani incominciarono ad intonare davanti all'altare l'Ave, maris stella.

E cantata la prima strofa, in processione come erano venuti, si mossero per partire, mettendosi a cantare la canzone: Lodate, Maria! con voci così forti che io ne restai sbalordito e meravigliato. Li seguii ancora per qualche tratto e poi tornai indietro per vedere i giovani che l'Angelo aveva messi da parte: ma più non li vidi.

Miei cari! Io so quali furono quelli incoronati e quali quelli scacciati dall'Angelo. Lo dirò ai singoli, acciocchè procurino di portare alla Vergine doni che essa si degni di accettare.

.Intanto alcune osservazioni. -La prima: Tutti portavano fiori alla Vergine, e dei fiori ve ne erano di tutte le qualità, ma osservai che tutti chi più, chi meno, in mezzo ai fiori aveano delle spine. Pensai e ripensai che cosa significassero quelle spine e trovai che realmente significavano la disobbedienza. Tener danari senza licenza e senza volerli consegnare al Prefetto; domandar permesso di andare in un sito e poi andare in un altro; andare a scuola più tardi e quando è già qualche tempo che gli altri vi si trovano; fare insalate e altre merende clandestine; andare nelle camerate altrui quando assolutamente è proibito, qualunque motivo o pretesto possiate avere; alzarsi tardi alla levata; lasciare le pratiche di pietà prescritte; ciarlare quando è tempo di far silenzio; comprar libri senza farli vedere; mandar lettere senza licenza, per mezzo di terza persona, acciocchè non sieno viste e riceverne collo stesso mezzo; far contratti, compre e vendite, l'un l'altro; ecco che cosa significano le spine. Molti di voi dimanderanno: è dunque peccato trasgredire le regole della casa? Pensai già seriamente a questa questione e vi rispondo assolutamente di sì. Non vi dico sia grave o leggero: bisogna regolarsi dalle circostanze, ma peccato lo è. Qualcheduno mi dirà; ma nella legge di Dio non vi è che noi dobbiamo obbedire alle regole della casa! Ascoltate: vi è nei comandamenti: - Onora il padre e la madre! - Sapete che cosa voglion dire quelle parole padre e madre? Comprendono anche chi ne fa le veci. Non sta anche scritto nella S. Scrittura: Oboedite praepositis vestris? Se voi dovete obbedire, è naturale che essi abbiano a comandare. Ecco l'origine delle regole d'un Oratorio, ed ecco se siano obbligatorie sì o no.

Seconda osservazione. - Alcuni avevano in mezzo ai loro fiori dei chiodi, chiodi che avevano servito ad inchiodare il buon Gesù. E come? Si incomincia sempre dalle cose piccole e poi si viene alle grandi. Quel tale volea aver danari per secondare i suoi ghiribizzi; quindi, per spenderli a modo suo, non volle consegnarli; poi incominciò a vendere i suoi libri di scuola e finì col rubacchiare danari e roba ai compagni. Quell'altro volea solleticare la gola, quindi bottiglie, ecc. poi si permise licenze, insomma cadde in peccato mortale. Ecco come si trovarono in quei mazzi i chiodi, ecco come il buon Gesù venne crocifisso. Lo dice l'Apostolo che i peccati tornano a porre in croce il Salvatore: Rursus crucifigentes filium Dei.

Terza osservazione. - Molti giovani avevano tra i fiori freschi e odorosi dei loro mazzi anche dei fiori guasti e marci o dei fiori belli senza odore. Quelli significavano le opere buone ma fatte in peccato mortale, opere che a nulla giovano per accrescere i meriti loro: i fiori poi senza odore sono le opere buone ma fatte per fini umani, per ambizione, solamente per piacere ai maestri e ai superiori. Quindi l'Angelo li rimproverava che osassero portare a Maria simili offerte e li rimandava indietro ad accomodare il loro mazzo. Essi si ritiravano, lo disfacevano, toglievano i fiori guasti e poi, ordinati di nuovo i fiori, li legavano come prima e li riportavano all'Angelo il quale allora li accettava e li poneva sulla mensa. Questi poi nel ritornare non seguivano pi√π alcun ordine, ma appena erano pronti, chi prima chi dopo, ciascuno riportava il suo mazzo e si andava a collocare con quelli che doveano ricevere la corona.

Io vidi in questo sogno tutto ciò che fu e che sarà dei miei giovani. A molti l'ho già detto, agli altri lo dirò. Voi intanto procurate che questa Vergine Celeste da voi riceva sempre doni che non abbiano mai ad essere rifiutati.

 

 

 

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