Il Piemonte preparato alla guerra contro l'Austria - Per una dimenticanza due chierici dell'Oratorio non sono annoverali tra quelli esenti dal servizio militare - Consiglio provvidenziale a D. Bosco del Ministro dei Culti - Il diritto di esenzione è assicurato ai due chierici - Un arruolatore di volontari nell'Oratorio.
del 29 novembre 2006
Negli ultimi mesi dell'anno 1858 e nei primi del 1859 maturavano avvenimenti, che dovevano mutare le sorti degli Italiani e nello stesso tempo dar campo a D. Bosco di esercitare la sua prudenza e la sua carità. Correvano voci insistenti di guerra, che da lungo tempo andavasi preparando.
Il Governo Piemontese aveva agguerrito l'esercito, provveduto all'erario, cercate alleanze potenti, costrutte ferrovie e nuove strade di comunicazione tra le provincie, per ritentare la prova di scacciare gli Austriaci dal Lombardo Veneto. Quando il fisco austriaco aveva posto il sequestro sui beni dei fuorusciti lombardi, ritenuti complici della fazione sanguinosa accaduta in Milano nel febbraio del 1853, il Governo subalpino ne faceva forti richiami alle Potenze Europee. E il Parlamento votava allora un credito per compensare i fuorusciti del danno patito. Ciò aveva dato origine al ritiramento degli ambasciatori di Piemonte e d'Austria.
Poi nel Congresso di Parigi, che, nel febbraio del 1856, determinava le condizioni della pace colla Russia, il Conte di Cavour muoveva gravi accuse contro il Governo di Napoli, proponeva di separare amministrativamente da Roma le Pontificie legazioni, ossia le provincie di Bologna, Ravenna e Ferrara, e di mettere fine all'occupazione Austriaca in Italia. Una gran colpa aveva l'Austria in faccia alle sette. Era sempre accorsa a difendere il potere temporale del Papa ogni qualvolta lo vedea minacciato.
Il Congresso però nulla aveva risoluto, ma Cavour dovette certamente ottenere promesse di aiuto dalla Francia e dall'Inghilterra. Infatti i settarii si diedero qua e là a sommuovere le provincie italiane e a raccogliere le file della rivoluzione. Varii governi avevano per bonomia rimessi in tanti ufficii dello Stato, anche dei più gelosi ed importanti, liberali, convinti di aver congiurato contro di essi, persuadendosi che non sarebbero più stati traditori. E così preparavano la propria rovina. Il soldato Agesilao Milano tentava di uccidere con un colpo di baionetta Ferdinando II, e varie torme armate sbarcavano sulle coste del Napoletano; ma capitavano male.
Finalmente lo scoppio delle bombe Orsini decideva Napoleone ad obbedire alle ingiunzioni dei capi delle sette; e nell'estate del 1858 invitato da lui Camillo Cavour ai bagni di Plombières, fu stabilita verbalmente l'Unità d'Italia sotto la Monarchia Sabauda, la spogliazione della S. Sede riducendo il Papa a un piccolo stato oltre Roma, e la cessione alla Francia di Nizza e Savoia in compenso dell'aiuto, che avrebbero prestato ai piemontesi gli eserciti dell'Impero.
Tutte queste disposizioni erano tenute segretissime, finchè Napoleone III nel suo discorso al corpo diplomatico, venuto a complimentarlo il dì primo dell'anno 1859, volgendosi all'ambasciatore Austriaco così gli diceva: - Duolmi che le nostre relazioni col vostro Governo non siano più così buone come pel passato! - E tutti intesero essere prossima la guerra.
Faceva eco a Napoleone Re Vittorio Emanuele, il quale al 10 gennaio inaugurando l'apertura del Parlamento, diceva: - L'orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno e non siamo insensibili al grido di dolore, che da tante parti d'Italia si leva verso di noi !....
Il 18 gennaio Cavour e Lamarmora a nome del Re, il principe Napoleone ed il generale Niel a nome dell'Imperatore, firmarono in Torino il trattato di alleanza difensiva tra la Francia ed il Piemonte. Il 17 febbraio le camere votavano un imprestito di cinquanta milioni per la difesa nazionale, mentre le nuove reclute erano chiamate sotto le armi.
Fra queste dovevano essere annoverati i Chierici Cagliero e Francesia iscritti nella leva del 1858, se D. Bosco non avesse trovato il modo di salvarli.
La legge del 1854 concedeva il diritto alle Curie Vescovili di presentare ogni anno al Governo la lista di que' loro chierici, che dovevano essere esentati dal servizio militare: cioè uno ogni ventimila diocesani. Il Ch. Cagliero erasi presentato a quella di Torino per avvisarla come egli e Francesia non dovessero essere esclusi da tale esenzione; ed il Rettore del Seminario, Can. Vogliotti, avealo assicurato che sarebbero ambedue messi in nota. Distratto da molti affari, Cagliero non badò, prima che spirasse il tempo fissato alla presentazione dei nomi degli esenti, a ricordare in Curia tale promessa con una domanda per iscritto. Intanto un curiale aveva stesa la lista completa omettendo i nomi di Cagliero e Francesia. Questi per dimenticanza ed inesperienza non avevano ritirata dal 1855 la patente di vestizione clericale, e quindi non erano stati inscritti nell'elenco degli ecclesiastici diocesani. Da ciò la causa di quell'omissione.
Quand'ecco un mese dopo venir recato all'Oratorio dall'Autorità militare l'ordine a Cagliero e Francesia di partire entro dieci giorni per i quartieri loro assegnati. Don Bosco, che aveva ricevuto quel foglio, lo presentò ai due chierici. Cagliero ne rimase grandemente stupito e non sapeva darsene ragione; passò tosto in Curia per riconoscere come fosse andata la cosa, ma ebbe dei rimbrotti per quelle patenti di vestizione chiericale non ritirate.
 - Siete venuto troppo tardi! gli disse il Curiale.
 - E perchè?
 - La lista di coloro pei quali si domanda l'esenzione al Governo fu già presentata al Ministero.
 - Ma non potrebbero mandare un supplemento?
 - Il numero è completo.
 - E se ci usassero la gentilezza di verificare se in altre diocesi, per es. Alba, Susa, Asti, mancasse il numero concesso per legge e farci iscrivere fra quelli?
 - Non c'è più tempo.
 - Dunque bisognerà che noi partiamo per la guerra!
 - Ci rincresce, ma non sappiamo cosa farci.
Senta, concluse Cagliero. Lei sapeva che noi eravamo chierici. La nostra età constava dalle carte di nascita e battesimo loro consegnate; abbiamo messa la veste clericale con loro licenza; abbiamo subìto i nostri esami e con buon esito frequentando per cinque anni le loro scuole. Se non fummo diligenti nel presentarci una seconda volta per replicare la domanda si è chè non riflettemmo a tale necessità; tanto più che riposavamo tranquilli sulla risposta del signor Can. Vogliotti: ma è strano che siansi loro signori dimenticati di noi, essendo i nostri nomi registrati con quelli degli altri chierici nei registri scolastici del Seminario. Ma non importa: ci rivolgeremo a D. Bosco; ed egli farà.
 - Avendo D. Bosco, non hanno più bisogno di noi, rispose il Curiale, e vedremo come se la caveranno.
Se gli uni avevano ragione, gli altri in sostanza non avevano torto; ma la Divina bontà così disponeva, perchè si conoscesse come nelle grandi e piccole difficoltà a Don Bosco non mancasse il suo aiuto.
Il Ch. Cagliero ritornato all'Oratorio narrò ogni cosa a D. Bosco e vedendo farsi pensoso, aggiunse: - Se bisogna partire per la guerra andrò; Vittorio avrà un soldato di più: o ci lascio la testa o ritorno colle spalline, ma non voglio che lei si prenda fastidii per me.
 - Ma voglio ben prendermeli io e per te questi fastidii, soggiunse D. Bosco.
E quindi consigliò il Ch. Francesia a presentarsi al Can. Vogliotti per chiedere consiglio sul da farsi. Ma il Canonico, in modi cortesi, lo assicurò che la Curia non poteva più far nulla essendosi compiuta in ogni sua parte la pratica col Governo: in quello stesso giorno essere spirato l'ultimo termine per tale presentazione; rincrescergli quell'ommissione per incolpevole dimenticanza e i due dell'Oratorio si industriassero per salvarsi come meglio potevano.
Quando il Ch. Francesia rientrava nell'Oratorio, Don. Bosco era in sull'uscire: - Ebbene? gli disse D. Bosco.
 - Niente! rispose il Ch. Francesia.
 - Allora mi presenterò al Ministero della Guerra.
Ma prima di andare si rivolse a Dio nella preghiera. Egli aveva provata l'influenza di questa nel piegare a' suoi desiderii l'animo dei potenti, ogni volta che pel passato aveva dovuto trattare con essi; e così continuò a fare in tutto il tempo della vita in simili circostanze. - Con questo mezzo, ei ci diceva, se sarà bene, si ottiene quanto si desidera, e si otterrà ancorchè si domandasse a chi non ha per noi nè affezione, nè stima; perchè Iddio in quel momento toccherà il cuore a tale uomo, sicchè accolga favorevolmente la nostra richiesta. - Infatti Neemia raccontando come esponesse una sua domanda di grande importanza ad Artaserse, così si esprime: “ Ho fatto preghiera al Dio del cielo, e quindi ho detto al Re... e il Re mi ha conceduto ogni cosa, perchè la mano aiutatrice del mio Dio era meco..
Il Maggior generale d'Artiglieria Valfré di Bonzo Cavalier Leopoldo, uno dei più alti impiegati nel Ministero della Guerra, accolse D. Bosco con ogni gentilezza. Il servo di Dio narratogli il suo caso, lo pregò di suggerirgli, se vi fosse modo di togliere i suoi chierici da quella condizione, o almeno, almeno di non permettere che fossero allontanati da Torino.
 - Se fossimo in tempo dì pace, rispose benignamente il generale, cancellerei i suoi chierici dal ruolo con un sol tratto di penna; ma stante la guerra imminente non posso farlo. L'assicuro però che i suoi chierici non saranno mandati al fuoco, ma li destinerò a scrivere in qualche ufficio dell'arsenale in Torino, aggregati allo Stato Maggiore. Tuttavia mi sembrerebbe opportuno che lei si presentasse anche al Ministro degli affari Ecclesiastici, di Grazia e Giustizia, il quale potrebbe meglio di me darle un consiglio in affare di sua competenza.
D. Bosco recossi allora al Ministero di Grazia e Giustizia. Era Ministro Guardasigilli il Conte De Foresta Avvocato Giovanni, Senatore del Regno, il quale aveva spesso dato motivo ai lamenti dei Vescovi e del Sommo Pontefice. Don Bosco domandò udienza e l'ottenne quasi subito. Il Ministro lo ricevette assai bene, si rallegrò di poter far la sua conoscenza personale, ammirò ed approvò il bene che faceva educando tanti poveri giovanetti e concluse: - In che cosa posso servirla ?
D. Bosco, che aveva temuto un'accoglienza diversa, a queste parole incominciò a respirare e disse: - Eccellenza, io mi trovo in un impaccio gravissimo e avrei proprio bisogno di lei: ho due chierici, i quali me li ho tirati su, perchè mi assistano nelle mie opere, e da sei o sette anni lavorano con me. Ora essi non furono iscritti dalla Curia nella lista di quelli, che hanno diritto di essere esenti dalla leva militare; questa lista fu già presentata al Ministero. Se i miei chierici partono per la guerra, io resto senza il loro aiuto nell'assistenza di tante centinaia di fanciulli. Mi dicono essere cosa difficile trovar mezzo per esentarli, ma supplico caldamente l'Eccellenza vostra ad aiutarmi in questa fastidiosa circostanza.
 - Io sarei ben lieto di poterglieli salvare...Vediamo intanto il da farsi. - E tirò il cordone dei campanello e, comparso un usciere, gli ordinò: - Pregate il Conte Michele di Castellamonte di passare da me un momento. - Questi venne e rispose che le note delle Curie erano già arrivate e che quella di Torino era completa.
Il Ministro riflettè per un istante e poi si rivolse a Don Bosco: - Le hanno detto che i suoi chierici non possono essere dispensati dal servizio militare. Tale esenzione però mi sembra essere la cosa più facile di questo mondo, senza violare la legge. Segua un mio consiglio. Persuada la Curia ad esaminare e togliere dalla lista presentata al Governo coloro, che sarebbero esenti per altri motivi oltre quello di essere chierici; per cagione cioè di famiglia, di sanità o di altri corporali difetti, e vedrà che ci sarà posto anche per i suoi raccomandati.
D. Bosco si recò subito in Curia pel detto scopo; ma si scusò il Cancelliere, per altri lavori urgenti che aveva tra mano, dallo scrivere alle famiglie dei chierici presentati. Don Bosco allora si offerse a fare egli stesso questa incombenza. Il Cancelliere gli diede quella lista e tosto egli scrisse vent'una lettera, quanti erano i chierici; ed ebbe la fortuna di trovare, che due erano esenti, anche perchè figli unici di madre vedova. D. Bosco allora si portò di nuovo dal Ministro De Foresta e questi fece d'ufficio gli atti necessarii per sostituire Cagliero e Francesia ai due, che erano stati indicati. Il buon prete dovette faticare tre giorni in questo affare con gran pena del suo cuore, perchè, fra i chierici che aveva nell'Oratorio, Cagliero e Francesia erano tra quelli sui quali poteva meglio contare. Il Ch. Cagliero intanto che dal terrazzo aveva in quei giorni viste le migliaia di coscritti che partivano pel campo, andato a far vidimare e a ritirare certe carte necessarie, disse al Curiale: - Sono contento, perchè così io debbo tutto al solo D. Bosco. - Cagliero sentì sempre vivamente le ripulse e le umiliazioni, che D. Bosco doveva soffrire. Ma quegli vedendolo talora triste e di malo umore per tal cagione, sorridendo usciva in qualche facezia e lo rallegrava, dicendogli: - Goloso ! Vuoi tu sempre avere dei dolci? Bisogna bene accostumarsi al lavoro colle contraddizioni; queste fortificano il petto!
Intanto emissarii erano spediti nei diversi Stati d'Italia per indurre giovani volontarii ad accorrere in Piemonte per arruolarsi nell'esercito. Si contarono pi√π migliaia, la maggior parte lombardi, che furono mandati a Cuneo, dove si componeva una divisione militare, la quale sarebbe stata comandata dal generale Garibaldi. Altri arruolatori s'aggiravano tra la giovent√π piemontese non ancora Soggetta alla leva, allettandola colla speranza di ascendere facilmente ai gradi militari e di conseguire onori e gloria. E un grave rischio per questo motivo incorreva D. Bosco in quei giorni di tanti torbidi.
Si era introdotto nell'Oratorio un giovanotto disinvolto di bell'aspetto, col pretesto di visita a qualche alunno del suo paese. Dicevasi commissario di leva, e nascostamente potè parlare a lungo ad un certo numero di giovani, invitandoli a volersi arruolare tra i volontari dell'esercito. Già alcuni avevano acconsentito, quando D. Bosco venne a sapere la cosa. Colla solita tranquillità egli prima pensò bene al da farsi; e poi, a scongiurare il pericolo, sia per lui e per la casa, sia per i giovani, operò in questo modo.
Fece chiamare in sua camera quel commissario, il quale accortosi che D. Bosco sapeva tutto, buon parlatore com'era, s'introdusse con franchezza. Parlò dell'amore patrio, della guerra, della necessità di avere sotto le armi molti giovanotti risoluti e prodi: asserì nell'Oratorio esservene molti abili e desiderosi: averne già iscritti cinque: dirglielo schiettamente sapendo egli quanto amor patrio si racchiudesse nel cuor di D. Bosco: e tirava giù giù, argomenti e paroloni senza fine. D. Bosco lo lasciò parlare per una mezz'ora, onde poter essere a giorno di tutto. Il commissario continuando venne fino al punto di proporre: - Io non intendo di costringere nessuno, ma se D. Bosco permette io ne parlerei in pubblico a tutti i giovani radunati, solamente per dare comodità a chi desidera di far parte dell'esercito.
Qui D. Bosco lo interruppe dicendo: - Io amo la patria davvero e non intendo di oppormi a nessuna cosa che le possa giovare. Qui però per questi giovani vi è una sola difficoltà, che cioè io non sono loro padrone, ma solamente educatore. Essi hanno i genitori o chi ne fa le veci. Questi me li consegnarono e bisogna che a loro io li restituisca. La cosa però si può aggiustare benissimo: io rilascio questi giovani coscritti, di cui mi parlò, a' proprii parenti; dalle loro case potranno mettersi in relazione con lei, e partire anche per la guerra, se i genitori saranno contenti.
 - Non dica così, D. Bosco; e certo che i loro padri e le loro madri si opporranno o metteranno innanzi delle difficoltà. Io ho già mandato i nomi di cinque de' suoi alunni al ruolo e sono già fissati i numeri di matricola. Ora non resta più altro che parlare ad essi ancora una volta, consegnando a ciascuno il proprio numero: e la cosa sarà fatta.
 - Anzi, meglio: facciamo così; mi dica il suo nome, cognome, e dimora che prenderà qui in Torino. Io all'istante rimando i giovani a casa loro, e scrivo ai parenti che si mettano in diretta relazione con lei. Quindi fin da questo momento ella può essere in libertà, cessando il motivo che lo consiglia a fermarsi in questa casa.
 - Ma neppure parlare ancora una volta a questi giovanotti?
 - Neppure una volta. Io adesso darò ordine ai giovani che si ritirino nelle scuole e nei laboratorii ed appena ritirati, la S. V. potrà partirsene.
 - Ma sappia che i suoi giovani sono amici di Garibaldi e vorrebbero .....
 - Anch'io sono amico di Garibaldi e prego il Signore, che egli possa trovarsi tranquillo ed in grazia sua nel punto di morte.
Intanto i giovani si ritirarono dal cortile. Don Bosco accompagnò quell'intruso fino alla portieria, lo salutò cortesemente, e diede quindi al portinaio la proibizione di lasciarlo più entrare in casa o di parlare con chicchessia.
Tuttavia siccome nell'Oratorio si era destato un po' di fermento e si parlava d'amor patrio, di guerra, di volontariato, D. Bosco mandò a chiamare i giovani compromessi. Non li rimproverò, ma disse loro con calma: - Vostro desiderio non è più di fermarvi nell'Oratorio, poichè volete arruolarvi tra i volontarii. Ora siccome mi siete stati consegnati dai vostri genitori, andate pure alle case vostre. Io non mi oppongo al vostro divisamento: consegnatevi ai vostri parenti, esponete ad essi il vostro desiderio e fate quanto vi suggeriranno. - E loro faceva premura di partir subito.
 - Ma così restiamo scacciati dall'Oratorio? Esclamavano quei giovani.
 - Non vi scaccio, rispose D. Bosco: andate solo a consultarvi coi parenti e poi se desiderate tornare mi scriverete in proposito e vedrò il da farsi. Però badate bene a non ritornare prima di aver ricevuta una lettera d'accettazione; poichè per rientrare ci vuole una nuova accettazione formale.
Quei giovani dovettero partire.
Se D. Bosco non trattava bene quel commissario di leva o non gli esponeva la ragione della dipendenza dai genitori, sarebbero potuto succedere dei guai. Di quel giorno stesso sarebbero accaduti tumulti popolari alla porta dell'Oratorio.
Gli altri alunni non ebbero più parole e tutta quell'effervescenza svanì.
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