Il nuovo Arcivescovo di Torino.
del 07 dicembre 2006
 
Tre giorni prima che Don Bosco partisse per Frohsdorf giungeva per vie private al Margotti la notizia che a nuovo Arcivescovo di Torino il Papa aveva desti nato il cardinale Alimonda e nel numero dell'II luglio l'Unità Cattolica dava pubblicità alla cosa. Quella designazione produsse ottima impressione nella cittadinanza. Don Bonetti, scrivendo al cardinale Nina, non seppe contenere la propria esultanza e diceva : “ Non posso chiudere questo foglio senza dirle che la nomina dell'Em. Cardinale Alimonda ad Arcivescovo di Torino è da tutti riguardata come una grazia segnalatissima. Oh, come è buono il Signore; Oh, come bene conosce i bisogni delle singole chiese il nostro Santo Padre! É impossibile il non iscorgere in lui lo spirito di Dio. Ora abbiamo la più grande fiducia che sia per incominciare per questa archidiocesi un'era novella ed i salesiani vedono comparire anche per essi un'iride di tranquillità e di pace per lavorare con vie maggiore alacrità per Dio e per le anime ”. Anche il nostro Santo al medesimo Cardinale scrisse : “ Non posso abbastanza esprimere l'entusiasmo con cui fu accolta la nomina del Card. Alimonda ad Arcivescovo di Torino. Farà epoca nella storia di questa nostra Archidiocesi ”. Egli aveva già incaricato il Procuratore di presentare all'Alimonda le felicitazioni a nome suo e di tutti i Salesiani; ma poi scrisse direttamente a Sua Eminenza che si trovava in cura a Castellammare di Stabia e n'ebbe in risposta coni ringraziamenti anche queste confortanti parole: “Vengo a Torino colla fiducia di essere aiutato da Dio per le preghiere delle anime buone! poichè non ho inteso che fare la divina volontà manifestatami dal S. Padre. Mi sono pure di conforto tante belle Istituzioni, tra le quali codesta sua Congregazione colle molteplici sue opere di Carità. Preghi Ella e faccia pregare molto per me la Vergine Ausiliatrice, che di grazie e prodigi con Lei non è mai avara. La riverisco, la abbraccio con paterno affetto e benedico a Lei, a' suoi Reverendi Confratelli, alla grande sua famiglia ” .
Da circa cent'anni la metropoli del Piemonte non aveva più avuto per Arcivescovo un Cardinale ed era certo un onore insigne per la gloriosa città avere un Porporato di tanta virtù e di sì bella rinomanza. Nato a Genova nel 1818, già Rettore del Seminario, canonico prevosto della Cattedrale genovese e Vescovo di Albenga, erasi acquistata una larga riputazione di predicatore dotto ed efficace. Otto volumi di conferenze intorno al Sovrannaturale e quattro di altre sui Problemi del secolo XIX gli avevano meritato un posto assai distinto fra i grandi apologisti cattolici. Era poi noto il suo spirito sereno e conciliativo, del quale più che mai si sentiva il bisogno per il bene delle anime in quegli anni di aspre competizioni politiche:. Tutto dunque faceva credere che la sua venuta dovesse essere accolta con giubilo dai fedeli e con rispetto dai liberali delle varie gradazioni.
In occasione del suo onomastico Don Bosco volle dargli ancora una prova del proprio contento. Fece dunque legare con eleganza alcuni libri suoi, usciti da poco in nuova edizione, e glieli mandò in omaggio, unendovi questa preghiera da lui composta per il santo Patrono dei Cardinale: “A San Gaetano. - S. Gaetano che avete operato tante meraviglie in vita e dopo morte, siate Protettore costante del vostro servo fedele Cardinale Alimonda; ottenetegli dal Signore buona salute, ma che venga presto tra noi dove il suo gregge ardentemente lo sospira, e si offre e si pone nelle sue mani per fare e dire tutto quello che Egli giudicherà della maggior gloria di Dio. - Preghiera di D. Bosco e di tutti i Salesiani. Torino, 7 agosto 1883 ”, Accompagnò il dono con questa letterina:
 
Eminenza Rev.ma,
 
Con queste poche parole e colla umile offerta di questi libri intendo di offerire gli omaggi rispettosi di tutta la Congregazione Salesiana, che umilmente e rispettosamente implora la sua santa benedizione.
 
Torino, 7 agosto 1883.
Aff.mo Umil.mo obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
Nel Concistoro del 9 agosto il Cardinale fu solennemente preconizzato Arcivescovo di Torino e postulò il pallio, che ricevette dalle mani del Santo Padre il mattino seguente. Il magno giornale milanese in un articolo sul Concistoro inveiva contro Don Margotti, descrivendolo come capo dell'opposizione all'autorità arcivescovile e non risparmiando neppure Don Bosco . “ Don Margotti (sono parole del giornale) lavora umanamente lui e fa lavorare Don Bosco per le cose divine. Dei volumi messi a stampa narrano i miracoli di Don Bosco, ultimo dei quali sarebbe la guarigione di Chambord ”. Quante falsità in poche righe! Sfogliando tutte le annate dell'Unità Cattolica, non si troverebbe parola men che riverente verso i suoi Arcivescovi. Quello che segue sui miracoli merita la stessa fede, come del resto sanno benissimo i lettori. L'articolo terminava così: “La diocesi di Torino presenta da più tempo l'immagine di un treno fuori rotaia. Bisogna rientrare nel binario ed assegnare a ciascuno il suo posto. Le illegittime usurpazioni dovrebbero finire per opera del nuovo arcivescovo. Lo spero, ma non lo credo. Già tutta la romorosa sollecitudine del Margotti e della sua curia per apparecchiare al nuovo pastore straordinarie accoglienze, e gl'indirizzi e le deputazioni e gl'inni delle gazzette rivelano che già si conta di avere l'Alimonda, natura dolcissima e poco atta a intendere le ipocrisie umane, nelle loro mani; il che sarebbe, se si verificasse, incalcolabile iattura ”. La politica sotto colore di zelo religioso cominciava a intorbidare le acque.
Per quello che riguarda i Salesiani, non fu senza significato il fatto che contemporaneamente all'elezione dell'Alimonda il Papa revocasse del tutto la sua disposizione dell'anno antecedente, la quale limitava a Don Bonetti l'accesso a Chieri, come abbiamo narrato nel quindicesimo volume. Vi era motivo di credere che all'atto sovrano non fosse stato estraneo il nuovo Arcivescovo, tant'è che Don Bonetti stimò doveroso rendergliene vive grazie, mettendosi interamente nelle sue mani. “ La mia voce, scriveva , e la mia penna valgono poco, è vero, ma per quel poco che possono valere, io, sotto l'impulso del venerato mio D. Bosco, le adoprerò sempre per rendervi più facile l'esercizio del pastorale ministero ”. Vedremo fra breve come ebbe presto l'occasione di passare dal detto al fatto. La risposta del Cardinale non poteva essere più affettuosa . Scritta dalla mano del segretario, poichè l'Alimonda aveva difficoltà a maneggiare la penna e soleva dettare, porta in fine due righe autografe, che dicono così: “ I miei saluti riverenti ed amorevoli all'ottimo suo Superiore D. Giov. Bosco ”.
Il riapparire di Don Bonetti a Chieri, mentre rinnovava il ricordo del suo zelo, riattizzò i vecchi rancori. Non solamente si mormorò sottovoce, ma si aizzò anche la stampa. Naturalmente il vero bersaglio era sempre Don Bosco: Don Bosco e i suoi seguaci in Chieri, formicolaio di preti e di frati, aver cura delle beghine vecchie e giovani; farsi traffico di inesperte fanciulle per popolare conventi, le cui corporazioni, abolite per legge, dovevano essere anche di fatto abolite; principale imprenditore di tale impresa un istituto sorto alla chetichella, senza autorizzazione e quasi senza che manco le autorità se ne accorgessero, occupare quell'istituto una casa legata al medesimo in eredità da certo signore famoso per loiolesche imprese; ivi otto monache con la scusa dell'istruzione insinuare ad inesperte fanciulle il disamore alla famiglia per poi con le solite arti invogliarle e con promesse costringerle ad abbandonare le loro madri e indossare un velo che si sarebbero strappato un giorno imprecando alla loro sventura; molte essere già le vittime di quelle serve di Dio, ogni famiglia lamentare la partenza di qualche credula parente; col pretesto di subire un esame a Nizza essersene andata da poco e per sempre una giovinetta quindicenne in compagnia della badessa, lasciando nell'ansia l'avola e la madre, sole al mondo; di questi fattacci nessuno curarsi, ma esservi speranza che l'autorevole parola della stampa liberale scotesse dal loro letargo le competenti autorità . Tutta questa tiritera mirava a colpire l'oratorio chierese e il convitto femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Non fu difficile rimbeccare, e con licenza di Don Bosco lo fece Don Bonetti, prima documentando e poi trionfalmente sfidando: “ Don Bosco sfida qualunque persona di Chieri a provare il contrario ” . Più nessuno fiatò; ma non suol essere cosa facile dissipare i sospetti, che d'ordinario traggono origine da simili accuse a carico di persone e d'istituzioni religiose. Noi per ora non aggiungeremo altro. Per Don Bonetti non c'era più nulla da temere, perchè ormai aveva le spalle al sicuro.
Con la data del 7 ottobre il Cardinale, tenendo l'uso di far precedere la voce del Pastore alla sua comparsa nel gregge affidatogli, inviò ai Torinesi la sua prima lettera pastorale col titolo: Spettacolo divino della Chiesa Cattolica. Esponeva in essa le parole dell'Apostolo ai cristiani di Corinto: Spectaculum facti sumus mundo et Angelis et hominibus La Gazzetta del Popolo mosse al documento episcopale una critica malevola, maligna e sciocca, che provocò lo sdegno di Don Bonetti e gli fece venire l'idea di contrapporvi un opuscoletto tutto fuoco, intitolato: Un moscherino e un'Aquila. Ne furono diffuse gratuitamente più di centomila copie. Il Moscherino tentò una replica, chiamando “ boschivo libercolo ” l'opuscolo e “ boschivo avvocato ”l'autore, con ingiuriosa allusione a Don Bosco; ma in sostanza fece una pessima figura.
Approssimandosi la venuta dell'Arcivescovo, il medesimo Don Bonetti ripubblicò il suo lavoretto in appendice a una breve monografia, nella quale dava una succinta notizia sulla vita e sulle opere dell'Eminentissimo Alimonda; anche di questa pubblicazione s'inondò Torino. Era una necessità sgombrare le menti degl'ignari dalle male prevenzioni che la setta andava disseminando contro la persona del novello Pastore.
Un comitato di signori, costituitosi per preparare il solenne ingresso, disegnò di formare un Album, in cui raccogliere pensieri e firme di cittadini ragguardevoli per poi farlo convenientemente rilegare e presentarlo quale omaggio nel giorno della venuta. Ne fu trasmesso un foglio anche a Don Bosco, che vi scrisse queste parole: Maria sit sibi et omnibus Dioecesanis tuis auxilium in vita, levamen in angustiis et in periculis, subsidium in morte, gaudium in coelis. - Joannes Bosco Sacerdos, Rector Maior.
Ma la Massoneria lavorava a tutto potere per sollevare ostacoli alla pacifica entrata dell'Eminentissimo. La sua aperta devozione al Papa costituiva un crimine di lesa patria agli occhi dei politicanti e dei loro pedissequi in quegli anni di bilioso anticlericalismo.
Il Cardinale, appena preconizzato, aveva scritto una bella lettera al Di Sambuy, sindaco di Torino, il quale ne diede comunicazione al Consiglio, notificando in pari tempo la già avvenuta concessione del regio Exequatur; tutto dunque lasciava credere che i rappresentanti della città avrebbero preso ufficialmente parte all'ingresso. Uscì allora un anonimo libello, destinato a scongiurare un tanto pericolo. S'intitolava Clericalismo a Torino ed era dedicato alla Giunta Municipale. La bile massonica stillava da ogni riga. Vi si versavano insulti a piene mani contro la sacra persona dell'Arcivescovo; e neppur lì Don Bosco veniva risparmiato. Contro di lui infatti si dava l'allarme con questa tirata: “ Torino deve cessare di essere la città della rivoluzione, per diventare il centro del risorgimento religioso italiano; deve cessare d'essere la cittadella della rivoluzione, per diventare la città prediletta di Maria Ausiliatrice! Così predicano i clericali e non invano Con una abnegazione che sarebbe follia negare, con una tenacità di proposito che li onora, hanno seminato la città ed il contado di istituti educativi, di beneficenza, vivai di clericalismo. Don Bosco ha fra noi la sua    casa madre; quest'uomo prodigioso, degno d'ispirare una fra le più splendide pagine di Smiles, quest'uomo che dal nulla seppe riempire l'Italia, l'Europa della sua fama, questa incarnazione vivente della potenza formidabile del clericalismo, ha il suo quartiere generale nella nostra città. Qui forma i suoi preti, piegandoli all'obbedienza cieca, passiva, cretina, imbevendoli di pregiudizi, di caparbietà, d'intolleranza, per lanciarli domani nel nostro contado a divulgare il verbo del clericalismo ”. A modo suo, chi si sveleniva così, mostrava minor incomprensione di Don Bosco che non certi altri,
Anche in teatro echeggiò lo schermo. Al Gerbino, il 16 novembre, si dava un dramma ridotto dal francese; era contro i legittimisti . Un attore disse: - In Italia di legittimisti non ve n'hanno che due: il Papa e Don Bosco. - Una voce dalla platea gridò: - E il Cardinale Alimonda. - Gli applausi scoppiarono in tutta la sala.
Per le modalità dell'ingresso le cose si erano complicate. La questione stava in questi termini: se, entrando in Torino un Principe della Chiesa, che gentilmente aveva avvertito il Sindaco e il Municipio del suo arrivo nelle ore pomeridiane del 18 novembre, il primo Magistrato cittadino e la Giunta potessero andare a riceverlo alla stazione. I tre maggiori giornali del liberalismo piemontese più o meno settario dicevano di no; il Sindaco, la Giunta e il popolo rispondevano di sì. L'Alimonda, saputo di tale dissenso, deliberò di fare privatamente il suo ingresso. - Padre spirituale di tutti i Torinesi, disse, anche di quelli, se ve ne sono, che non mi accettano, io non intendo che il mio primo passo nella mia nuova patria sia argomento di discordie. Vengo portatore di pace, di tranquillità, di reciproco amore, e ben altro sacrifizio son disposto a fare a Torino che non sia l'onore d'un solenne ricevimento. - Ma il Sindaco, per la dignità della città, non volle arrendersi a imposizioni, non credendo che per essere liberali bisognasse essere incivili.
Se non che l'Arcivescovo, scorgendo che un ricevimento solenne non sarebbe avvenuto senza pericolo di qualche discordia o dispiacere, il 15 novembre con una sua nobilissima lettera da Genova ringraziò delle onoranze che si erano preparate per lui e dichiarò di sottrarsi a qualunque officiale o pubblica dimostrazione. Perciò nel pomeriggio della domenica 18 si portò in forma privatissima alla Cattedrale, dove clero e popolo l'accolsero devoti, ed egli compiè quanto il sacro rito prescrive in simili circostanze. Gli schiamazzi di alunni sfacciati tumultuanti, che avevano emesse grida al passaggio della carrozza chiusa, ebbero la riprovazione di tutti gli uomini un po' assennati e diedero la misura della miseria morale e civile di certi partiti.
I buoni cittadini si fecero un dovere di rendere omaggio privatamente al Cardinale; uno dei primi a visitarlo fu Don Bosco. Il Bollettino del febbraio 1884, accennando a quella visita, accenna pure a “ parole improntate della più squisita benevolenza ” rivoltegli dall'Arcivescovo, ma non le riferisce. Sua Eminenza e Don Bosco s'incontrarono poi pubblicamente la prima volta nella chiesa di S. Giovanni Evangelista il 27 dicembre, festa dell'Apostolo. Il Cardinale celebrò la Messa delle otto e parlò prima di distribuire la santa comunione. Terminata quindi la cerimonia, visitò con Don Bosco i nuovi locali dell'oratorio festivo di S. Luigi, dove fece un discorsetto ai ragazzi.
L'Eminentissimo, che aveva già scelto la tipografia dell'Oratorio per la stampa de' suoi scritti, non aveva ancora visitato nella sua qualità di Arcivescovo la casa di Don Bosco. Ora avvenne che questi ebbe bisogno di parlai - gli e divisava di recarsi in episcopio entro la mattinata del 15 gennaio; prima però di andarvi, mandò dal segretario arcivescovile a domandare se Sua Eminenza stesse in palazzo e se fosse in piacer suo di accordargli udienza. Il Cardinale, saputo ciò, fece venire a sè l'inviato e gli disse: - Riferite a Don Bosco che tra poco gli falò avere la risposta. - Quegli, tornato a casa, ebbe appena tempo di fare l'ambasciata, che una carrozza si fermava alla porta dell'Oratorio e ne scendeva l'Eminentissimo Porporato, il quale, a chi fu pronto a ossequiarlo, disse: - Per fare più presto, sono venuto io stesso a portale la risposta a Don Bosco. - Giunto verso le dieci e mezzo, s'intrattenne col Servo di Dio per più di un'ora.
Quando il Cardinale entrava, tutto era silenzio; ma nel frattempo, a una parola d'ordine, i vari superiori dalle scuole e dai laboratori condussero i giovani nel cortile, il maestro della banda vi mise in ordine i musici, i campanari corsero alle campane e altri imbandierarono la casa, sicchè, uscendo dalla camera di Don Bosco e affacciandosi al ballatoio, egli fu accolto dagli evviva e dagli applausi di tanti ragazzi, dal suono degli strumenti musicali e dal concerto delle cam­pane. Non capiva in sè dalla sorpresa, al vedere come in sì poco tempo si fossero fatte tante cose, e avrebbe voluto par­lare; ma, impeditone dalle scampanio, si limitò a dire: - Ca­rissimi figli, vi ringrazio, vi benedico e mi raccomando alle vostre preghiere. - Dopo visitò la nuova tipografia e i labora­tori annessi, ammirando le nuove macchine. Appresso, andan­do al santuario, trovò nella sacrestia una larga rappresentanza delle Figlie di Maria Ausiliatrice, venute dal vicino istituto a ossequiare il loro Pastore. Fatta infine una preghiera nella chiesa, ricevette nuove dimostrazioni da molta gente raduna­tasi sulla piazzetta. Risalendo in vettura, disse a Don Bosco che gli era stato sempre a fianco: - lo credeva di fare loro un'improvvisata, ed essi l'hanno fatta a me. Dio li benedica, come ne lo prego di cuore. - Fu una vera gioia in tutti e un vivo desiderio di rivederlo.
Era opinione generale fra i Salesiani d'allora che il Santo Padre, nominando il nuovo Arcivescovo di Torino, avesse di proposito fatto cadere la scelta su d'un Prelato notoriamente amico di Don Bosco; di questo caritatevole divisamento del Papa avremo una prova sicura nelle parole che Leone XIII dirà a Don Bosco nell'udienza dei 1884; d'altra parte noi possiamo con tutta verità asserire che la bontà del cardinale Alimonda fu per Don Bosco un provvidenziale conforto negli ultimi quattro anni della sua vita. A mostrare i sentimenti dell'insigne Presule verso il nostro Padre nulla val meglio di queste righe ch'egli scrisse subito dopo aver ricevuto l'annunzio della morte di lui . Diceva: “ Il venerato e caro mio Don Giovanni non ha voluto aspettarmi, perchè una volta ancora baciassi la sacra sua mano e mi raccomandassi alla sua intercessione appresso Dio! ”. Il Signore dispose che anche in questo si avverasse per Don Bosco ciò che era stato predetto agli Apostoli : Voi sarete in tristezza; ma la vostra tristezza si cangerà in gaudio.
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