Nel terremoto del febbraio 1887.
del 11 dicembre 2006
IL 22 febbraio, ultimo giorno di carnevale, Don Bosco volle ancora assistere dal suo ballatoio ai divertimenti che, secondo il consueto, si facevano dai giovani nel cortile; anzi prima di ritirarsi in camera prese a lanciare manate di nocciuole, che i ragazzi, dimentichi dei loro giuochi, corsero a raccogliere con molta avidità, perchè eran nocciuole di Don Bosco. Più tardi, radunati gli alunni della quarta ginnasiale, fece loro una distribuzione di medaglie, che ebbe del misterioso per il modo come raccomandò che le tenessero care, dicendo loro che ne sarebbero preservati da qualsiasi disastro. E un disastro accadde subito la mattina seguente: un terremoto spaventevole che colpì fieramente la Liguria, ripercotendosi forte anche nel Piemonte. Don Bosco aveva parlato a caso o presagiva qualche cosa? Don Viglietti scrive essergli stato detto da lui il 4 marzo che aveva dato le medaglie per il disastro del terremoto, ben sapendo quello che doveva accadere la dimane. A queste sue parole si credette di poterne connettere altre dette il 5 gennaio. Interrogato perchè al principiare del nuovo anno avesse taciuto di futuri avvenimenti per il 1887, aveva risposto: - È meglio che io taccia, perchè sarebbe un allarmare troppo gli animi. Si spaventerebbero tutti e vivrebbero inquieti.
A Torino la scossa fu violenta. I giovani dell'Oratorio, che si erano alzati da appena un quarto d'ora, fuggirono a precipizio dalle camerate nel cortile. Coloro che stavano in chiesa, scapparono fuori. Nel gran panico si tendevano le braccia verso la statua di Maria Ausiliatrice ritta sulla cupola. In quel momento Don Viglietti entrava nella camera di Don Bosco. Lo trovò che rideva e diceva: - È un ballo involontario. Ero qui per alzarmi; ma, aspettando che l'ondulazione finisse, mi sentii freddo alle spalle e mi sono di nuovo coricato.
  Scene di terrore si ebbero nei collegi della riviera, dove le scosse si ripetevano a intervalli più o meno lunghi. Per alcune notti i giovani dormirono attendati all'aperto. Il Direttore del collegio di Varazze dopo alcuni giorni domandò a Don Bosco che cosa si dovesse fare, se fosse cioè da rientrare in casa o no. Il Santo fece rispondere: - Ritiratevi in casa. Il terremoto non vi recherà danno. - E così fu.
  Il centro della massima attività era stato nel golfo di Genova, lungo la linea che da Savona si protende a Mentone. Le vittime ascesero a parecchie migliaia. Dappertutto case diroccate o pericolanti; alcune chiese crollate; in tutta la regione immensi disastri. Tanta sventura commosse i cuori italiani. Le sottoscrizioni aperte dai giornali dimostrano che quella catastrofe era considerata come calamità nazionale. Don Bosco, resosi conto dell'entità dei danni, fece scrivere ai Direttori delle case salesiane liguri che si prestassero al soccorso con ogni aiuto possibile, materiale, personale e morale. Poi per suo incarico Don Cerruti scrisse ai Vescovi di Savona, Albenga e Ventimiglia : “ Il mio amatissimo superiore Don Bosco, profondamente commosso del disastro che desolò tanta parte di questa Diocesi, desidererebbe venire anch'egli in aiuto per alleviare in qualche modo le conseguenze terribili del terremoto. Mentre pertanto ha raccomandato al Direttore della Casa salesiana di Varazze di prestarsi con tutti i mezzi possibili a sollievo degli infelici, m'incarica pure di partecipare all'Eccellenza Vostra che egli riceverà volentieri gratuitamente qui a Torino ed, occorrendo, a Sampierdarena, quattro giovanetti tra i più miserabili rimasti abbandonati in causa del terremoto ”. Erano dunque dodici giovanetti che Don Bosco si proponeva di educare e mantenere.
  Parve grazia singolare della Madonna che i Salesiani e i loro alunni fossero andati esenti da disgrazie personali, non essendosi avuti nè morti nè feriti nè contusi; ma i danni materiali furono rilevanti. In Piemonte gli edifizi soffersero lesioni facilmente riparabili; non così nella Liguria, dove alcune delle nostre case restarono molto malconce, più di tutte quella di Vallecrosia, che bisognò sgombrare interamente; quindi chiuse le scuole esterne, inviate alle loro famiglie le educande, trasferite a Nizza Monferrato le rimaste orfane di genitori o prive di abitazione.
  Ricevute le relazioni dei singoli Direttori, Don Bosco diramò tosto due circolari. Con una ingiunse ai Salesiani di destinare in ogni casa un giorno, nel quale innalzare a Dio preghiere di suffragio per le vittime e celebrare una funzione di ringraziamento per l'incolumità concessa a tutti gli abitatori delle case salesiane; inoltre per poter sopperire agl'imprevisti bisogni raccomandava di non mettere mano durante un anno a fabbriche, a riparazioni, a lavori, ad acquisti non richiesti dalla necessità e di sopportare volentieri sacrifizi e privazioni voluti dalla circostanza. Con l'altra circolare informava i Cooperatori dei danni patiti e delle conseguenti spese, domandando loro umilmente la carità .
  Di tutte le case lesionate quella di Vallecrosia preoccupava maggiormente Don Bosco, non solo perchè essa aveva patito più d'ogni altra, ma anche perchè la forzata sospensione dell'attività salesiana andava troppo a vantaggio dei protestanti. Subitamente quindi mandò sul posto l'impresario Giosuè Buzzetti, affinchè vedesse il da farsi e la spesa occorrente. Questi dopo diligente esame scrisse che per rendere l'edifizio provvisoriamente abitabile bastava una somma di circa seimila lire, mentre per eseguire gli altri lavori indispensabili ci voleva assai più. La lettera fu letta a Don Bosco durante il pranzo. Egli disse: - Il Signore ci penserà, stiamo tranquilli. E presa la lettera, se la pose accanto al piatto. Sul finire del pranzo entrò il conte Eugenio De Maistre, che, fatti i convenevoli, chiese a Don Bosco: - Caro Don Bosco, ha bisogno di danaro?
   - È domanda da farsi questa a Don Bosco? rispose. Pensi un po': ho da finire la chiesa del Sacro Cuore a Roma, ho tanti giovani da mantenere e tante altre spese a cui fare fronte.
   - Bene, ripigliò il Conte; sappia che una mia vecchia zia voleva lasciarle qualche somma per testamento; ma poi, sapendo essere meglio un lume davanti che due di dietro, mi ha incaricato di portarle senz'altro questo piego.
  Così dicendo, lo rimise a Don Bosco, pregandolo di osservare il contenuto. Doli Bosco lo passò a Don Rua, invitandolo a guardare. Don Rua estrasse e contò sei biglietti da mille.
  Il fatto fu narrato da Don Rua stesso a Don Lemoyne, che ne prese nota e il suo appunto si conserva nei nostri archivi. Dall'insieme non risulta che Don Bosco dicesse al Conte quale uso avrebbe fatto di quel danaro; è anzi cosa da escludere, come si fa manifesto dalla seguente lettera, destinata a servire di ricevuta nei riguardi dell'oblatrice.
 
                                       Carissimo Sig. Conte Eugenio,
 
Nel suo passaggio a Torino si compiacque di venirci a fare una visita, visita veramente di carità.
  Noi ci trovavamo con una scadenza di 6 mila franchi ricevuta alcuni minuti prima ed era appunto uno dei debiti lasciatimi dai nostri Missionari nel partire per la Patagonia; ieri alle 10 del mattino fu saldato quel debito con un'ammirazione del creditore e con meraviglia di me stesso che non credeva poter ancora fare quel pagamento, Dio benedica Lei, caro Sig. Eugenio, che ne fu benemerito portatore e benedetta la caritatevole zia che ne fu la generosa donatrice
  Tutti i nostri missionari, tutti i nostri duecentocinquanta mila orfanelli pregheranno che largamente si degni Iddio di compensarli tutti nel tempo e nella eternità.
  In questa medesima occasione debbo compiere un mio dovere quale si è di ringraziarla delli benefizi che fece a tutta la Congregazione Salesiana e ai loro allievi in più circostanze. Noi sentiamo in questo momento la grandezza dei suoi favori per le strettezze in cui versiamo e per la moltitudine di orfanelli che da ogni parte ed incessantemente dimandano salvezza.
  Dio la benedica, sig. Conte Eugenio, e con Lei la Vergine protegga tutta la sua famiglia, li guidi tutti costantemente pel cammino della virtù, fino al Paradiso, ma con Lei e con questo povero scrivente insieme
  È un tempo notabile che non ho più scritto lettere, perciò mi compatisca la mala scrittura ed i pensieri poco ordinati; ciò mi servì d grato trattenimento con chi grandemente amo nel Signore ed ogni giorno faccio un memento particolare nella Santa Messa.
  Sempre contenti quando possiamo vederla o poterla in qualche cosa servire ho l'onore ed il piacere di potermi professare.
Di V. S. Car.ma
      Torino, 6 Marzo 1887.
 
Umilis.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
 
L'offerta riuscì dunque doppiamente provvidenziale, perchè servì a saldare un debito urgente che ammontava per l'appunto a seimila lire e rese quindi possibile disporre a suo tempo di egual somma per i primi lavori di Vallecrosia.
  In un frangente di tal natura non poteva Don Bosco non sollecitare la carità delle persone più atte a comprenderlo e più disposte ad aiutarlo. Ecco infatti alcune delle lettere da lui indirizzate allora a benefattrici e a benefattori. Scrisse alla marchesa Enrichetta Nerli fiorentina, una anch'essa delle mamme.
 
                  Ill.ma Sig.a Marchesa e Car.ma come Madre,
 
Ho ricevuto in buono stato la importante e grossa cassa di bottiglie di rarissimo ed eccellente vino. Sono un po' mortificato perchè, suo figlio affezionato, come lo voglio essere, dovrei io medesimo offerirlo alla caritatevole madre mia. È di ottimo gusto e di ottima qualità.
La vita che questo liquore prezioso mi prolunga è senza dubbio fra gli altri doni che mi fa. Dio sia in ogni cosa benedetto, e benedetta la sua grande carità, specialmente in questi calamitosi momenti, che certamente non avrei osato a farne spesa. Le case di Liguria, parecchie orfanelle ed orfanelli colle nostre suore disperse, mi riducono in istrettezze tali che finora non ho mai provato. Ma Dio ci ha sempre sostenuti, Maria ci ha sempre protetti e la nostra fiducia non verrà mai meno. Ella però ci voglia aiutare colle sue sante preghiere; e così le professiamo in tutte le cose la più sincera gratitudine, e nella speranza di poterla ossequiare personalmente reputo a prezioso momento potermi dire ora e sempre suo
Torino, 3 marzo 1887.
 
Umil.mo figlio
Sac. Gio. Bosco.
 
  In risposta la Marchesa gli mandò cinquecento lire. Il Santo, accusandone ricevuta, la ammonì di far presto a stendere il suo testamento: non tardasse di un sol giorno, perchè altrimenti sarebbe rimasta come Giobbe e morrebbe abbandonata da tutti senza poter più disporre di nulla. La signora non prese alla lettera il consiglio; perciò avvenne che, caduta inferma verso la fine di marzo, i servi e il medico la isolarono da ogni genere di persone. Anche al Direttore della casa di Firenze, che voleva visitarla, fu vietato l'accesso. Morta che fu, l'abbandonarono interamente, sicchè dovette Don Febbraro fare la guardia al cadavere. Di valori nulla si trovò o meglio nulla si seppe; la pingue eredità, della quale essa intendeva che beneficiassero opere pie, andò a finire nelle mani di parenti remotissimi.
  Benefattore costante e generoso era sempre il genovese Oneto Dufour. Anche a lui scrisse con la sua consueta semplicità:
 
                                       Stimat.mo Sig. Oneto Dufour,
 
Non le cagioni meraviglia se questo povero prete fa eziandio ricorso alla sua carità che mi è assai conosciuta. Io mi trovo di averne grande bisogno. Le nostre case furono in Liguria tutte più o meno danneggiate dal disastro del terremoto: ma l'istituto delle orfanelle, le scuole, la casa e la chiesa di Valle Crosia presso Ventimiglia furono rovinate e dimandano di essere riparate e rifatte prontamente. In questo momento io sono privo di mezzi pecuniarii, e se Ella può venirmi in aiuto, mi raccomando per amor di Dio. Certamente Maria la ricompenserà con grazie speciali che spanderà copiose sovra di tutta la sua figliuolanza e sovra il resto di sua famiglia.
  Dio la benedica e la conservi in buona salute, mentre ho l'onore di professarmi con gratitudine.
Di V. S. Stimat.ma
 
     [Senza data].
 
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
PS. Sono vecchio e semi - cieco, perciò compatisca la cattiva scrittura.
 
A Genova era pure il signor Raffaele Cataldi, ricco banchiere e caritatevole cristiano. Teatro del disastro essendo stata la Liguria, il Santo vide in questa particolarità un motivo di più per invocarne il soccorso .
 
                                     Car.mo Sig. Raffaele Cataldi Banchiere,
 
È già passato buon tratto di tempo senza che avessi l'onore di poterla riverire personalmente, ma non ho mai dimenticato di pregare ogni giorno per lei e per tutta la sua famiglia. Ora un motivo assai grave mi fa ricordare Lei e la sua carità. Il testè avvenuto disastro del terremoto ha più o meno danneggiato tutte le nostre case di Liguria; ma il nostro Ospizio, Chiesa, scuole di Valle Crosia presso Ventimiglia furono rovinate. Esse dimandano pronta riparazione e nuove costruzioni. Io non posso provvedere a questi bisogni in questo momento di tante miserie. Ella, potrebbe venirmi in aiuto? lo mi raccomando per amor di Dio che certamente la ricompenserà largamente.
  Io sono divenuto vecchio e semi - cieco, perciò compatisca questa mia mala scrittura,
  Io ricordo la sua famiglia e il santo di Lei genitore. Pregherò ben di cuore la Santa Vergine, affinchè tutti li protegga e li guidi sempre per la via del Cielo. Amen.
Con somma gratitudine le sarò sempre in G.
 
       [Senza data].
 
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
 
Don Varettoni, prevosto di Rio S. Martino nel circondario di Mirano, provincia di Venezia, gli aveva spedito spontaneamente una buona offerta; onde così lo ringraziava.
 
                                                Car.mo Sig. Prevosto,
 
Io non posso ammirarne abbastanza la sua carità ed il distacco con cui la fa.
  Nei bisogni gravi ed urgenti in cui mi trovo la sua offerta sarà in modo speciale ricompensata. Il suo nome è già registrato fra gli insigni benefattori dei nostri orfanelli. Io benedico Lei e la sua carità: ma lodo altamente il suo coraggio, perchè Ella stessa fa le opere, senza aspettare che altri le faccia dopo di Lei come fanno taluni, che per lo più restano ingannati.
  Noi pregheremo tanto per Lei ed Ella mi ami in Gesù e Maria. Non avremo la consolazione di vederla almeno una volta fra noi?
Maria ci guidi tutti al Cielo.
     [Senza data].
 
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
Ad una marchesa Taliacarne, Figlia della Carità, nell'ospedale torinese di S. Giovanni, fece umile istanza di qualche soccorso. Dal contesto si vede che essa aveva la possibilità e la buona volontà di largheggiare in beneficenza.
 
(Senza intestazione),
 
Permetterà, o Signora Marchesa, che anche questo povero prete faccia ricorso alla sua carità in favore de' suoi orfanelli. Le case nostre furono tutte o più o meno danneggiate dal disastro testè avvenuto pel terremoto; ma quelle di Valle Crosia presso Ventimiglia furono rovinate. Chiusa la chiesa, sospese le scuole, disperse le orfanelle dell'ospizio e le nostre suore inviate in altri paesi. Si richiede o pronta riparazione o nuova costruzione. In questo [momento] sono privo affatto di mezzi pecuniari. Potrebbe colla sua grande bontà venirmi in aiuto per amor di Dio? Io pregherò di cuore per Lei e farò eziandio pregare questi miei orfanelli affinchè sia largamente ricompensata e Maria SS.ma la guidi sicura per la strada del Cielo.
Con somma gratitudine ho l'onore di potermi professare
  Di V. S. Ill.ma
 
Torino, 30 marzo 87.
 
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
 
La religiosa gl'inviò qualche giorno dopo un'offerta di cento lire. Don Bosco le rispose con questa lettera di ringraziamento.
 
                                          Ill.ma e Ben.ta Sig.a Marchesa,
 
Ho ricevuta con vera gratitudine la generosa offerta di L. 100 che V. S. nella sua grande carità degnossi di fare pei nostri orfanelli.
  Io le sarò ognora riconoscentissimo e pregherò sempre il Signore per Lei e secondo tutte le pie sue intenzioni. Intanto i nostri orfanelli da V. S. soccorsi in questi critici momenti hanno subito cominciato preghiere speciali e fervorose comunioni nel Santuario di Maria Ausiliatrice secondo il di Lei desiderio. Ed io ho piena fiducia che saremo esauditi. Dio la benedica, benemerita Sig.ra Marchesa, e la ricompensi largamente di quanto fa pei nostri orfanelli.
  Mi raccomando ancora alla carità delle sue sante preghiere, mentre con la più viva riconoscenza mi professo
Di Lei
Addì 4 aprile 1887.
 
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
 
Dopo un cataclisma così vicino le oblazioni ordinarie diminuirono necessariamente di molto all'Oratorio. Dalla Liguria non veniva più nulla; dalle altre parti della penisola veniva poco, essendo la carità pubblica rivolta a lenire le sofferenze dei danneggiati. Don Bosco, meditando sul come trovare i mezzi per sostenere le sue opere, fece conoscere a tutti i superiori della casa il suo desiderio che ognuno s'ingegnasse di ottenerne da amici, benefattori e conoscenti, rappresentando loro in quali angustie versasse Don Bosco. Questo però non gli aveva impedito, come dicevamo, di aprire le sue case a una dozzina di poveri ragazzi abbandonati. Anche allora si ammirarono tratti speciali della Provvidenza. Il 4 marzo egli disse a Don Viglietti: - Stamane occorrevano duemila lire, ed ecco arrivare da persona ignota un vaglia di mille; le altre mille prima di notte arriveranno. - Arrivarono difatti verso sera.
         Quel giorno il savonese signor Martinengo, prete della Missione, si presentò a lui per domandargli se potesse recarsi senza pericolo presso la sua famiglia. Don Bosco gli rispose che andasse pure tranquillamente, purchè portasse con sè medaglie di Maria Ausiliatrice da distribuire fra i parenti con la raccomandazione che frequentassero i sacramenti; a questa condizione nessun danno avrebbero più ricevuto dal terremoto. La medesima cosa fece raccomandare ai collegi della Liguria.
  Con tante preoccupazioni non c'è da stupire che l'addolcirsi della stagione, anzichè lenirgli le sofferenze, sembrasse da prima acuirgliele. La sera del 5 aprile stette assai male. Rimase affatto senza parola, respirava affannosamente, non poteva muovere le membra. Fu subito svestito e messo in letto come un bambino. La mattina seguente non potè celebrare. Alzatosi tardi, prese un tantino di ristoro; ma non lo ritenne. Verso mezzogiorno ripigliò alquanto le forze, sicchè, facendosi coraggio e dicendo di sentirsi meglio, andò a tavola con gli altri; ma poi fu costretto a coricarsi molto per tempo. Il 7, giovedì santo, celebrò nella sua cappella privata, dove, comunicati i segretari, conservò sacre specie, perchè voleva fare il dì appresso la santa comunione.
  Alla metà di aprile si trovava a Torino il principe Augusto Czartoryski. Accortosi che la salute di Don Bosco andava sempre più declinando, aveva stabilito di fare sotto la  sua direzione un ritiro spirituale per poter decidere definitivamente sul proprio avvenire. Nei numerosi abboccamenti avuti con lui moltiplicò le insistenze per essere accettato subito fra i Salesiani. Don Bosco, sempre lodando il suo proposito di abbandonare il mondo per abbracciare la vita religiosa, lo invitava a considerare se non gli convenisse meglio entrare nella Compagnia di Gesù o nell'Ordine del Carmelo; ma il giovane signore, che aveva visitato molte comunità religiose, diceva che in nessun luogo fuorchè nella Congregazione Salesiana gli sembrava di poter trovare la pace da gran tempo sospirata. - La Congregazione Salesiana non è fatta per lei  gli veniva ripetendo il Santo. Era l'ultima prova, alla quale Dio sottoponeva quell'anima eletta. Fedele alla grazia e sostenuto da una fiducia incrollabile nel divino aiuto, egli in ogni colloquio tornava sempre al medesimo punto. Finalmente, imploratane la benedizione, partì per Roma, precedendovi di alcuni giorni l'arrivo del Servo di Dio, presso il quale noi lo ritroveremo; poichè Don Bosco era ormai risoluto di affrontare quel viaggio per assistere alla consacrazione della chiesa del Sacro Cuore.
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