Capitolo 12

Un grave lutto per la Chiesa di Torino - Previsioni del Ven. Cottolengo - Pretensioni contro la Chiesa - Un altro lutto per D. Bosco - Chiusura del primo anno di Convitto - Gli esercizi a S. Ignazio - In vacanza a Castelnuovo.

Capitolo 12

da Memorie Biografiche

del 19 ottobre 2006

 Un gran lutto veniva ad occupare la città di Torino. Il venerabile Cottolengo, l'uomo da Dio suscitato in soccorso di ogni sorta di infermità e miseria umana, santamente spirava la sua bell'anima in Chieri, il giorno 30 di aprile.

Alcuni anni prima, trattenendosi questo gran servo di Dio a parlare col re Carlo Alberto nel palazzo reale, presso ad una finestra che dà sulla sottostante piazza, il Sovrano gli manifestava qualche timore sulla sorte avvenire della Piccola Casa: - Caro Canonico, gli diceva, il Signore ce la conservi; ma ella ha già pensato al suo successore? Se mai morisse, che cosa diverrebbe la sua Istituzione? - Oh Maestà, rispondeva il Cottolengo, dubita della divina Provvidenza? Vede là abbasso che si cangia la sentinella al portone? Un soldato bisbiglia all'orecchio del compagno una parola, questi si ferma coll'archibugio alla spalla, quell'altro se ne va, e, senza che nessuno se ne sia accorto, la sentinella continua e fa il suo dovere benissimo. Così sarà per la Piccola Casa. Io sono un nulla: quando la divina Provvidenza lo voglia, dirà una parola ad un altro, che verrà a prendere il mio posto e vi farà la guardia. - Il giorno da lui tante volte predetto e sospirato, nel quale avrebbe finito la sua guardia per andare in paradiso, era adunque venuto; ed il Can. Anglesio gli succedeva nel montar la guardia alla Piccola Casa, della quale, secondo la profezia del santo fondatore, egli estese le fabbriche fino alla Dora.

E’ superfluo far qui gli elogi di un uomo, che fra poco sarà elevato agli onori degli altari e del quale tutto il mondo conosce la santità. Tuttavia non debbo tacere di un suo detto pronunciato pochi giorni prima della sua morte. La terza domenica dopo Pasqua, aveva terminato, nel monastero del Suffragio, il suo discorso sul desiderio del paradiso e si avviava alla sagrestia; ma, fatti due passi, tornò subito indietro, e collocandosi accanto l'altare inculcò caldamente di pregare per la Maestà di re Carlo Alberto e per tutta la famiglia reale; quindi, sollevando le braccia e fissati gli occhi al cielo come chi cerca un segreto e trovatolo prega che quel segreto non si compia, coll'anima penetrata da profondo dolore, esclamò: - Fintanto che ci sarà Carlo Alberto!  - e si tacque. Che cosa voleva significare con queste tronche parole il servo di Dio?

Il Piemonte in quei tempi era uno dei regni più cattolici del mondo nella sua legislazione. I liberali tuttavia elevavano di quando in quando nuovi pretesi diritti dello Stato, che danneggiavano la Chiesa, la quale, madre pietosa, talora accondiscendeva a cedere su qualche punto disciplinare per impedire mali maggiori. Il Governo aveva posto certe limitazioni all'accettazione dei novizii nelle case religiose, e ciò in vista della coscrizione militare. Ma non è giusto che a Dio si offrano le primizie delle sue creature pel suo servizio? A lui non sta la scelta di esse colle vocazioni? S. Gregorio Papa per questo non cancellò, come contrario alla legge di Dio, il decreto dell'Imperatore Maurizio, che proibiva ai militari di darsi alla vita monastica?

E’ vero che la suddetta limitazione a primo aspetto pareva di poco danno alle vocazioni religiose; però con essa aprivasi alle autorità civili una nuova via per introdursi nelle cose ecclesiastiche.

Venne adunque stabilito dal Governo, annuente la Chiesa, che i Superiori degli Ordini religiosi, per accettar novizi non ancor caduti nella leva militare, richiedessero il consenso del Vescovo della diocesi, in cui stava il convento; escludessero i giovani in sui vent'anni; e i Vescovi dessero ogni anno ai ministri di guerra e di marina la nota di quelli che erano ammessi al noviziato. Vietossi ancora ai Superiori di allontanare i novizi dallo Stato prima della coscrizione: agli stessi fu prescritto di comunicare al Vescovo i nomi di quelli che non proseguivano a vivere nel chiostro: e finalmente ogni novizio, per andare esente dal servizio militare, prima di estrarre il numero di leva, doveva far domanda di entrare in religione e non uscire dallo Stato senza prestare la cauzione prescritta dal regolamento.  

Queste disposizioni erano annunziate ai fedeli da Mons. Fransoni colle circolari del 9 luglio e 15 novembre 1842. Mons. Fransoni però, esperto conoscitore degli uomini, scorgeva in questa controversia i germi di molte altre e ben più gravi.

Nello stesso tempo il Conte Camillo di Cavour aveva fondata una società, che s'intitolò dell'Associazione Agraria. Sembrava rivolta al bene della gente così della città come della campagna. Suo scopo morale apparente era di rendere elementi di edificazione sociale specialmente i coltivatori: avviare i popoli a grandi imprese, promovendo l'unione delle forze; affratellare le città e le provincie nei congressi. Scopo segreto politico era di educare i cittadini alla pubblicità delle discussioni, una preparazione ed un esperimento anticipato del sistema parlamentare. Ebbe quattromila soci, tra i quali primo fu iscritto Carlo Alberto, biblioteca, adunanze pubbliche e private e giornale proprio. Il Re vi mise a presidente il Marchese Cesare Alfieri di Sostegno, glorioso avanzo dei congiurati del ventuno, il quale doveva moderare le intemperanze democratiche.

S'incominciava inoltre a preparare e pubblicarsi da scelti scrittori un'enciclopedia popolare, la quale, mentre promoveva il progresso scientifico e letterario, era destinata ad accendere la scintilla che tenesse vivo in Piemonte quel fuoco patrio, che doveva ravvivarsi a poco a poco in tutte le altre provincie d'Italia.

Il fermento rivoluzionario, che sotto tutto ciò si nascondeva, dava certo a pronosticar male dell'avvenire, e noi siam d'avviso che il venerabile Cottolengo, allorchè pronunziò quelle tronche parole, prevedesse tutti gli avvenimenti che repentinamente poi si succedettero alcuni anni dopo.

Un altro lutto pi√π familiare amareggiava il cuore di Don Bosco nel mese seguente: la morte di quell'angelo di purezza, che era il chierico Giuseppe Burzio. Di lui, quasi vittima di una calunnia, D. Bosco aveva in seminario prese le difese e con perspicacia e prudenza somma aveva sventato l'intrigo e bellamente fatta trionfare l'innocenza. Ora ventenne, novizio degli Oblati di Maria, e sempre in intima relazione con D. Bosco, dopo aver profetato il luogo della sua morte, da Pinerolo era stato condotto a Torino per aver maggiore assistenza nella sua malattia, ma quivi soccombeva nel Convento della Consolata il 20 maggio. Il suo corpo veniva sepolto nei sotterranei della Chiesa, sotto l'altar della Madonna, in mezzo alle tombe di altri suoi confratelli.

Frattanto il primo anno di Convitto per D. Bosco volgeva ornai al suo termine. La chiusura secondo il regolamento, dovea farsi cogli esercizii spirituali a S. Ignazio sopra Lanzo.

A mezzanotte di Lanzo Torinese, sorge, a 910 metri sul livello del mare una vetta isolata delle Alpi, detta Bastia. È un monte in gran parte roccioso e sterile, ombreggiato però qua e là da castagni, abeti e larici. Su quella cima per un voto fatto nel secolo XVI dalle popolazioni dei dintorni, divote di S. Ignazio di Loiola, e per l'apparizione del Santo tra misteriosi splendori, canti e armonie soavissime, si innalzava una Cappella in suo onore. Tosto incominciarono numerosi pellegrinaggi da tutte le parti del Piemonte e principalmente alla vigilia della prima Domenica di Agosto fissata per la solennità del Santo. Nel 1677 la Cappella fu ceduta ai Padri Gesuiti, che vi costrussero l'attuale Chiesa con annesso fabbricato di sedici camere. Espulsi i Gesuiti nel 1774, verso il 1804 il Teol. Luigi Guala incominciò a recarsi in quella solitudine con alcuni compagni a farvi un breve corso di esercizii; e così continuò ogni anno e tanto crebbe il numero dei sacerdoti, che dovettero alloggiare due per cella. Nel settembre del 1808 si tennero pure gli esercizii per i laici e ve ne convennero ben trentadue. Nel 1814 Mons. Della Torre istituì Don Guala Rettore di quel Santuario, rimasto per tanti anni abbandonato, destinandolo all'opera salutare degli esercizii spirituali. E d'allora in poi se ne tennero tre mute tutti gli anni: per gli ecclesiastici, per i laici e per l'Opera Pia di S. Paolo che procurava sussidii pecuniarii. Il Teol. Guala conservò questa reggenza fino alla morte, ed era carissima al suo cuore. Fino al 1847 egli stesso predicò quasi sempre le meditazioni, cercando per predicatori delle istruzioni quanto trovava di meglio nel clero secolare e regolare: fra gli altri sono celebri il Sig. Durando della Missione, il Can. Rebaudengo, i Parroci Compaire e Cagnoli, ed i Gesuiti Bresciani, Menini, Mellia e Lolli. Solo Iddio conosce quante anime uscirono di là ripiene di santo fervore e quanti peccatori si ricoverarono sotto le ali della sua misericordia.

D. Cafasso nelle ultime conferenze al Convitto faceva una calda esortazione a' suoi allievi, perchè prendessero parte a quegli esercizi e insegnava loro bellamente il modo di percorrerli con profitto. D. Bosco non doveva mancare. Egli scrive: “Fin dal primo anno di Convitto 1841 - 42 D. Cafasso, mi invitò ad andar con lui agli esercizi spirituali dei secolari nel santuario di S. Ignazio sopra Lanzo Torinese. L'andata di D. Cafasso a Lanzo era un avvenimento. Fissato il giorno della partenza i vetturini andavano a gara per condurlo nelle loro carrozze. Nel salir la montagna poi, una moltitudine di poveri si affollava intorno a lui per chiedergli soccorso, ed egli porgeva a tutti l'elemosina dicendo a ciascheduno appropriate parole. A questo: - Abbi pazienza nella tua povertà! - A quello: - Sii divoto di Maria; va a confessarti. - Ad un terzo: - Sii obbediente a' tuoi genitori”.

In quei tempi, salivasi alla vetta per un largo, ma talora ripido sentiero. Entrò D. Bosco per la prima volta in quella bella Chiesa, nel mezzo della quale, testimonio dell'apparizione del Santo, torreggia la sommità della rupe colle statue di S. Ignazio e del compagno che era apparso con lui. L'antico convento era stato ristorato ed ampliato dal Teologo. Guala in modo da contenere ottanta persone. Egli procurava agli esercitandi ogni comodità possibile e conveniente, ed il regolamento era ridotto in modo che gli esercizii procedevano col maggior ordine e precisione, scendendo a prevedere tutte le avvertenze da usarsi nei preparativi e nella distribuzione delle varie incombenze al personale dirigente e inserviente. Perciò gli Esercizii di S. Ignazio erano divenuti celebratissimi in tutto il Piemonte, e furono norma e modello, su cui si istituirono o ripristinarono nelle singole diocesi così utili pratiche.

Gli esercizii incominciarono il 7 giugno 1842. Furono predicati dal Padre Menini della Compagnia di Gesù per le istruzioni e dal Teol. Guala per le meditazioni. Ciò consta da uno scritto di D. Bosco contenente le traccie degli argomenti trattati da questi sacri oratori, che noi conserviamo. Ma la predica più efficace per D. Bosco si era ciò che vedeva in D. Cafasso. Il santo suo compaesano non era mai mancato a questi esercizi, nè a quelli dei sacerdoti, benchè non vi predicasse. Tutti precedeva col suo buon esempio, con un raccoglimento costante, coll'essere sempre il primo a tutte le funzioni, e col servire più messe tutte le mattine a guisa di un chierichetto. D. Bosco seguiva fedelmente tutti i suoi passi, come ci affermano i molti che furono con lui a S. Ignazio, fra i quali D. Giacomelli.

Finiti gli esercizi, D. Bosco ritornò in Torino a dirigere il suo caro Oratorio; ma dopo qualche mese vedendolo D. Cafasso abbattuto di forze, lo mandò a respirare l'aria nativa, supplendo egli e D. Guala o qualche altro sacerdote incaricato nel custodire i giovanetti.

La debolezza di salute e la comodità della vettura pubblica avrebbero dovuto in questa circostanza consigliare a D. Bosco di non fare il viaggio a piedi; ma l'amore suo alla povertà evangelica vinse sopra tutte le convenienze.

I pochi giorni passati a Castelnuovo furono tutti occupati in servizio de' suoi conterranei, catechizzando i fanciulletti dei Becchi, di Morialdo e di Castelnuovo, e preparando il materiale per la pubblicazione della Storia Sacra ed Ecclesiastica e d'altri librettini adattati all'intelligenza dei giovanetti, libretti che poi fecero un bene immenso in mezzo al popolo. D. Bosco comprendeva la grandezza del dono che Dio fa all'uomo col tempo, e però se ne prevaleva in favor suo e degli altri, non perdendone alcuna particella, secondo l'esortazione del Savio: “Non ti privare di un buon giorno e del buon dono non perderne nessuna parte”.

 

 

 

 

 

 

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