Udienze, ospitalità, visitatori.
del 06 dicembre 2006
Siamo sempre in tema di vita dell'Oratorio, sebbene il titolo esplicitamente non lo dica. Cercatori di udienze, ospiti e visitanti apportavano dal di fuori note passeggiere di varietà nel ritmo usuale della regolarità quotidiana; giacchè, quantunque Don Bosco fosse il centro di attrazione, pure or più or meno la sensazione di questi viavai arrivava anche alla periferia. Vediamo che cosa ci fu di nuovo nel '75 anche da questo lato.
Può sempre, chiunque lo voglia, rileggere nelle Memorie Biografiche al capo terzo del volume settimo l'eroismo di virtù da Don Bosco raggiunto, massime durante i suoi ultimi trent'anni, con l'improba fatica delle udienze. La cronaca del 26 maggio 1875 ci trasmette l'eco lontana di una conversazione, in cui affiorò anche quest'argomento. Don Bosco sedeva a mensa fra una corona d'invitati; ma non istava bene. La stanchezza lasciatagli dalla festa di Maria Ausiliatrice ne prostrava tuttora le forze; è probabile che non avesse il solito brio e che vedesse la convenienza di darne una spiegazione ai commensali. Egli avrebbe parlato così: “ Quel che più mi rompe, sono le continue udienze. Tutti vogliono parlarmi, e parlarmi a lungo, e il povero Don Bosco non ne può più. Ora qualcuno mi domanda almeno una mezz'ore per lui. Ora un altro dice: - M fermerò a Torino tanto che basti per poterle parlare liberamente. - Io rispondo: - Ma se ora non posso! Veda quanta gente. - L'altro soggiunge: - Non importa; mi fermerò, aspetterò, e il tempo si troverà. - Insomma si ha un bel dire, un bel fare; ma un uomo val solo e sempre per un uomo ”.
Gli si dava la caccia dovunque si sperasse di poterlo avvicinare. Questa specie d'indiscrezione, della quale in simili casi nessuno si fa scrupolo, causò un incidente la sera del 10 giugno. Don Bosco aveva finito tardi di confessare gli artigiani e tardi andò a cena. Si aggiravano per il cortile due sante signore bolognesi, direttrici di un ospedale, venute a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice e per parlare con Don Bosco. Udito che allora egli stava in refettorio, andarono là difilato a trovarlo.
 - A quest'ora esse qui? esclamò Don Bosco, appena le vide comparire,
 - Ci siamo fatto coraggio di venire avanti per tentare la prova di parlarle un momento.
 - E non sanno che a quest'ora fra noi è clausura?
 - Veramente non lo sapevamo, e se non è contento, noi ci ritireremo, osservò una.
 - D'altra parte, continuò l'altra, è Don Rua che ci ha introdotte.
 - Basta; io non le spingo via, ma pensino esse alla pena incurrenda per la clausura violata.
Si trovavano presenti circa dieci persone, sicchè le due signore rimasero ancor più mortificate. Non crediamo che Don Bosco avesse seriamente intenzione di comminare pene canoniche, sebbene il cronista commenti:
“ Le sue parole non avevano niente di brusco, ma non erano accompagnate dal suo solito risolino ”. Mai fino a quella sera donne avevano messo piede là dentro nè in tempo di cena nè dopo. Chi conosce l'estrema riserbatezza di Don Bosco, intende benissimo che la cosa non poteva terminare in un modo sostanzialmente diverso.
Non dipartiamoci da questo giugno. In tal mese chi visse nell'Oratorio, vide come la casa di Don Bosco fosse ancora sempre la casa dell'ospitalità. Don Bosco non sapeva chiuderne le porte a nessuno. Le due signore bolognesi avevano fatto il viaggio accompagnate dal signor Lanzarini, che nel marzo aveva ospitato in casa sua a Bologna Don Bosco ritornante da Roma e che allora ne ricevette a sua volta l'ospitalità per oltre un mese. Contemporaneamente soggiornavano nell'Oratorio individui di parecchie nazionalità e religioni; un ebreo convertito da poco al cristianesimo; un inglese cattolico sui venticinque anni, desideroso d'imparare il latino per farsi prete; un chierico maltese; un protestante svedese ancor giovanetto, che si preparava a ricevere il battesimo; un francese, che da molti anni incurante di doveri religiosi, imbattutosi in Don Bosco e da lui confessatosi, voleva restar sempre nell'Oratorio. Vi si trattennero alquanti giorni tre preti forestieri: uno siciliano; l'altro, canonico di Alassio, venuto a trovare un ragazzo infermo, suo parente; il terzo, un parroco che vi fece qualche dimora. Vi pernottarono dieci sacerdoti, che andavano in pellegrinaggio a Paray le Monial. Vi si fermò anche venti giorni un prete di  Modena, che doveva conseguire la laurea in teologia. Di siffatta popolazione avventizia nessuno si meravigliava, perchè oramai l'Oratorio si era incamminato a diventar un porto di mare.
Col prete modenese Don Bosco fece a mensa una conversazione, che ha avuto la sua notorietà presso scrittori e pubblicisti. Parlandosi della massoneria, egli disse: “ Cavour, che qui in Piemonte fu uno dei capi della massoneria, teneva Don Bosco come uno de' suoi amici e mi disse francamente, così più volte fece, non volermi dare udienza, se non andavo pranzo da lui; e che, quando avessi bisogno di qualche favore, alla sua mensa vi sarebbe stato sempre un posto per me, e che quivi si parlerebbe con maggior comodità. E una volta che per un affare urgente mi era presentato al suo ufficio, non mi ricevette in quel momento, ma mi fece fermare, perchè pranzassi con lui. Allora mi concedeva quanto io gli domandava ”. Soggiunse pure che l'anno innanzi il ministro Vigliani pareva un suo compagno, tale era la confidenza con cui lo trattava; e che così diportavasi Rattazzi verso di lui.
Talora la sua benignità e facilità in accogliere ospiti gli fruttò qualche fastidioso. Un Don Teodoro Boverio, prete della diocesi di Casale, albergò, non sapremmo per quanto tempo, nell'Oratorio. Egli non aveva mancato al suo dovere di chiedere all'autorità diocesana la licenza di celebrare ivi la santa Messa. Spirato il termine della concessione, rimandò il Celebret alla Curia, affinchè, a tenore delle ordinanze sinodali, la licenza gli venisse rinnovata; ma, dovendo partire da Torino, non si curò di andar a ritirare il foglio. Ed ecco un'energica intimazione dell'Ordinario, con un monito sul passato, e una minaccia per l'avvenire, se tanto Don Bosco che il prete estradiocesano non si mettessero in regola entro lo spazio di tre giorni. Don Bosco s'ingegnò tosto di rintracciare l'interessato; e venutone a capo, scrisse questa rispettosa lettera:
 
Eccellenza Rev.ma,
 
Dopo essermi procurate le necessarie notizie intorno al Sacerdote Teodoro Boverio mi fo dovere di comunicarle quanto segue:
Il Sacerdote Teodoro Boverio venne per breve tempo a dimorare in questa casa, celebrando la S. Messa nella Chiesa di Maria Ausiliatrice. A motivo della sua malferma salute egli andò a Genova per mettersi in cura medica ed è tuttora in un Ospedale di S. Pier d'Arena.
Questo per norma dell'E. V., mentre colla massima venerazione ho l'alto onore di potermi professare
Della E. V Rev.ma
Torino, 13 agosto 1875
Umile servitore
Sac. GIO. BOSCO.
 
Affluivano inoltre all'Oratorio personaggi cospicui per conoscere Don Bosco e per osservare da vicino la sua Opera. Si ha memoria di visite fattevi in quest'anno da missionari e da vescovi. Nel mese di maggio visita l'Oratorio un missionario dell'Asia, di cui la cronaca non ci ha conservato il nome; essa però ci fa sapere che egli invogliò molti ad andare nelle missioni, narrando di una provincia, nella quale per otto milioni di abitanti, vi erano appena il vescovo e otto sacerdoti, uno per ogni milione di anime. In ottobre vi fu l'Arcivescovo di Calcutta, che, parlato a lungo con Don Bosco, diede la benedizione col Santissimo Sacramento. In novembre venne il Vescovo d'Acerenza, che volle vedere scuole e laboratori, mostrandosi al partire sbalordito di quanto aveva osservato. Nel luglio oltre al Vescovo di Susa, sempre molto benevolo a Don Bosco, era stato all'Oratorio mons. Parocchi, Vescovo di Pavia, gradendovi anche l'alloggio. Su quest'ultima visita, che ebbe più tardi una ripercussione durante il processo apostolico, dobbiamo soffermarci un tantino.
L'antico avvocato fiscale della Curia arcivescovile torinese, canonico Colomiatti, che, affastellando cose su cose, intralciò l'andamento della causa di Don Bosco, depone che nel 1900 il Parocchi, Cardinale Vicario, gli disse queste parole: “ Mi sovvengo che era Vescovo ancora di Pavia e recatomi a vederlo, egli [Don Bosco] mi disse se veniva a lui per consiglio. Ciò mi urtò, perchè, se più giovane di lui, tuttavia era vescovo, ossia avevo la grazia della pienezza del sacerdozio, e poi doveva io dire ciò, non lui a me ”. Chiunque sappia quanto grande fosse non diremo l'umiltà, ma l'accortezza di Don Bosco nel parlare e nel trattare, sorride al sentirglisi attribuire uno sproposito così piramidale, Qui, una delle due: o il canonico ha travisato le parole del cardinale o il vescovo prese allora Roma per Toma. Che il paladino della vecchia Curia quando giudicava di Don Bosco, vedesse tutto sotto il colore de' suoi occhiali od anche cercasse di fare vedere bianco per nero è stato dimostrato a esuberanza da Don Cossu e da altri: noi non condanniamo le intenzioni, ma il fatto non si sfatta, dicono in certi paesi. Del resto, Son cose
che capitano nelle difese a oltranza; lo cantava già il poeta romano, mettendo sull'avviso certi avvocati: Causa patrocinio non. bona peior erit.
Se poi così non fosse, ci spiace per il vescovo, ma dobbiamo proprio dire che la sua impressione gli fece fraintendere le parole di Don Bosco. Con persone anche altolocate che lo ammettevano nella loro confidenza, Don Bosco usava rispetto, sì, ma pigliava un fare bonario e semplice, che ne rivelava l'animo schietto e schivo d'artifizi. Ricevendo la visita di un prelato, che egli riguardava come intimo, lungi dal mettersi in sussiego, avrà, secondo il solito, adoperato frasi scherzevoli e confidenti, da cui si sarebbe guardato bene, se la sua abituale perspicacia gli avesse fatto scorgere nell'interlocutore un senso così scontroso della propria dignità da non tollerare che altri motteggiasse in sua presenza. Supporre che Don Bosco fosse capace di atteggiarsi a consigliere di vescovi è ignorare l'abbicì della sua psicologia.
Il 5 luglio fu giornata albo signanda lapillo nella cronografia delle visite: quella data restò memoranda anche per la maniera drammatica, con cui Don Bosco dispose che il fatto sì svolgesse.
Durante il pranzo compare nel refettorio dei giovani un superiore, fa cenno al lettore di sospendere la lettura e con aria di mistero avvisa: a un dato segno avviarsi ai dormitori e là indossare i vestiti migliori, lavarsi bene, pettinarsi bene, lucidar bene le scarpe... perchè... viene a far loro visita un gran personaggio. Si mostrino educati, tengano il cappello in mano, facciano silenzio a tempo e luogo. I musici, alle due, vadano a provare un inno d'occasione.
Immaginarsi la curiosità generale! Appena usciti, correvano intorno a preti e a chierici, tempestandoli di domande; ma preti e chierici ne sapevano tanto quanto i giovani. Allora è quando si tira a indovinare. - È il principe Amedeo...
Sarà il principe Umberto ... No, dev'essere Don Carlos, che va dal Papa e passa di qui ... O piuttosto il generale Lizzaraga, inviato a Roma da Don Carlos e ora di ritorno nella Spagna. - Un chierico udì fra superiori del Capitolo mormorare “ cardinale ”. - Ah! fece ridendo, è un monsignore che porta a Don Bosco il cappello cardinalizio. - Intanto nella scuola di banda i sonatori sulle cartine di un noto inno, al posto di “ Viva Don Bosco ”, lessero “ Viva Giuseppe, Giuseppe viva ”. Era un altro dato acquisito alla storia. Poco stante se ne aggiungeva un terzo: il visitatore veniva da Roma; e lì a riandar nomi di Cardinali, per trovarne uno che si chiamasse Giuseppe.
Il misterioso signore sarebbe arrivato alle quattro, e le quattro si avvicinavano. Il programma del ricevimento era questo: tutti i giovani a scuola o al lavoro; la banda presso il portone; Don Bosco sotto i portici del refettorio; visita ai laboratori; nel frattempo gli studenti scenderebbero, si disporrebbero in circolo sotto il porticato, ivi si eseguirebbe l'inno e si sonerebbero pezzi scelti. Ma all'atto pratico Don Bosco dovrà modificare alcuni numeri.
Il segreto durava impenetrabile; l'unico particolare nuovo era che trattavasi di un insigne benefattore.
Ed ecco alle quattro meno un quarto affacciarsi dalla porteria un dopo l'altro quattro signori; uno di essi alto di statura, già avanzato negli anni, ma aitante della persona, sembrava il grande aspettato: vestiva color nero caffè e portava cilindro in capo. I musicanti non erano ancora all'Ordine; ma Don Sala che trovavasi in porteria, conosceva il visitatore. Si vola a dar l'annunzio a Don Bosco: il signore gli fu condotto direttamente in camera con il suo seguito.
Di lì a pochi minuti Don Bosco, passando per la biblioteca, condusse i suoi ospiti a visitare lo studio e qualche dormitorio e, dato uno sguardo al giardino dietro la casa, si scese sotto i portici, dove la banda die' fiato agli strumenti. Dopo una sonata si visitarono tutti i laboratori.
Don Bosco, prima che il forestiero arrivasse, aveva fatto avvertire quelli che, essendo stati a Roma, lo conoscevano, di star cheti, di non dir nulla, di non dare neppur segno di speciale rispetto; ma l'incognito corse pericolo di essere tradito. In libreria Don Berto offri allo sconosciuto una Messa di Don Cagliero dedicata al cardinal Giuseppe Berardi; al che uno del seguito parve dicesse: - Oh! è dedicata a Lei. Due librai vicini sentirono e divulgarono il sospetto. In tipografia due giovanetti romani, appena lo videro: - Oh! il cardinal Berardi - esclamarono meravigliati.
Al suo riapparire sotto i portici gli studenti vi si trovarono schierati in doppia fila, e fra una salva d'applausi intonarono l'inno. Sedette con gli altri tre. Canti e suoni durarono mezz'ora. Negl'intervalli Don Bosco rivolgeva qualche parola al suo ospite, per dargli spiegazioni sui giovani e per concertar il modo di visitare in fretta Torino.
Sul finire del trattenimento il visitatore, alzatosi e toltosi il cappello, salutò graziosamente i giovani e si avviò verso la porteria. Il rispetto e la venerazione che egli dimostrava per Don Bosco, riempì tutti di meraviglia e di compiacenza. Volle averlo alla sua destra; a qualche suo tentativo di cambiar posto, gli disse: - In questo comando io; stia alla mia destra. - All'uscita, salì per primo in vettura e visto che Don Bosco girava dietro per entrare dall'altro sportello e mettersi dal lato sinistro, lo fece rigirare ed entrare dalla medesima parte, per cui egli era salito, e sederglisi a destra. Don Bosco avrebbe preferito stare a capo scoperto; ma si dovette coprire.
Tutti i giovani battevano le mani circondandone la carrozza. Ivi sorpresero Don Cagliero e poi Don Berto che gli baciavano la mano, mentre egli li benediceva. Allora il sospetto, già entrato in molti circa l'essere suo, divenne quasi certezza. Noi prescindiamo pure dal “ quasi ”.
La carrozza partì e, procedendo adagio, fece un lungo giro per la città, secondo l'itinerario fissato con Don Bosco, che mostrò a Sua Eminenza e illustrò i più importanti monumenti.
La meta fu Valsalice. Piacque straordinariamente al Cardinale il luogo, l'edifizio e l'accoglienza dei giovani. Disse a Don Bosco: - Qui si vede il collegio signorile, ben tenuto, adatto alla qualità dei convittori. A Valdocco si vedeva pulitezza, proprietà, non ricchezza, non eleganza; anche là, tutto conforme alla condizione degli alunni. Se qui il luogo fosse meno signorile, stenterebbero le famiglie ad affidarvi i figli; se là vi fosse di più, non si vedrebbe la Casa di beneficenza. Tutto, tutto ben appropriato.
Disceso da Valsalice, rientrò in Torino per il ponte di ferro sul Po e gli fu indicato il sito, dove sarebbe sorta la chiesa di S. Giovanni Evangelista. Don Bosco gli narrò la serie delle vicende, a cui diede origine l'acquisto del terreno. Verso le otto il Cardinale scese all’Hotel d'Europe e Don Bosco ritornò all'Oratorio, dove alcuni preti lo aspettavano, bramosi di sapere com'egli avesse passata quella sera. Don Bosco li contentò a cena.
Il Cardinale, e questo nessun altro lo sapeva, trovavasi in Torino fin dal giorno innanzi. Don Bosco, andatolo a visitare, l'aveva condotto a vedere il Campo Santo. Nel descrivere ai suoi preti quella visita, egli disse:
 - Veduti molti monumenti, ammirati i marmi, i lavori, la pulitezza, i viali dei cipressi, per divagarlo alquanto gli raccontai la storia di madama Griffa, che voi sapete già.
 - No, non la sappiamo, esclamarono i preti.
 - Non sono molti anni che madama Griffa, essendo gravemente inferma, veniva confortata dal suo marito, famoso medico di Corte, a rassegnarsi al gran passaggio. Ma essa tuttavia mostrava rincrescimento di dover morire. Chiestole che cosa fosse che maggiormente le recava inquietudine, rispose al marito: “ Non è il morire che mi rincresca, lo sa bene Iddio; no, non è il morire. Mi angustia il pensare che sarò gettata là nel cimitero alle intemperie senza che nessuno mi possa riparare dal sole, dalla pioggia e dalla neve. Mi si ponesse almeno sopra la tomba un parapioggia! Ma nemmeno questo mi sarà concesso ”. Se era quello solo, il marito le promise di far mettere sulla tomba un gran parapioggia di ferro, che la riparasse da ogni intemperia. “ Se è così, sono contenta! ”, disse la moglie. Morì, e il marito mantenne la parola, ed io condussi Sua Eminenza a vedere il famoso parapioggia, che ancora sta là al suo posto.
Mentre Don Bosco intratteneva così quei preti, Don Rua dopo le orazioni diceva ai giovani: - Voi, miei cari giovani, desiderate tutti di sapere chi sia quel personaggio che oggi ci ha fatto visita. Uno domanda se è il Papa, altri se è il cardinal Berardi, altri se è Don Carlos. Chi sia, ve lo dirò in poche parole. È un personaggio che vuole molto bene al signor Don Bosco e all'Oratorio, ma che desidera conservare l'incognito, cioè non vuole che si sappia chi esso sia. Verrà forse il tempo, che lo saprete.
Questa parlata indusse a nuove supposizioni; ma i pi√π erano persuasi che fosse il cardinal Berardi.
Sua Eminenza trascorse ancora una giornata a Torino. Venutovi solo per parlare con Don Bosco, mantenne il più stretto incognito, ricusando di fare o di ricevere visite; non vide nemmeno l'Arcivescovo. Per altro scambiò poche parole con lo strenuo giornalista cattolico teologo Margotti, direttore dell'Unità Cattolica. Tutte e tre le mattine celebrò nella cattedrale; l'imponenza dell'aspetto e la sostenutezza del contegno con cui domandò di celebrare, chiuse la bocca a chi voleva far precedere le solite formalità, sicchè gli fu recata senz'altro una veste talare.
Dei tre che accompagnavano il Cardinale, due gli erano nipoti, e il pi√π giovane, ed anche pi√π vispo, era proprio quello prodigiosamente guarito nel '69 dopo la benedizione di Don Bosco.
Il Beato tenne compagnia al Cardinale la mattina intera, conducendolo a vedere l'armeria reale, l'orto botanico, il giardino del Re con le belve feroci; il palazzo reale e la cappella della Santissima Sindone, ed anche la biblioteca dell'Università; qui il celebre orientalista professor Gorresio, col quale Don Bosco aveva molta familiarità, mostrò all'eminente visitatore quanto di meglio vi si custodiva in miniature e codici.
Tornato a casa per il pranzo, Don Bosco nel pomeriggio fu nuovamente a ossequiarlo e a prendere commiato. Il Cardinale si dichiarò contento e soddisfatto d'aver visitata Torino, e a lui in particolare disse: - Ora scriverò a S. Santità. Arrivato a Roma, saprò ben io parlare a suo riguardo.
Nella 'buona notte ' Don Bosco parlò così a tutti i giovani:
Ora che il personaggio, il quale ebbe ieri la bontà di visitarci, è partito, non è il caso che io vi mantenga il mistero. Alcuni di voi già lo sanno, che era sua Eminenza il Cardinale Berardi, persona tanto benemerita dell'Oratorio e che si occupò già molto molto per noi a Roma. Mi ha incaricato di farvi tanti saluti, di ringraziarvi da parte sua delle accoglienze che gli avete fatte, e dirvi che egli fu contento grandemente di tutti. Avrebbe voluto parlarvi prima di andar via; ma se vi parlava sorgeva la necessità che egli scoprisse chi era, ed egli, ciò non volendo, lasciò a me l'incarico di salutarvi. Mi disse che quando sarà a Roma vuol parlare molto di voi coi Santo Padre. Già fin d'ora scriverà una lettera a Pio IX per manifestargli le vostre buone accoglienze, poichè egli non va subito a Roma; ma, quando vi andrà, farà i suoi buoni uffizi per noi presso il Santo Padre. Mi disse ancora che, abbisognandoci qualche cosa da lui, osassimo pure rivolgerglici con piena confidenza, sia per le cose che riguardano a ciaschedun allievo in particolare, sia per le cose generali della Congregazione; che egli si sarebbe fatto un impegno speciale per eseguirle. Vedete quanta degnazione in un personaggio così eminente! Venire a Torino proprio solo per veder D. Bosco e l'Oratorio, di cui già tanto aveva sentito parlare; non voler darsi a conoscere a nessun altro, nè avere altra compagnia fuori di quella di D. Bosco i
Partendo lasciò anche di ringraziarvi delle preghiere che avete già fatte per lui; mi lasciò d'incoraggiarvi nella continuazione di queste preghiere, non solo per lui, ma eziandio per i tanti bisogni che ha la Chiesa, specialmente in questi giorni. Egli poi per parte sua non si dimenticherà giammai di noi e ci raccomanderà al Signore, affinchè possiamo poi nuovamente far festa tutti insieme nel paradiso. Buona notte.
Due sere dopo, dando la 'buona notte' ai soli artigiani, riparlò della visita cardinalizia, in apparenza per dire qualche cosa che li riguardava più direttamente, ma in realtà per avere lo spunto a imprimere nelle loro menti un salutare pensiero.
Non è più il caso che vi racconti chi fosse quel personaggio che venne a farei visita ier l'altro. Sapete già che è sua Em. il Card. Berardi. Egli si dimostrò molto contento della musica, sia del canto, sia del suono, e della visita dei laboratori; e mi lasciò l'incarico di ringraziarvi. Vedete quanta bontà! A venuto apposta da Genova a Torino solo per vedere D. Bosco e l'Oratorio. Io l'ho condotto a visitare le rarità principali di Torino, di cui si mostrò tanto contento. Tra gli altri luoghi siamo stati al Campo Santo e ne ammirò l'ordine, i lavori, i monumenti, i marmi. Ma quante memorie risveglia mai al cristiano il Campo Santo! Vedere là, radunati ricchi e poveri, giovani e vecchi, e dotti ed ignoranti! Là è la città di tutti. È inesorabile la morte! Tutti dobbiamo sottostare alla falce di quella bruttaccia. Non ci pensate mai, giovani cari? Oh questo pensiero si renda pure tra noi familiare; pensiamo e molto a quel terribile punto della morte e tenetelo bene a mente, che colui il quale vuol passare bene il suo ultimo istante in questo mondo, bisogna che viva bene. Un proverbio latino, che anche voi capite benissimo, dice così: Qualis vita, finis ita: quale sarà la vita, tale sarà la morte. Se la morte ci avvisasse prima almeno di venirci sopra! Ma no: per lo più viene improvvisa o repentina; e se non siamo preparati a morir bene, che cosa sarà di noi? Quanti giacciono ora nel Campo Santo, che desideravano di convertirsi, di pensare più tardi a farsi buoni e intanto venne la morte non furono più a tempo! Sapete che cosa è che sprona la morte spingersi furiosa contro di noi? Ce lo dice la Sacra Scrittura. Vedete un cavallo quando cammina per la via. Se va adagio quel cavallo, il cavaliere che ha fretta, che cosa fa? Dà due buone spronate al cavallo, ed esso corre che pare il vento. Lo sprone che ci fa saltare con furia la morte addosso è il peccato. Stimulus autem mortis peccatum est. Volete che la morte venga presto? .....
Fra l'una e l'altra buona notte Don Bosco aveva toccato della singolare importanza di tale visita nella conferenza ai chierici sulle vacanze, come abbiamo veduto. Insomma, tutto ci autorizza a opinare che fu un incontro voluto per gravi motivi, benchè finora ci manchino documenti sicuri per precisarne la portata.
Una visita che possiamo ben chiamare storica, è quella fatta al Servo di Dio nel giorno dell’Assunta. Durante la novena predicava con monsignor Andrea Scotton gli esercizi spirituali al clero di Casal Monferrato il canonico Giuseppe Sarto. Quel vescovo monsignor Ferré invogliò i due predicatori a passare per Torino e a visitarvi Don Bosco. Vennero nell'Oratorio la mattina della festa: Don Bosco lì invitò a pranzo. Si faceva in quel giorno, e fu la prima volta, un po' di allegria per commemorare il natalizio del Beato. Egli stesso credette sempre di essere nato il 15 agosto; soltanto dopo la sua morte l'errore comune fu corretto dall'atto di nascita. Finito dunque il modesto desinare e usciti dal refettorio, il canonico tolse bellamente commiato dal Servo di Dio, e, per dirla in lingua povera, si tirò dietro il collega a rifocillarsi in un albergo della città. Anche da Papa egli ricordava con ammirazione, quanto mortificata gli fosse parsa allora la mensa di Don Bosco.
Pio X ricordava pure un esempio della docilità, con cui i giovani dell'Oratorio a una parola di Don Bosco scattavano, passando immediatamente dal suo dire al loro fare. - Vuol vedere come obbediscono i miei giovani? - gli disse il Beato. Ne chiamò uno, gli diede una bottiglia. - E ora, gli fece, apri le dita! - Le aprì quegli sull'istante, e la bottiglia cadde in terra. Rise il canonico, risero i testimoni; ma il giovane guardava tranquillamente Don Bosco, attendendo un suo cenno.
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