Capitolo 13

A Castelnuovo - Accettazione di Savio Domenico - Vestizioni clericali - Savio Domenico e Bongioanni Giuseppe all'Oratorio - Scopo principale di D. Bosco nell'avviare i giovani agli studi - Lotteria di un crocifisso d'avorio - Gli orfanelli delle vittime del coléra - Don Bosco si offre per istruirli - Lettera del Sindaco Prima visita di D. Bosco agli orfani ricoverati a S. Domenico - Ringraziamenti del Sindaco - La classe dei più piccoli nell'Oratorio.

Capitolo 13

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Sullo scorcio del settembre, essendo quasi cessata la moría, D. Bosco conduceva un numero de' suoi giovani ai Becchi, perchè dopo tante fatiche si svagassero e respirassero l'aria pura di quelle colline. Quivi il Signore, quasi in premio di ciò che l'Oratorio aveva fatto per gli infermi, gli mandava un allievo che dovea riuscire suo lustro e sua gloria: Savio Domenico. D. Cugliero Giuseppe, suo maestro in Mondonio, piccolo paese confinante con Castelnuovo, verso la metà dell'anno era venuto in Torino a parlare con D. Bosco del suo allievo e dopo avergliene descritta l'esemplare condotta, concludeva: - Qui in sua casa può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. - D. Bosco perciò s'intese con lui che lo avrebbe mandato a Morialdo, nell'occasione che egli stesso vi si sarebbe trovato per fare la novena e celebrare la solennità del Rosario di Maria Santissima.

   D. Bosco così narra il suo incontro col giovane Savio Domenico:

    Era il primo lunedì, giorno 2 d'ottobre di buon mattino, allorchè vedo un fanciullo, accompagnato da suo padre, che si avvicina per parlarmi. Il volto suo ilare, l'aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.

     - Chi sei, gli dissi, onde vieni?

     - Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.

   ” Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.

   ” Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva già operato in così tenera età.

   ” Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: - Ebbene che gliene pare? mi condurrà a Torino per istudiare?

     - Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.

     - A che può servire questa stoffa?

     - A fare un bell'abito da regalare al Signore.

     - Dunque io sono la stoffa; ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito pel Signore.

Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio. Non tema questo; quel Signore che mi ha date, finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l'avvenire.

     - Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?

     - Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardentemente di abbracciare lo stato ecclesiastico.

     - Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche), di quest'oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela.

   ” Ciò detto lo lasciai in libertà d'andarsi a trastullare con altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: - Se vuole, recito adesso la mia pagina. - Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.

     - Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Sì; ti condurrò a Torino e fin d'ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli comincia anche tu fin d'ora a pregare Iddio, affinchè aiuti me e te a fare la sua santa volontà.

   ” Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: - Spero di regolarmi in modo che non abbia mai a lamentarsi della mia condotta ”.

   D. Bosco s'intratteneva pochi giorni ai Becchi, poichè gravi affari lo richiamavano in Torino. Il giovane Savio Angelo aveva in quel tempo indossato l'abito clericale e Turchi Giovanni, con altri si preparava a ricevere quella sacra divisa. D. Bosco soleva disporli con diligenza a questo grande atto, loro ripetendo essere un dono di Dio la vocazione allo stato ecclesiastico. Nello stesso tempo esponeva ad essi i segni per riconoscere la propria vocazione, cioè l'attitudine e l'inclinazione al sacro ministero, e la purità d'intenzione nel mettersi al servizio di Dio. Spiegava loro eziandio, in modo piano e famigliare, colle parole di S. Paolo, l'altissima dignità del Sacerdozio, e gli obblighi imposti dalla vocazione divina: “ Coloro che Dio ha preveduti, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figliuol suo, ond'egli sia il primogenito tra molti fratelli. Coloro poi che egli ha predestinati, li ha anche chiamati: e quelli che ha chiamatili ha anche giustificati: e quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati ”. Quindi descriveva il premio immortale preparato per coloro che rimangono fedeli alla propria vocazione.

   Intanto le persone confidenti dì D. Bosco, vedendolo così occupato nel procurarsi chierici che si fermassero ad aiutarlo, gli dicevano:

     - Ma che bisogno ha lei per tre oratorii di tanta gente?

     - I bisogni io li vedo e sono molti.

     - E che cosa vuol farne di questi chierici?

     - Qualche cosa ne faremo: lo so io.

     - E chi vuole che dia loro gli ordini sacri se alcuni non appartengono a veruna diocesi?

     - Troveremo chi li ordinerà.

       Ma non vede che quando saranno preti, i Vescovi glieli toglieranno?

     - Anche a questo inconveniente, si penserà di rimediare.

   Questi dialoghi erano ripetuti, sotto varii aspetti, le mille e mille volte poichè nessun poteva prevedere il futuro. D. Pacchiotti però, cappellano al Rifugio, ricordando le antiche parole profetiche, sovente ripeteva a D. Bosco: Adesso credo che hai preti e chierici!

   Ma il principio dell'anno scolastico ormai si avvicinava colle ultime settimane di ottobre, e i giovani novellamente accettati entravano nell'Oratorio. Fra i primi fu Savio Domenico, il quale si recò nella camera di D. Bosco per darsi, come egli diceva, intieramente nelle mani de' suoi superiori. Il suo sguardo si portò subito su di un cartello, sopra cui a grossi caratteri erano scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di Sales: Da mihi animas, caetera tolle. Fecesi a leggerle attentamente, e D. Bosco desiderava che ne capisse il significato. Perciò invitollo, anzi l'aiutò a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose. Savio pensò un momento e poi soggiunse: - Ho capito; qui non avvi negozio di danaro, ma negozio di anime, ho capito; spero che l'anima mia farà anche parte di questo commercio. - E senz'altro incominciò ad applicarsi con impegno allo studio ed a tutti i doveri di pietà, e a dare quegli splendidi saggi di virtù, così ben descritti poi dallo stesso D. Bosco in un caro fascicolo delle Letture Cattoliche.

   Savio aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità nello studio e colla non ordinaria sua capacità ottenne in breve di essere classificato nella quarta, o come diciamo oggidì, nella seconda grammatica latina. Fece egli questo corso sotto il pio e caritatevole professore Bonzanino Giuseppe, continuando i giovani dell'Oratorio a frequentarne le scuole. Di complessione alquanto debole e gracile di aspetto, misto di gravità e affabilità con un non so che di serio e piacevole, d'indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale, quel giovanetto aveva un'aria veramente angelica. E non tardò a guadagnarsi i cuori e la stima di tutti i compagni. La morte, ma non peccati! era il motto nel quale si compendiò la sua vita,

  Con Savio Domenico prendea posto nell'Oratorio Bongioanni Giuseppe. Rimasto orfano di padre e di madre, era stato raccomandato da una zia a D. Bosco, che caritatevolmente lo accolse nel novembre del 1854. Tocava, allora l'età di 17 anni, e a malincuore, forzato dalle circostanze, egli venne, ma ancora colla mente piena delle vanità del mondo e con varii pregiudizi in materia di religione. Si vide però in lui chiaramente l'operazione della divina grazia, giacchè in breve si affezionò grandemente alla casa, alle regole e ai Superiori; rettificò insensibilmente le sue idee e diedesi con tutto ardore all'acquisto, della virtù ed alle pratiche di pietà. Dotato com'era d'ingegno molto perspicace e di grande facilità ad apprendere venne applicato allo studio. Con mirabile rapidità compiè i corsi classici, facendovi eccellente riuscita. Fornito di fervida immaginazione, spiegò una grande abilità nel poetare, sia nell'italiana favella, sia nel dialetto piemontese; e mentre nelle famigliari conversazioni serviva di diletto agli amici coll'improvvisare su argomenti scherzevoli, scriveva al tavolino bellissime poesie, di cui molte furono pubblicate, come quella ad onore di Maria Ausiliatrice: “ Salve salve, pietosa Maria, ecc. ” che trovasi nel Giovane Provveduto.

Oltre a questi due, altri giovani erano accettati come allievi studenti nell'Oratorio, e il primo abboccamento con D. Bosco faceva loro una impressione così favorevole, che subito incominciavano ad amarlo ed a venerarlo. Anche le continue premure per loro di mamma Margherita, che dirigeva l'economia della casa e della cucina, la sua devozione, la sua pietà, la sua fede restavano in loro così impresse, che non furono l'ultima causa di una gratitudine perenne verso l'Oratorio. Tali sono le relazioni che ci pervennero dagli stessi antichi alunni del 1854 e 1855.

   Di questi giovani D. Bosco studiava attentamente l'indole, i portamenti, le propensioni, e se non davano segni di vocazione al sacerdozio, intendeva di conservarli o condurli a Dio, formarne uomini virtuosi, che non solo amassero il Signore essi medesimi, ma che colla parola e coll'esempio promovessero poi il timore e l'amor di Dio nelle famiglie e nella società. Non permetteva però che seguitassero gli studi a spese dell'Oratorio. Colla stessa misura egli trattava i suoi nipoti che accettava nell'Ospizio alle stesse condizioni colle quali ammetteva in casa i figli dei poveri. Era pronto a soccorrere i parenti se fossero caduti nella miseria, perchè tale è il precetto della carità, ma nulla avrebbe fatto per procurare ad essi una vita più comoda. Infatti, tenuto presso di sè il nipote Francesco fino all'autunno del 1854, lo rimandò a casa perchè non gli parve che fosse chiamato alla carriera ecclesiastica, benchè avesse ingegno e fosse molto buono. E Francesco continuò ai Becchi nella professione del suo genitore, e fu poi un eccellente capo di famiglia. In questo stesso autunno fu chiamato da D. Bosco ad occupare il posto di Francesco nell'Oratorio il secondogenito di suo fratello Giuseppe, per nome Luigi. D, Bosco aveva detto ai due nipoti: - lo non intendo far di voi nè avvocati, nè medici, nè professori. Se il Signore vi chiama allo stato ecclesiastico, bene; diversamente è meglio che seguitiate l'occupazione di vostro padre!

   Anche di Luigi ebbe D. Bosco una cura veramente paterna impartendogli un'educazione religiosa e civile adattata alla sua condizione. Ma nulla di speciale. - Quello che ho, diceva di quando in quando, e che mi dánno i benefattori devo impiegarlo a comperare il pane a' miei giovani. Guai a me se ne facessi altro uso!

   E pareva che il pane fosse per mancare nell'Oratorio. La guerra dell'Oriente cagionava enormi disastri commerciali, i quali producevano grandi contraccolpi in molte famiglie benefiche. La Francia e l'Inghilterra, temendo che la loro influenza e i loro interessi venissero menomati nel Levante, si erano collegate in favore della Turchia. Sbarcate le loro soldatesche prima a Varna e poi in Crimea, sconfitti i Russi in varie battaglie, il 9 ottobre 1854 stringevano d'assedio Sebastopoli.

   D. Bosco pertanto il 2 novembre 1854 chiedeva per lettera ed otteneva dalle autorità la licenza di fare una piccola lotteria di un crocifisso d'avorio, alto 35 centimetri, di molto pregio per l'arte, donato a questo scopo dal sig. Giacomo Ramella.

   Con questa industria si potè per qualche giorno sostentare la famiglia di Valdocco, che andava crescendo per gli orfani, privati dalla pestilenza de' genitori. Anche il Municipio Torinese riconosceva tale necessità e meritava la gratitudine di tutta la cittadinanza non soltanto per aver usate le più sollecite cure per prevenire e per scemare i tristi effetti del malore pestilenziale, ma pur col soccorrere a tanti poveri fanciulli di mano in mano che

venivano orbati dei loro parenti. A questo benefico scopo egli aperse provvisoriamente un Orfanotrofio presso la Chiesa di S. Domenico, dove provvide albergo, vitto e vestito ad un gran numero di orfanelli, i quali, senza di questa caritatevole misura, sarebbero stati in quel terribile frangente abbandonati sopra di una strada. Si fece di più: poichè il Sindaco non fu pago che quei poveri fanciulli fossero provvisti delle cose necessarie al corpo, ma pensò eziandio alla coltura della mente e del cuore. Espresse quindi con alcuni signori la sua opinione, che sovra ogni altro D. Bosco avrebbe adempiuto con zelo l'ufficio di loro Istitutore. D. Bosco, conosciuto il desiderio del Capo del Municipio di Torino, non è a dire con quanto piacere si accingesse a secondarlo, e gliene fece perciò in iscritto domanda formale. Il Sindaco così gli rispondeva:

 

Torino, addì 31 ottobre 1854.

 

Essendosi la S.V. Ill.ma graziosamente offerta d'istruire quei poveri orfani che trovansi provvisoriamente ricoverati nell'Orfanotrofio di S. Domenico, ed avendola il Sindaco sottoscritto comunicata al Comitato centrale di beneficenza, il medesimo ben di buon grado accettò tale offerta ed affidò allo scrivente il gradito ufficio di rendere alla S. V. i più sentiti atti di grazia.

  Nell'adempire pertanto all'affidatogli incarico il sottoscritto La prega di ben volere a suo comodo portarsi al detto Orfanotrofio onde prendere i necessarii concerti coi sig. Ioassa, economo del medesimo.

  Nel rinnovarle i particolari suoi ringraziamenti ha l'onore chi scrive di raffermarsi coi sensi della più distinta stima e considerazione.

 

Il Sindaco Presidente

NOTTA.

 

D. Bosco prese adunque a dividere il suo tempo tra gli infermi e i poveri orfani, passando varie ore del giorno con essi; ed affinchè avessero la necessaria istruzione, scelse alcuni dei giovani dell'Oratorio più abili e qualche chierico, e li destinò a fare loro scuola in ore determinate e ad ammaestrarli nella Dottrina Cristiana.

   E così praticossi sino alla fine di novembre. Però non bisogna credere che D. Bosco, solo quando ne fece domanda, incominciasse a prendersi cura degli orfani a San Domenico.

   Enria Pietro, nostro confratello, ci lasciò il seguente scritto:

   “ Ho conosciuto il servo di Dio nel settembre 1854 nel convento dei Domenicani, ove per cura di un comitato raccoglievansi i fanciulli rimasti orfani per causa del coléra che imperversava. Ivi un giorno venne D. Bosco a visitarci, accompagnato dall'Economo dell'Orfanotrofio. Eravamo un centinaio. Io non l'aveva mai visto. La sua aria sorridente e piena di bontà lo faceva amare prima ancora di parlargli. Egli sorrise a tutti, e poi ci domandava nome e cognome, se sapevamo il catechismo, se ci eravamo confessati, se avevamo già fatta la prima comunione: e tutti gli rispondevamo con piena confidenza. Passò finalmente vicino a me, ed io mi sentii battere il cuore, non per tema, ma per l'affetto che già sentiva verso di lui. Mi domandò nome e cognome e poi mi disse: Vuoi venire con me? Saremo sempre buoni amici finchè possiamo andare in paradiso! Sei contento?

Ed io risposi: - Oh! sì, signore.

   Egli poi soggiunse: - E questo che hai vicino è tuo fratello?

     - Sissignore, risposi.

- Ebbene; verrà anche lui!

   ” Pochi giorni dopo fummo condotti tutti e due all'Oratorio; io allora aveva tredici anni, mio fratello undici. Mia madre era morta di coléra, e mio padre era tutt'ora aggravato dallo stesso male.

   ” Diciassette anni trascorsero da questi giorni ed io ne parlava a D. Bosco infermo a Varazze: - Si ricorda, D. Bosco, quando sua madre lo sgridava perchè accettava sempre nuovi ragazzi? Essa gli diceva: Tu accetti sempre nuovi fanciulli; ma come si fa a mantenerli e a vestirli? In casa vi è nulla e comincia a far freddo. - E infatti a, me, appena entrato, toccò di dover dormire per parecchie notti sopra un mucchio di foglie con addosso null'altro che una piccola coperta. E alla sera quando eravamo a letto, lei, D. Bosco, e la sua mamma, ci aggiustavano i pantaloni e la giubba lacera, perchè ne avevamo una sola. - D. Bosco sorrideva nell'udir le mie parole e diceva: Quanto ha faticato la mia buona mamma!... Santa donna!... Ma la Provvidenza non ci è mai mancata! ”

   Cessata la mortalità, nei primi di dicembre il Municipio chiuse il suo orfanotrofio provvisorio e ne affidò i fanciulli parte ad uno e parte ad un altro Istituto di beneficenza. Venti dei più piccini furono consegnati a Don Bosco e da quel giorno divennero suoi figliuoli adottivi, Formavano essi una classe a parte, che per celia i compagni chiamavano la classe bassignana perchè composta, dei più piccoli o bassi di statura; e prima che finisse l'anno, raccontò Enria Pietro, trenta altri coetanei ai primi, erano da D. Bosco ricoverati.

   L'istruzione impartita agli orfanelli di S. Domenico, e il ricovero di una buona parte di loro nell'Ospizio di San Francesco di Sales, furono due atti, che gradirono altamente al Comitato di pubblica beneficenza stabilitosi in quel tempo a Torino, e il Sindaco ne scriveva a Don Bosco lettere, che qui riproduciamo.

 

Città di Torino - Torino, addì 7 dicembre 1854.

 

Ill.mo Signore,

 

   Il Sindaco sottoscritto, a nome del Comitato di pubblica beneficenza pei poveri colerosi e loro famiglie, recasi a doverosa premura di rendere alla S. V. Ill.ma le più distinte grazie pel nobile e generoso di Lei concorso prestato coll'istruire quei poveri orfani, che vennero temporariamente ricoverati nell'Orfanotrofio di S. Domenico, i quali non mancheranno al certo di innalzare preci a Dio pel loro degno istruttore.

   Nell'adempiere lo scrivente l'affidatogli incarico, si pregia nel suo particolare di rinnovarle i sensi della sua più distinta stima e considerazione.

 

Il Sindaco Presidente

NOTTA.

 

In altro foglio in data del 4 dello stesso mese, nel pregare che ei fa D. Bosco, che voglia accogliere nel suo Istituto un nuovo orfanello per nome Andrea Fioccardi, il medesimo sig. Sindaco aggiunge: “ Coglie il sottoscritto questa opportunità, onde ringraziare la S.V., a nome del Comitato a tal fine istituitosi, pel concorso da Lei prestato nel ricoverare quei poveri orfani, di cui i genitori rimasero vittima del fatal morbo, che per circa quattro mesi afflisse la nostra città e territorio ”.

  D. Bosco intanto aveva pensato a collocare convenientemente quei piccoli orfanelli. Preparò per essi un posto distinto per la scuola e per i dormitorii, provvedendo loro prima l'istruzione ed educazione religiosa ed intellettuale e poi la professionale; più di un anno fece loro scuola prima da solo e quindi con l'aiuto di varii amici esterni. Fra questi orfani ve ne fu uno di molta abilità, di nome Cora, il quale riuscì un distinto attore drammatico e per anni con Gastini sul teatrino dell'Oratorio facevasi ammirare dagli spettatori. Alcuni di loro, imparata che ebbero una professione, uscirono poscia dall'Ospizio, affezionati sempre a colui che divenne loro secondo padre; altri vi rimasero e vi rimangono tuttora, testimoni di quei giorni memorabili.

  Enria Pietro chiudeva una sua relazione con queste parole: “Io restai sempre nell'Oratorio dove D. Bosco e la sua madre ci raccolsero con tanto amore; e noi riguardavamo la madre di D. Bosco come fosse la nostra, e tutti eravamo contenti e felici ”.

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