Don Bosco annunzia ai giovani di dover loro svelare qualche cosa di serio - Prima parlata: dice di aver fatto un sogno che era risoluto di non raccontare: l'apparizione di un mostro orribile e una voce misteriosa lo costringono a parlare: prega i giovani a non far sapere fuori dell'Oratorio ciò che sta per esporre: sogni preliminari; la sua morte, il giudizio di Dio il paradiso - Fa un nuovo sogno: una gran vile nel cortile dell'Oratorio: gli acini si mutano in giovani: diverse apparenze della vite: con sole foglie: con grappoli guasti: senza foglie, con grappoli di uva eccellente: sono i tre stati di spirito nei quali si trovano i giovani innanzi a Dio. Gli sembra udire il suono di una campana e si desta per brevi istanti - Seconda Parlata: si riaddormenta: vede sorgere nel cortile un'altra vite come la prima, di bellissimo aspetto, con grappoli enormi, acini grossi e maturi, ma questi di sapore nauseante: ogni acino scritto porta il nome di un giovane e il suo peccato: appare un personaggio che reca bastoni e ordina che siano battuti que' tralci e que' grappoli: uno spaventoso temporale flagella la vite: strana grandine - Fuga di Don Bosco e suo destarsi.
del 07 dicembre 2006
 Il 29 aprile Don Bosco aveva annunziato ai giovani: - Domani sera e venerdì e domenica, ho qualche cosa da dirvi, perché, se non ve la dicessi, crederei di dover andare alla tomba avanti tempo. Ho qualche cosa di brutto da svelarvi. E desidero che siano presenti anche gli artigiani.
La sera del 30 aprile, giovedì, dopo le orazioni, gli artigiani dal loro portico, ove era solito parlare Don Rua o Don Francesia, vennero ad unirsi ai loro compagni studenti, e Don Bosco prese a dire:
 - Miei cari giovani! Ieri sera vi ho detto che io aveva qualche così di brutto da raccontarvi. Ho fatto un sogno, ed ero deciso di non farne parola a voi, sia perchè dubitavo che fosse un sogno come tutti gli altri che si presentano alla fantasia nel sonno: sia perchè tutte le volte che ne ho raccontato qualcheduno, ci fu sempre qualche osservazione e qualche reclamo. Ma un altro sogno mi obbliga a parlarvi del primo, tanto più che da alcuni giorni incominciai di nuovo ad essere molestato da fantasmi, sopratutto tre sere fa. Voi sapete che: sono stato a Lanzo per avere un po' di quiete. Or bene, l'ultima notte che dormii in quel collegio, coricatomi a letto, mentre incominciava a prendere sonno, mi si presentò alla fantasia quanto sono per dire:
 
Mi parve di vedere entrare nella mia camera un gran mostro, che si avanzava e andò a porsi proprio ai piedi del letto. Aveva una forma schifosissima di rospo e la sua grossezza era quella di un bue.
Io lo guardava fisso senza trar fiato. Il mostro a poco a poco ingrossava; cresceva nelle gambe, cresceva nel corpo, cresceva nel capo, e quanto pi√π aumentava il suo volume, tanto pi√π diventava orribile. Era di color verde con una linea rossa intorno alla bocca ed alla gola che rendevalo ancor pi√π terribilmente spaventoso. I suoi occhi erano di fuoco e le sue orecchie ossee molto piccole. Io diceva fra me osservandolo: - Ma il rospo non ha le orecchie! - E sul naso gli si elevavano due corna, dai fianchi gli spuntavano due alaccie verdastre. Le sue gambe erano fatte a guisa di quelle del leone e dietro svolgeva una lunga coda che finiva in due punte.
In quei momenti mi pareva di non avere affatto paura, ma quel mostro incominciò ad accostarsi ognor più verso di me e allargava la bocca ampia e fornita di grossi denti. Io allora fui preso da grande terrore. Lo credetti un demonio dell'inferno, chè di demonio aveva tutti i segni. Mi feci il segno della croce, ma a nulla valse; suonai il campanello, ma a quell'ora nessuno venne, nessuno udì; gridai, ma invano; il mostro non fuggiva: - Che vuoi qui da me, dissi allora, o brutto demonio? - Ma egli più si accostava, e drizzava ed allargava le orecchie. Quindi posò le sue zampe anteriori sulla sponda in fondo del letto, e lentamente si tirò su, afferrandosi eziandio alla lettiera colle zampe posteriori, e si stette immobile un momento, fissandomi. Poi slungatosi in avanti prostese il suo muso faccia a faccia con me. Io fui preso da tale ribrezzo che balzai seduto sul letto ed ero per gettarmi giù in terra: ma il mostro spalancò la bocca. Avrei voluto difendermi, respingerlo, ma era così schifoso che anche in quel frangente non osai toccarlo. Mi misi ad urlare, gettai la mano indietro cercando l'acquasantino e batteva le mani nel muro, non trovandolo; e il rospo abboccò per un istante la mia testa in modo che metà della mia persona era dentro a quelle orride fauci. Allora io gridai: - In nome di Dio! Perchè mi fai questo? - Il rospo alla mia voce si ritirò un tantino, lasciando libera la mia testa. Mi feci allora di nuovo il segno della santa croce ed essendo riuscito a mettere le dita nell'acquasantino gettai un poco d'acqua benedetta sul mostro. Allora quel demonio, mandando un urlo terribile, precipitò indietro e scomparve, ma nello scomparire io potei intendere una voce che dall'alto pronunciò distinte queste parole:
 - Perchè non parli?
Il direttore di Lanzo D. Lemoyne si svegliò in quella notte ai miei urli prolungati, udì che battevo le mani nel muro e al mattino mi domandò: - Don Bosco stanotte ha sognato?
 - Perchè mi fai questa domanda?
 - Perchè ho udito le sue grida.
Aveva conosciuto adunque essere volontà di Dio che io dicessi a voi ciò che ho veduto: quindi ho determinato di raccontarvi tutto il sogno, e perchè sono obbligato in coscienza a dirvelo ed eziandio per liberarmi da questi spettri. Ringraziamo il Signore delle sue misericordie e frattanto, in qualunque modo voglia Iddio farci conoscere la sua volontà, procuriamo di mettere in pratica gli avvisi che ci vennero dati e giovarci di questi mezzi che ci vennero offerti per la salvezza delle anime nostre. Io ho potuto conoscere in queste circostanze le stato della coscienza di ciascheduno di voi.
Desidero però che quanto sto per dire si conservi fra di noi. Vi prego a non volerne scrivere, né parlarne fuori di casa, perchè non sono cose da prendersi in ridicolo, come taluni potrebbero fare, e perchè non ne possano accadere inconvenienti che riescano disgustosi per Don Bosco. A voi le dico in confidenza come ai miei amati figli e voi ascoltatele come dal vostro padre. Ecco adunque i sogni, che io voleva lasciar passare inosservati e che sono costretto a narrarvi.
Già fin dai primi giorni della settimana santa (5 aprile) incominciai ad aver sogni che dopo mi occuparono e mi molestarono per parecchie notti. Questi sogni mi stancavano così, che la mattina seguente io era molto più stanco di quello che se avessi lavorato tutta la notte, poichè la mia niente era molto turbata ed agitata. La prima notte sognai di essere morto. La seconda di esser al giudizio di Dio dove mi toccava aggiustare i miei conti col Signore, ma mi svegliai e vidi che ero vivo nel letto e che aveva ancor tempo a prepararmi un po' meglio ad una santa morte. La terza notte sognai di essere in paradiso e là pareami di star molto bene e godere assai. Passata la notte e svegliatomi al mattino vidi sparire quella cara illusione, ma sentivami risoluto di guadagnarmi a qualunque costo quel regno eterno che aveva intravisto. Fin qui erano solo cose che non hanno alcuna importanza per voi e non hanno alcun significato. Si va a dormire con quel pensiero nella fantasia e nel sonno si riproducono le cose pensate.
Sognai adunque una quarta volta ed è questo il sogno che debbo esporvi. La notte del giovedì santo (9 aprile), appena un lieve sopore mi occupò, parvemi nella mia immaginazione di essere qui sotto questi portici circondato dai nostri preti, chierici, assistenti e giovani. Mi sembrò poi, essendo voi tutti scomparsi, di essermi inoltrato alquanto nel cortile. Erano con me Don Rua, Don Cagliero, Don Francesia, D. Savio e il giovanetto Preti; e un po' distante Giuseppe Buzzetti e D. Stefano Rumi, addetto al Seminario di Genova nostro grande amico. Ad un tratto l'Oratorio attuale cambiò aspetto e prese l'aspetto della casa nostra come era ai suoi primordii, quando vi erano quasi solo i suddetti. Si noti che il cortile era confinante con vasti campi incolti, disabitati, che si estendevano fino ai prati della cittadella, ove i p rimi giovani sovente scorrazzavano giuocando. Io era vicino al posto dove ora, sotto le finestre della mia stanza, sta il laboratorio dei falegnami, spazio una volta coltivato ad orto.
Mentre seduti stavamo conversando degli affari della casa e dell'andamento dei giovani, ecco che qui avanti a questo pilastro (ove era appoggiata la cattedra dalla quale egli parlava) che sostiene la pompa, presso la quale era la porta di casa Pinardi, vedemmo spuntare dalla terra una vite bellissima, quella stessa che un tempo era già in quel medesimo luogo. Noi abbiamo fatte le meraviglie che la vite ricomparisse dopo tanti anni; e l'uno domandava all'altro che cosa mai fosse ciò. La vite cresceva a vista d'occhio e si era innalzata da terra all'altezza circa di un uomo. Quand'ecco incomincia a stendere i suoi tralci in numero stragrande, di qua, di là, da tutte parti e a mettere fuori i suoi pampini. In breve tempo si estese tanto da occupare tutto il nostro cortile e a protendersi oltre. Quel che era singolare si è che i suoi tralci non si spingevano in alto, ma si distesero parallelamente al suolo come un immenso pergolato, stando così sospeso senza un visibile sostegno. Belle e verdi erano le sue foglie, spuntate allora: e i lunghi tralci di una prosperità e vigoria sorprendente; e tosto uscirono fuori i bei grappoli, ingrossarono gli acini e l'uva prese il suo colore.
Don Bosco e quelli che erano con lui guardavano stupiti e dicevano:
 - Come ha fatto questa vite a crescere così presto? che cosa sarà?
E Don Bosco agli altri: - Là! stiamo a vedere che cosa succede.
Io osservava coll'occhio spalancato, senza batter palpebra, quando ad un tratto tutti gli acini caddero per terra e diventarono altrettanti giovani vispi e allegri, dei quali in un momento fu ripieno tutto il cortile dell'Oratorio ed ogni spazio intorno ombreggiato dalla vite saltavano, giuocavano, gridavano, correvano sotto quel singolare pergolato, sicchè faceva gran piacere il vederli. Erano qui tutti i giovani, che furono, sono e saranno nell'Oratorio e negli altri collegi, perchè moltissimi non li conosceva.
Allora un personaggio, che sulle prime non conobbi chi fosse, e voi sapete che Don Bosco ne' suoi sogni ha sempre una guida, mi apparve al fianco ed osservava anch'esso i giovani. Ma a un tratto un velo misterioso si stese innanzi a noi e celò quel giocondo spettacolo.
Quel lungo velo non pi√π alto della vigna pareva come attaccato ai tralci della vite in tutta la sua lunghezza e scendeva al suolo a guisa di sipario. Non vedevasi pi√π altro che la parte superiore della vite che pareva un vastissimo tappeto di verdura. Tutta l'allegria dei giovani era cessata in un istante e succedeva un malinconico silenzio.
 - Guarda! mi disse la guida; e mi additò la vite.
Mi avvicinai e vidi quella bella vite, che sembrava carica d'uva non avesse più che le foglie, sulle quali stavano scritte le parole del Vangelo: Nihil invenit in ea! Non sapeva che cosa ciò volesse significare e dissi a quel personaggio:
 - Chi sei tu? ... Che cosa significa questa vite?
Quegli tolse il velo come innanzi alla vite e sotto apparve solo un certo numero dei moltissimi nostri giovani visti prima, in gran parte a me sconosciuti.
 - Costoro, soggiunse, sono quelli che avendo molta facilità per farsi del bene non si prefiggono per fine di dar piacere al Signore. Sono quelli che fanno solo le viste di operare il bene per non scomparire in faccia ai buoni compagni. Sono quelli che osservano con esattezza le regole della casa, ma per calcolo di schivare rimproveri, e non perdere la stima dei superiori: si mostrano deferenti verso di loro, ma non riportano alcun frutto dalle istruzioni, eccitamenti e cure che ebbero o avranno in questa casa. Il loro ideale è di procurarsi una posizione onorifica e lucrosa nel mondo. Non curano di studiare la loro vocazione, respingono l'invito del Signore se li chiama, e nello stesso tempo simulano le loro intenzioni temendo qualche scapito. Sono quelli in somma che fanno le cose per forza e perciò non giovano loro niente per l'eternità.
Così disse. Oh! quanto dispiacere mi ha fatto il vedere in quel numero anche alcuni, che io credeva molto buoni, affezionati e sinceri!
E l'amico soggiunse: - Il male non è tutto qui - e lasciò cadere il velo e ricomparve distesa la parte superiore di tutta quella vite.
- Ora guarda di nuovo! - mi disse.
Guardai que' tralci; tra le foglie vedevansi molti grappoli d'uva che sulle prime mi parve promettessero una ricca vendemmia. Già mi rallegrava, ma avvicinandomi vidi che que' grappoli erano difettosi, guasti; altri muffiti, altri pieni di vermi e di insetti che li rodevano, altri mangiati dagli uccelli e dalle vespe, altri marci e disseccati. Guardando ben bene mi persuasi che nulla si poteva ricavare di buono da que' grappoli che facevano nient'altro che appestare l'aria circostante col fetore che da essi emanava.
Quel personaggio allora alzò di nuovo il velo e: Guarda! esclamò. E sotto apparve non il numero sterminato di nostri giovani visto sul principio del sogno, ma molti e molti di essi. Le loro fisionomie, prima così belle, erano divenute brutte, scure, e piene di piaghe schifose. Essi passeggiavano curvi, rattrappiti nella persona e malinconici. Nessuno parlava. Tra questi ve n'erano di quelli che già abitarono qui nella casa e nei collegi, di quelli che ora vi sono presentemente, e moltissimi che io non conosceva ancora. Tutti erano avviliti e non osavano alzare lo sguardo.
Io, i preti, e alcuni che lui circondavano, eravamo spaventati e senza parola. Finalmente domandai alla mia guida:
 - Come va questo? Perchè que' giovani erano prima così allegri e belli, ed ora sono così tristi e brutti?
La guida rispose: - Ecco le conseguenze del peccato!
I giovani intanto mi passavano dinanzi e la guida mi disse:
 - Osservali un po' bene!
Attentamente li fissava e vidi che tutti portavano scritto sulla fronte e sulla mano il loro peccato. Fra questi ne riconobbi alcuni che mi fecero stupire. Aveva sempre creduto che fossero fiori di virt√π e qui invece scopriva come avessero gravissime magagne nell'anima.
Mentre i giovani sfilavano, io leggeva sulla loro fronte: - Immodestia - scandalo - malignità - superbia - ozio - gola - invidia - ira - spirito di vendetta - bestemmia - irreligione - disobbedienza - sacrilegio - furto.
La mia guida mi fece osservare: - Non tutti sono ora come li vedi, ma un giorno saranno tali se non mutano condotta. Molti di questi peccati non sono di per sé gravi, ma sono però la causa ed i principii di terribili cadute e di eterna perdizione. Qui spernit modica, paulatim decidet. La gola produce l'impurità; lo sprezzo ai Superiori porta il disprezzo ai sacerdoti ed alla Chiesa; e via discorrendo.
Desolato a questo spettacolo presi il portafoglio, ne trassi fuori la matita per scrivere i nomi dei giovani che conosceva e notare i loro peccati o almeno il vizio dominante di ciascuno; chè voleva avvertirli e correggerli. Ma la guida mi afferrò il braccio e mi domandò:
 - Che fai?
 - Scrivo ciò che vedo loro stampato in fronte, sicchè possa avvertirli, e si correggano.
 - Non ti è permesso; rispose l'amico.
 - Perché?
 - Non mancano di mezzi per vivere scevri da queste malattie. Hanno le regole, le osservino: hanno Superiori, li obbediscano: hanno i Sacramenti, li frequentino. Hanno la Confessione, non la profanino col tacere i peccati. Hanno la SS. Comunione, non la ricevano coll'anima brutta di colpa grave. Tengano custoditi gli occhi, fuggano i cattivi compagni, si astengano dalle cattive letture e dai cattivi, discorsi, ecc., ecc. Sono in questa casa e le regole li salveranno. Quando suona il campanello siano pronti all'obbedienza. Non cerchino sotterfugi per ingannare i maestri e così stare in ozio. Non scuotano il giogo dei superiori, considerandoli come sorvegliatori importuni, consiglieri interessati, come nemici, e cantando vittoria, quando riescono a coprire le loro magagne o a veder impunite le loro mancanze. Stiano riverenti e preghino volentieri in chiesa e in altri tempi destinati all'orazione senza disturbare e ciarlare. Studino nello studio, lavorino nel laboratorio e tengano un contegno decente. Studio, lavoro e preghiera: ecco ciò che li manterrà buoni, ecc.
Non ostante questa negativa io continuai ancora a pregare istantemente la mia guida perchè mi lasciasse scrivere quei nomi. E quella mi strappò di mano il portafoglio con risolutezza e lo gettò per terra, dicendo: - Ti dico che non occorre che tu scriva questi nomi. I tuoi giovani colla grazia di Dio e colla voce della coscienza possono sapere quello che debbono fare o fuggire.
 - Dunque, dissi, non potrò io manifestare alcuna cosa ai miei cari giovani? Dimmi tu almeno ciò che potrò annunziar loro, quale avviso dare!
 - Potrai dire, quello che ti ricordi, a tuo piacimento.
E lasciò calare il velo e di nuovo si scoperse innanzi ai nostri occhi le vite, i cui tralci, quasi senza foglie, portavano una bell'uva rubiconda e matura. Mi accostai, osservai attentamente i grappoli e li trovai quali sembravano da lungi. Era un piacere vederli e davano gusto al solo mirarli. Tutto intorno spargevano soavissimo odore.
L'amico alzò tosto il velo. Sotto quel pergolato così esteso stavano molti nostri giovani che sono, furono, e saranno con noi. Erano bellissimi e raggianti di gioia.
 - Questi, disse colui, sono e saranno coloro che mediante le tue cure fanno e faranno buoni frutti, coloro che praticano la virtù e ti daranno molte consolazioni.
Io mi rallegrai, ma restai nello stesso tempo afflitto, perchè essi non erano poi quel numero grandissimo che sperava. Mentre li stava contemplando suonò la campana del pranzo ed i giovani se ne andarono. Eziandio i chierici si recarono alla loro destinazione. Guardai attorno e non vidi più nessuno. Anche la vite coi suoi tralci ed i suoi grappoli era scomparsa. Cercai di quell'uomo e più non lo vidi. Allora mi svegliai e potei riposare alquanto.
Il 1° maggio, venerdì, Don Bosco continuava il racconto:
 - Come vi ho detto ieri sera, io mi era svegliato parendomi di aver udito il suono della campana, ma tornai ad assopirmi e riposava con un sonno tranquillo, quando venni scosso per la seconda volta e mi sembrò di trovarmi nella mia camera, in atto di sbrigare la mia corrispondenza. Uscii fuori sul poggiuolo, contemplai per un istante la cupola della chiesa nuova che s'innalzava gigantesca, e discesi sotto i portici. A poco a poco arrivavano dalle loro occupazioni i nostri preti e i chierici che facevano corona intorno a me. Fra questi erano Don Rua, D. Cagliero, D. Francesia e D. Savio lo m'intratteneva a parlare coi miei amici di cose diverse quando all'improvviso cambiò scena. Scomparve la chiesa di Maria Ausiliatrice, scomparvero tutti gli attuali edifizii dell'Oratorio, e ci siamo trovati innanzi alla vecchia casa Pinardi. Ed ecco nuovamente spuntare da terra una vite nello stesso posto che vidi la prima, quasi sorgesse dalle stesse radici, e questa elevarsi ad eguale altezza, quindi gettar fuori moltissimi tralci orizzontali distesi in un vastissimo spazio, i quali si copersero di foglie, poi di grappoli e in ultimo vidi maturare le uve. Ma più non comparvero le turbe dei giovani. I grappoli erano addirittura enormi come quelli della terra promessa. Ci sarebbe voluta la forza di un uomo per reggerne un solo. Gli acini erano straordinariamente grossi e di forma bislunga: il colore di un bel giallo d'oro: sembravano maturissimi. Un solo avrebbe riempita la bocca. Avevano insomma l'aspetto così bello che facevano venir l'acquolina e sembrava che ciascuno dicesse: - Mangiami!
Anche D. Cagliero osservava meravigliato quello spettacolo insieme con Don Bosco e cogli altri preti, e Don Bosco esclamava: Che uva stupenda!
E Don Cagliero senza tanti complimenti si avvicinò alla vigna, ne staccò alcuni acini, ne cacciò uno in bocca, lo compresse coi denti; ma restò lì nauseato colla bocca aperta e gettò fuori l'uva con un impeto, che sembrava rigettasse. L'uva aveva un gusto così scellerato come quello dell'uovo marcio. - Contacc! ! esclamò Don Cagliero, dopo aver sputato più volte; è veleno, è roba da far morire un cristiano!
Tutti guardavano e nessuno parlava, quando esce dalla porta della sagrestia della cappella antica un uomo serio e risoluto, si accosta a noi e si ferma al fianco di Don Bosco. Don Bosco lo interrogò:
 - Come va, che un'uva così bella ha un gusto così cattivo?
Quell'uomo non rispose, ma sempre serio andò a prendere un fascio di bastoni, ne scelse uno nodoso e presentatosi a Don Savio glielo offerse, dicendo: - Prendi e batti su questi tralci! - Don Savio si rifiutò, ritirandosi indietro di un passo.
Allora quell'uomo si volse a D. Francesia, gli offerse il bastone e gli disse: - Prendi e batti! - e come a D. Savio accennava il luogo dove doveva battere. Don Francesia, tirando su le spalle e sporgendo fuori il mento, crollò così un pochettino la testa, accennando che no.
Quell'uomo andò a porsi innanzi a Don Cagliero e presolo per un braccio gli presentò il bastone dicendo: - Prendi e batti, percuoti ed atterra! - accennandogli dove doveva battere. Don Cagliero sgomentato fece un salto indietro e battendo il dosso di una mano contro dell'altra, esclamò: - Ci manca anche questa! - La guida glielo porse per la seconda volta, ripetendo: - Prendi e batti! - È Don Cagliero facendo schioppettare le labbra e dicendo: -  Mi no, mi no! Io no! io no! - corse, preso da paura, a nascondersi dietro di me.
Ciò vedendo quel personaggio, senza scomporsi, si presentò allo stesso modo a Don Rua: - Prendi e batti: - e Don Rua come Don Cagliero venne a ripararsi dietro di me.
Allora io mi trovai in faccia a quell'uomo singolare che, fermatosi innanzi a me, mi disse: - Prendi e batti tu questi tralci. - Io feci un grande sforzo per vedere se sognassi o fossi in piena cognizione e parvemi che tutte quelle cose fossero vere, e dissi a quell'uomo:
 - Chi sei tu che mi parli in questo modo? Dimmi; perchè ho da percuotere su questi tralci? Perchè debbo atterrarli? È un sogno questo, è un'illusione? Che cos'è? A nome di chi parli? Mi parli forse tu a nome del Signore?
 - Avvicinati alla vite, mi rispose, e leggi su quelle foglie! - Mi avvicinai, esaminai con attenzione le foglie e vi lessi scritto sopra: - Ut quid terram occupat?
 - È scritto nel Vangelo! esclamò la mia guida.
Aveva abbastanza inteso, ma volli osservare: - Prima di battere, ricordati che nel Vangelo si legge eziandio come il Signore, alle preghiere del coltivatore, abbia aspettato che si concimasse la pianta inutile alla radice, e si coltivasse, riservandosi a sradicarla solamente dopo di aver fatte tutte le prove perchè rendesse buon frutto.
 - Ebbene: si potrà accordare una dilazione di castigo, ma intanto guarda, e poi vedrai. - E mi additò la vite. Io guardava ma non intendeva.
 - Vieni e osserva; mi replicò: leggi; sugli acini che cosa sta scritto?
Don Bosco si avvicinò e vide che gli acini avevano tutti un'iscrizione, il nome di uno degli alunni e il titolo della sua colpa. Io leggeva e tra tante imputazioni fui atterrito dalle seguenti: Superbo Infedele alle sue promesse - Incontinente - Ipocrita Trascurato in tutti i suoi doveri - Calunniatore - Vendicativo - Senza cuore - Sacrilego - Dispregiatore dell'autorità de' superiori - Pietra d'inciampo - Seguace di false dottrine. - Vidi il nome di quelli quorum Deus venter est; di quelli che scientia inflat; di quelli che quaerunt quae sua sunt, non quae Iesu Christi; di quelli che montano consiglio contro i superiori e le regole. Erano i nomi di certi disgraziati che furono o sono attualmente fra di noi: e gran numero di nomi nuovi per me, ossia di coloro che verranno con noi nei tempi futuri.
 - Ecco i frutti che dà questa vigna, disse sempre serio quell'uomo; frutti amari, cattivi, dannosi per l'eterna salute.
Senz'altro tirai fuori il portafoglio e presa la matita voleva scrivere i nomi di alcuni, ma la guida mi afferrò il braccio come la prima volta e mi disse: - Che cosa fai?
 - Lasciami prendere il nome di quelli che io conosco, affinchè possa avvertirli in privato e correggerli.
Inutilmente pregai. La guida non me lo concesse; ed io soggiunsi:
 - Ma se io dirò loro come stanno le cose, in quale cattivo stato essi si trovano, si ravvederanno.
Ed egli a me:
 - Se non credono al Vangelo, non crederanno neppure a te.
Insistetti, perchè desiderava prender nota e aver norme anche per ciò che riguardava l’avvenire; ma quell'uomo più nulla rispose e andato innanzi a D. Rua col fascio dei bastoni lo invitò a prenderne uno: - Prendi e batti! - D. Rua incrociando le braccia abbassò la testa e mormorò: - Pazienza! - quindi diede un'occhiata a Don Bosco. Don Bosco fece segno di approvazione e Don Rua preso il bastone nelle sue mani si avvicinò alla vigna e incominciò a battere nel luogo indicato. Ma aveva appena dati i primi colpi, che la guida gli fe' cenno di cessare e gridò a tutti: - Ritiratevi!
Tutti andammo in distanza. Osservavamo e vedevamo gli acini gonfiare, venir più grossi, diventar schifosi. Sembravano all'aspetto lumache senza chiocciola, ma di colore sempre giallo, senza perdere la forma di uva. La guida gridò ancora: - Osservate! Lasciate che il Signore scarichi le sue vendette!
Ed ecco il cielo si annuvola e una nebbia così fitta, che non lasciava più vedere neppure a poca distanza, copre tutta la vite. Ogni cosa si fa oscura. Guizzano i lampi, rombano i tuoni, strisciano così spessi i fulmini per tutto il cortile, che metteano terrore. Si piegavano i tralci agitati dai venti furiosi e volavano le foglie. Finalmente una fitta tempesta incominciò a cadere sulla vite. Io voleva fuggire ma la mia guida mi trattenne dicendomi: - Guarda quella grandine!
Guardai e vidi che la grandine era grossa come un uovo; parte era nera, parte rossa; ogni grano era da una parte acuto e dall'altra piatto in forma di mazza. La grandine nera percuoteva il terreno vicino a me e pi√π indietro si vedeva cadere la grandine rossa.
 - Come va questo? diceva; non ho mai visto grandine simile.
 - Accostati, mi rispose l'amico sconosciuto, e vedrai.
Mi avvicinai un poco verso la grandine nera, ma da questa esalava tale puzza che io ne veniva respinto. L'altro sempre più insisteva perchè mi avvicinassi. Pertanto presi un chicco di quella gragnuola nera per esaminarla, ma subito dovetti gettarlo per terra, tanto mi ripugnava quell'odore pestilenziale, e dissi: - Non posso veder niente!
E l'altro: - Guarda bene e vedrai!
Ed io, fattomi maggior violenza, vidi scritto sopra ognuno di quei pezzi neri di ghiaccio: Immodestia. Procedetti ancora verso la grandine rossa che era fredda, eppure incendiava da per tutto dove cadeva. Ne presi un granello che puzzava similmente, ma potei con un po' più di facilità leggervi scritto sopra: Superbia. Alla vista di ciò anch'io vergognoso: - Dunque, esclamai, sono questi i due vizii principali che minacciano questa casa?
 - Questi sono i due vizi capitali che rovinano un maggior numero di anime non solo in tua casa, ma che più ne rovinano in tutto il mondo. A suo tempo tu vedrai quanti saranno precipitati nell'inferno da questi due vizii.
 - Che cosa dovrò adunque dire ai miei figliuoli perchè li abborriscano?
 - Quanto dovrai dir loro, lo saprai tra poco. - Così dicendo si allontanò da me. Intanto la grandine tra il bagliore dei lampi e dei fulmini continuava a tempestare furiosamente sulla vite. I grappoli erano pestati, schiacciati come se fossero stati nel tino sotto i piedi dei cantinieri e mandavano fuori il loro sugo. Una puzza orribile si sparse per l'aria e pareva soffocare il respiro. Da ogni acino usciva un vario fetore differente, ma l'uno era più stomachevole dell'altro, secondo le diverse specie e il numero de' peccati. Non potendo più resistere, misi il fazzoletto al naso. Tosto mi voltai indietro per andare in mia camera, ma non vidi più nessuno de' miei compagni; né Don Francesia, né Don Rua, né Don Cagliero. Mi avevano lasciato solo ed erano fuggiti. Tutto era deserto e silenzio. Io pure fui preso allora da tale spavento, che mi diedi alla fuga, e fuggendo mi svegliai.
Come vedete questo sogno è brutto assai, ma ciò che avvenne la sera e la notte dopo l'apparizione del rospo, lo diremo dopodomani, domenica, 3 maggio, e sarà molto più brutto ancora. Adesso non potete conoscerne le conseguenze, ma siccome ora non c'è più tempo, per non togliervi il riposo vi lascio andare a dormire, riserbandomi a manifestarvele in altra occasione.
Conviene riflettere che le gravi mancanze rivelate a Don Bosco non si riferivano tutte a quei tempi, ma riguardavano sparsamente una serie di anni futuri. Infatti egli vide non solo tutti gli alunni che erano stati ed erano allora nell'Oratorio, ma una infinità di altri di fisionomia a lui sconosciuta che avrebbero appartenuto alle sue Istituzioni sparse in tutto il mondo. La parabola della vigna sterile, che si legge nel libro d'Isaia, abbraccia più secoli di storia.
Inoltre non conviene e non è assolutamente da dimenticare ciò che disse la guida al Venerabile: Non tutti questi giovani sono ora come li vidi, ma un giorno saranno tali se non mutano condotta. Pel sentiero del male si va al precipizio.
Notiamo pure come, in vista della vigna, era apparso un personaggio che Don Bosco diceva non aver subito conosciuto, e che poi la fu sua guida e il suo interprete. Nella narrazione di questo e di altri sogni, Don Bosco soleva dargli talora il nome di sconosciuto per celare la parte più grandiosa di ciò che aveva contemplato e, diremo anche, ciò che indicava troppo manifestamente l'intervento del soprannaturale.
Interrogato varie volte da noi, valendoci di quell'intima confidenza della quale ci onorava, intorno a questo sconosciuto, benchè le sue risposte non fossero esplicite, pure anche per altri indizi abbiam dovuto persuaderci che la guida non era sempre la stessa, e forse ora era un angelo del Signore, ora qualche allievo defunto, ora S. Francesco di Sales, ora S. Giuseppe, o altri santi. Altre volte disse esplicitamente di essere stato accompagnato da Luigi Comollo, o Domenico Savio, o Luigi Colle. Talvolta poi intorno a questi personaggi la scena si dilatava con apparizioni simultanee che loro facevano corteggio o compagnia.
 
 
 
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