Nuovo incremento dell'Oratorio - Le ricreazioni fuori città - D. Guala concede il cortile del Convitto e la sacrestia - Il Catechismo in due sezioni - Desiderio nei giovanetti per confessarsi da D. Bosco - La Comunione frequente - Consolazioni e prove - La festa di S. Anna - Una cara sorpresa.
del 20 ottobre 2006
 Colle sante industrie suddescritte il piccolo Oratorio festivo nel 1843 andava meravigliosamente prosperando. D. Bosco però era alquanto angustiato per la ristrettezza dello spazio che gli era concesso. Per il loro numero, non era più conveniente che i giovanetti sostassero sulla piazza della Chiesa di S. Francesco d'Assisi anche per breve ricreazione. Essendo questa Chiesa centrale e celebrandovisi molte Messe, giacchè i convittori erano quasi tutti sacerdoti, continua e grande era l'affluenza dei cittadini per l'adempimento dell'obbligo festivo e per l'assistenza alle altre religiose funzioni. I giovanetti perciò riuscivano un ingombro ed un disturbo. E poi le guardie della città non potevano tollerare un assembramento clamoroso in uno dei punti più centrali e nobili delle abitazioni ove per soprappiù le strade sono molto ristrette. Per questo D. Bosco, prima e dopo le sue radunanze, andava sul piazzale della Chiesa e nei crocicchi delle vie adiacenti, sia per raccogliere i suoi amici, come per assicurarsi che non tardassero a ritornare alle loro case.  A tal uopo li divideva anche in gruppi secondo i borghi, cui appartenevano, e loro raccomandava che non sviassero e spesso egli stesso accompagnava or questa or quella squadra. Ma pure i giuochi erano necessari per allettare alla frequenza del Catechismo quella focosa gioventù; ed ei li conduceva sovente in amene passeggiate fuori della città, in siti dove potessero divertirsi a loro piacimento, sotto la sua paterna vigilanza, che mai li abbandonava nè nell'andare, nè nel ritorno. Ma ciò non sempre tornava vantaggioso ai giovani e comodo a D. Bosco, e però il Teol. Guala, riconosciuta la necessità di un luogo fisso per le ricreazioni ordinarie, gli concedette di radunare qualche volta i suoi birichinetti nel cortile annesso al Convitto.
Anche la retrosagrestia più non bastava per accoglierli tutti al Catechismo, imperocchè il numero già montava ad ottanta; ed il Teol. Guala permise che occupassero eziandio la sagrestia. E siccome, così divisi in due sale e talvolta in tre, occupando pure il coretto, D. Bosco solo più non era sufficiente per la loro sorveglianza, il Teol. Guala dispose che fosse coadiuvato da alcuni convittori, fra i quali si ripartirono le varie classi da istruire.
Ma v'ha di più: nuovi giovani accorrevano all'Oratorio, e D. Bosco fu costretto a dividerli in due sezioni e stabilire in due diversi tempi l'istruzione catechistica. Ciò avvenne per quasi due anni di seguito. Talora anzi anche alla sera dei giorni feriali faceva venire a sè i più tardi d'ingegno e loro ripeteva e spiegava tante volte le risposte del catechismo, finchè le sapessero a memoria e ne comprendessero bene il significato. Intanto si informava immancabilmente da ognuno e dove abitasse e dove lavorasse, per poterli tutti visitare a tempo debito, incoraggiare al bene e raccomandarli ai rispettivi padroni.
Al mattino di ogni festa si continuava a dar comodità di accostarsi ai SS. Sacramenti. I giovanetti tanto si erano a lui affezionati e tanta confidenza in lui riponevano, che tutti volevano confessarsi da lui. Ed era cosa consolante vedere il suo confessionale ogni festa attorniato da venti, trenta, quaranta e fino cinquanta fanciulli, che attendevano per ore ed ore che giungesse il loro turno, per confidare a lui i segreti del loro cuore. Poscia celebrava la S. Messa per loro, distribuendo la S. Comunione ad un gran numero di essi, con viva commozione di quanti assistevano a quello spettacolo di portentosa riforma morale. In ultimo teneva una breve istruzione a tutti insieme. E’ gloria di D. Bosco l'aver avvezzati tanti giovanetti del popolo alla Comunione frequente, mentre l'usanza deplorevole portava che quasi solo a Pasqua si accostassero alla sacra mensa e quando già erano avanti negli anni. D. Bosco aveva ben comprese le parole di Gesù Benedetto: “Lasciate che i piccoli vengano a me e nol vietate loro: imperocchè di questi tali è il regno di Dio. Io sono venuto, perchè abbiano la vita e l'abbiano abbondantemente”. Alla sera non assistevano alla benedizione, perchè non vi era comodità; ma dopo il catechismo D. Bosco li intratteneva insegnando loro a cantare lodi al Signore ed alla Madonna. Mons. Bertagna, allora giovanetto, essendo venuto per qualche tempo in Torino, invitato da D. Bosco interveniva talora in mezzo agli altri come discepolo a queste lezioni di catechismo e di canto.
Grandi erano le consolazioni che procuravano a D. Bosco questi garzoncelli. Egli scrisse nelle sue memorie: “In poco tempo mi trovai circondato da giovanetti, tutti ossequenti alle mie ammonizioni, tutti avviati al lavoro, la cui condotta, tanto nei giorni feriali quanto nei festivi io potevo in certa maniera garantire. Dava loro uno sguardo, e vedeva l'uno ricondotto ai genitori, da cui era fuggito, l'altro, dato prima all'ozio ed al vagabondaggio, collocato a padrone e laborioso; questi, uscito dal carcere, divenire modello dei compagni, quello, prima ignorantissimo delle cose riguardanti la fede, ora tutto in via d'istruirsi nella religione”.
Il suo cuore però non era pienamente soddisfatto. Sentiva il bisogno di una Chiesa destinata solamente per i suoi ragazzi, recinti abbastanza spaziosi per la ricreazione, appositi locali per le scuole che aveva ideate, portici o tettoie per riparare gli allievi dalle intemperie nella fredda stagione o in caso di pioggia.
Aveva eziandio un po' di pena per la freddezza, colla quale trattavalo qualche superiore subalterno, che pareva non amasse troppo quella novità. Anzi attesta D. Giacomelli che i giovanetti raccolti da D. Bosco erano soltanto tollerati e a stento dalla comunità. È legge ordinaria che le opere di Dio si stabiliscono e crescono per mezzo della santificazione e delle avversità. E queste incominciavano. Il regime infatti di comunità richiede silenzio in molte ore del giorno; le pubbliche funzioni, di una Chiesa frequentatissima richiedono tranquillità; ma l'uno e l'altra sembravano compromesse da quella turba noti sempre troppo silenziosa. D. Bosco stesso vedeva essergli indispensabile un altro locale, e se ne aperse col Rettore. Ma il Teol. Guala, benchè avvezzo ad una vita lontana da ogni rumore e conoscesse tutti quei lamentati inconvenienti, pure, giusto estimatore del bene che si faceva e più ancora che si preparava, incoraggiò D. Bosco a perseverare, senza badare alle dicerie; e gli diede una prova di più della sua protezione.
Altre volte, in occasione di qualche solennità, aveva somministrato ai giovani dell'Oratorio colezione o merenda; ora gli volle procurare una cara gratissima sorpresa. In quel tempo il giovanil drappello era formato di scalpellini, stuccatori, selciatori, e soprattutto di muratori. Per questa ragione il Teol. Guala desiderò che si facesse una bella festa in onore di sant’Anna, speciale patrona di questa professione. Laonde in quel giorno il sant'uomo, dopo le religiose funzioni del mattino, invitò tutti a fare colazione con lui, e a tale uopo li condusse quasi in numero di cento nella gran sala detta delle Conferenze. Colà furono con loro sorpresa serviti tutti abbondantemente di caffè, latte e cioccolata, pane, dolci, confetti e simili, che furono per essi cose ghiottissime sì, che loro pareva di stare alla tavola del re. “Oh! quanti bei casi di morale abbiamo sciolti ancor noi in detta scuola in quell'occasione, mi diceva uno dei superstiti! Davvero! Facevamo scomparire lì su due piedi le difficoltà posteci innanzi, cioè i biscottini, che era una maraviglia. Ognuno quindi può immaginare quanto rumore menasse questa festa tra i nostri compagni, ai quali la raccontammo. Da quel dì, se il locale lo avesse permesso, noi saremmo giunti ben presto a parecchie centinaia. Non meno commovente fu il contegno religioso, e il frutto che abbiamo riportato da quella festa. Ci parve davvero che la santa Genitrice dell'Augusta Madre di Dio ci arridesse in quel giorno dal Cielo, e ci annoverasse tra i suoi protetti. E ne avevamo molto bisogno: poichè chi non sa a quali e quanti pericoli non si trovano tuttodì esposti i poveri artigiani, e specialmente i muratori? Or bene d'allora in poi non si ricorda che alcuno di noi sia stato vittima di qualche disgrazia”.
Così il Teol. Guala animava D. Bosco, il quale sempre malaticcio mostravasi infaticabile per la salute delle anime. Egli, che lo aveva sovvenuto con danari fin da quando era entrato in Convitto, diceva di lui: Se costui la scampa, ne farà qualcheduna da pari suo! Quanto abbiamo fin qui narrato riguardo all'Oratorio e a D. Bosco nel Convitto ci venne riferito da D. Giacomelli, da Giuseppe Buzzetti, dal Prof. Gaidano, che in sua gioventù passò più anni al Convitto, e dal signor Bargetto berrettaio addetto allora al servizio del Convitto medesimo, il quale aggiunse che quanto D. Bosco aveva di suo e di donato dagli altri, tutto impiegava per i bisogni e le ricreazioni de' suoi figliuoli, non ritenendo per sè che lo stretto necessario, che era ben poco.
 
 
 
 
 
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