Capitolo 15

All'aprirsi del nuovo anno.

Capitolo 15

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

In sull'aprirsi del 1880 conviene che diamo urlo sguardo allo stato della Congregazione per misurarne i progressi. Il Capitolo Superiore si componeva come segue:

 

RETTORE sac. Bosco Giovanni.

PREFETTO sac. Rua Michele.

DIRETTORE SPIRITUALE sac. Cagliero Giovanni.

ECONOMO sac. Ghivarello Carlo.

CONSIGLIERE SCOLASTICO sac. Durando Celestino.

CONSIGLIERE sac. Lazzero Giuseppe.

CONSIGLIERE sac. Sala Antonio.

 

PREFETTO DEL CLERO sac. Bonetti Giovanni.

MAESTRO DEGLI ASCRITTI sac. Barberis Giulio.

 

Don Ghivarello nel Catalogo figura anche Direttore dell'orfanotrofio di Saint-Cvr. Realmente Don Bosco nel febbraio del 1879 aveva stabilito di mandarvi lui per qualche tempo, intendendosi egli molto di agricoltura e potendo senza inconvenienti assentarsi da Torino; ma, poichè non sapeva ancora parlar bene il francese, vi fu mandato provvisoriamente un altro fili verso il termine dell'anno.

  I nomi di Don Bonetti e di Don Barberis vengono dopo quelli dei Capitolari, ma a una certa distanza, non essendo essi membri del Capitolo Superiore, sebbene talora Don Bosco li facesse assistere alle sedute. Senza dubbio il Beato volle usar loro questa distinzione per metterne maggiormente in valore il rispettivo ufficio di fronte ai Confratelli. Prefetto del Clero dal 1878 al 1880 equivalse a Rettore del Santuario di Maria Ausiliatrice.

  I soggetti che in qualsiasi modo si potevano dire appartenenti alla Congregazione, sommavano a 732, e cioè:

Professi perpetui             325

Professi triennali               80

Ascritti                           146

Aspiranti                         181

                     (Sacerdoti 127)

  Le case formavano quattro Ispettorie con denominazione geografica: piemontese, ligure, americana, romana. Alle prime tre erano preposti Don Francesia, Don Cerrutti e Don Bodrato; alla romana, che comprendeva Magliano Sabino, Randazzo, Brindisi e Roma (Torre de' Specchi), badava da Torino Don Durando.

  Il Catalogo, secondo l'uso introdotto nel 1875, conteneva le succinte biografie dei “Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna* nell'anno precedente. Erano un coadiutore, Carlo Tonelli, e cinque chierici: Pietro Scappini, Luigi Bianchi, Clemente Benna, Carlo Trivero, Giacomo Delmastro. Le quattro paginette dedicate al chierico Benna, di distintissima famiglia torinese, sono sufficienti a rivelare in questo giovane una notevole ricchezza di doti naturali e di doni soprannaturali che. rendendolo “ la delizia dei compagni e la compiacenza dei superiori ”, facevano concepire di lui ottime spe-ranze.

  Don Bosco teneva molto a simili biografie dei Soci defunti; ma, prevedendo che col dilatarsi della Congregazione sarebbe del pari aumentata la difficoltà di avere sempre le necessarie informazioni, ecco che col Catalogo del 1880 mandò di conserva un modulo, che servisse di norma per raccogliere sollecitamente e spedire con la maggior prontezza possibile a Torino tutte le notizie, elle potevano occorrere ai biografi designati. Su dieci punti bisognava rispondere: I° Fatti ed esempi della prima età in famiglia e nella patria. 2° Tenor di vita in collegio o nell'ospizio, riguardo alla scuola o al laboratorio. 3° Condotta durante la prova e dopo la professione. 4° Uffizi disimpegnati. 5° Parole e opere spettanti al sacro ministero, se il confratello era stato sacerdote e soprattutto se missionario. 6° Virtù speciali; detti e fatti. 7° Divozioni e pratiche di pietà. 8° Discorsi e relazioni col prossimo. 9° Scritti, come libri, biglietti e lettere; sentenze e massime estratte dai medesimi. 10° Circostanze dell'ultima malattia e morte. Come ci si sente la mentalità dell'uomo nato non solo per fare ma anche per scrivere della storia, se la prima attività non avesse paralizzata la seconda!

  A Roma, nell'appartamento di Torre de' Specchi posto dalle nobili Oblate a disposizione di Don Bosco prese, stanza Don Francesco Dalmazzo, incaricato di trattare gli affari della Congregazione presso la Santa Sede come Procuratore Generale . L'ufficio di Procuratore Generale costituisce negli Ordini e Congregazioni religiose una carica della massima importanza; poichè, essendo il Procuratore destinato al servizio del proprio Ordine o Congregazione, ne è il rappresentante ufficiale presso il Papa, i Cardinali e le sacre Congregazioni romane, e veglia al suo decoro e ai bisogni dell'intero Sodalizio. Per alcuni anni titolare della Procura salesiana fu Don Rua; come appare dall'annuario pontificio La Gerarchia Cattolica. Il Beato inviò Don Dalmazzo a Roma il 12 gennaio, con questa lettera di presentazione per il Cardinal Nina, Segretario di Stato.

 

           Eminenza Rev.ma,

 

 Ho l'onore di presentare alla V. E. Rev.ma il nostro Procuratore nella persona del Sacerdote Francesco Dalmazzo Dottore in lettere e già Direttore del Collegio di Valsalice presso Torino. Esso potrà esporre le cose nostre alla E. V., si metterà a disposizione de' suoi illuminati voleri e darà, ove d'uopo, le comunicazioni opportune sia riguardo a Torino che alle altre case della Congregazione.

  Sul finire di Febbraio spero anch'io di avere l'onore di poterLa ossequiare personalmente, e ringraziandoLa in modo particolare della lettera che ha testè indirizzata a tutti i Salesiani, reputo a vera gloria di baciare la Sacra Porpora e inchinarmi con profondo rispetto.

Della E. V. Rev.ma

Torino, 12 Gennaio 1880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

La lettera “ indirizzata a tutti i Salesiani ” era la risposta agli auguri che cominciava così: “ Ringrazio vivamente V. S. Ill.ma e tutti i Salesiani, dei quali Ella è autorevole interprete, degli auguri di felicità direttimi pel principio del nuovo anno. 1 vincoli di affetto e di officii che mi uniscono alla Congregazione me li hanno resi gratissimi ”. Informava inoltre Don Bosco d'aver rimesso al Papa due lettere di felicitazioni da parte stia, significandogli che Stia Santità le aveva ricevute “ con grande compiacenza ” e che ringraziava e benediceva di cuore i Missionari e i Salesiani d'Italia .

  Al neoprocuratore, che veniva dal bel collegio di Valsalice, la dimora di Tor de' Specchi offriva un ben povero alloggio. Non vi era che una stanza da letto, piccola e disadorna, sicchè, quando vi tornò Don Bosco in aprile, Don Dalmazzo dovette acconciarsi a dormire sul canapè. Il Beato, osservando ivi il tavolo di legno greggio e coperto con un misero drappo tutto tarlato, esclamò: - Oh, questo sì che mi piace! Ecco una vera casa salesiana! - E rideva di cuore.

Sul novello Procuratore l'Unità Cattolica del 30 gennaio recava questa corrispondenza da Roma: “Il benemerito Don Bosco ci ha mandato, come procuratore generale della sua Congregazione, il sacerdote Francesco Dalmazzo, e gli fu fatta un'accoglienza quale egli meritava, non solo per la Congregazione Salesiana che rappresenta, ma anche per i suoi meriti personali. So che l'Eminentissimo Cardinale Vicario intende giovarsi della dottrina e delle virtù di questo chiarissimo ecclesiastico per l'insegnamento in Roma ”. A quest'ultima notizia fa riscontro quanto Don Dalmazzo scriveva a Don Rua poco dopo la metà di febbraio: “ Non ho ancora cominciato a far scuola e sto attendendo la giubilazione di un vecchio professore di letteratura latina nel Seminario Romano, che non deve essere lontana essendo uomo valetudinario. Frequento però il corso di Diritto Canonico all'Apollinare ”. Non gli mancarono amarezze in quei principii, come appare dalla medesima lettera, dove dice: “Sono finalmente stato ricevuto o dirò meglio, apostrofato dal Card. Ferrieri ”. Il colloquio gli rivelò quanto purtroppo l'Eminentissimo fosse male informato sul conto del “ veneratissimo nostro Don Bosco ”, per usare l'affettuosa espressione del Procuratore, il quale chiudeva la stia relazione con un accorato: Nesciunt quid faciunt.

  Due cose furono sul principio di gennaio oggetto delle sollecitudini del Beato: la diffusione delle Letture Cattoliche e la ricerca di buoni coadiutori.

  Dire che Don Bosco amava le sue Letture Cattoliche sarebbe ripetere cosa che tutti sanno; ma troppi forse ignorano oggi quanto egli siasi fino all'ultimo adoperato a sostenerle, a farle apprezzare e a diffonderle per tutta l'Italia. Così anche quest'anno pubblicò una circolare, con cui raccomandava caldamente a tutti gli amici della religione che lo aiutassero ad accrescere ognor piú il numero degli associati e dei lettori per porre coli tal mezzo un argine alle cattive letture, causa di tanto danno fra il popolo cristiano. L'esperienza di ven­tisette anni gli faceva proclamare l'utilità di questi opuscoli, che si potevano avere a sì modico prezzo .

  Un'altra circolare fece egli redigere e spedire specialmente ai parroci, pregandoli che, se avessero giovanotti o uomini dai vent'anni compiuti ai trentacinque circa, desiderosi di abbandonare il mondo e di abbracciare la vita religiosa come laici, li indirizzassero alla pia Società Salesiana. Oltre alla bontà della condotta e alla sanità di mente e di corpo, questi tali dovevano essere disposti a occuparsi in qualunque lavoro, come nella campagna, nell'orto, in cucina, in panatteria, in tener refettori, in fare la pulizia della casa ed anche, se fossero abbastanza istruiti, in far da segretari negli uffici; qualora poi fossero addestrati in qualche arte o mestiere, avrebbero potuto continuare l'esercizio . Per questa via egli mirava a far conoscere largamente, come la Congregazione avesse pure i suoi laici e quale ne fosse il carattere, non confondibile con quello dei tradizionali conversi. Il moltiplicarsi delle opere induceva la necessità di reclutare un numero adeguato di coadiutori.

  Con l'estendersi della fama di santità che circondava il nome di Don Bosco, andava pur crescendo quasi di giorno in giorno la moltitudine delle persone che si raccomandavano alle sue preghiere; onde, tornandogli impossibile rispondere a tutti individualmente, diede col nuovo anno a litografare una lettera che volta per volta servisse di risposta. In essa, mentre prometteva di pregare e di far pregare, raccomandava pure a ognuno di unirsi con lui e con i suoi giovanetti mediante una novena, in cui recitare quotidianamente tre Pater, Ave, Gloria, tre Salve Regina, e le giaculatorie Cor Iesu Sacratissimum, miserere nobis e Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis, frequentando inoltre la santa comunione, “ sorgente di tutte le grazie ”e facendo qualche opera di carità, massime a pro de' suoi giovanetti poveri . Oggi questa è diventata per eccellenza la novena di Don Bosco in onore di Maria Ausiliatrice. Oralmente però il Beato la suggeriva già da tempo, specificando che i Pater si dicessero a Gesù Sacramentato .

  Se nel tempo a cui siamo giunti con la nostra storia, era già grande il concetto che si aveva della santità di Don Bosco, sempre maggiore vedremo farsi questa riputazione negli anni seguenti, ma vedremo pure grandeggiare di pari passo nel Servo di Dio l'umile sentire di se stesso. Cade in questo periodo una particolarità rivelatrice, narrata dal suo segretario Don Gioachino Berto. Per ben valutare l'atteggiamento e il linguaggio di quest'ultimo, è utile sapere com'egli fosse uomo rustichetto e incapace per natura di escogitare o di adoperare formule che apparissero anche lontanamente adulatorie. Un giorno Don Bosco gli disse:

  - Guarda, Don Berto, io desidererei che tu notassi tutto quello che osservi in me di difettoso e me lo dicessi.

  - Piuttosto, gli soggiunse l'altro, dovrebbe Lei fare questo uffizio a mio riguardo.

  - No, no, replicò il Beato; vorrei che tu notassi tutto quello che trovi di biasimevole in me e me lo dicessi.

  Don Berto allora, vedendo che egli parlava sul serio, gli disse: -Ebbene, se lei vuole proprio che io mi prenda questo incarico, mi prometta che lei farà altrettanto verso di me.

  - Sì, sì, va bene; comincia perciò fin d'ora a dirmi in quali cose ti sembra dovermi io correggere.

  - Se veramente desidera questo, eccole quanto ho osservato in lei e che secondo me bisognerebbe correggere. Ma, veda, sono cose da niente.

       - Quali, per esempio?

  - Quando parla e racconta qualche fatto familiarmente, ha l'abitudine di ripetere quasi a ogni proposizione le parole ma o dico che, senza che c'entrino per nulla nel discorso.

Questo mi fa pena sentendolo, non per me, ma per gli altri che ascoltano.

- E altre cose ?

  - Un'altra cosa si è che, celebrando messa, dopo il Confiteor nel dire indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum, invece di nostrorum, dice talora vestrorum e tribuat vobis invece di tribuat nobis.

  Don Bosco ascoltava col capo chino; poi, sorridendo, insistette: -E altro?

  - Inoltre ho osservato che nel prendere le abluzioni del calice, le fa gorgogliare per qualche istante in bocca prima d'inghiottirle, come farebbe chi volesse risciacquarsela. Questo strepito si ode da tutti quelli che le stanno intorno e a me fa una disgustosa impressione; mi pare un difetto e siccome voglio molto bene a Don Bosco, mi piacerebbe che lasciasse tali abitudini. Ora le chieggo perdono, se ho parlato coli troppa libertà.

  Ma egli replicò: - Solamente queste cose? lo vorrei che mi notassi difetti gravi.

  - Al presente non ho altro da osservarle; in avvenire, se così desidera, notando qualche altro difetto in Lei, non mancherò d'indicarglielo, perchè mi sta molto più a cuore l'onor suo che non il mio. Sa bene, come dice Sallustio, che negli uomini grandi che stanno in alto, anche le più leggiere colpe e difetti e imperfezioni appaiono al volgo gravi delitti.

  A queste parole Don Bosco si fece serio in viso e cambiò discorso.

  Per San Francesco di Sales il Beato 'si sarebbe dovuto assentare da Torino; quindi volle assicurarsi in tempo i priori della festa, facendone viva istanza ai coniugi Fava.

 

           Benemerito Sig. Cavaliere Fava,

 

Più volte la S. V. e la Signora Annetta di Lei moglie hanno fatto insigne carità a me ed a tutta questa casa. Ora abbiamo tutti il più vivo desiderio che la S. V. e la pia di Lei consorte in quest'anno siano i priori della festa di S. Francesco di Sales nostro patrono e titolare.

I disturbi saranno per noi. Musica, predicatore, funzioni dì chiesa saranno nostro pensiero.

  Ella e la signora Annetta, potendo, verranno a qualche funzione della giornata, e se possibile, al nostro pranzo e alla sera al Teatrino. Padrini, quando si amministrerà il Sacramento della cresima.

  Noto che tutte le preghiere, le comunioni, e la messa della comunità saranno tutte offerte a Dio secondo la pia loro intenzione.

  D. Rua mio alter ego darà schiarimenti se occorrono e prenderà la sua risposta che spero favorevole.

  Dio benedica lei e tutta la sua famiglia e mi creda con profonda gratitudine.

Di V. S. B.

Torino, II-I-I880.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

Il cavaliere non solo gradì l'invito, ma nella sua carità gli mandò un'offerta di lire trecento.

  Da Torino Don Bosco partì certamente fra il 12 e il 14 gennaio; il giorno preciso non si conosce, Egli si recava in Francia. Prima di raggiungere la frontiera, si trattenne un po' nel collegio di Alassio; il che sappiamo a motivo di una predizione fatta ivi dopo il pranzo e che attende tuttora il suo avveramento .

  Un episodio grazioso gli accadde a Ventimiglia. Mentre seduto nella stazione aspettava il treno di Francia, osservava un ragazzetto dell'età di sette od otto anni molto irrequieto. Era figlio del locandiere. Andava, veniva, parlava con l'uno e con l'altro degli avventori o dei garzoni; si avvicinava ora al padre, ora alla madre: aveva proprio l'argento vivo addosso. Ma di quando in quando gli usciva di bocca la parola Chisto. Don Bosco seguiva con l'occhio il piccolo bestemmiatore, finchè questi venne vicino a lui con stia madre.

  - Vieni qui, piccolino, gli disse. Permette che io dica una parola a suo figlio? chiese poi alla madre.

- Faccia pure, rispose la signora.

- Ascoltami, continuò Don Bosco rivolto al fanciullo Vuoi che t'insegni a pronunciare bene le parole?

  Il fanciullo non osava parlare. - Rispondi! gli fece la madre, quasi indispettita.

- Sì, proferì il birichino in modo sgarbato.

  - Sta' dunque attento, ripigliò il Servo di Dio, come si fa a pronunciar bene le parole... Prima di tutto lévati il berretto.

  Il piccolo non si moveva. - Su, lévati il berretto, gl'ingiunse la madre.

  Il fanciullo se lo levò. Allora Don Bosco prese a dire: - Sta' attento. Si dice Cristo e non Chisto, e a questo modo. Osserva. In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia. - Fattosi così il segno della croce, continuò: - Sia lodato Gesù Cristo. Attento bene: non Chisto, ma Cristo.

    Intanto si era tutto attorno radunata gente, fra cui anche il padre, che esclamò: - Lei ha ragione, reverendo. Si prendono certe abitudini senza pensarci, e i piccoli imparano dai grandi. Anch'io ho questa abitudine, e presto o tardi bisognerà. che la smetta.

  - Spero che sarà presto, osservò Don Bosco senz'aggiungere parola.

  Il locandiere dovette ritirarsi subito per servire gli avventori; il piccolino lo seguì e tutti si allontanarono. Dopo qualche istante la madre gli si accostò e gli disse:

- Avrebbe la bontà di celebrarmi una messa?

  - Volentieri!

- Prenda dunque .....

  - Non fa bisogno d'elemosina. La celebrerò ugualmente secondo la sua intenzione.

- No, prenda; mi fa piacere.

  - Quando è così, sia pure.

         La signora gli diede una busta con dentro dieci lire; quindi si ritirò visibilmente commossa. Da quel giorno, tutte le volte che Don Bosco passava di là, essa, avendo saputo chi era, gli dava sempre dieci lire di elemosina per la celebrazione di una messa. Nell'anno dell'esposizione nazionale di Torino Don Bosco, entrato nel recinto e passando dinanzi a un buffet, si sentì salutare da una signora, la quale, rivelatasi per la padrona del caffè di Ventimiglia, gli chiese che le permettesse di fargli una visita nell'Oratorio. - Ben volentieri, le rispose Don Bosco. Ma in questa stagione sono sempre fuori di casa e sarà difficile trovarmi.

  - Venne difatti colei più volte, ma non potè mai incontrarlo. Voleva parlargli per collocare quel suo figlio nel collegio di Alassio, desiderando di ottenerne da lui stesso l'accettazione.

         L'amabilità di Don Bosco era proprio un incanto. Un sacerdote del Canton Ticino, Don Giacomo Cavalli, scrivendo il 5 gennaio da Rasa a Don Rua, chiudeva la sua lettera con queste affettuose espressioni: “Dica all'amato nostro Don Bosco che reciti tre Ave Maria secondo la mia intenzione e, se può, mi faccia la grazia di mandarmi un qualche pio ricordo che lo terrò come preziosa reliquia. Almeno almeno una sol linea scritta di sua mano! Oh il cuore di Don Bosco è tutto bontà e spero che mi farà un tal favore, non per mio merito, ma per amor di Gesù e di Maria ”.

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