Capitolo 16

L'ultima festa di M. A. celebrata con Don Bosco. Due settimane a Valsalice. L'ultimo onomastico.

Capitolo 16

da Memorie Biografiche

del 11 dicembre 2006

Don Bosco aveva premura di tornarsene all'Oratorio per la gran ragione che s'approssimava la festa di Maria Ausiliatrice. Non gli sarebbero tuttavia bastate le forze a fare d'un fiato i seicento sessantasette chilometri che separano Roma da Torino; erasi perciò predisposta una discreta fermata a Pisa presso l'amabilissimo monsignor Capponi. Nulla tralasciò l'Arcivescovo per dimostrare quanto si sentisse onorato e felice di possedere un tale ospite. Gli assegnò la camera dove aveva dormito Pio VII. Un giorno intero e due notti in quella pacifica dimora gli furono di vero sollievo. Monsignore la mattina del 20, dolente di perderlo così presto, volle essere da lui benedetto; poi gli prese e baciò, intenerito, le mani. Don Bosco, umile e commosso, gli manifestò, come sapeva fare lui, la sua riconoscenza per tutte le bontà da lui usategli.

  Era già il sesto giorno della novena. I nostri viaggiatori giunsero all'Oratorio mentre l'intera comunità stava radunata ai piedi di Maria Ausiliatrice per la funzione della sera. Don Rua arrivò proprio in tempo per dare la benedizione, che Don Bosco andò a ricevere dal coro; ma dopo si avviò tosto verso la sua camera, volendo evitare l'assalto che quei della casa gli avrebbero dato alla loro uscita. Li salutò dall'alto del ballatoio, affollati e plaudenti nel cortile. Sul tardi le sue finestre illuminate attiravano gli sguardi e rallegravano i cuori, facendo sentire nuovamente la presenza del Padre.

  Mancavano ancora i priori della festa, quando comparve il barcellonese Don Manuel Pascual Bofarull con la sua consorte e i suoi tre figli. Don Bosco pregò senz'altro i due coniugi di accettare quell'ufficio; del che essi lo ringraziarono come di un segnalato favore. Alla loro volta pregarono Don Bosco di amministrare a una loro bambina la prima comunione.

  Nell'ultimo giorno della novena tenne Don Rua la solita conferenza ai Cooperatori. Don Bosco lo ascoltò dal presbiterio, accanto a monsignor Leto. La folla, che non aveva mai cessato di rimirarlo, si riversò dopo nelle sacrestie serrandolo così strettamente, che egli impiegò più di mezz'ora per attraversarle e non meno di un'ora per arrivare di là alla scala. Si mostrava di buon umore parlando, sorridendo, salutando con la sua abituale amabilità; pure non poteva nascondere un generale accasciamento, che si rivelava dall'andatura stanca e dal volto languido, e una tal vista produceva nei riguardanti quel senso di segreta tristezza che si prova dinanzi a persona cara, i cui giorni appaiono contati.

  Mai negli anni precedenti non si era mostrata così piccola la chiesa di Maria Ausiliatrice; fu veramente straordinaria la ressa dei cittadini e dei forestieri, venuti questi ultimi anche da luoghi molto lontani. Il fervore religioso della moltitudine andò crescendo di mano in mano che si udivano o si vedevano grazie prodigiose concesse dalla Madonna. Alla vigilia, quando il Servo di Dio nella prima sacrestia stava attorniato dai fedeli, gli fu presentata una piccina che aveva già i segni della morte sul volto. A istanza dei genitori egli la benedisse, esortandoli a confidare in Maria Ausiliatrice. Giunto che fu sulla soglia della seconda sacrestia, ecco quei due fortunati spingersi fra la calca verso di lui raggianti di gioia, perchè la loro bambina, aperti gli occhi, riprendeva vita. Al mattino della festa un giovanotto, entrato in chiesa con le grucce, ne uscì palleggiando quegli arnesi con le mani.

  Un'altra benedizione di Don Bosco fu seguita da un vero prodigio. A Torino nel mese di gennaio una giovane di quindici anni aveva avuto un grande spavento, perchè suo padre in una pubblica adunanza era stato disonorato e maltrattato per affari di commercio. Per sì gravi insulti la povera figliuola rimase talmente sconcertata, che corse rischio di perdere la vita. Cinque mesi di cure mediche non giovarono a nulla: essa teneva sempre il letto, non riconoscendo talora suo padre e sua madre. I genitori dopo diverse preghiere fecero un voto a Maria Ausiliatrice e finita una novena condussero la figlia alla presenza di Don Bosco, perchè le desse la sua benedizione. Don Bosco la benedisse e l'inferma ricuperò in breve la perfetta salute. Chiunque l'aveva vista prima, non poteva non proclamare il miracolo .

  Anche nella camera di Don Bosco accadde un fatto singolare. Entrarono nell'Oratorio tre donne, conducendo una povera giovinetta inferma, che a grande stento si reggeva sulle grucce. Desiderose di farla benedire da Don Bosco, l'aiutarono a salire sul ballatoio del secondo piano fino alla porta dell'anticamera. Il segretario Don Viglietti, che narra la cosa nel suo diario, dovette passare più volte davanti a loro, ma sordo sempre alle suppliche rivoltegli, perchè le lasciasse andare da Don Bosco; il Santo era trattenuto da molti illustri forestieri e non sembrava possibile per quel giorno avvicinarlo. Stanco finalmente e commosso da tante preghiere, le introdusse, rimanendo egli fuori ad aspettare che uscissero per far entrare altri dei personaggi che aspettavano. Passati pochi minuti, la giovinetta riapparve sorreggendosi tuttavia sulle stampelle. Don Viglietti, e non seppe mai spiegarsi come gli fosse balzata in capo quell'idea, le mosse incontro, dicendole con un certo suo tono familiare, che avrebbe voluto essere burbero: - Come? Che fede è questa? Andar a prendere la benedizione di Don Bosco proprio nel giorno di Maria Ausiliatrice e andarvene tal quale siete arrivata! Via quelle grucce, camminate senza e andate ad appenderle nella sacrestia. Don Bosco non dà mica per niente le sue benedizioni. La giovane lì per lì rimase come stordita; poi consegnò le stampelle a sua madre e discese con istento in chiesa, dove si trovò perfettamente guarita.

  Sedici giorni appresso, questo fatto ebbe un seguito. Un tal canonico di Torrione Canavese, villaggio nativo dì quella giovane, venne il 9 giugno all'Oratorio, accompagnato dal canonico Forcheri, segretario arcivescovile, ed entrambi narrarono a Don Bosco che il paese era tutto sottosopra. Che cosa era mai accaduto? La giovane era stata condannata dai medici ad un'amputazione per cancrena; ma, presentatisi nel giorno stabilito per operare, l'avevano trovata con loro immensa meraviglia senza traccia di male. I due sacerdoti erano poi oltremodo curiosi di conoscere quel certo pretino che nell'anticamera di Don Bosco aveva fatto all'inferma una predica così efficace, ripetuta da lei a tutti i suoi compaesani. Ne chiesero a Don Bosco, il quale rispose non poter essere altri che Don Viglietti. Questi che non sapeva nulla, entrato dopo cena nel refettorio del Capitolo per accompagnare Don Bosco al riposo, si vide accolto da una ilarità generale. Don Bosco che aveva raccontato la cosa ai Superiori, gli disse allora sorridendo: - Io ho indovinato subito che eri stato tu, perchè non conoscevo altri fuori di te che potesse avere una faccia d'tola  come tu hai e fosse un craqueur [un contafandonie] del tuo stampo. Un poco alla volta tu prendi la mano a Don Bosco, e io... altro che le mie pentole! - Allusione questa all'episodio di casa Olive, già da noi riferito .

Di simili favori celesti e di altri, per noi non ben precisati i pellegrini divulgarono la notizia in ogni parte, dilatando così la divozione popolare verso la Madonna di Don Bosco, come si prese a designare Maria Ausiliatrice. Ormai il culto della Vergine sotto questo titolo era così universalmente polarizzato verso il santuario di Valdocco che, scomparendo anche il suo apostolo, la pietà dei fedeli non avrebbe diminuito nè di numero nè d'intensità le pubbliche e private manifestazioni.

  Dalla festa di Maria Ausiliatrice a quella di S. Giovanni Don Bosco trascorse le sue giornate senz'altra notevole variazione che un suo trasferimento a Valsalice per la durata di circa due settimane. Riguardo alla sua salute, il fatto più preoccupante era la cresciuta enfiagione alle gambe, che gli rendeva sempre più difficile e penoso il camminare. Gli si suggerì come buon rimedio di lasciarsele ungere con un certo olio estratto da erbe. Egli da prima non volle. - Il mio stato, diceva, è quale lo vuole il Signore. - Via poichè i suoi figli si

mostravano fiduciosi di vederlo con questo nuovamente muoversi spedito e senza incomodi, si arrese ai loro desideri più per compiacerli che per la speranza di sensibili risultati. - Così noi, disse a Don Viglietti, eserciteremo ambidue la pazienza, tu a pelare e io a essere pelato. Da questo punto ti nomino mio dottore. - Ma il medicamento lasciava il tempo che aveva trovato, servendo davvero soltanto a farlo maggiormente patire. I medici saputolo gli consigliarono di smettere la dolorosa cura. Per fortuna, se stava male di gambe, stava sempre bene di testa; onde aveva ragione il corrispondente parmense di un giornale liberale torinese scrivendo in un articolo intitolato Don Bosco cammina : “ Già da molti anni intesi a dire che don Bosco è affetto da grosse varici alle gambe e cammina molto stentatamente. Se Domineddio non lo favorì nelle gambe, l'ha compensato grandemente col dargli una volontà tenace che non si arresta davanti agli ostacoli, ma cammina imperterrita per raggiungere le mète ”. Con questo esordio, si veniva a parlare delle nuove pratiche per l'apertura di un collegio a Parma.

  Sul principio di giugno egli raccontò un sogno. Da più anni andava rinnovando le sue insistenze, perchè si scrivesse un libretto sull'impiego che i ricchi debbono fare del danaro. Già parecchie volte ci è occorso di rilevare quanto fosse di manica stretta in questa materia. Agli stessi Salesiani pareva troppo ardito il linguaggio da lui tenuto in certi casi a persone facoltose; aveva tutta l'aria di voler scartate le opinioni benigne dei teologi intorno al modo d'intendere il superfluo delle ricchezze. Vedendosi contraddetto in queste sue idee, cessò in ultimo di ripicchiare sulla necessità di quella pubblicazione; ma il pensiero gli stava fitto in capo nè mai lo abbandonava. Narrò dunque il 4 giugno: - Sognai alcune notti fa di vedere la Madonna, che mi rimproverava del mio silenzio sull'obbligo dell'elemosina Mi disse che molti sacerdoti andavano alla perdizione, perchè mancavano ai doveri imposti dal sesto e dal settimo comandamento, ma insistette specialmente sul cattivo uso delle ricchezze. Sì superfluum daretur orphanis, diceva, maior esset nuvterus electorum; sed multi venenose conservant ecc. E si lamentava che il sacerdote dal pulpito tema di spiegarsi sul dovere di dare il superfluo ai poveri, e così il ricco accumula l'oro nel suo scrigno.

  Don Lemoyne, testimonio così autorevole, ci rappresenta a questo modo Don Bosco solo in camera durante le ore della sera: “ Don Bosco alla sera quando era solo in camera sì abbandonava nei suoi pensieri e progetti e in questi passava immobile, le lunghe ore. Prevedendo difficoltà nelle svariate sue intraprese, trovava il modo di scioglierle. Egli visitava ad una ad una tutte le case e pensava al bene ed al miglioramento di tutte. Si rappresentava i suoi Salesiani in qualunque parte del mondo si trovassero, si intratteneva con essi, perchè l'amore era il suo movente in ogni cosa ”. A conferma di ciò il medesimo Don Lemoyne riporta una lettera dettatagli dal Santo il 30 giugno, da lui firmata e indirizzata al chierico Giorgio Tomatis, che si trovava nel collegio di Randazzo e che molto probabilmente gli aveva scritto per l'onomastico, manifestandogli il timore di essere da lui dimenticato.

 

                                       Carissimo Tomatis,

 

Tu pensi a me, t'immagini di parlarmi e di ricevere la benedizione. Mio caro figliuolo, ti dirò anch'io che penso a te? Vedi, quando io son solo, nella quiete e nel silenzio della sera, io vi vedo tutti, miei diletti figliuoli, uno ad uno vi passo in rassegna, penso ai vostri bisogni, al modo di provvedervi il meglio che sia possibile secondo il temperamento e il carattere d'ognuno di voi e poi vi benedico.

  Oh se poteste conoscere tutto l'affetto che ho per voi tutti, miei cari figli, credo che perfino ne soffrireste. Pensa dunque, caro Tomatis, se non prego per te! Sta pur tranquillo che Don Bosco finchè avrà vita non lascierà passare un sol giorno senza aver pregato fervidamente per voi, senza avervi benedetto.

  Son lieto di saperti contento: continua con santa energia, lotta con coraggio nelle battaglie del Signore contro l'eterno nemico suo e nostro, raccomandati a Maria Ausiliatrice, sii molto divoto del Sacro Cuore di Gesù e non temer nulla.

  Avanti dunque, sempre avanti nella perfezione, fa che ogni dì tu abbia fatto un bel gradino della grande scala della santità.

  Iddio ti benedica in un con tutti codesti miei cari figli di Randazzo, continua a pregare per me e credimi sempre in G. e M.

Torino, 30 giugno 87.

 

    Tuo aff.mo

Sac. Gio. Bosco.

 

Quindi Don Lemoyne ripiglia: “ Siamo agli ultimi giorni della vita di Don Bosco. Ormai teatro delle sue sante azioni sarà quell'umile cameretta nella quale tante centinaia di migliaia di persone vennero a ricevere grazie, consolazioni e consigli: in quella camera ove giunsero milioni di lettere da ogni parte del mondo e da ogni città e direi quasi villaggio d'Europa esponendo ogni sorta di miserie, dolori, angoscie, nobili proponimenti, voci di duolo, di speranza, di gioia, di carità e alle quali Don Bosco instancabilmente rispondeva o faceva rispondere dai suoi più fidati figliuoli: ove somme enormi passavano per le sue mani, mandate dalla divina Provvidenza in sostegno delle sue opere, che strappavano dal suo cuore un inno continuo di ringraziamento: ove tante imprese furono ideate per la gloria di Dio: ove tante virtù naturali e sovrannaturali furono coperte dal velo dell'umiltà e donde le preghiere del Santo salivano a Dio ed a Maria Ausiliatrice e grazie infinite impetravano ”.

   Fra giugno e luglio a Calliano presso Penango un ragazzo fu morso da un cane. I parenti, temendo che quel cane fosse arrabbiato, condussero il ragazzo da un suo zio a Torino per la cura antirabbica. Qui il dottore, esaminato il fanciullo, ritenne che si dovesse prima verificare, se il cane fosse idrofobo; ma non si riuscì più a rintracciarlo. Allora il giovane venne presentato a Don Bosco. Udito come stessero le cose, il Santo disse: - Si cominci una novena; intanto il ragazzo faccia la confessione e la comunione nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Non lo rimettano in mano ai medici; il cane ritornerà. - Infatti, nel momento stesso che egli proferiva queste parole, il cane ritornò e si constatò che arrabbiato non era. Il medico di Calliano meravigliato diede tanta pubblicità al fatto, che molti anni dopo in paese ancora se ne parlava.

   Certe giornate precocemente torride lo spossavano oltremodo, sicchè si lasciò condurre il 4 luglio a Valsalice. Mentre scendeva le scale per andare alla carrozza che lo aspettava nel cortile, si fermò alla porta dell'infermeria. Vi giaceva gravemente infermo di polmoni il coadiutore Carlo Fontana. Andrò io a visitarlo - aveva detto sentendo che era agli estremi; ma poi non era andato. Non aveva però dimenticato la promessa. Non entrò tuttavia, ma gli fece riferire queste sue parole: - Don Bosco non è venuto per non chiuderti gli occhi. Ti aspetto a Valsalice; vieni là a trovarmi. - Infatti Fontana guarì così presto, che potè ancora visitarlo a Valsalice, e guarì così bene che potè ancora campare fino al 1912.

   A Valsalice Don Bosco sperimentò subito un sensibile refrigerio, come appariva anche dall'allegria che manifestava nelle conversazioni, alle quali partecipava ascoltando più che non parlando. Gioiva specialmente nell'udir ricordare le vicende antiche dell'Oratorio. Vedendo che in questo pigliava tanto gusto, i suoi figli più anziani gliene venivano rammentando chi una e chi un'altra. Una sera a cena Don Garino lo esilarò molto raccontando come, al tempo delle perquisizioni della polizia nell'Oratorio, si vendeva per la strada un foglio al grido: - Don Bosco in prigione! un soldo alla copia! e che Don Bosco, andando quel giorno con lui per le vie della città, gli diede un soldo perchè acquistasse il foglio. Era un anno di furori piazzaioli contro i preti. Un giorno Don Bosco, passando col medesimo Don Garino per piazza Savoia, s'imbattè in due donnacce che dissero: - Questi preti bisognerebbe impiccarli tutti. - E Don Bosco pronto a rispondere:

 - Quando abbiano i vostri meriti.

   Un'altra volta Don Bosco stesso prese a dire della facilità con cui da giovane riteneva tutto il contenuto di un libro dopo una sola lettura, affidando così alla memoria opere di vario genere, il che costituì per lui in seguito un capitale ben prezioso. Ma poi a un tratto s'interruppe esclamando: - Oh come avrebbe fatto meglio Don Bosco a leggere e imparare un solo capitolo dell'Imitazione di Cristo e metterlo bene in pratica! - Erano ad ascoltarlo molti preti, fra i quali Don Tallandini di Faenza, venuto a Torino per l'onomastico di lui.

   A Valsalice ricevette dal principe Czartoryski relazione sull'andamento delle cose sue . Il padre, fattosi più arrendevole dopo il ritorno di Augusto da Roma, non voleva lasciarlo partire, se prima egli non espletasse le pratiche per la formazione del maggiorasco, cominciate già da tre anni. Fino allora erano stati intestati al figlio i tenimenti e gl'immobili paterni; si trattava ancora di aggiungervi nuovi capitali e infine di ottenere la necessaria autorizzazione dell'Imperatore d'Austria. Naturalmente il giovane signore si sarebbe riserbato un patrimonio personale da potersi rivendicare, quando, facendosi religioso, rinunziasse al maggiorasco in favore del fratello. Egli scriveva da Parigi, ma stava sulle mosse per recarsi col padre a Vienna e di là a Cracovia, dove per la fine del mese i Czartoryski dovevano ricevere la visita del principe imperiale. “ Sarò forse esposto a tante distrazioni, scriveva il Principe a Don Bosco. Le do comunicazione di tutti questi disturbi come a mio direttore spirituale. Io sono sempre risoluto a fare la volontà del Signore, seguendo la mia vocazione. Voglio ritornare a Torino, appena mi sia possibile. Mi raccomando, Padre mio, alle sue preghiere ” . Don Bosco immediatamente gli rispose:

 

                                      Mio caro principe Augusto,

 

La vostra vocazione trovasi ora a qualche prova, ma io trovo che ciò è un bene; e benedico il Signore che vi continui questa buona volontà che è tutta secondo il parere del Santo Padre.

  Io sono costantemente dello stesso pensiero e perciò dello stesso modo di vedere. La Congregazione Salesiana vi è sempre aperta ogni volta, come mi dite, vorreste venire per passare un tempo qualunque più o meno lungo.

  Intanto io prego e pregate anche voi con me, affinchè Dio ci tenga tutti fermi per questa strada che ci assicura viemeglio il Paradiso.

  Ricevete i saluti cordiali dei vostri amici Salesiani e che la Santa Vergine ci sia di guida al cielo. Così sia.

Omaggio all'augusto vostro Genitore e a tutta la vostra famiglia.

Torino, il 15 giugno 1887.

 

Vostro aff.mo buon amico

Sac. Gio. Bosco.

 

Da Valsalice venne via la sera del 23 giugno per essere presente alle due accademie dell'onomastico. In entrambi i trattenimenti, canti e suoni, versi e prose con doni svariati fecero palese dinanzi a numeroso pubblico l'affetto dei figli verso il loro buon Padre . Il teologo Piano, ex - allievo della prima ora e parroco della Gran Madre di Dio, in un suo discorsetto  rendeva questa testimonianza: “ Quante volte nelle difficoltà del nostro ministero il solo ricordo della vostra parola ci serve di stimolo! Quante volte nel vederci circondati da numeroso stuolo di fanciulli, ci si presenta alla mente l'amabile vostro volto, il vostro sguardo penetrante, i vostri paterni, consigli, e facciamo quanto possiamo per riprodurli! Quante volte io stesso sentii con infinito gaudio a dire dei vostri figli: Ah si conosce che questi sono stati educati da D. Bosco! [ ... ] Sebbene lontani da questo caro Oratorio, noi lo consideriamo sempre come la nostra casa. Il pensiero si porta quivi frequentemente, e subito ci si presenta la vostra persona, o Padre. Quando poi possiamo ritornare e parlarvi, allora ci pare più lieta la vita, più facile la pratica del bene e più sicuro l'aiuto del buon Dio ”. Ricordato quindi il reciproco amore che un tempo legava il padre ai figli e i figli al padre, chiudeva con la seguente dichiarazione: “ L'amore che avevamo allora verso di voi, ancora l'abbiamo. Ed è questo nostro amore che ci fa considerare come nostre le vostre glorie e che ci porta ad accrescere il numero dei vostri figli e cooperatori. È la riconoscenza pei benefizi ricevuti che c'impone l'amore. Non è qui all'Oratorio che i più di noi ebbimo pane e vesti di cui eravamo privi? All'Oratorio i più debbono quella posizione che occupano nella società. All'Oratorio quei buoni principii, quelle sante massime, quella sana educazione per cui possiamo mantenerci costanti nel bene. Tutto dobbiamo a voi, e volete che vi dimentichiamo? Ah! cesserà di muoversi questa lingua, prima che cessi di dire le vostre lodi; cesserà di battere questo cuore, prima che cessi di amarvi. Amare voi, noi lo teniamo come segno dell'amor di Dio ”.

  Incombeva su tutti il triste presentimento che quella fosse l'ultima festa di Don Bosco. L'inno composto da Don Lemoyne e musicato dal Dogliani, congiungendo un primissimo

canto con quello che doveva essere l'estremo, gettava nell'animo dei più anziani una nostalgica commozione, condivisa pure da Don Bosco; poichè, ogni quattro strofe eseguite da un primo coro, un secondo coro ripeteva a mo'  di ritornello le due strofe cantate la prima volta che i giovani dell'Oratorio ne festeggiarono l'onomastico:

 

     Andiamo, compagni,             Il tempo è gradito,

  Don Bosco ci aspetta;           C'invita a goder;

     La gioia perfetta                     Corriamo all'invito

  Si desta nel cuor.                   Di festa e Piacer.

 

         Si chiudeva così tutto un cielo di soavi manifestazioni, alle quali specialmente i giovani partecipavano con vera esultanza e il cui ricordo durava nei loro animi salutarmente incancellabile per tutta la vita, com'è ancora possibile vedere nei pochi vecchi superstiti. “ La festa di quest'anno, scrive il nostro diarista, fu splendida, cara, cordiale ”.

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