Capitolo 16

Il carnevale nell'Oratorio - Il catechismo nella quaresima - Zelo di D. Bosco nell'andare in cerca di giovani per il catechismo - Incontri spiacevoli e lepidi - Metà Quaresima.

Capitolo 16

da Memorie Biografiche

del 06 novembre 2006

 Nei capitoli precedenti di questo volume abbiamo esposto il racconto in complesso della missione di D. Bosco per quasi tre lustri: ma ora conviene procedere con ordine cronologico, tanto più che i pubblici avvenimenti intrecciandosi e collegandosi più strettamente colla vita di D. Bosco porranno, accennati in tempo opportuno, chiaramente in mostra qual nobiltà di fine egli si prefiggesse in tutte le sue azioni.

Il 17 febbraio del 1847 era il giorno delle ceneri, e D. Bosco andava allestendo quanto era necessario per il catechismo quotidiano nella quaresima. Ed i provvedimenti da lui adottati in detto anno, servirono di norma per i continuatori dell'opera sua fino ai giorni nostri; e furono stampati molto tempo dopo nel Regolamento degli Oratorii festivi.

D. Bosco dunque nella domenica di sessagesima incominciò ad avvertire i giovani che nella domenica seguente e il lunedì e martedì ultimi giorni di carnevale, vi sarebbero stati trattenimenti e giuochi straordinari che li avrebbero molto divertiti. Era suo disegno toglierli dai baccanali della città, dove avrebbero potuto vedere e udire cose nocevoli alle loro anime, e tenerli lontani dai compagni pericolosi, i quali ogni cosa si credono lecita tra il vortice di una follia universale. I giovani accolsero con plauso quell'invito, e in quei tre giorni invasero l'Oratorio, trovandovi i mezzi per abbandonarsi alla più viva ed innocente allegria, mentre D. Bosco, con distribuzione di regali e con una buona merenda, faceva dimenticare al maggior numero che in Torino vi fossero i tripudi del carnevale. E intanto con varie pratiche di pietà  si santificavano le anime, si risarciva il Signore delle offese che in quel tempo riceveva dal mondo, si suffragavano le Anime sante del Purgatorio. Si fece l'esercizio di buona morte, e dopo il mezzogiorno del martedì D. Bosco e il Teol. Borel tennero in cappella un'istruzione amenissima in forma di dialogo, che destò l'ilarità di quei buoni figliuoli. La benedizione col Santissimo Sacramento, pose termine alle funzioni religiose. Qualche anno dopo D. Bosco volle che si cantassero anche i vespri. Ripigliavasi quindi, e animatissima, la ricreazione fino ad ora tarda. Il giuoco preferito in questo giorno era quello della pignatta. Ad avere un'idea di questo divertimento il lettore s'immagini appesa ad una corda una pignatta con entro frutta, dolci o altri commestibili, e talora piena d'acqua, o di rape e patate, mentre un giovane cogli occhi bendati, con un bastone in mano, circondato dai compagni, gira attorno cercando di colpirla. Ad ogni istante quale gli grida avanti, quale indietro, chi a destra, chi a sinistra, chi sì, chi no; così che il poverino non sapendo a chi prestar fede, or si ferma, or si avanza, finchè di tante voci facendosi un criterio di maggiore o minore probalità di trovarsi a tiro, si pianta lì, misura attento e poi giù un colpo da orbo. Il più delle volte ci batte a cinquanta metri di distanza dalla pignatta; talora più o meno vicino; di rado colpisce nel segno. Se sbaglia, si ride a sue spese; se indovina, tutti si gettano carponi e si affaccendano ,a chi più coglie della caduta manna, restando pur talvolta bagnati e burlati. A chi colpisce, rimane l'onore della vittoria ed un salametto od un gingillo assicurato. Egli però getta subito il bastone, e si strappa la benda dagli occhi per arraffare qualche altra cosa. Rotta la pignatta, se ne sostituisce un'altra e si rinnova il divertimento. Molte volte negli anni seguenti si formava un fantoccio di paglia, che rappresentava il carnevale, si portava attorno nel cortile sovra una barella improvvisata tra gli schiamazzi dei giovani che andavano alle stelle ; e si finiva col dargli fuoco.

Il mercoledì delle Ceneri incominciavano ad attuarsi le disposizioni necessarie pel catechismo quaresimale. Desiderando D. Bosco che ogni classe fosse composta di soli dieci o dodici allievi, bisognava che fossero molto numerosi i catechisti, e se questi mancassero, darsi d'attorno per cercarne dei nuovi per ciascuno di questi si preparava un foglio o un libretto nel quale egli tenesse nota esatta dei suoi alunni e desse ogni giorno il voto di condotta e di profitto. Il disporre i posti e i banchi per le classi era pure un pensiero non indifferente. La Domenica prima di quaresima i giovani venivano classificati secondo la relativa loro età e scienza. Era stabilito che se in una classe vi fosse qualcuno già adulto, ma ignorante di religione, lo si dovesse consegnare a D. Bosco, perché potesse fargli impartire un'istruzione adattata. I catechisti S'impegnavano sicchè gli allievi fossero sufficientemente istruiti nei Misteri principali, e in modo speciale sulla Con­fessione e Comunione, prima che finisse la quaresima. Siccome molti giovani, specialmente gli apprendisti nelle officine e nelle costruzioni, non potevano presentarsi alle rispettive parrocchie in quelle ore nelle quali generalmente si insegnava la dottrina cristiana in preparazione alla Pasqua, così Don. Bosco aveva preso, con suo grave incomodo, il partito che nel suo Oratorio si facesse il catechismo tutti i giorni feriali, nel pomeriggio dalla mezza sino ad un'ora e mezzo. Per tal guisa i catechizzandi avevano tempo a pranzare, recarsi ali catechismo e trovarsi per tempo nella scuola, nel laboratorio o sulle fabbriche, senza dar motivo a lamenti, nè ai maestri nè ai padroni.

Il lunedì dopo detta domenica si incominciavano le istruzioni catechistiche, alle quali per oltre a 30 anni presiedette D. Bosco stesso. Aveva assai del piacevole il modo, che si usava per chiamarvi i giovanetti. Poco dopo il mezzogiorno, sullo stile di S. Francesco di Sales, un fanciullo a ciò deputato, dato di piglio ad un grosso campanello, prendeva, a girare nei dintorni e per le vie principali agitandolo senza compassione; quel suono penetrando nelle vicine case ricordava il dovere del catechismo ai padri ed ai figli, ed era stimolo a, quelli per mandarli, a questi per intervenire. Dopo alcuni minuti era bello il vedere frotte di fanciulli spuntare da tutte parti, farsi attorno al piccolo campanaro, accompagnarlo qua e colà, e al tintinnio aggiungendo il proprio esempio, invitare altri ad unirsi con essi e condurli all'Oratorio. Dopo una mezz'ora questo rigurgitava di giovanetti, che divisi nelle varie classi, assistevano alle lezioni del proprio catechista, con un'attenzione che edificava.

Intanto fin da questi primi giorni D. Bosco osservava se fra quelli che intervenivano ve ne fossero da cresimare. In tal caso, e quando un Vescovo poteva accondiscendere alla sua, domanda, divideva i cresimandi in due o tre classi e faceva dar loro istruzione a parte sul modo di ricevere questo

Sacramento. Desiderava che non più tardi della metà della quaresima fossero cresimati, perchè vi fosse poi tempo a prepararli per la Pasqua. Se mancava il Vescovo, e non era tanto facile averlo, ne riteneva scritti con diligenza i nomi, e rimandava ad altro tempo quella funzione.

Accorgendosi inoltre che parecchi giovani non potevano partecipare durante il giorno a quelle istruzioni, stabilì per loro comodità e vantaggio il catechismo serale, il che diede origine a quel catechismo, che finiti i lavori del giorno, ora vanno facendo gli operai cattolici ai giovani apprendisti durante la quaresima.

Eziandio nelle sere del sabato si faceva la dottrina, ma lasciando comodità di confessarsi a quelli che lo desideravano. Anzi D. Bosco aveva massima cura che i catechizzandi si confessassero almeno una volta ed anche di più nel corso della quaresima, e ciò per evitare gli inconvenienti che sogliono accadere quando si accostano per la confessione pasquale. Così rendeva più facile il compito del confessore, più breve l'accusa del penitente, e con una meno lunga aspettazione non si stancava quella moltitudine che voleva confessarsi.

Ma D. Bosco non si contentava che molti giovanetti venissero a sè, spontaneamente, ma di più andavane in cerca specialmente nella quaresima. In quei primordi spesse volte fu visto salire su per le scale delle case e dei palazzi in costruzione, passeggiare per i ponti, intrattenersi cogli impresari e coi capi mastri, e poi chiamare intorno a sè i garzoni muratori per invitarli al catechismo. La gente che passeggiava per i viali pubblici, si fermava per contemplare lo strano spettacolo di un sacerdote lassù così in alto su quegli assi o su quelle scale. Gli uni esclamavano: - È matto quel prete che va lassù?

Altri interrogavano: - Chi sarà mai? - Coloro che lo conoscevano dicevano nei crocchi: - Oh! è D. Bosco in cerca di fanciulli.

Egli andava a far visita ai proprietari ovvero ai capi delle grandi officine, di cotone, di ferro, di legnami, e li pregava che, nello stesso loro interesse, lasciassero venire i loro apprendisti all'Oratorio pel catechismo. Le sue ragioni erano così convincenti, che non trovavano opposizione od ostacolo: quindi la licenza veniva concessa ben volentieri. I giovani, suonato il mezzodì, andavano a casa, pranzavano in fretta per non perdere un sol momento di istruzione cristiana, correvano in Valdocco attorno a quel prete dal quale sapevano di essere grandemente amati e quindi si trovavano al loro posto sul lavoro nell'ora stabilita. I padroni, vedendo l'entusiasmo dei garzoni e come a vista d'occhio diventassero più morigerati, fedeli, obbedienti, concessero loro una mezz'ora di più per stare fuori dell'opifizio, acciocchè potessero mangiare più riposatamente, e senza ansietà stessero al catechismo.

Quando D. Bosco incontrava un fanciullo sulla porta di una casa o dovunque, si fermava e lo interrogava: - Come ti chiami?

 - Giacomo, Antonio.

 - Come stai? Stai bene?

 - Io sì!

 - Quanti anni hai?

 - 9, 10, 12.

 - E sei bravo?

Il piccolino faceva una smorfia.

 - Hai ancora papà e mamma?

 - Si.

 - C'è nessun altro in casa tua?

 - C'è mio nonno.

 - Hai fratelli e sorelle?

 - Sì! - e ne indicava il numero.

 - Sei più buono tu od essi?

 - Io!

 - E tuo papà e tua mamma stanno bene?

 - Sì! - ovvero: - Mio padre è ammalato.

 - E tuo nonno è ancora giovane?

 - No, è vecchio!

 - Sei buono a farmi una commissione?

 - Sì!

 - Ti ricorderai?

 - Oh, sì!

 - Tornando a casa, dirai a tuo nonno che D. Bosco gli manda il buon giorno; prendi questa medaglia, portala a papà e gli dirai che D. Bosco lo saluta! - E il giovane correva a casa tutto contento di avere una commissione da fare, e il vecchio nonno, il padre, la madre andavano fuor di sè per la contentezza dell'improvviso saluto. Se le medaglie erano per tutta la famiglia, come spesso accadeva, se ne faceva la distribuzione con molto piacere. Quando poi D. Bosco ripassava innanzi alle loro case, venivano tutti fuori per ringraziarlo dei suoi saluti e della sua bontà. E D. Bosco s'intratteneva a parlare con loro, li esortava a mandare i giovanetti al catechismo e diceva al capo di famiglia: - Sabato dovete farmi un piacere.

 - Diavolo! s'immagini! e quale è questo piacere?

 - Mandare la vostra famiglia a confessarsi. La Pasqua si avvicina.

 - Ben volentieri; e ci verrò anch'io, perchè ne ho di bisogno, sa! Sono due anni che non ci sono più stato.

 - Ebbene, venite; aggiusteremo le cose da buoni amici.

 - Ma ne sentirà delle grosse, che non stanno nè in cielo nè in terra!

 - Sono proprio quelle lì che voglio io. - E così, ridendo faceva del gran bene alle anime.

Queste scene graziose si ripetevano quasi tutti i giorni, ovunque D. Bosco andasse, anche fuori di Torino.

A certa distanza dall'Oratorio, a ponente e a levante, alcune case racchiudevano un cortile abbastanza vasto. Quivi abitava agglomerata molta poveraglia, e le donne in certe ore si vedevano radunate lavorando e facendo comaratico. D. Bosco compariva sulla soglia della porta e salutandole diceva loro scherzando: - Olà! Avete figliuoli da vendere?

 - Oh D. Bosco! Non sono merce da negozio i nostri figliuoli!

 - Non per me, ma per il Signore, che li vuole e ve ne darà il premio. Or dunque mandateli al catechismo - E le madri ridevano e promettevano.

Ma non bisogna credere che D. Bosco andando a raccogliere i giovani facesse opera senza sacrificio; non tutti si arrendevano al primo suo invito; e chi acconsentiva noi faceva sempre con buon garbo. Doveva trattare con persone grossolane nelle parole e nei modi, qualche volta con gente importuna che si approfittava del momento per chiedere un'elemosina, che non si poteva rifiutare. E poi nelle stanze a pian terreno di tutte quelle case vi erano bettole e bagordi, e quindi non difficili incontri poco piacevoli. Eppure D. Bosco, che aveva un sentire così delicato, con prudente pazienza sopportava, dissimulava il suo disgusto, non faceva rimproveri quando li scorgeva inutili, era con tutti cortese.

Lasciando da parte i fatti disgustosi ne riporteremo un solo molto lepido.

Un certo Tes abitava presso l'Oratorio. Costui si ubriacava quasi tutte le settimane, e in tale stato se incon­trava D. Bosco gli si avvicinava, e:

 - Oh D. Bosco! esclamava. Lei è un bravo prete! Oh io Le voglio tanto bene! Si lasci fare un bacio, se lo lasci fare - Ma no! mai più! - diceva D. Bosco schermendosi da quelle carezze.

 - Ma è forse male fare un bacio a Lei che è un prete così buono! Se fosse cattivo... no... ma... Ebbene, so io come fare! Le prometto che domenica vengo a confessarmi da lei... ma lei si lasci baciare.

 - Venite come volete; io vi ascolterò volentieri, vi darò una penitenza leggera... ma ora lasciatemi andare per i fatti miei.

 - Ma non sono mica ubriaco, sa! E intanto misurava la strada barcollando. Sono un po' male in gamba, perchè ho bevuto un quintino di più - ma sono in pieno possesso delle mie facoltà mentali. E poi, se avessi bevuto di quel cattivo, pazienza, ma era di quel buono, proprio buono! E vinum bonum laetificat cor hominis. - E così dicendo, gli metteva le mani sulle spalle. E D. Bosco con tutta calma a stento riusciva a staccarlo da sè, guardandosi però bene da ogni sorriso che indicasse disprezzo, o parola che potesse essere presa in mala parte. Schivava, come egli disse, di cagionare antipatie le quali in vita e anche in punto di morte fanno talora respingere un sacerdote. Egli infatti era chiamato sovente ad assistere i moribondi nei dintorni.

Questo brav’uomo però non andava mai a confessarsi, e l’indomani tutto serio incontrando D. Bosco più non faceva motto della sua promessa.

Così si appressava la metà quaresima, e le classi dei catechizzandi occupavano ogni spazio dell'Oratorio. Ma in tale giovedì D. Bosco dovette risolversi a non radunare i giovani per evitare certi scherzi che erano cagione di risse e di scandalo. Il popolano, attaccato ad antiche usanze, si prendeva in questo giorno un gusto matto di mandare una sega a qualche amico o farla chiedere a questi da qualche semplicione, o eziandio da qualche furbo che non avvertiva il giorno e lo scherzo, e questi era poi accolto dai burloni, con battimani e grida poco piacevoli. Altri tagliavano un foglio di carta in forma di sega e la appiccicavano dietro alle spalle sul vestito di un compagno e gli facevano gazzarra attorno. Ora siccome non tutti prendevano in buona parte il giuoco e i burlati si indispettivano, non rare volte succedevano scene disgustose. Non potendosi sradicare queste usanze in sè innocenti e non volendo D. Bosco proibirle, pensò essere miglior partito concedere vacanza.

 

 

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