Capitolo 16

D. Bosco e l'assistenza agli infermi ed ai moribondi - Mirabile conversione di un ateo - Altra conversione di un seccarlo - Un brutto impiccio colle sétte.

Capitolo 16

da Memorie Biografiche

del 24 novembre 2006

Le virtu' amabili di Margherita, ricopiate e perfezionate nel figlio fino all'eroismo, ispiravano alla gente in ogni loro angustia una illimitata confidenza versa D, Bosco. In modo speciale, la sua carità verso gli infermi ed i moribondi era così notoria in Torino, che frequentemente, non solo i giovanetti esterni dell'Oratorio, ma gli infermi degli ospedali e della città lo mandavano a chiamare per confidargli i secreti dell'anima. Era desideratissimo dalle famiglie, perchè sapeva confortare i loro cari con maniere così soavi, che inducevali, senza che si turbassero, e con facilità, a ricevere il santo Viatico. Colla sua viva fede si dava eziandio premura che fosse loro amministrata l'estrema unzione colla benedizione papale, sicchè morivano confortati dalla speranza cristiana. E non rare volte, testifica D. Rua, il Signore ricompensava questa sua fede e sollecitudine, coll'accordare la salute eziandio corporale agli infermi da lui assistiti, appena ricevuto l'Olio santo.

Era eziandio ammirabile nel dissipare le angosciose trepidazioni di certe anime pie, che, giunte agli estremi.

Temevano grandemente le pene del Purgatorio. Sapeva parlar così bene dei meriti che si guadagnano colle indulgenze, delle pene che si scontano soffrendo con rassegnazione i dolori dell'infermità, dell'offerta generosa a Dio della propria vita, della carità perfetta che scancella ogni macchia, da riempirle di fiducia consolante nella misericordia di Dio. Aggiungeva che si sarebbero celebrate molte messe di suffragio, e che egli avrebbe pregato e fatto pregare per loro. E se talvolta alcuna non era così arrendevole alle ragioni, egli, spinto dalla sua carità, per tranquillarla e confortarla, l'assicurava che si assumeva egli stesso una parte almeno delle espiazioni che ella avesse dovuto incontrare nell'altro mondo. E infatti gli avvenne di essere una volta assalito da un fortissimo male di denti, che per una settimana non gli diede requie nè  dì nè  notte. Interrogato da D. Rua come ciò gli fosse accaduto, gli manifestò confidenzialmente come egli, per consolare un povero moribondo, gli avesse fatto promessa di prendere sopra di sè  le pene che avrebbe dovuto soffrire esso in Purgatorio.

Per tanta sua bontà e perizia nel compiere questo sacro ministero, occorreva spesso che venisse chiamato da parenti o da amici di infermi che ricusavano ostinati o procrastinavano di riconciliarsi con Dio. Invitavano lui piuttosto che altro sacerdote, convinti che sarebbe riuscito a ridurli a buoni consigli e ad aiutarli a fare una buona morte. Egli possedeva in grado eminente ciò che S. Paolo chiama Gratias curationum.

Un certo avvocato, abitante in città sotto la parrocchia di S. Agostino, cadde infermo, e la malattia era al punto di non lasciare più alcuna speranza di guarigione per la sua età avanzata. La vita di quest'avvocato non era stata quella d'un cristiano, ma piuttosto d'un ateo, di modo che aborriva le cose di religione. Il parroco appena ebbe tale notizia andò a visitarlo e fece quanto può suggerire la carità e la prudenza per risvegliare in lui sentimenti cristiani, onde poterlo confessare; ma tutto fu inutile ed il parroco venne respinto villanamente. Si provarono varii zelanti sacerdoti, misero in opera quanto seppero: ma tutto invano; ed alcuni che vollero insistere furono mandati via con mala grazia. L'infermo ripeteva non voler saperne nè  di preti nè  di confessione. Finì coll'intimare a quei della famiglia che assolutamente e per nessun motivo permettessero che alcun prete gli si avvicinasse. La conversione dì costui pareva veramente disperata. Tuttavia la carità sacerdotale seppe trovare altri mezzi.

Il Teol. Roberto Murialdo, uno di coloro che l'avevano visitato, venne un mattino all'Oratorio a darne notizia a Don Bosco, affinchè volesse anch'egli far la prova di salvare quell'anima che minacciava di perdersi. D. Bosco disse che volentieri avrebbe fatto il possibile. Intanto diedesi tosto a studiar il modo di visitar quell'infermo, e dopo averci pensato assai non trovò ragione o pretesto con cui potesse introdursi in quella casa. Nondimeno, uscito dall'Oratorio, si mise in via, e passando vicino alla Chiesa della Consolata, vi entrò e fermossi qualche tempo a pregare Maria SS. per l'infermo. Quindi s'incamminò alla casa dell'avvocato. Era entrato nella porta, aveva salite le scale, già trovavasi sul pianerottolo del malato, stava quasi presso l'uscio; e non sapeva trovar nessun modo per introdursi, fantasticando quali accoglienze gli sarebbero fatte. Ma ad un tratto esce da un corridoio un fanciullo che frequentava l'Oratorio, ed appena lo vide prese tosto a gridare: - D. Bosco! D. Bosco! Come sta? - e gli si avvicinò salutandolo rispettosamente.

- Io sto bene, gli rispose D. Bosco. E tu stai qui di casa?

- Sì, è quella la mia abitazione. Venga a trovar mia madre, venga. Mamma, mamma, c'è D. Bosco.

D. Bosco seguì quel giovanetto in casa sua, il quale tutto contento lo presentò a sua madre che gli era venuta incontro.

Sedettero e discorsero alcun poco, quando ad un tratto il fanciullo disse:

- Sa, signor D. Bosco? Qui vicino c'è un ammalato,

Ed esso dissimulando: - E come sta?

- È assai aggravato; venga a vederlo.

- Sì, ma vorrà ricevermi? prima bisogna sapere se è contento, se la mia visita non l'incomoda! Va' a vedere; a domandare; digli così: D. Bosco è venuto a trovare mia madre; gli abbiamo detto che lei era ammalato, e se lei fosse contento, egli verrebbe a trovarlo.

- Io vado subito, rispose il fanciullo.

Corre, apre l'uscio che metteva nell'abitazione dell'avvocato, e senza dir nulla e badar a quei di casa, attraversa le camere e si porta vicino al malato e gli dice: - Signor avvocato, è venuto da noi D. Bosco; gli abbiamo parlato di lei e perciò desidererebbe di venirlo a trovare. È in casa mia, sa! È contento che venga a vederlo? Veda, le darà la benedizione e lo farà guarire, poichè so di tanti che erano ammalati, e avendo D. Bosco loro data la benedizione, tosto guarirono.

Il malato domandò: - Chi è questo D. Bosco?

- Egli è quel prete che là in Valdocco raduna tanti giovanetti all'Oratorio tutte le feste, rispose il fanciullo: che ne riceve anche tanti dei più poveri in casa sua e li mantiene e loro insegna un mestiere.

- Oh bene, riprese il malato, so chi è D. Bosco... Stette un momento a pensare e poi disse: Eh là, venga; sì, venga se è D. Bosco.

Appena detto questo, il giovane corse a D. Bosco che ancora parlava colla madre, e gli disse che l'ammalato lo aspettava. D. Bosco, senza più indugiare, va e si presenta all'ammalato, il quale al primo vederlo subito esclamò salutandolo graziosamente: - Oh D. Bosco! Son contento di vederla. La ringrazio di tanto disturbo e di tanta gentilezza.

Ed egli: - Sono proprio qua; e poi disse ridendo Osservi un po'; ho bene una fisonomia da galantuomo?

Il malato rispose: - Non c'è male, non c'è male.

- E come va, un uomo robusto e coraggioso come lei, starsene ora in quel letto?

- Fu un tempo in cui poteva dir mia ragione: adesso bisogna cedere;…… ma si segga.

- Oh lasci pure; se non l'incomoda, io sto ritto.

- No, no, si segga; mi dà pena il vederla così in piedi.

Allora D. Bosco si pose a sedere accanto al malato e cominciò a discorrere con lui senza mai parlare di confessione. Il discorso fu variatissimo e sì portò su molte questioni di politica, di legge, di medicina, di milizia, di filosofia, ecc. Don Bosco lo secondava sempre, e seppe in tutto rispondergli ed appagarlo così bene, che l'avvocato pieno di stupore in fine gli disse: - Ella pare l'enciclopedia in persona. -Erano già passati tre quarti d'ora e D. Bosco voleva licenziarsi; perciò alzatosi, fece per salutare l'ammalato, il quale disse:

- Vuole già andar via? Stia pure, se non l'incomoda.

D. Bosco: - È tempo che io vada a casa per alcuni affari; non posso più fermarmi.

- Oh, si fermi ancora un poco.

- No, debbo andare; ma se è contento, verrò di nuovo a trovarlo.

- Sì, venga di nuovo. - Intanto aveva presa tra le sue la mano di D. Bosco e la teneva stretta.

D. Bosco lo esortò a farsi coraggio e lo salutò per la seconda volta in atto di partire.

Quel signore senza rispondere continuava a trattenerlo fissandolo in volto.

Allora D. Bosco sorridendo: - Io so che cosa ella vuole.

- Che cosa voglio? Possibile! vediamo un po'?

- Ella vuole che io le dia la mia benedizione.

Allora tutto maravigliato esclamò: - È proprio così! Ma come è possibile che ella sappia questo! Sono 35 anni che aborrisco preti e religione, ed ora che per la prima volta mi viene in mente questo pensiero, D. Bosco subito me lo indovina! Dunque me la dia pure.

- Sì, volentieri; e che cosa vuole che domandiamo al Signore?

- Che io guarisca.

- Mi rincresce a dirglielo, ma se fosse decretato lassù che ella debba passare all'eternità?

- Come ella sa questo? I medici tutti mi dicono che sto meglio, che mi faccia coraggio, che presto sarò guarito!

- Anch'io le faccio coraggio, gli replicò D. Bosco con grande amorevolezza; pure è stabilito così: ella non guarisce più. Io non posso ottener niente per la sua guarigione; posso darle però la benedizione, e quello che domanderò sarà che il Signore le dia tempo per poter aggiustare i conti della sua coscienza, mettere in grazia di Dio la sua anima e fare una santa morte.

Queste parole non fecero tuttavia gran colpo; il malato si stette quasi indifferente. Non ostante, ricevette la benedizione e prima che D. Bosco lo lasciasse, con certo slancio gli disse: - Venga ancora a trovarmi, sa!

Erano 4 o 5 ore da che D. Bosco era ritornato all'Oratorio quando arriva un domestico a cercare di lui per parte dell'infermo, dicendo che l'avvocato desiderava molto un'altra sua visita. Era già vicina la notte; D. Bosco andò. L'avvocato appena lo vide fu contento e disse: - Oh! desiderava molto un'altra sua visita. Questa mattina mi ha ricreato e fatto ridere.

- È niente quello di stamane; questa sera voglio farla ridere ancor di più. Dica un po': so che in casa sua si fa del buon caffè e, se me lo concede, ne prenderci volentieri una tazza.

- Anzi è un grandissimo piacere che mi fa.

Chiamò subito la gente di servizio:

- Presto, presto una tazza di caffè pel signor D. Bosco

Benchè quella bevanda gli riuscisse piuttosto fastidiosa che utile, D. Bosco la prese; poi disse a que' di casa: - Andate pure adesso, vogliamo discorrere tra noi due.

Rimasto solo coll'infermo, si assise e cominciò a dargli la benedizione, dicendo: Dominus sit in corde tuo etc. Ma l'altro non intendeva, nè  si faceva il segno della santa croce.... e domandò: -Che cosa fa?

- Niente; lei faccia il segno della santa croce.

- E perchè ?

- Non cerchi il perchè , faccia quel che le dico.

- Ma ella Vuol confessarmi?

- Non parli di confessione adesso; si segni; non è buono a segnarsi? Vorrei vedere che un avvocato, dotto e stimato come lei, non sappia fare il segno della santa croce

- Certamente che so.

- Vediamo un po'. Io non credo ciò che non vedo.

- Vuole questo? eccomi; e cominciò a segnarsi: Nel nome dei Padre ecc

Allora D. Bosco si servì del suo dono speciale di conoscere esattamente, quando era d'uopo, lo stato di coscienza del penitente senza che parli, nè  che siasi già confessato da lui. Pertanto cominciò a interrogarlo così: - Dica un po', signor Avvocato, quanto tempo sarà che non s'è più confessato?

- Ma vuole confessarmi?

- Non parliamo di questo adesso; lasci fare a me: sa quello che le ho promesso: voglio contentarlo: mi ascolti; adunque sono tanti anni, e precisò il numero, che non si è più confessato?

-Et appunto il tempo che ella ha detto, ma sa che io non voglio confessarmi?

- Non parli di questo. Intanto continuava dicendo: Le sue cose in quel tempo andavano in questo e in quell'altro modo. Allora il suo stato era così e così. - E precisava a meraviglia.

- Appunto; ma pare che ella sappia la mia vita!

- Dopo, nella tal circostanza ha fatta questa e quell'altra cosa.

- È proprio vero; mi rincresce, ho fatto male. Oh non vorrei averla fatta. - In tal modo D. Bosco, un per volta, diceva tutti i peccati dell'infermo, il quale diveniva sempre più pensieroso e più commosso e a ogni peccato che D. Bosco gli metteva innanzi esclamava: - Di questo mi rincresce; questo mi avvilisce; ho proprio fatto male! Ad ogni espressione di pentimento D. Bosco gli prendeva la mano e gli diceva: Caro signore, si faccia coraggio. - Queste parole parevano ferire il suo cuore, ed ogni volta che D. Bosco le ripeteva, rendevano più viva la sua commozione e gli facevano cadere una lagrima dagli occhi. Così venne al termine della sua confessione, versando come un fanciullo lagrime dirottissime di vero pentimento. Ricevuta l'assoluzione esclamava. - D. Bosco! Ella mi ha salvato! da principio non mi sarei confessato per qualunque cosa; era disposto a fare qualsiasi bestialità piuttosto che cedere ma lei mi ha saputo prendere con arte, mi ha vinto; grazie adesso farei mille confessioni: il mio cuore è straziato dal dolore, e tuttavia provo una grandissima consolazione, che non ho mai provato, nè  avrei potuto immaginare. Mi si porti pure il SS. Viatico - In questo tempo giungevano per visitarlo due o tre de' suoi amici, che certamente avrebbero tentato di distruggere quanto s'era fatto.

Allora D. Bosco, essendone stato avvisato, disse all'infermo: - Se venisse qualcheduno per visitarlo, dobbiamo dir loro che lo lascino tranquillo e che tornino domani, perchè ora ha bisogno di riposo?

- Dia pure l'ordine in questo senso, rispose l'infermo.

Così fu fatto, e quei tali presero la cosa in bene e se ne partirono per ritornare il domani. D. Bosco allora uscì e tutta la famiglia rientrata in quella stanza fu piena di gioia nell'udire dall'infermo i modi usati da D. Bosco per ricondurlo a Dio.

Il domani mattina, dopo che ebbe ricevuto il santo Viatico e l'estrema Unzione, ritornarono i suoi vecchi amici e compagni d'incredulità e di vita libera e furono introdotti. Avendo saputo che egli aveva compiuti i suoi doveri da buon cristiano, incominciarono a burlarsi di lui, che per debolezza aveva piegato il capo alle intimazioni del prete. Ma l'infermo, cui D. Bosco aveva suggerito che cosa dovesse dire a costoro, rispose con franchezza: - All'ora della morte le cose si giudicano da ben altri punti di vista, e quest'ora si avvicina anche per voi. Dopo la vita presente ve ne ha un'altra ed un inferno di pene interminabili. Pretendereste forse che io fossi così stolto di precipitarmi tra quelle fiamme? Voi avete un bel ridere; riderà bene chi riderà l'ultimo. Voi dite di non credere alla vita futura ed all'eternità; ma ci sono troppi altri che affermano la sua esistenza, e non siete perciò ragione voli se non ve ne prendete pensiero. Anche solo supposto che fosse dubbia l'esistenza dell'inferno, non è una stupida spensieratezza il vivere con tanta indifferenza e con manifesto pericolo di cadervi, se realmente esistesse? Non è forse da persona di senno, trattandosi di eternità, prendere la via più sicura? Perchè burlarmi? Io sono più prudente di voi I suoi amici, a questa dichiarazione, non seppero che cosa rispondere, e dopo qualche breve e inconcludente parola, si ritirarono. L'avvocato visse ancora una settimana visitato e confortato ogni giorno da D. Bosco; e ringraziandolo, spirava nel bacio del Signore.

Un altro giorno una distinta signora veniva in Valdocco a cercar di D. Bosco, pregandolo caldamente che andasse a trovare un cotale gravemente ammalato e ormai in fin di vita. Si trattava di un personaggio immischiato nella politica, molto avanzato nei gradi delle sette. Erasi recisamente rifiutato di ricevere il prete, assicurando che sarebbe mal capitato quel sacerdote che osasse avvicinarsi al suo letto. Solo a stento aveva permesso che si invitasse D. Bosco. E D. Bosco, pieno di fiducia in Dio e nella protezione della Beata Vergine, vi andò. Appena entrato in camera e chiuso l'uscio, quel signore raccolte quelle poche forze che ancora gli rimanevano, gli disse bruscamente: - Ho ceduto alle istanti preghiere di una persona che io stimo ed amo; ma lei viene come amico o come prete? Io non amo le farse, nè  sono amico delle burattinate. Guai a lei se mi nomina anche solo la confessione. Così dicendo impugnò due pistole, che aveva riposte una da una parte, l'altra dall'altra parte del cuscino. Le appuntò al petto di D. Bosco e: - Si ricordi bene, esclamò, che al primo momento che ella nominerà la confessione, un colpo di questa pistola sarà per lei e quello di quest'altra per me: poichè per me non vi sono più che pochi giorni di vita.

D. Bosco gli rispose con calma e sorridente che stesse pure tranquillo, poichè non gli avrebbe mai parlato di confessione, senza suo permesso. Quindi gli chiese della sua malattia, di quel che ne dicevano i medici e del metodo di cura prescelta. Il suo dire era così amorevole, così interessante e pieno di conforto, che non stancava il suo uditore, rammolliva i cuori anche più insensibili e destava in essi simpatia e confidenza verso la propria persona. Cogli uomini colti usava un'industria che non poche volte lo condusse al suo pio intento. Accennava a qualche fatto contemporaneo interessante, lo confrontava con qualche avvenimento storico di tempi anteriori, e lo sceglieva in modo che coincidesse colla vita di qualche empio famoso, conosciuto per i suoi fatti o per i suoi scritti. La sua arte era di farsi interrogare. Descrivendo la morte di quel personaggio, che secondo ogni apparenza era morto impenitente, egli tuttavia concludeva: - Alcuni, arrivati a questo punto della storia, dicono che siasi dannato; io non lo dico, od almeno non mi sento di dirlo, perchè so che la misericordia di Dio è infinita e non palesa i suoi segreti agli uomini.

E così D. Bosco erasi adoperato eziandio con questo infermo, il quale sorpreso e tutto commosso: - Come, interruppe, vi è ancora speranza anche per costui?

- E perchè no? - E gli dimostrava con poche ma calde e persuasive parole, come Dio fosse disposto a perdonare i peccati per quanto enormi e numerosi a chi si pente di vero cuore, e che la più grave offesa che gli si possa fare si è il diffidare della sua misericordia.

Quel signore allora rimase qualche tempo assorto ne' suoi pensieri, e poi gli porse la mano e gli disse: - Se è così, abbia la bontà di confessarmi!

D. Bosco lo preparò, lo confessò e appena l'infermo ebbe ricevuta l'assoluzione, bagnato di lagrime, proruppe in esclamazioni di contentezza, affermando che egli non aveva mai goduta tanta pace in vita sua, come in quel momento. Nello stesso tempo sottomettevasi di buon grado a tutte le prescrizioni della Chiesa. Intanto l'infermo fu avvertito essere giunti due signori dalla fisonomia burbera, e che stavano di guardia in sala. Erano due ascritti alla loggia; l'infermo ordinò che fossero introdotti nella stanza, e appena comparvero:

- Partite subito, gridò loro: via dalla mia casa.

Gli risposero: - Ma sa bene! I nostri patti sono......

L'infermo allora trasse fuori dal tavolino da letto una delle pistole, che quivi aveva riposte, e mostrandola replicò: - Era preparata per i preti, ed ora è destinata per voi se non partite. Non una parola di più!

- Quando è così noi usciremo, - risposero quei due, dando un'occhiata minacciosa al prete; e si allontanarono.

La dimane gli fu portato il Santo Viatico; ma prima di comunicarsi chiamò nella sua camera tutti quei di casa e chiese pubblicamente perdono dello scandalo che aveva loro dato. Dopo il Viatico migliorò grandemente di sanità, sicchè visse ancora due o tre mesi, che furono da lui impiegati nella preghiera, nel chiedere sovente a quanti lo visitavano, perdono de' suoi scandali, e nel ricevere ancora più volte, dando ai vicini la più grande edificazione, Gesù Sacramentato.

Questa conversione però metteva D. Bosco in un brutto impiccio. Quel signore gli aveva consegnate, poco prima di morire, i diplomi e le insegne dei suoi gradi nella setta e le carte contenenti i nomi dei complici, che teneva gelosamente custodite altrove. D. Bosco le lesse e stupì a que' nomi. Erano di persone che in faccia al mondo comparivano come buoni cattolici e che poi ebbero parti principali nelle rivoluzioni italiane. Fra costoro varii ecclesiastici estradiocesani venuti a stabilire il loro domicilio in Torino. D. Bosco chiamò subito il suo confidente Buzzetti Giuseppe, che era un giovane di segretezza a tutta prova. Fino al 1849 egli aveva lavorato nel suo mestiere da muratore ed ora, studiando, occupavasi unicamente nell'aiutare Mamma Margherita nelle faccende di casa e nell'assistere l'infermeria. Egli custodiva il danaro per le spese, e una volta D. Bosco, non ricordandosi più di avergli dato uno scudo, mentre gliene porgeva un secondo, sentissi rispondere: Vuol darmelo due volte? - La sua fedeltà era proverbiale. D. Bosco adunque lo incaricò di trarre due copie di quelle carte fatali, ordinandogli che una delle copie fosse bruciata, l'altra ritenuta dallo stesso Buzzetti e nascosta cogli originali senza dire allo stesso D. Bosco ove l'avesse riposta. Era necessario che temporeggiasse per chiedere sconsiglio a' suoi Superiori. Aveva giudicato esser meglio consegnar alla Curia quella copia, anzichè fare altrimenti per non provocare odiosità ed angherie contro di essa in tempi così procellosi.

Intanto alcuni settarii, mandati dai loro capi, erano corsi alla casa del defunto, appena spirato, per impadronirsi di que' gelosi documenti e avendoli invano ricercati, s'immaginarono subito in quali mani potessero trovarsi. E in quello stesso giorno due signori si presentarono a D. Bosco, e prima con maniere cortesi e poi risolutamente, gli chiesero quelle carte. D. Bosco cercò schermirsi, trovò pretesti, e affermò di aver visto quei fogli che essi chiedevano, ma non sapere pel momento ove fossero custoditi. Sopraggiunte altre persone finì per congedarli; e quelli partirono borbottando.

D. Bosco si affrettò a chiedere istruzione alla Curia. Infatti, come egli prevedeva, i due signori poche ore dopo ritornarono e questa volta minacciosi. D. Bosco rispondeva non sapere quali diritti potessero avere su carte, le quali erano state a lui confidate da un amico, e quindi non credersi

autorizzato a violare simile segreto. D'altra parte affermava quelle carte essere di nessuna importanza, poichè Contenevano solo alcuni nomi.

Quei signori si calmarono, vedendo come D. Bosco dimostrasse di non farne gran caso, e scesero con bel modo alle preghiere, dimostrando come se questi nomi si fossero palesati, ne sarebbe venuto disonore e danno agli individui ed alle loro famiglie.

D. Bosco si lasciò persuadere, e consegnate le carte autentiche, dalle loro stesse parole trasse argomento per dimostrare quanto mala fosse la via per la civile quale si erano messi, quanto pericolosa per la loro anima e in faccia, alla stessa società civile.

Gli altri lasciarono dire, balbettarono scuse e partirono. Non tardarono pero a ricomparire la terza volta, e dopo lunghi giri di parole gli chiesero se avesse presso di sè  copia di quelle carte. Nello stesso tempo gli facevano intendere che la setta aveva mezzi per vendicarsi.

D. Bosco rispose francamente che no. Infatti l'unica copia era stata consegnata a chi di dovere. Gli altri insistevano, e D. Bosco assicurò che per verità ne aveva presa copia, ma che aveala data alle fiamme; perciò stessero tranquilli. Parlava però in modo da eguale ad eguale, senza lasciarsi intimidire.

Quei signori erano per allontanarsi, ma ritornarono indietro chiedendo giurasse il segreto. D. Bosco si mostrò alquanto offeso che lo credessero capace di recar danno a qualcuno, e si rifiutò di giurare; promise però che nessuno avrebbe da lui saputo cose che li compromettessero. E così parve finisse quella pericolosa seccatura.

Tuttavia accadde un fatto, che non osiamo assicurare essere conseguenza di tale diverbio. In questo stesso anno mentre D. Bosco una notte attraversava un tratto oscuro di Piazza Castello, due sconosciuti appressatisi a lui, e tratti i pugnali, gli furono sopra. Ma un certo sig. Rolando, che poi narrava l'accaduto a D. Michele Rua, passando con un suo amico poco lungi, dai primi movimenti di quei bricconi, avvedutisi dell'insidia, accorsero ambedue coi poderosi bastoni dei quali erano muniti, e li costrinsero a fuggire.

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