L'Oratorio scuola di rispetto - Nuove rimostranze dei parroci - L'esame di catechismo - Le promozioni alla prima Comunione - Lettera dell'Arcivescovo e la nuova parrocchia dei fanciulli abbandonati - Erezione della Via Crucis in Valdocco - La Pasqua - Premi e lotteria - Sempre nuovi giovani al catechismo.
del 07 novembre 2006
 L’oratorio di S. Francesco di Sales era una scuola di rispetto e di obbedienza verso tutti coloro che sulla terra rappresentano l'autorità del Signore. D. Bosco aveva scritto a chiare note nella sua prima, edizione del “Giovane Provveduto” questi moniti ai suoi giovanetti: “ Obbedite ad ogni vostro superiore Ecclesiastico o secolare, come altresì ai vostri maestri, ricevendo volentieri con umiltà e rispetto tutti i loro insegnamenti, consigli e correzioni, tenendo per certo che ogni cosa si fa per vostro vantaggio... Vi raccomando un sommo rispetto ai sacerdoti; scopritevi il capo, in segno di riverenza quando parlate con essi o li incontrate per le strade e baciate loro ossequiosamente la mano. Guardatevi principalmente dal disprezzarli con fatti o con parole... Chi non rispetta i sacri ministri, deve temere un gran castigo dal Signore ”.
E a coloro che più non intervenivano all'oratorio inculcava: “ Vi raccomando di fare ogni possibile per intervenire alle vostre parrocchie per l'adempimento dei doveri da buon cristiano, essendo il vostro curato in modo particolare destinato da Dio ad aver cura dell'anima vostra ”.
E nelle edizioni seguenti di quest'aureo libro, spiegando sempre meglio le sue intenzioni, esortando i giovani più adulti a frequentare i Sacramenti nelle congregazioni e negli oratori, aggiungeva: “ Eccettuate per altro la Comunione pasquale, che si deve fare alla propria parrocchia; anzi, quando ne avete la comodità, procurate parimenti di accostarvi ai Santi Sacramenti nella stessa vostra chiesa parrocchiale pel buon esempio altrui ”. E ciò applicava eziandio alle comunioni nei giorni feriali.
I parroci di Torino non ignoravano in qual modo Don Bosco educasse i suoi giovani, e mentre ne constatavano gli effetti per il maggior rispetto e deferenza che questi, incontrandoli, loro dimostravano, ne erano a lui grati. Ma benchè gli fossero tutti personalmente amici, alcuni non avevano cessato di riguardare l'Oratorio come un contro altare innalzato di fronte alle loro chiese. E in quest'anno ne muovevano nuove rimostranze all'Arcivescovo. Infatti non si trattava più di un semplice catechismo fatto nelle sole Domeniche in luoghi ristretti, ma di un vero e solenne catechismo quaresimale, mentre questo tenevasi contemporaneamente in tutte le parrocchie della città. E in Valdocco si radunavano tanti catechizzandi quanti non ve n'erano nella maggior parte delle chiese di Torino, computati insieme. “ A chi spetta, dicevano, l'ufficio d'insegnare? A chi il dovere di riconoscere con un esame se un giovane è istruito abbastanza nella dottrina cristiana e se merita di essere promosso alla Comunione o per sempre o per un tempo determinato? Non è diritto riconosciuto nei parroci di comunicare per la prima volta i loro fedeli? Come si potrà conoscere chi ha soddisfatto all'obbligo pasquale e chi no? ” E qualcuno aggiungeva, che per troncare ogni questione, non sarebbe stato cattivo consiglio che D. Bosco fosse destinato a Viceparroco in qualche paese di montagna.
D. Bosco ripeteva loro che la maggioranza dei suoi giovani non apparteneva alla popolazione stabile della città, e che in quanto agli altri i parenti non si curavano di mandarli alla parrocchia; ma non gli venne fatto di persuaderli, quei buoni sacerdoti.
Allora invitò il parroco del Carmine, Teol. Dellaporta a venire nell'Oratorio, perchè rilevasse in persona la verità di sue asserzioni. Venne, si mise in mezzo ai giovani e loro incominciò a chiedere a quale parrocchia appartenessero: - Io - rispondeva uno - sono di S. Biagio.
 - E dov'è questa parrocchia?
 - A Biella!
 - E tu? - chiedeva ad un altro.
 - Io sono di Santa Filomena.
 - Ma dov'è questo borgo?
 - Sul Lago di Como.
 - E tu? - ad un terzo.
 - Di Santa Zita.
 - Santa Zita?
 - Sissignore, presso Genova.
 - Io a S. Eusebio di Vercelli - E così in vari modi molti risposero che erano di Novara, di Novi, di Nizza e di altre città e villaggi.
 - Ma qui a Torino dove abitate?
Alcuni sapevano dire il nome della via e il numero della porta, ma non conoscevano quale fosse la parrocchia sotto cui era la loro abitazione; altri avevano cambiato pi√π volte domicilio in pochi mesi seguendo un loro capo squadra; altri dormivano alla ventura cercando un rifugio notte per notte. Chi non era pi√π con i parenti, chi li aveva perduti, e chi non li aveva mai conosciuti. - Il Teol. Dellaporta, persuaso da quelle risposte, riconobbe il gran bene che faceva D. Bosco, essendo i giovani da lui raccolti veramente gli abbandonati, dagli altri.
Anche D. Gattino parroco di Borgo Dora, sotto la cui giurisdizione era la casa Pinardi, si recò un giorno a parlare con D. Bosco, e dopo aver visitato l'Oratorio e le classi gli disse: - Tutto va bene, ma non so come Lei potrà continuare la sua opera qualora il parere dei parroci Le fosse contrario. Io però Le prometto, nella prima radunanza nostra del collegio, di prendere le sue difese per quanto mi sarà possibile.
La ringrazio, replicò D. Bosco, ma capirà che la questione non si può sciogliere come essi desiderano. Io non ho nessuna difficoltà di dire a tutti questi giovani che prima s'informino quale sia la loro parrocchia attuale e là vadano a, prepararsi per la Pasqua. Ma vorranno essi abbandonai, l'Oratorio? E se io li congedassi, vi andranno o non piuttosto si sbanderanno in mezzo alle strade o per i prati? E chi li andrà a raccogliere? E se facessero qualche monelleria chi sentirassi in grado di trattenerli?
 - Non ha torto, osservò D. Gattino... ma pure... vedremo.
Venne eziandio Padre Serafino da Gassino Curato di N.S. degli Angieli, il quale avendo conosciuto tra i giovani più d'uno che sapeva della sua giurisdizione, ne fece osservazione a D. Bosco, il quale rispose: - Ma io non ho difficoltà di congedarli anche tutti, questi giovani; trovino essi il modo di prenderne cura. Basta una parola dell'Arcivescovo, ed io  lascio tutto, e me ne ritorno a Castelnuovo ove non avrò tanti fastidi.
 - Avrei un progetto che, mi sembra, accomoderebbe bene la cosa, disse il nuovo venuto. Non potrebbe in questo tempo di quaresima condurre alla mia parrocchia i giovani che mi appartengono e quanti altri non hanno domicilio fisso? Presso di me non potrebbero compiere il dovere pasquale? Io Le assegnerò un confessionale nella mia chiesa e là potrà fare tutto il bene che le piace.
 - La cosa pare spiccia, osservò D. Bosco; ma in questo caso non dovrei dare la preferenza al mio Curato di S. Simone e Giuda? Se, io vengo nella sua chiesa, Lei permetterà che vengano i giovani delle altre parrocchie, i quali non vorranno certamente distaccarsi da me? Sarebbe suscitare più viva ancora la stessa questione tra i parroci! E se vengono tutti i miei settecento e più giovani, dove li metteremo? E se Lei escludesse quelli che non sono della sua parrocchia, potrei io permettere che rimangano abbandonati? E osservi ancora, mio caro signor Curato, un punto degno di riflessione, se non altro in teoria: io dovrei diventare suo viceparroco?
 - Ha ragione, concluse il parroco di N. Signora degli Angeli, la questione non è così piana come mi sembrava a prima vista. Basta... ne parleremo ancora... Vedremo che cosa deciderà il nostro Collegio.
Comparve in ultimo il curato di S. Agostino Teol. Ponzati il quale più degli altri era fermo nel sostenere il suo diritto per il catechismo e la Pasqua. Discusse lungamente con D. Bosco, il quale arrecò ogni fatta di ragioni, ma sempre dicendosi pronto a cedere, solo che così volessero i suoi Superiori Ecclesiastici. La calma di D. Bosco e l'ineluttabile forza dei suoi ragionamenti impacciarono il suo oppositore, il quale però nel congedarsi concluse: - Comunque decida il Collegio dei parroci, intendo riservare a me il diritto di dare l'esame per la promozione alla prima Comunione.
D. Bosco gli fece notare che si trattava di un centinaio di giovani ogni anno; ma il buon parroco replicò la sua conclusione in tono perentorio.
Giunta intanto la settimana di Passione, D. Bosco ordinava che ogni catechista esaminasse i propri allievi, li dichiarasse promossi alla santa Comunione se li trovava idonei e ne desse a lui il voto per metterlo in un registro a parte. D. Bosco stesso e altri sacerdoti presiedevano a quell'esame.
Ma i giovani della parrocchia di S. Agostino li mandò al loro Curato.
Il parroco, vista quella turba: - Che cosa volete da me? disse loro un po' brusco.
 - L'esame di catechismo per la prima Comunione.
 - Tornate altra volta: ora non ho tempo. - E quei giovani sì restituirono all'Oratorio dicendo: - L'esame non ce l'ha voluto dare.
 - Ma - osservò D. Bosco - gli avete detto che sono io che vi mandavo?
 - Questo no!
 - Ebbene, ritornate e pregatelo in mio nome che abbia la bontà di esaminarvi.
I giovani rifecero i loro passi. Invece del parroco trovarono in sagrestia un addetto alla chiesa, e ripeterono la domanda in nome di D. Bosco. Il sagrestano li squadrò da capo, a piedi. Erano tutti adulti e alcuni avevano la barba. - Come! esclamò con ironia: Mi meraviglio! Avete ancor da fare la prima Comunione? Oh i piccolini! Avete aspettato abbastanza a quel che pare! Non c'è male! - E proseguiva di questo tenore.
I poveri giovani, che avevano fatto uno sforzo per assoggettarsi a prendere quell'esame, ritornarono da D. Bosco confusi, umiliati, protestando di non voler più saperne di esame. D. Bosco allora si presentò all'Arcivescovo esponendogli lo stato delle cose, e Monsignore, preso tempo a riflettere, gli promise di fargli conoscere per lettera le sue decisioni. Intanto D. Bosco, sul finire della settimana di Passione, annunziò nell'Oratorio, che nella Settimana Santa si sarebbe incominciato un triduo di prediche, in quel giorno e in quell'ora che egli giudicò di maggiore comodità ai suoi giovanetti. La voce di D. Bosco, del Teol. Borel e di altri santi preti non cessò di infervorare in questa Settimana per anni ed anni le turbe, che si preparavano a ricevere degnamente il pane Eucaristico.
Ma essendo straordinario oltre ogni credere il numero degli accorrenti al tribunale di penitenza, D. Bosco assegnò loro alcuni giorni distinti per l'adempimento dei doveri religiosi. Il lunedì santo al mattino incominciavano le confessioni dei più piccoli non ancora promossi alla santa Comunione; questi raccomandava ai confessori da lui invitati perchè li trattassero con molta pazienza e carità, ispirassero loro grande confidenza per ottenere un'accusa sincera, infondessero nei loro cuori un santo orrore al peccato, essendo essi pur troppo capaci di offendere Iddio, facessero loro concepire dolore dei loro falli, e per quanto era possibile non li rimandassero senza assoluzione.
Per quelli che dovevano comunicarsi la prima volta, se fossero stati motti, aveva fissato un giorno distinto per loro soli. Non badava all'età, o a certe consuetudini; ma quando sapevano distinguere tra pane e pane ed erano sufficiente mente preparati, li mandava alla Sacra Mensa. Aveva grande premura che Gesù prendesse per tempo possesso dei loro  poveri giovani, che avevano fatto uno sforzo per assoggettarsi a prendere quell'esame, ritornarono da D. Bosco confusi, umiliati, protestando di non voler più saperne di esame. D. Bosco allora si presentò all'Arcivescovo esponendogli lo stato delle cose, e Monsignore, preso tempo a riflettere, gli promise di fargli conoscere per lettera le sue decisioni. Intanto D. Bosco, sul finire della settimana di Passione, annunziò nell'oratorio, che nella Settimana Santa si sarebbe incominciato un triduo di prediche, in quel giorno e in quell'ora che egli giudicò di maggiore comodità ai suoi giovanetti. La voce di D. Bosco, del Teol. Borel e di altri santi preti non cessò di infervorare in questa settimana per anni ed anni le turbe, che si preparavano a ricevere degnamente il Pane Eucaristico. Ma essendo straordinario oltre ogni credere il numero degli accorrenti al tribunale di penitenza, D. Bosco assegnò loro alcuni giorni distinti per l'adempimento dei doveri religiosi. Il lunedì santo al mattino incominciavano le confessioni dei più piccoli non ancora promossi alla Santa Comunione; questi raccomandava ai confessori da lui invitati perchè li trattassero con molta pazienza e carità, ispirassero loro grande confidenza per ottenere un'accusa sincera, infondessero nei loro cuori un santo orrore al peccato, essendo essi pur troppo capaci di offendere Iddio, facessero loro concepire dolore dei loro falli, e per quanto era possibile non li rimandassero senza assoluzione.
Per quelli che dovevano comunicarsi la prima volta, se fossero stati motti, aveva fissato un giorno distinto per loro soli. Non badava all'età, o a certe consuetudini; ma quando sapevano distinguere tra pane e pane ed erano sufficiente mente preparati, li mandava alla Sacra Mensa. Aveva grande premura che Gesù prendesse per tempo possesso dei loro cuori. Non trascurava in certi casi di seguire l'usanza diocesana di promuoverli alla comunione per una sola volta, o per tre o quattro in quell'anno, ed eziandio secondo la licenza che dietro domanda sarebbe loro accordata. Questa pratica aveva per fine di costringere i giovani, se volevano essere promossi per sempre, ad assistere ai catechismi quaresimali ancora per qualche anno, poichè senza questa riserva certuni non li avrebbero più frequentati.
D. Bosco però era solito a promuovere per sempre, non solo quelli che erano bene istruiti nelle verità della fede nel tempo pasquale, ma eziandio in qualunque tempo dell'anno, anche senza speciali solennità.
Intanto Mons. Fransoni premuroso di sciogliere D. Bosco dai suoi impicci, così gli scriveva nel mercoledì santo:
 
 
30 Marzo 1847
 
         Molto Rev. Signor Padrone Oss.mo,
 
Fatto maturamente riflesso a quanto V. S. M. R. mi accennava l'altro giorno, mi sono determinato ad autorizzarla come in virtù della presente l'autorizzo, ad istruire ed ammettere alla prima Comunione quei giovani che intervengono alla sua pia istituzione. Ad oggetto poi che i rispettivi signori parroci dalla cui giurisdizione dipenderebbero tali giovani possano conoscerli, converrà che loro partecipi aver Ella, con mia speciale delegazione esaminato ed ammesso alla prima Comunione i tali e tali, indicandone i nomi, ed aver essi soddisfatto in virtù della medesima al pasquale precetto nella, Cappella destinata pei medesimi.
Nel soggiungerle poi che la suddetta delegazione s'intende estesa anche all'ammettere i medesimi al sacramento della Cresima, con munirli del relativo consueto biglietto, mi rinnovo coi sensi della pi√π perfetta stima.
 
Di V. S. M. R.
 
D. O. S.
Luigi Arcivescovo
 
Torino, Sig. D. Giovanni Melchiorre Bosco.
 
Con questo formale decreto era tolto ai parroci qualsiasi futuro pretesto a rimostranze, le quali però non si potevano - dire ingiustificabili, se l'Arcivescovo non avesse dichiarata la sua volontà.
Mons. Fransoni diceva loro: - Le cappelle degli oratori saranno le parrocchie di quei fanciulli che le frequentano. - E adducendo la ragione delle sue concessioni a D. Bosco, aggiungeva: - Stante la circostanza che molti giovani sono forestieri e che gli altri tutti sono per natura volubili ed incostanti, senza gli oratori che in bel modo ve li attirino, molti non andrebbero in chiesa, e così crescerebbero ignoranti e discoli. - I parroci si arresero senza esitare alla sua decisione, e D. Bosco compiacevasi di chiamar l'oratorio: “ La parrocchia dei fanciulli abbandonati ”.
Se la lettera dell'Arcivescovo consolava D. Bosco, aveva eziandio data maggior lena ai suoi catechisti, i quali non risparmiavano fatiche e premure perchè i figli del popolo si apparecchiassero ai santi Sacramenti colle migliori disposizioni, ascoltassero attenti il triduo di prediche, che incominciava il Giovedì santo nell'ora stessa consacrata prima al catechismo, e mettessero in pratica i brevi, ma caldi avvisi che D. Bosco loro andava suggerendo di quando in quando.
In questi giovani catechisti poi si trasfondeva lo zelo e lo spirito di D. Bosco, poichè quantunque non facessero vita comune con lui, or l'uno or l'altro stavano sempre al suo fianco dal mattino alla sera, studiavano ogni suo passo, erano edificati da' suoi esempi, lo imitavano anche in quegli atti, di pietà che sembravano di minore importanza.
E qui mi si consenta a proposito una digressione.
Lo spirito religioso di D. Bosco si manifestava continuamente eziandio nel rispetto, nell'amore e nella stima per tutti quegli atti di culto e pratiche di pietà che la Chiesa senza imporre approva, promuove e raccomanda. Tali sono l'uso dei sacramentali, l'assistenza alle funzioni di chiesa, la recita in comune del rosario, l'aggregarsi a pii sodalizi, la recita dell'Angelus la benedizione della tavola, l'esercizio della Via Crucis. Riguardo a quest'ultima, vivissima era la sua devozione verso i misteri della passione e morte di Gesù Cristo. Ne meditava con affetto i dolori, e discorrendone, si commoveva così che le parole gli venivano meno e muoveva gli uditori al pianto. Raccomandava a tutti i suoi dipendenti questa tenera devozione, e sapeva parlarne in modo tenerissimo al tribunale di penitenza.
Egli perciò aveva fin dall'anno antecedente presentata all'Arcivescovo la seguente supplica, scritta dal Teol. Borel.
 
 
“ Eccellenza Reverendissima,
 
I sacerdoti applicati all'istruzione dei giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, recentemente aperto in Valdocco, fuori di questa Capitale, affine di accendere vieppiù la pietà ne’ giovani accorrenti in grande numero, bramerebbero di erigervi la santa pratica della Via Crucis; osano perciò ricorrere rispettosamente alla pastorale cura di V. E. Reverendissima.
Supplicandola umilmente a volersi degnare di accordar loro questo favore e delegare chi Ella giudica per la erezione della medesima....
Che della grazia ”.
 
 
L'11 Novembre 1846 era stata concessa l'implorata erezione della Via Crucis colla clausola che ne avesse incarico alcun religioso sacerdote della famiglia minoritica, deputato dal proprio superiore: salvi i diritti Arcivescovili e parrocchiali. La concessione era firmata dal Can. Celestino Fissore Provicario generale e dal Teol. Gattino Curato. La firma del proprietario Francesco Pinardi attestava il suo consenso. Il 1° Aprile Fr. Antonio dell'Ordine dei Minori Osservanti di S. Francesco, Guardiano del Convento di S. Tommaso in Torino, deputava il Padre Buonagrazia, predicatore e confessore approvato dall'Ordinario, ad erigere le sopraddette stazioni. D. Bosco aveva comprati i quattordici quadretti colle rispettive croci, sborsandone 12 lire. La sua povertà non gli aveva permesso una spesa maggiore.
Il medesimo 1° Aprile, Giovedì santo, con solennità, alla presenza dei molti giovani, il Padre Buonagrazia, seguendo le forme prescritte dalla Sacra Congregazione delle Indulgenze, benedisse i quadri colle croci, e portati in processione attorno alla cappella furono appesi ai posti designati. Ad ogni quadro che si collocava si commemorava la stazione da quello rappresentata, e per la prima volta si eseguì il breve modo per praticare la Via Crucis stampato nel “Giovane Provveduto”. Vi furono dei canti ed il francescano pronunciò qualche fervorino. Nel Venerdì santo D. Bosco volle che fosse ripetuto questo esercizio di pietà, arricchito dai Sommi Pontefici da indulgenze senza numero. Si poteva trovar mezzo più efficace per far conoscere l'amore infinito che Gesù porta agli uomini, ed il dovere che questi hanno di corrispondervi?
Compresi da questo pensiero i giovani dell'Oratorio, tutti artigiani, la Domenica di Risurrezione fecero la Pasqua. Benchè D. Bosco avesse loro data tutta la comodità e libertà necessaria per confessarsi invitando altri sacerdoti, più centinaia solo a lui vollero confidare i segreti della loro coscienza.
Con tale festa, rallegrata da quanto D. Bosco poteva disporre perchè i suoi giovani fossero pienamente contenti, non finivano ancora le sue occupazioni pasquali.
Nella domenica in Albis ebbe luogo la solenne distribuzione dei premii a quelli che colla loro frequenza e buona condotta si erano segnalati nell'intervenire al catechismo in tempo di quaresima. Erano presenti molti invitati, perchè D. Bosco volle che la premiazione rivestisse il più solenne aspetto che fosse possibile, ed ebbe parole di lode e di incoraggiamento per quei bravi figliuoli, con promesse da parte del Signore di altri premii ben più ricchi e consolanti.
Nella seconda Domenica dopo la Pasqua, 18 Aprile, si fece la lotteria per coloro che avevano frequentato nell'anno l'oratorio festivo. Questo ordine di cose in preparazione e chiusa del tempo pasquale si mantenne negli anni successivi e fino ancora ai presenti.
Terminate le feste, D. Bosco riordinava subito le classi pel catechismo domenicale. In queste settimane in fatti giungevano in Torino molti giovanetti forestieri per imparare un mestiere, o per lavorare come braccianti. Di costoro un bel numero sarebbe venuto all'oratorio e bisognava quindi mutar di posto in chiesa quelli che erano stati promossi alla santa Comunione, formandone classi a parte.
Questa classificazione però non poteva mantenersi per molti mesi, e D. Bosco nei primi giorni di novembre riordinò le sue squadre. La maggior parte dei giovani muratori, essendo interrotti i lavori di costruzione, ritornavano ai loro paesi, e molti giovanetti montanari scendevano in città o soli o con qualche parente, per guadagnarsi un pane che era troppo scarso tra le nevi dei loro villaggi. Gli uni si davano all'accattonaggio, gli altri facevano il mestiere dell'arrotino, o vendevano lavoretti in legno; i più erano spazzacamini. Invitati da D. Bosco, spinti dagli amici, prendevano nell'Oratorio il posto di quelli che erano partiti; e con essi non pochi loro coetanei torinesi, i quali, finite le divagazioni della bella stagione, si rifugiavano in un luogo simpatico pei loro sollazzi.
Più tardi si aggiunsero altri figli del popolo, che frequentavano le scuole elementari, ed erano così numerosi, che sul principio dell'autunno D. Bosco dovette formare di essi una categoria distinta da quella degli altri giovani operai.
Così più volte all'anno si rinnovavano in gran parte le turbe giovanili intorno a D. Bosco, con quanta sua fatica e con quanto vantaggio delle loro anime a voi l'immaginare.
 
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