Necessità di un ospizio - Un crocchio di monelli - Tentativo fallito - Il primo giovane ospitato - Il primo sermoncino avanti il riposo - Il primo letto e il primo dormitorio - Umile ed oscuro principio e benedizione di Dio - Il pianto di un orfanello.
del 07 novembre 2006
 Fino a questo punto D. Bosco, in Valdocco, si era occupato quasi esclusivamente ad organizzare i mezzi per far rifiorire l'istruzione religiosa coi catechismi e la letteraria colle scuole domenicali, serali e diurne, e per eccitare alla virtù i giovanetti con acconce pratiche di pietà. Ma un altro bisogno si sentiva pur grande assai. La quotidiana esperienza faceva toccare con mano a D. Bosco che per giovare efficacemente a un certo numero di giovanetti non bastavano le scuole e le radunanze festive, ma era d'uopo fondare un caritatevole ospizio.
Molti di loro, e torinesi e forestieri, si mostravano pieni di buona volontà di darsi ad una vita morigerata e laboriosa; ma, invitati a principiarla o a proseguirla, solevano rispondere che non avevano nè pane nè abiti nè casa onde ripararsi; ed erano talora costretti ad una vita così stentata, ed alloggiare in siti così pericolosi, da far dimenticare in un giorno o in una notte i buoni proponimenti di una settimana intera. Difatti la maggior parte di essi, o accettati o intrusi, passavano le notti nelle stalle, nelle rimesse e nei pagliai; o a cielo scoperto, sulla nuda terra e sulle panche dei viali pubblici; ora rannicchiati sotto i portici dei palazzi, dietro una porta trovata aperta, o in un sottoscala. Alcuni di questi poveretti erano perfino impediti di venire la domenica all'oratorio, perchè obbligati a procurarsi con fatica il pane giornaliero. D. Bosco cercava soccorrerli il meglio che poteva: dava pare e minestra ai più affamati, mamma Margherita raccomodava o rammendava i brandelli dei loro abiti già troppo usati; ma che potevasi fare di più? D. Bosco mentre li compiangeva nel veder lì così derelitti più volte fu udito esclamare: - Mi fanno tanta pena questi poveri giovani, che se fosse possibile darci loro il mio cuore in tanti pezzi! - Egli pertanto ed il Teologo Borel da qualche tempo studiavano il modo di riuscire nella costruzione di un piccolo ospizio. Avevano gettato un motto al Sig. Pinardi per conoscere a qual prezzo avrebbe venduta la sua casa, ma la risposta era stata: - Ottantamila lire!
D. Bosco non aveva replicato, ma nella sua mente incominciò a colorire un vastissimo disegno, con quella fortezza d'animo che forse nessuno dei suoi contemporanei potè superare, e così che prima di morire potè vederlo compiuta a tenore dello scopo che sì era proposto. Una potenza misteriosa lo spingeva sempre avanti. Quindi, benchè privo di beni di fortuna, risolvette di mettersi all'opera, dicendo: - Cominciamo; i mezzi verranno. - Prevedeva con certezza che si preparavano tempi di grandi calamità, ma sapeva eziandio che “ chi bada ai venti, non semina, e chi fa attenzione alle nuvole, non mieterà ”.
Senz'altro preparò un ripostiglio per alloggiare di notte i giovanetti che avrebbe conosciuti più bisognosi di quella carità. Il ripostiglio era un fienile presso all'Oratorio stesso, e provvide una certa quantità di paglia, alcune lenzuola e coperte, e in mancanza di queste un sacco entro cui ravvolgersi alla meglio. Non potè fare altrimenti, perchè non disponeva ancora di tutte le camere. Ma in sul bel principio questa sua paterna sollecitudine fu assai male ricompensata. Ecco il fatto.
Una sera di Aprile del 1847 D. Bosco, essendosi dovuto fermare più a lungo in città presso un malato, veniva a casa tardi passando pei prati, detti in allora i prati di cittadella, coperti oggidì di superbi palazzi. Quando egli fu presso ai quartieri sulla via di Dora Grossa (ora via Garibaldi) e a principio del Corso Valdocco, eccoti un crocchio di circa 20 giovinastri dal primo pelo, ignari ancora di Don Bosco e dell'oratorio, i quali, scorto un prete che veniva alla loro volta, cominciarono a gettare frizzi poco gentili. - I preti sono tutti avari, diceva uno. - Sono superbi ed intolleranti, soggiungeva un altro. - Facciamone la prova con quello là, gridò un terzo; e via dicendo.
A queste voci poco lusinghiere D. Bosco aveva preso a rallentare il passo; egli avrebbe voluto evitare quel circolo, ma accortosi che non era più in tempo, tirò innanzi, e vi s'introdusse coraggiosamente. Non dandosi per inteso di averli uditi:
 - Buona sera, cari amici, disse loro: come state?
 - Poco bene, signor Teologo, rispose il più audace; abbiamo sete, e non abbiamo quattrini; ci paghi Lei una pinta.
 - Sì, sì, ci paghi una pinta, signor Abate, gridarono tutti gli altri con squarciata voce: una pinta, una pinta, altrimenti non lo lasciamo più andare. - In così dicendo lo accerchiarono siffattamente, che era impossibile dare un passo.
 - Ben volentieri, disse allora il buon prete, ben volentieri io ve la pago; anzi, stante il numero in che siete, ve ne pagherò anche due; ma voglio bere anch'io con voi.
 - Si figuri! signor Teologo, s'intende. Oh! Che buon prete è lei! Oh! Se tutti fossero così. Andiamo dunque, andiamo all'albergo delle Alpi qui vicino.
E a D. Bosco fu giocoforza accompagnarsi con quei disgraziati, e per evitare maggiori guai, e per vedere se mai gli riuscisse di far loro qualche bene all'anima.
Ognuno può immaginarsi che spettacolo fosse quello! Un prete in un albergo, cinto da cotale corona! All'entrare tutti fecero tanto di occhi; ma quanti si trovavano colà presenti, non tardarono a sapere chi fosse quel prete, e perchè vi fosse, e niuno ne prese scandalo.
Chiamato l'oste, D. Bosco mantenne la data parola, e fece portare una e poi un'altra bottiglia ancora. Quando vide i suoi monelli alquanto esilarati, e fattisi pi√π mansueti e benevoli, egli disse loro: - Ora voi dovete farmi un piacere.
 - Dica, dica, signor D. Bosco (aveva già loro manifestato il proprio nome), dica pure, non solo un piacere, ma due, ma tre gliene faremo, perchè d'ora innanzi vogliamo essere suoi amici.
 - Se volete essere miei amici, voi dovete farmi il piacere di non più bestemmiare il nome di Dio e di Gesù Cristo, come taluni hanno fatto in questa sera.
 - Ha ragione, rispose uno dei bestemmiatori, ha ragione, signor D. Bosco. Che vuole? Talora la parola ci scappa senza che ce ne accorgiamo; ma per l'avvenire non sarà più così, e ce ne emenderemo mordendoci la lingua. Lo stesso promisero gli altri.
 - Bene; io ve ne ringrazio e me ne parto contento. Domenica poi vi aspetto all'Oratorio. Ora usciamo di qui, e voi da bravi giovanotti recatevi ciascuno alla propria casa.
 - Ma io non ho casa, prese a dire uno di loro; ed io nemmeno, aggiunse un secondo; e così parecchi altri.
 - Ma dove andavate a dormire alla notte?
 - Talvolta presso a questo o a quell'altro stalliere insieme coi cavalli dell'albergo; tale altra al dormitorio comune, dove si dorme per quattro soldi; e qualche notte in casa di un conoscente ed amico.
D. Bosco si accorse ben tosto del pericolo di immoralità in cui versavano quei poverini, la maggior parte forestieri, e quindi soggiunse: - Allora facciamo così: quelli che hanno casa e parenti se ne vadano; - e intanto li salutò, ed essi se ne partirono; - gli altri vengano con me.
Ciò detto, riprese la via di Valdocco, seguito da dieci o dodici di quei meschini, poichè per istrada se ne erano aggiunti altri sei: arrivato all'oratorio, dove la madre lo aspettava ormai con ansietà, D. Bosco fece recitare ai suoi ospiti il Pater Noster e l'Ave Maria, che avevano quasi dimenticato; poi per una scala a pioli li condusse sul mentovato fienile; diede a, ciascuno un lenzuolo ed una coperta, ed infine raccomandato loro il silenzio ed il buon ordine, ed augurato una felice notte, discese di colà, contento di aver dato principio, come ei si credeva, al divisato ospizio.
Ma non era di cotale gente, che la divina Provvidenza voleva servirsi per gettare le fondamenta di un sì magnifico edificio, e D. Bosco ebbe a persuadersene fin dall'indomani. Infatti al mattino appena giorno egli esce di camera per vedere i suoi giovanotti, dir loro una buona parola e invitarli che si rechino ciascuno al lavoro presso al proprio padrone. Fattosi nel cortile, egli non ode il minimo rumore. Credendo che fossero tutt'ora immersi nel sonno, sale per svegliarli; ma quei bricconi si erano alzati due ore prima, e se l'erano chietamente svignata, portando via lenzuola e coperte per andarle a vendere.
Il primo tentativo di un Ospizio andava dunque fallito, ma non falliva la buona volontà di colui, che n'era da Dio incaricato.
Era una sera di maggio in sul tardi; la pioggia cadeva dirotta; D. Bosco e sua madre avevano poc'anzi cenato, quando si presenta loro alla porta un giovinetto sui quindici anni, tutto bagnato da capo a piedi, che domandava pane e ricovero. Era stato a loro indirizzato da qualche persona conoscente dell'Oratorio, o meglio dalla Provvidenza di Dio, che in quella sera appunto voleva dare incominciamento all'Ospizio di S. Francesco di Sales.
La buona mamma Margherita lo accolse amorevolmente in cucina, lo avvicinò al fuoco, e, dopo averlo riscaldato e asciugato, gli porse una fumante minestra e pane.
Ristorato che fu, D. Bosco lo interrogò donde venisse, se aveva parenti e che mestiere esercitasse. Egli rispose: - Io sono un povero orfano, venuto poc'anzi da Valsesia per cercarmi lavoro, e fo il muratore. Aveva con me tre lire, ma le ho spese prima di guadagnarne altre; adesso non ho più niente, e sono più di nessuno.
 - Sei già promosso alla Comunione?
 - Non sono ancora promosso.
 - Hai già ricevuta la Cresima?
 - Non ancora.
 - E a confessarti sei già stato?
 - Sì, qualche volta, quando viveva ancora la mia cara madre.
 - E adesso dove vuoi andare?
    - Non so: domando per carità di poter passare la notte in qualche angolo di questa casa.
Ciò detto, egli si mise a piangere. A questa vista la pia Margherita che aveva un cuore di tenera madre, pianse ancor essa. D. Bosco n'era estremamente commosso. Dopo, alcuni istanti egli riprese a dire:
 - Se sapessi che tu non sei un ladro, cercherei di aggiustarti in questa casa; ma altri mi portarono via una parte delle coperte, e temo che tu mi porti via il resto.
 - No, signore: stia tranquillo; io sono povero, ma non ho mai rubato niente.
 - Se vuoi, domandò a D. Bosco sua madre, io lo accomoderò per questa notte, e domani Iddio provvederà.
 - Dove volete metterlo?
 - Qui in cucina.
 - E se vi portasse via le pentole?
 - Procurerò che ciò non succeda.
 - Fate pure, ch'io sono contentissimo.
Allora la madre ed il figlio uscirono fuori, e aiutati dall'orfanello raccolsero alcune teste di mattoni, fecero con essi quattro pilastrini in mezzo alla cucina, vi adagiarono due o tre assi, e vi sovrapposero il materasso tolto per quella sera dal letto di D. Bosco con due lenzuola ed una coperta.
Questo fu il primo letto ed il primo dormitorio del Salesiano Ospizio di Torino, che contiene oggidì circa mille ricoverati, diviso in quaranta e più cameroni! Chi non ravvisa in questo fatto la mano di Dio?
Preparato il letto, la pietosa donna fece al garzoncello un sermoncino sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione. Ella, senza punto avvedersi, diede così l'origine ad una pratica, che si mantiene tutt'ora nell'Oratorio, e che anzi venne introdotta in tutte le Case da esso dipendenti: di volgere cioè alcune cordiali parole ai giovanetti alla sera prima del riposo; pratica feconda di ottimi risultati.
Infine lo invitò a recitare le preghiere.
 - Non le so più, rispose egli arrossendo.
 - Le reciterai con noi, soggiunse la buona madre; e postisi in ginocchio gliele fecero ripetere parola per parola. Auguratogli la buona notte, D. Bosco e sua madre uscirono di colà per portarsi a riposo; ma questa, per assicurare le sue pentole, ebbe la precauzione di chiudere a chiave la cucina, e più non aprirla che al mattino. Ma il giovinetto non era punto un furfantello come gli altri e voleva guadagnarsi onestamente il pane; anzi per la sua condotta egli era ben degno di servire di prima pietra fondamentale ad un Istituto, tutto affatto provvidenziale.
Al domani D. Bosco gli cercò un posto ove lavorare. Il fortunato ragazzo continuò a portarsi per mangiare e dormire all'Oratorio sin verso l'inverno, quando cessando il lavoro, ritornò in sua patria. D'allora in poi non se ne ebbe più notizia alcuna, e si ha ragione di credere che egli sia morto poco dopo. A malgrado di molte ricerche, non ci riuscì di scoprire il nome di questo primo ospitato, per la ragione che in quel tempo D. Bosco non teneva ancora registro dei ricoverati, essendo questi soltanto eventuali, e come di passaggio. Ma forse così ha disposto il Signore, perchè viemeglio spiccasse il suo intervento in un'Opera ormai cotanto grandiosa, la quale ebbe sì umile ed oscuro principio.
Dopo questo un secondo se ne aggiunse poco di poi; ed ecco in quale occasione. Sul principio di giugno di quell'anno stesso, un giorno verso il cader del sole D. Bosco dalla chiesa di S. Francesco d'Assisi si recava verso l'oratorio. Giunto sul viale del Corso S. Massimo, appellato ora Corso Regina Margherita, vide un povero ragazzo in sui dodici anni, che appoggiato il capo ad un olmo piangeva dirottamente. L'amico della gioventù gli si avvicina: - E che hai, figliuolo mio? Gli domandò - perchè piangi?
 - Piango, rispose il poverino tra i singhiozzi e a stento, piango perchè sono abbandonato da tutti. Mio padre morì prima ch'io potessi conoscerlo; mia madre, che mi prodigò tante cure, la mia povera madre, che mi voleva tanto bene, è morta ieri, e l'hanno portata poc'anzi a seppellire. Ciò detto si pose a lagrimare più dirottamente ancora, da muovere a compassione. 
- La notte scorsa dove hai dormito?
- Ho ancora dormito nella casa d'affitto; ma oggi il padrone, a motivo della pigione non pagata, si appropriò le poche masserizie che vi erano, e appena trasportato il cadavere di mia madre, chiuse la camera, e io sono rimasto orfano e privo di tutto.
 - Adesso che cosa vuoi fare e dove vuoi andare?
 - Io non so che fare nè dove andare. Sento bisogno di ristoro per non morir di fame; ho bisogno di ricovero per non cadere nel disonore.
 - Vuoi venire con me? Io farò di tutto per aiutarti.
 - Sì che vengo, ma lei chi è?
 - Chi io sia, il conoscerai poi; per ora ti basti il sapere che io voglio farti da fedele amico.
Ciò detto, invitò il fanciullo a seguirlo, e poco dopo lo consegnava nelle mani di sua madre Margherita, dicendole: - Ecco un secondo figlio, che Dio ci manda: abbiatene cura, e preparate un altro letto.
Essendo di una famiglia civile già benestante, ma ridotta alla miseria, il giovinetto fu posto in qualità di commesso in un negozio di Torino. Col suo ingegno svegliato, colla sua fedeltà a tutta prova, egli sui 20 anni era già riuscito a crearsi in società una posizione onorata e lucrosa. Divenuto padre di famiglia, si condusse sempre da buon cittadino e buon cattolico, e fu ognora affezionato al luogo ed all'uomo, che lo ha raccolto, istruito, educato.
Dopo questi due, più altri se ne aggiunsero; ma di quell'anno per difetto di locale D. Bosco si limitò al numero di sette, che per la loro buona condotta furono pel suo cuore altrettante allegrezze e gioie, che lo incoraggiarono a proseguire l'ardimentosa impresa. Fra questi vi fa Giuseppe Buzzetti, che già prima si poteva dire di casa in Valdocco, tanto era famigliare con D. Bosco. Una domenica sera Don Bosco, mentre congedava i giovani, lo aveva trattenuto per mano e, rimasto solo con lui, gli diceva: - Verresti a stare con me?
 - Volentieri: ma cosa dovrò fare?
 - Quello che fanno gli altri compagni che ho in casa e poi altre cose che a suo tempo ti dirò…… e ne sarai contento. Ne parlerò col tuo fratello Carlo e faremo quanto sarà meglio nel Signore. - E il fratello che da sette anni era assiduo all'Oratorio, accondiscese alla proposta di D. Bosco; Giuseppe prese allora stanza in Valdocco, ma continuò ad esercitare in Torino il suo mestiere di garzone muratore.
Pochi furono questi primi giovani, eziandio perchè Don Bosco col suo zelo illuminato metteva sempre in pratica il detto: Festina lente. Era nemico delle precipitazioni e soleva dire che queste conducono ai passi i più falsi: ma incominciata un'opera, la continuava con fermezza e indefessamente. Aveva destinato per dormitori due stanze attigue, in ciascuna delle quali, capaci a stento di quattro letti, collocò un crocifisso, un'immagine di Maria SS. e un cartello che portava la scritta: Dio ti vede! Non prescrisse alcun regolamento speciale. Le norme giornaliere date dal “Giovane Provveduto” e alcuni suoi avvisi alla sera dovevano allora bastare. La sua prima esortazione fu questa: - Un sostegno grande per voi, figliuoli miei, è la, devozione a Maria SS. Ella vi assicura che se sarete suoi devoti, oltre a colmarvi di benedizioni in questo mondo, per mezzo del suo patrocinio avrete il paradiso nell'altra vita. Siate dunque intimamente persuasi che tutte le grazie, le quali voi domanderete a questa buona, Madre, vi saranno concesse, purchè non imploriate cosa che torni a vostro danno. E tre grazie, in modo particolare a Lei dovete chiedere con vive istanze di non commettere mai peccato mortale in vita vostra, di conservare la santa e preziosa virtù della purità, di star lontani e fuggire dai cattivi compagni. Per ottenere queste grazie reciteremo ogni giorno tre Ave Maria, un Gloria Patri, ripetendo per tre volte la giaculatoria: Cara Madre Vergine Maria, fate ch'io salvi l'anima mia.
Intanto al mattino di buon'ora nella piccola cappella si incominciarono a recitare tutti i giorni le orazioni in comune e la terza parte del Rosario, mentre D. Bosco celebrava la santa Messa. Da quel punto in Valdocco non si cessò più neppure per un giorno solo di dar lode a Dio col Rosario e con Santo Sacrificio, malgrado la corrente contraria che si andava formando in quei tempi contro queste pratiche giornaliere di pietà. Quando D. Bosco era assente da Torino lo sostituivano all'altare sacerdoti da lui invitati, e ordinariamente or l'uno or l'altro dei due teologi Vola. Alla domenica gli alunni interni prendevano parte a tutte le funzioni dell'oratorio festivo.
Questi nei giorni feriali, provvisti di pane si recavano a lavorare in città, e D. Bosco, sollecito a guisa di padre, a pranzo e a cena apparecchiava loro minestra abbondante, pane e talora qualche companatico. Li forniva anche di vestimenta, secondo il bisogno o la possibilità.
Mentre D. Bosco provvedeva ai loro bisogni materiali noi lo vedremo prendersi cura anche maggiore di quelli dell'intelletto e del cuore. Che egli avesse attitudine e vocazione ad educare cristianamente la gioventù lo mostrerà il fatto perchè l'esito si vide straordinariamente meraviglioso, prima coi giovani esterni e poi coi giovani ricoverati che dal numero di sette dovevano crescere a migliaia. Ma Dio era il fondamento del suo sistema. Aveva studiato la pedagogia nella Santa Scrittura dettata da quel Divino educatore il quale rialzò l'uomo caduto e lo vuole simile a sè, perfetto, santo, beato, immortale. Quindi D. Bosco si adoperava ad istruire i suoi allievi, prima di tutto nelle verità più essenziali della fede, poi, a misura che progredivano, faceva loro imparare il piccolo catechismo della diocesi e quindi per quelli di maggiore capacità dava anche a studiare il catechismo grande. Infine insegnava ai più avanzati in questa istruzione le ragioni per confutare gli errori del giorno. Alla scuola di D. Bosco la scienza della salute dell'anima teneva il primo posto.
 
 
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