Parlate di D. Bosco - Sogno: Una vigna: strada impraticabile e sentiero faticoso: la quaglia e la pernice: una gran sala: un morente e un defunto che D. Bosco non può riconoscere - D. Bosco va a Lanzo: suo biglietto a D. Ruffino - Presenta ai giovani dell'Oratorio i saluti di quei di Lanzo: spiega le sorti di chi mangia o la quaglia o la pernice - Predizione - Riflessioni intorno il sogno, - Altre parlate di D. Bosco - Il premio di buona condotta votato dai giovani stessi per quelli che giudicano essere i migliori dell'Oratorio; la novena di S. Francesco di Sales - Molti pazzi e molti furbi - La prima conferenza generale prescritta nella festa di S. Francesco - Progetto di una nuova lotteria - D. Bosco si adopera a formarne la Commissione - Articolo dell'Unità Cattolica: largizione e doni di Pio IX Per la chiesa di Valdocco.
del 04 dicembre 2006
 Si legge ne' Proverbi al Capo IV: “ Figliuoli, ascoltate i documenti del padre e state attenti ad apparar la prudenza. Un buon dono farò io a voi: guardatevi dall'abbandonare i miei precetti ”. Noi quindi continuiamo ad esporre le parole di vita che abbiamo udite dalle labbra del nostro padre D. Bosco, secondo l'ordine col quale vennero proferite.
 
16 gennaio.
 
La metà di gennaio è già passata: come abbiamo noi impiegato il tempo? Stassera, se volete, vi racconterò un sogno che ho fatto la notte di avant'ieri. Era in viaggio con tutti i giovani dell'Oratorio e molti altri che non conosceva. Ci fermammo a far colazione in una vigna e tutti i giovani si sparsero qua e là per mangiar frutta. Chi mangiava fichi, chi uva, chi pesche, chi susine. Io era in mezzo a loro e tagliava grappoli d'uva, coglieva fichi e li distribuiva ai giovani, dicendo:
- A te; prendi e mangia.
Mi parea di sognare e mi rincresceva che fosse sogno, ma dissi tra me:
- Sia quel che si vuole, lasciamo che i giovani mangino.
In mezzo ai filari scorgevasi il vignaiuolo.
Come ci fummo ristorati, ci rimettemmo in cammino, attraversando la vigna; ma il cammino era travaglioso. La vigna, come si usa, in tutta la sua lunghezza era tagliata da profondi solchi, dimodochè bisognava ora discendere, ora salire, ora saltare. I più robusti saltavano; i più piccoli saltavano anch'essi, ma invece di raggiungere l'opposto filare rotolavano nel fosso. Ciò mi rincresceva grandemente, quindi mi volsi a guardare attorno e vidi una strada che costeggiava la vigna. Allora con tutti i giovani mi rivolsi a quella parte.
Ma il coltivatore mi fermò e mi disse:
- Guardi: non vada su quella strada; ella è impraticabile, piena di pietre, spine, fango e fosse; continui quel cammino che avea intrapreso.
Io risposi:
- Avete ragione; ma questi piccolini non possono camminare a traverso questi solchi.
- Oh! è presto fatto, l'altro ripigliò; i più grandi si prendano sulle spalle i più piccoli e potranno saltare benchè carichi di questo peso.
Non mi persuasi di quello che mi era stato detto e con tutta la mia schiera andai sulla proda della vigna, vicino a quella strada e trovai che quel coltivatore aveva detta la verità. La strada era spaventosa e impraticabile.
Rivolto a D. Francesia dissi: - Incidit in Scyllam qui vult vitare Charybdim. - E ci fu giocoforza, prendendo un sentiero lungo la strada, attraversare alla bella meglio tutta la vigna, seguendo il consiglio del coltivatore.
Giunti là dove finiva la vigna trovammo una folta siepe di spine; aprendoci un passaggio con grande stento, scendemmo un'alta ripa e ci trovammo in un'amenissima valle ripiena di alberi e tutta ricoperta di erbetta. In mezzo a questo prato vidi due antichi giovani dell'Oratorio i quali appena mi videro si mossero verso di me e mi salutarono. Ci fermammo a parlare ed uno di essi dopo alquanto intrattenerci insieme: - Guardi, come è bella! - mi disse mostrandomi due uccelli che aveva in mano.
- Che cosa? risposi io.
- Una pernice: ed anche una quaglia che ho trovato.
- È viva la pernice? soggiunsi io.
- Già s'intende: guardi. - E mi diede una bellissima pernice che aveva pochi mesi.
- Mangia da sè?
- Incomincia.
E mentre io era occupato a darle da mangiare mi accorsi che aveva il becco diviso in quattro parti. Ne feci le meraviglie e ne domandai la ragione a quel giovane:
- Come? egli disse: non sa D. Bosco che vuol dire ciò? Significa la stessa cosa il becco della pernice diviso in quattro parti e la pernice stessa.
- Non capisco.
- Ella non capisce che ha studiato tanto? Come si chiama la pernice in latino?
- Perdix.
- Or bene ha la chiave di tutto.
- Fammi il piacere, levami dall'imbroglio.
- Ecco, mediti le lettere che compongono il vocabolo Perdix.
” P: vuol dire Perseverantia.
” E: Aeternitas te expectat.
” R: Referet unusquisque secundum opera sua, prout gessit, sive bonum, sive malum.
” D: Dempto nomine. Cancellata ogni umana rinomanza, gloria, scienza, ricchezza.
” I: Significa: Ibit. Ecco che cosa indicano le quattro parti del becco: i quattro novissimi.
- Hai ragione, ho capito; ma dimmi: e l'X dove lo lasci? Che cosa vuol dire?
- Come ella che ha studiato le matematiche non sa che cosa vuol dire X?
- X vuol dire l'incognita.
- Or bene cambi vocabolo e lo chiami lo sconosciuto: andrà in luogo sconosciuto (in locum suum).
Mentre io era meravigliato e persuaso di queste spiegazioni, gli domandai:
- Mi regali questa pernice?
- Ma sì, ben volentieri: vuol vedere anche la quaglia?
- Sì, fammela vedere.
Mi porse allora una magnifica quaglia; tale almeno parea. La presi, ne sollevai le ali e vidi che era tutta piagata e a poco a poco apparve brutta, marcia, puzzolente che metteva schifo. Allora domandai al mio giovane che dir volesse questa trasformazione.
Egli rispose:
- Prete! Prete! non sa queste cose dopo aver studiato la Sacra Scrittura? Si ricorda quando gli Ebrei nel deserto mormoravano e Dio mandò le quaglie, e ne mangiarono e avevano ancora quelle carni fra i denti, quando tante migliaia di loro furono puniti dalla mano di Dio? Dunque questa quaglia significa che ne uccide più la gola che la spada e che l'origine della maggior parte dei peccati deriva dalla gola.
Ringraziai quel giovane delle sue spiegazioni.
Intanto nelle siepi, sugli alberi, fra le erbe comparivano pernici e quaglie in gran numero, le une e le altre simili a quelle che teneva in mano colui che mi aveva parlato. I giovani presero a dar loro la caccia e così si procurarono la refezione.
Quindi ci rimettemmo in viaggio. Quanti mangiarono della pernice divennero robusti e continuarono il cammino; quanti mangiarono della quaglia, restarono nella valle, lasciarono di seguirmi, si dispersero e li perdetti, cioè più non li vidi.
Ma ad un tratto, mentre io camminavo, si cambiò interamente scena. Mi parve di essere in un immenso salone più grande di tutto l'Oratorio, compreso l'intero cortile, e lo vidi tutto ripieno di una gran moltitudine di persone. Guardai all'intorno e non conobbi nessuno; non vidi neppur uno dell'Oratorio. Mentre era lì stupefatto, un uomo mi si avvicinò e mi disse che v'era un poveretto che stava gravemente ammalato con gran pericolo di morire e che avessi avuto la bontà di andarlo a confessare. Io riposi che volentieri; e senz'altro lo seguii. Entrammo in una camera e mi accostai all'infermo, incominciai a confessarlo, ma vedendo che a poco a poco si andava indebolendo, temendo che morisse senza assoluzione, troncai a mezzo la confessione. Non appena l'ebbi assolto, morì. Il suo cadavere incominciò subito a puzzare così orribilmente che non si potea sopportare. Io dissi che bisognava seppellirlo subito e domandai perchè puzzasse a quel modo. Mi fu risposto:
- Chi muore così presto, è presto giudicato.
Uscii di là; mi sentiva estremamente stanco e domandai di riposare. Mi fu tosto risposto che volentieri accondiscendevano al mio desiderio e fui condotto, su per una scala che mettea capo in un'altra stanza. Entrando vidi due giovani dell Oratorio che parlavano tra di loro ed uno di essi aveva un involto. Chiesi loro:
- Che cosa avete in mano? che cosa fate qui?
Essi si scusarono di trovarsi in quel luogo, ma non risposero a ciò che aveva domandato. Io ripresi:
- Vi domando perchè vi trovate qui?
Essi si guardarono in volto e mi risposero che attendessi. Quindi svolsero il loro involto e ne trassero fuori e distesero un drappo funebre. Io guardai attorno e vidi in un cantone, disteso, morto, un giovane dell'Oratorio. Ma non lo riconobbi. Domandai ai due giovani chi fosse, ma si scusarono e non mel vollero dire. Mi avvicinai a quel cadavere, lo fissai in volto, mi parea e non mi parea di conoscerlo, ma non potei raffigurarlo. Deciso allora di saperlo a qualunque costo, discesi la scala e mi trovai di bel nuovo in quel gran salone. La moltitudine di gente sconosciuta era scomparsa e in suo luogo stavano i giovani dell'Oratorio. Appena i giovani mi videro, mi si strinsero attorno e mi dissero: -D. Bosco! D. Bosco! sa, è morto un giovane dell'Oratorio. - Io chiesi loro chi esso fosse e nessuno mi volle dare risposta: mi rimandavano gli uni agli altri, ma nessuno volea parlare. Ridomandai con maggior insistenza: si scusavano e non mel vollero dire. In questo affanno, deluso nella mia ricerca, mi svegliai e mi trovai nel mio letto. Il sogno durò tutta la notte e la mattina mi trovai così stanco ed affranto che realmente pareva che avessi viaggiato tutta la notte. Le cose che io vi racconto, bramo che non siano dette fuori dell'Oratorio; parlatene fra di voi fin che volete, ma stiano fra di noi.
Il giorno dopo, 17 gennaio, Don Bosco al mattino si recò a Lanzo ove traevalo l'affetto paterno per Don Ruffino Domenico e per i suoi subalterni. In queste visite interessavasi non solo degli affari importanti della sua missione spirituale, ma informavasi eziandio delle necessità materiali della casa, dell'andamento scolastico e disciplinare degli alunni e delle relazioni colle Autorità Ecclesiastiche e Civili. Si può dire che ogni persona ricevesse da lui l'impulso per operare.
Da Torino, dopo quindici giorni, scriveva al medesimo Direttore:
 
 
Carissimo D. Ruffino,
 Scavarda desidera di andare a prendere le sue robe, ma è inteso che ritorna qui ed in sua vece avrete costà Chiesa, che credo una copia del Bodratto per buona volontà.Ho corretto e faccio riscrivere la memoria pel sindaco.
Augura da parte mia copiose le benedizioni del cielo sopra tutti i superiori ed inferiori del Collegio di Lanzo; faccia la Santa Vergine che quanti sono gli abitanti, altrettanti siano i santi. Amen.
Dio ti benedica: credimi tutto tuo,
 Torino, 3 febbraio 1865,
Aff.mo in G. C.
Sac. Bosco Giovanni.
 
 
Ritornato all'Oratorio la sera del 8 gennaio così parlava ai suoi alunni:
 
Sono stato a Lanzo a vedere quei giovani che mi sono come voi molto cari. Non vi dirò l'accoglienza fattami, perchè sarebbe un ripetere le cose dette altra volta. Vi dirò solo che ieri sera, come ebbi finito di parlare loro, ad una voce mi dissero: - Dica al giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales che noi li amiamo molto, che li consideriamo come nostri amici, come nostri fratelli e che speriamo che anche essi ci vorranno bene, come noi lo vogliam loro. Dica che il giorno di S. Francesco di Sales noi tutti faremo la Comunione e ci uniremo a pregare per loro nel sacro Cuore di Gesù Cristo. Dica che speriamo qualche volta di andare a Torino, per salutarli, come desideriamo che essi vengano qui a Lanzo a passare qualche giorno con noi. - Io mi feci interprete dei vostri sentimenti, o miei cari figliuoli, e dissi potersi dare benissimo, che qualcheduno di voi qualche volta vada a Lanzo, o per starvi definitivamente, oppure indefinitivamente, secondo sarà il volere de' superiori; e che se qualcheduno di loro si porterà qui a Torino, sarà accolto da voi come vero fratello, tanto più sapendo per fama voi di Torino come gli alunni di Lanzo siano giovani così buoni. - Pensate la contentezza dei giovani di Lanzo a queste mie parole: si alzarono in punta di piedi, si fecero più lunghi che poterono, e si tirarono su il nodo della cravatta!
Ma passiamo ad altro. Voi vorrete sapere ancora qualche cosa del sogno. Vi spiegherò solamente che cosa voglia dire quaglia e pernice. La pernice, per andare all'ultimo termine del significato, è la virtù; la quaglia il vizio; perchè la quaglia fosse così bella in apparenza e poi vista da vicino, piagata sotto le ali, apparisse tutta puzzolente, lo capite e non fa bisogno spiegarlo; sono le cose disoneste.
Fra i giovani, altri mangiavano la quaglia golosamente, con avidità, non ostante che fosse tutta fracida, e sono quelli che si dànno al vizio, al peccato: altri mangiavano la pernice, e son quelli i quali portano amore alla virtù e la seguono. Alcuni tenevano in una mano la quaglia, nell'altra la pernice e mangiavano la quaglia; son quelli che conoscono la bellezza della virtù, ma non vogliono approfittarsi della grazia che Dio fa loro per farsi buoni. Altri tenendo in una mano la pernice e nell'altra la quaglia, mangiavano la pernice dando occhiate cupide, invidiose alla quaglia; son quelli che seguono la virtù, ma con stento, ma per forza, dei quali si può dubitare, che se non cambiano, una volta o l'altra cadranno. Altri mangiavano la pernice e la quaglia saltava loro d'innanzi, ma essi non la guardavano e continuavano a mangiar la pernice; son quelli i quali seguono la virtù e abbominano il vizio e lo considerano con disprezzo. Altri mangiavano un po' di quaglia e un po' di pernice, e son coloro che alternano tra il vizio e la virtù e così s'ingannano, sperando di non essere tanto cattivi. Voi mi direte: Chi di noi mangiò la quaglia e chi la pernice? A molti l'ho già detto: gli altri, se vogliono, vengano da me e loro lo dirò.
Similmente continuava a dare in privato ai singoli serii ammonimenti salutari, oppure una lieta notizia, secondochè suggerivagli il sogno. Un giorno avendo presso di sè una decina di giovani che gli domandavano se avesse conosciuto il loro avvenire, disse:
- Di quelli che sono qui, uno diverrà un gran dotto, un altro un gran santo, un terzo e dotto e santo.
Ora che cosa diremo noi del sogno surriferito?
Don Bosco, come era solito, non ne descrisse tutte le circostanze, non diede tutte le spiegazioni, limitandosi a ciò che riguardava la condotta dei suoi giovanetti, e qualche previsione dell'avvenire. Eppure studiando le sue parole, se non erriamo, ci si presenta l'idea dell'Oratorio, della Pia Società, e degli Ordini religiosi. Esponiamo, rimettendoci al giudizio dei più esperti, alcune nostre riflessioni:
I° La vigna è l'Oratorio. D. Bosco infatti distribuisce, quale padrone, ogni specie di frutta ai giovani. È una di quelle vigne spirituali predette da Isaia nel capo LXV: “ Pianteranno (i fedeli) le vigne e ne mangeranno il frutto - Plantabunt vineas et comedent fructus earum ”. La scena accade evidentemente in pieno raccolto.
2° Il viaggio di D. Bosco. Il consiglio del coltivatore, che cioè i più robusti, ossia i Salesiani, portassero sulle spalle i più piccoli, non potrebbe indicare come allora urgesse la necessità che il tirocinio spirituale dei congregati non fosse disgiunto dalla vita attiva? La strada impraticabile non sarebbe forse la via regia dei grandi Ordini religiosi amati e desiderati da D. Bosco, ridotta in quello stato per la mancata regolare osservanza, per l'odio delle sette, per le leggi di soppressione? E il sentiero nella vigna che costeggia la strada, avendone quindi la stessa direzione e la stessa meta, non indicherebbe il nuovo istituto fondato da D. Bosco?
3° La pernice. Uno dei caratteri speciali di questo volatile è la furberia. Cornelio a Lapide in fatti commentando il capo XVII di Geremia cita la lettera 47ª di S. Ambrogio in cui son descritte le arti astute e sovente fortunate della pernice per isfuggire alle insidie dell'uccellatore e anche per salvare la sua nidiata. E il motto che di frequente D. Bosco indirizzava ai suoi figli era precisamente questo: Siate furbi! e con ciò intendeva che il ricordo dell'eternità insegnasse loro i modi per sfuggire i lacci del demonio.
4° La quaglia. Il vizio della gola è morte delle vocazioni.
5° La gran sala e la moltitudine che l'occupava di persone sconosciute al Servo di Dio dovevano pur aver un significato, e qualche interessante particolarità. D. Bosco però non credette doverne far parola. Non potrebbe essere che si trattasse dell'opera futura de' Cooperatori salesiani?
6° Quanto all'ammalato morente D. Bosco disse alcun tempo dopo a noi preti: “ Era un antico allievo dell'Oratorio, e di lui voglio chiedere informazione per verificare se fosse già morto ”.
7° E il giovane morto? Pare che fosse D. Ruffino, carissimo a D. Bosco, e ciò spiegherebbe le reticenze dei giovani. D. Bosco non lo riconobbe, poichè questo sogno lo predisponeva alla gran perdita, senza amareggiarlo con una dolorosa certezza. D. Ruffino era un angelo per virtù e per fattezze, e quei giorni stava bene. Però egli morì in quell'anno il 16 luglio.
Esposte le nostre opinioni, lasciando che unusquisque abundet in sensu suo, continuiamo a leggere la parola di D. Bosco, come è riferita dalla cronaca.
 
19 gennaio.
 
Vi è un uso nella casa e lo dico, per quelli che sono nuovi. Il giorno di S. Francesco si dànno i premii e sono gli stessi giovani che li dànno ai loro migliori compagni. Gli studenti agli studenti, gli artigiani agli artigiani. Ecco come si fa. Ciascun giovane fa una lista di dieci nomi dei giovani che stima più diligenti, più studiosi, e più divoti, fra coloro che conosce, di qualunque camerata o classe essi sieno, e vi sottopone la sua firma. Quindi consegna quella lista al suo professore. Il professore la consegna a me ed io faccio lo spoglio delle liste, e a chi ha ottenuto maggior numero di voti si dà il premio nel giorno di S. Francesco di Sales. I chierici sono eccettuati: essi non ricevono premii: si suppone che la loro virtù sia tale che superi la virtù di tutti gli altri giovani. Che se tra i chierici ne vedeste qualcuno il quale per virtù fosse da meno di voi, parlate pure, parlate francamente. Io non voglio aver con me chierici di poca virtù; e sono pronto a far deporre la veste a quel chierico, il quale in virtù fosse da meno di voi. Colui che s'inoltra nella carriera sacerdotale deve avere una virtù superiore ad ogni laico.
Ciascun chierico potrà dare la lista anch'egli di I0 giovani. Tutti i superiori preti potranno fare lo stesso. Ancor io farò la mia, ma la mia varrà solo per uno.
Domani incomincia la novena di S. Francesco di Sales. Io non voglio suggerirvi opere speciali, solamente vi dirò: siate più precisi in tutte le regole che riguardano la casa. In modo particolare vi raccomando la levata. Al suono della campana alzatevi subito, vestitevi, sollevate il vostro cuore a Dio, ed aspettate vicino al letto i tocchi della campana che vi chiama in chiesa. Se poi volete fare la novena del Santo, ciascuno la faccia da sè, e il santo Protettore della Casa saprà ricompensarvi.
 
20 gennaio.
 
Una sera diceva S. Filippo ai suoi cari giovani: - Miei cari, ho da dirvi una bella cosa se voi starete attenti.
- Dica, dica, padre Filippo, gli andavano ripetendo i giovani pieni di curiosità.
- Ebbene vi dirò, ripigliava S. Filippo, che al mondo vi sono molti pazzi e molti furbi. I furbi sono coloro che faticano e patiscono un po' per guadagnarsi il paradiso: i pazzi sono coloro che s'incamminano all'eterna perdizione. Ma quanti sono i poveri pazzi!
Le stesse parole io dirigo a voi, miei cari figliuoli. Tra voi vi sono molti furbi, ma vi sono anche dei pazzi. L'altro giorno venne un giovane da me e mi disse:
- Don Bosco, mi permetta di andare a casa.
- E perchè?
- Perchè patisco molto il freddo.
- Ma, mio caro, intendi bene! qualche cosa bisogna ben soffrire per guadagnare il paradiso; bisogna saper vincere la nostra carne.
Costui se fosse stato furbo avrebbe dovuto dire a se stesso: - Coraggio, son meriti di più pel cielo. Voglio corrispondere alla grazia che mi ha fatto la Madonna conducendomi qui, allontanandomi da tanti pericoli dell'anima, dandomi tanta comodità per fare il bene e conoscere la mia vocazione.
Ma vi sono altri che sono anche pi√π pazzi di costui. Sono pazzi coloro che mangiano in certi giorni cibi proibiti, sono pazzi coloro che tengono certi discorsi brutti, coloro che cantano certe canzoni, che leggono certi libri, che parlano male dei superiori: sono pazzi che s'incamminano verso la perdizione e non se ne accorgono. Si trovano poi rovinati con una rovina irreparabile, mentre si credevano furbi, nel sapere nascondersi, farla franca e burlarsi di coloro che li sorvegliavano. Poveri pazzi!
La parola di D. Bosco, sempre accolta con affetto dagli alunni, li preparava alla festa di S. Francesco di Sales, che si celebrò nel giorno assegnato dalla Chiesa il 29 gennaio, Domenica IV dopo l'Epifania. Secondo la consuetudine invalsa, ma in modo più solenne dei tempi passati, ebbe luogo l'annuale conferenza di tutti i Salesiani, prescritta dal regolamento. D. Bosco presiedette l'adunanza nella sua anticamera. D. Rua, direttore di Mirabello, e D. Ruffino, direttore di Lanzo, descrissero il bene consolante che ottenevano nei loro collegi. Era presente D. Pestarino Domenico, venuto da Mornese. D. Bosco prese la parola ringraziando e lodando i suoi collaboratori, narrando quanto si era fatto in Valdocco nell'Ospizio; e, animando tutti a zelare la prosperità degli Oratori festivi, li assicurò della protezione della Madonna. Concluse manifestando la decisione di bandire una nuova lotteria.
Egli infatti avea già posto mano ad ordinare e preparare quanto occorreva. Per prima cosa trattavasi di formare una Commissione, che doveva riuscire composta di trentadue membri scelti fra i primarii cittadini. Non era troppo facile la riuscita di questa combinazione; ma dopo lettere replicate, un gran numero di visite ed anche di cortesi rifiuti, finalmente si sperò di aver raggiunto lo scopo.
D. Bosco si era rivolto al Sindaco di Torino pregandolo di accettare la presidenza della Commissione e ne riceveva la seguente risposta.
 
CITTÀ DI TORINO
GABINETTO DEL SINDACO.
 
ll.mo e M. R. Signore,
 
Relativamente alla Presidenza della Commissione per la lotteria a benefizio del di Lei Pio Istituto, il sottoscritto, avendo parlato col Signor Marchese di Rorà nel termini intesi ieri nell'abboccamento che aveva l'onore di avere con V. S., soddisfa ora al dovere di parteciparle che il prefato signor Marchese lo incarica di informarla che egli sarà sempre lieto di adoperarsi a vantaggio del di Lei Istituto ed in servizio di V. S., ma che avendo avuto a convincersi in molte circostanze come sia quasi impossibile separare la sua qualità di Sindaco da quella di privato, entrò nella determinazione di non assumere per l'avvenire impegno alcuno per affari nei quali si possa facilmente confondere la sua posizione di pubblico funzionario con quella di privato e che per conseguenza con suo rincrescimento non può accettare la Presidenza offertagli.
II gennaio 1865.
Il Capo del Gabinetto
Cretini.
 
 
Don Bosco supplicò allora il Duca d'Aosta, Principe Amedeo, a degnarsi di accettare detta presidenza ed il Principe gentilmente acconsentì.
Alla notizia di tanto onore reso all'Oratorio, così scriveva a D. Bosco il segretario del Sindaco.
 
 
 
CITTA' DI TORINO
GABINETTO DEL. SINDACO.
26 gennaio 1865.
 
Supponendo che non abbia ancora parlato col sig. Marchese di Rorà le accenno che io gli parlai e mi disse che essendo S. A. R. il Duca di Aosta, Presidente Onorario, egli sarebbe volentieri Vice Presidente Onorario...
Cretini.
 
D. Bosco accolse con premura questa proposta, la quale ben presto parve inattuabile per un inaspettato accidente.
 
 
CITTA' DI TORINO
GABINETTO DEI. SINDACO.
16 marzo 1865.
Ill.mo e M. R. Signore,
 
0ggi sono 15 giorni che il sig. Marchese di Rorà, dopo aver rassegnato le sue dimissioni dalla carica di Sindaco, si allontanò da Torino.
Non posso per conseguenza soddisfare alla domanda di cui il pregiatissimo foglio della S. V. Ill.ma.
Augurandomi propizia qualche altra occasione onde poterla servire, mi riconfermo con tutto ossequio di Lei
                                                                                                               Dev.mo Servo
Cretini.
 
Il 31 marzo però il Marchese ritornava in Torino e 1 2 aprile si pubblicava l'annunzio ufficiale del ritiro delle sue dimissioni. D. Bosco riprese allora le pratiche interrotte e riuscì nel suo intento.
Mentre egli lavorava pazientemente senza alcuna pubblicità a formare una Commissione, che a suo tempo presenteremo ai lettori, l'Unità Cattolica del 4 febbraio dava indirettamente un cenno delle intenzioni del Servo di Dio. Dopo aver detto della necessità di una chiesa in Valdocco e delle fondamenta di questa gettate da D Bosco nella scorsa estate, proseguiva:
“ Gli scavi dovettero farsi profondi, tuttavia le mura sorgono già circa due metri fuori di terra ed è presso che compiuta la volta che ne formerà il pavimento.
“ Il sacro edificio sarà consacrato a Maria, Auxilium Christianorum.
“ Il Sommo Pontefice Pio IX appena conobbe il bisogno di una chiesa e la mancanza di mezzi per edificarla mandò la graziosa somma di franchi cinquecento... e poco fa incoraggiava la continuazione di questi lavori, benedicendo chi ci dava mano ed offerendo parecchi preziosi doni per farne una lotteria, qualora si fosse a questo scopo iniziata ”.
La Direzione delle ferrovie aveva intanto concesso a Don Bosco il favore del biglietto gratuito sulla rete del Piemonte e dell'Alta Italia, valevole fino al 31 dicembre 1865.
 
 
 
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