Capitolo 21

Prima conferenza salesiana a S. Benigno Canavese e a Borgo S. Martino

Capitolo 21

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

Pur fra tante fatiche e molestie, Don Bosco trovava non solamente il tempo, ma, cosa ancor più difficile, la serenità per presentarsi ai suoi Cooperatori, ragionare loro delle sue opere e invocarne l'aiuto. Cosi nell'estate del 1880 andò a San Benigno Canavese ed a Borgo San Martino per tenere la prima conferenza ai Cooperatori Salesiani dei due luoghi .

A San Benigno parlò il 4 giugno. Ecco nelle sue grandi linee il discorso del Beato. Compiaciutosi di trovarsi per la prima volta fra quei Cooperatori, enumerò i favori spirituali che essi potevano godere per il fatto di essere inscritti alla pia Unione e mostrò come il Cooperatore, fedele alle regole, viva da religioso in mezzo al secolo; potersi invero l'Associazione considerare quale un terz'ordine antico, ma adattato ai bisogni presenti. Oggi si grida ai quattro venti: Lavoro, Istruzione, Umanità. Ebbene grazie ai Cooperatori e alle Cooperatrici i Salesiani fanno appunto tre cose: aprono laboratorii nelle città e organizzano colonie agricole nelle campagne per addestrare la gioventù al lavoro; fondano collegi maschili e femminili, scuole diurne, serali e festive, oratorii domenicali per dirozzare le menti giovanili e arricchirle di utili cognizioni; a migliaia di orfani e abbandonati dischiudono ospizi e agli stessi popoli barbari recano i benefizi della civiltà. Con preghiere, con morale assistenza, con aiuti materiali i Cooperatori sono tante braccia che collaborano col Capo e cori le altre membra della Congregazione Salesiana a produrre questo triplice ordine di beni. In altri tempi, quando la società viveva di fede, bastava unirsi nella pratica di pii esercizi; oggi invece oltre al pregare, che non deve mancare mai, bisogna operare, intensamente operare; se no, si corre alla rovina.

Venendo più al positivo, additò come opera speciale l'istruzione religiosa della gioventù. Un Cooperatore, una Cooperatrice può fare gran bene con limosine e buoni consigli, ma più ancora col prestarsi al proprio parroco nel mandare i giovani al catechismo. Il catechismo cattolico negli oratori festivi è l'unica tavola di salvezza per tanta povera gioventù in mezzo al pervertimento generale della società. Parroci e sacerdoti con tutto il loro zelo non possono certo trovarsi in ogni luogo, ma nel ministero del catechizzare abbisognano di aiutanti che facciano venire in chiesa i ragazzi, che esortino i genitori a mandarveli, che assistano le classi, che insegnino la dottrina. Al qual proposito citò un bell'esempio. In un villaggio di seimila anime soltanto una quarantina di fanciulli andavano alla dottrina. Orbene i Cooperatori sotto la guida del parroco in breve ne attirarono quattro centinaia, e nella Pasqua ne portarono a confessarsi e a comunicarsi circa settecento, fra i quali quattrocento d'ambo i sessi fecero la loro prima comunione .

Enumerò infine altre opere di carità possibili ed anche facili ai Cooperatori, come rimettere la pace nelle famiglie, ricondurre sul buon sentiero qualche traviato, procurare appoggi a chi è senza mezzi: ma il tutto fare con dolcezza, carità e prudenza, tre virtù caratteristiche del buon Cooperatore salesiano. Alla carità dei presenti raccomandò in special modo, com'era naturale, il nuovo ospizio aperto allora allora a San Benigno.

Della concettosa conferenza del I° luglio a Borgo siamo in grado di offrire ai lettori le parti più notevoli pressochè con le parole del Beato. Presiedeva all'adunanza monsignor Ferrè vescovo di Casale. Don Bosco esordi felicemente in questa maniera:

Mi trovava a Roma nell'occasione che l'immortale Pontefice Pio IX di santa memoria riceveva in pubblica udienza i rappresentanti della stampa cattolica e ricordo tuttora il magnifico discorso da lui tenuto in quel giorno. Per animare gli scrittori cattolici a combattere vittoriosamente il nemico di Dio e della Chiesa, Pio IX li esortò a stare uniti fra loro e portò per esempio il combattimento dei tori nella Spagna. Senza punto approvare quello spettacolo che ricorda la dominazione dei Mori in quel paese, il Santo Padre descrisse come si tengono i combattenti per vincere e abbattere l'indomita bestia. In lima gran piazza, alla vista d'immenso popolo difeso da uno steccato, si sprigiona il tremendo quadrupede. Il toro aizzato dalle grida, inseguito dai combattenti, spinto dal suo furore, mandando orrendi muggiti, si precipita contro questo e quello e abbassa la testa per infilzarlo con le corna; ma il lottatore, quando se lo vede vicino, fa un salto da un lato e gli caccia nel muso o nel collo uno spiedo o la spada. L'animale ferito si avventa contro un altro, che gli misura un secondo colpo. Il toro allora smania, mugge disperatamente, gira di qua e di là sull'arena, cercando di abbattere quanti gli si parano dinanzi; ma da ogni parte trova, avversari che tutti col medesimo scopo lo attendono e lo tempestano di colpi nei fianchi, sulla testa, alla giogaia e uno gli cala un fendente sulla schiena: cosicchè dopo inutili sforzi la bestia stramazza al suolo e muore. - L'unione dei combattenti, osservò Pio IX, è quella che stanca, vince, abbatte la ferocia del toro. I nemici di Dio e della Chiesa, contro cui abbiamo da combattere, sono dalla Sacra Scrittura chiamati tori: tauri pingues obsederunt me, lamentava il reale profeta , uomini inferociti a guisa di tori mi hanno assediato. Lo stesso lamento dobbiamo ripetere noi in questi tristissimi tempi. Ma vogliamo abbattere questi nemici e riportarne vittoria? Siamo tutti uniti contro di loro come una compatta falange e guardiamoci dal muovere assalti, dall'adoperare la penna o la voce gli uni contro gli altri. - Se queste non furono le identiche parole uscite dal labbro del grande Pio IX, sono questi però i sensi del suo discorso.

Vi ho ricordato questo fatto e queste parole, o benemeriti Coop. e Coop.ci, per farvi ben comprendere il bisogno elle vi è oggi che i buoni cristiani si uniscano fra loro per promuovere il bene e combat­tere il male, perchè vis unita fortior, l'unione fa la forza.

Fin dal 1841, quando questo povero prete cominciò a radunare giovinetti nei giorni di festa, levandoli dalle vie e dalle piazze per trattenerli in divertimenti onesti e per istruirli nella nostra santa religione, egli sentì il bisogno di aver Cooperatori, che gli porgessero la mano. Quindi fin d'allora molti sacerdoti e laici della città e in appresso pie signore, accolto il suo invito, a lui si unirono per aiutarlo, chi col menargli fanciulli, chi con l'assisterli e catechizzarli; le donne poi e le comunità religiose lo aiutarono col rattoppare abiti, fare bucati, e provvedere biancheria ai più bisognosi e abbandonati. Con l'aiuto di Dio e la carità di queste persone benevole, quello che abbia potuto fare questo sacerdote e quello che facciano presentemente i Salesiani, voi già lo avete appreso dalla lettura del Bollettino Salesiano e non occorre qui di ripeterlo.

Visto il bene che tante persone insieme unite facevano a vantaggio della povera gioventù, si pensò allora d'istituire una formale Associazione sotto il titolo di Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e farla approvare dal Vicario di Gesù Cristo. Molti Vescovi, dopo averla riconosciuta nelle loro diocesi, la raccomandarono alla Santa Sede e tra quelli che più caldamente la promossero ho il piacere di annoverare Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Pietro Maria Ferrè, nostro veneratissimo Pastore. Il Santo Padre Pio IX di santa memoria, esaminato il progetto, lo approvò; anzi, desiderando che la Pia Unione prendesse maggior incremento, aprì i tesori delle sante indulgenze. Dall'anno di questa approvazione, 1876, sino ad oggi i Cooperatori e le Cooperatrici sono cresciuti sino al numero di trentamila, e vanno aumentando ogni giorno, di mano in mano elle la pia Società vien fatta conoscere in mezzo ai fedeli.

 

Ciò detto, passò a dare un breve ragguaglio delle opere Salesiane dovute alla generosità dei Cooperatori e delle Cooperatrici: sono cose a noi già note. Espose quindi quello che bisognava fare per essere vero Cooperatore e vera Cooperatrice, e così godere delle grazie speciali concesse dalla santa Chiesa alla pia Unione.

 

     Primieramente osservo che per lucrare le indulgenze concesse dal Vicario di Gesù Cristo bisogna adempiere le opere prescritte per l'acquisto di esse. Quindi se l'indulgenza è annessa a una data pre­ghiera, alla visita di una chiesa, o alla confessione e comunione, è necessario praticare queste opere, e ciò vale tanto per i Cooperatori salesiani quanto per i terziari francescani. Ma per acquistare siffatte indulgenze non basta adempiere le opere prescritte, ma bisogna anche far parte della Pia Unione dei Cooperatori secondo lo scopo della medesima.

E che cosa si deve fare per appartenervi? Anzitutto esservi ascritto dal Superiore della Congregazione Salesiana o da persona da lui delegata, e non esserne stato escluso in appresso. L'aggregazione generalmente si fa coll'invio del diploma unito al regolamento. Oltre a ciò praticare opere di carità, secondo lo spirito e il fine della Pia Unione.

Ma qui taluno domanderà: - É forse necessario praticare tutte e singole le opere di carità notate nel regolamento? - No, non è necessario; neppure è necessario praticarne una o più in tempo determinato; ma è necessario e sufficiente praticarne alcuna, quando si presenta l'occasione. Ho detto che è necessario praticarne alcuna. Lo scopo della Pia Unione è di dare alla Congregazione Salesiana aiutanti, che si assumano soprattutto una cura speciale della gioventù. Quindi ognun vede che i Cooperatori e le Cooperatrici devono industriarsi di eseguire qualche opera di carità conducente a questo nobile scopo; altrimenti sarebbe delusa la pia intenzione della Chiesa, che aperse questi tesori in loro favore. Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggi con tanti mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, bisogna unirsi nel campo dell'azione ed operare. Ho poi aggiunto che per essere buon Cooperatore e buona Cooperatrice basta praticare qualche opera di carità, quando si presenta l'occasione. E il fare così non deve tornare difficile a un buon cristiano, a una buona cristiana. Quante belle occasioni si presentano! Si può dare un buon consiglio a un fanciullo o ad una ragazza per indirizzarli alla virtù e allontanarli dal vizio; si può suggerire qualche buon mezzo ai genitori, perchè allevino cristianamente i loro figliuoli, li mandino alla chiesa o dovendoli collocar allo studio o al lavoro, scelgano buoni collegi, maestri virtuosi, onesti padroni; si può far in modo da avere buoni maestri e buone maestre nelle scuole; si può prestare aiuto nel fare il catechismo in parrocchia; si può regalare, imprestare, diffondere un buon libro, un foglio cattolico o levarne di mezzo uno cattivo; si può concorrere a eseguire un lavoro, provvedere un abito, cercare un posto, pagare la pensione per far ritirare un giovinetto od una fanciulla povera od abbandonata; si può risparmiare una spesa, mettere in serbo una moneta per dare una limosina, promuovere un'opera che sìa per tornare di gloria a Dio, di onore alla Chiesa, dì vantaggio alle anime; si può per lo meno esortare altri a farlo. Occasioni di fare del bene o d'impedire del male non ne mancano mai. Non ci manchi il buon volere, non ci manchi il coraggio, non ci manchi l'amor di Dio e del prossimo e noi senza quasi accor­gerci, da padri e da madri, da maestri e da maestre, da sacerdoti e da laici, da ricchi e da poveri, saremo veramente Cooperatori e Cooperatrici, impediremo del gran male, faremo del gran bene.

     Qualcuno mi potrebbe dire: - Finchè si tratta di fare del bene con la parola, io ci sono; ma con mezzi materiali non posso, perché sono povero. - Chi è povero, faccia da povero. Ma per povero che sia, un Cooperatore, se vuole, sarà sempre in grado di concorrere anche materialmente a un'opera di carità. Fra molto povera quella vedova di cui parla il Vangelo, non aveva che un quattrino, duo minuta; eppure volle anch'essa concorrere al decoro del tempio insieme coi ricchi oblatori, e ne riscosse gli encomii di Gesù Cristo. Del resto vi so dire che vi sono tanti e tante che decantano le loro miserie quando sono invitati a fare un'opera buona, a vestire un povero orfanello, a soccorrere una famiglia indigente, a ornare una chiesa; ma quando si tratta di provvedersi un abito o una veste di lusso; quando si tratta di un pranzo, di una partita, di un viaggio di piacere di una festa da ballo, di una comparsa, oh! allora non c'è più povertà. Allora se il da­naro non c'è, si fa comparire; allora si trova il mezzo di fare bella figura e si sfoggia anche un lusso superiore alla propria condizione.

Vi sono poi altri, i quali hanno sempre paura che loro manchi la terra sotto ai piedi; vedono sempre il presente e il futuro coi più tetri colori. Costoro sono di quei tali che, al dire del Salvatore, vanno sempre domandando tremebondi: Che cosa mangeremo domani? che cosa berremo? di che cosa ci copriremo? Quid manducabimus? aut quid bibemus? aut quo operiemur? E così radunano sempre, tesoreggiano sempre, tengono in serbo, e intanto viene la morte senza che abbiano fatto del bene e lasciano i loro averi all'ingordigia o ai litigi dei parenti, che in breve se li consumeranno o se li faranno divorare dagli avvocati e dai procuratori. Non imitateli, o miei buoni Cooperatori e pie Cooperatrici; e perchè non seguiate questi esempi, ascoltate due osservazioni.

Oggi vi sono molti che mettono danaro alle banche per riscuoterne un interesse. Ma qualsiasi banca, per buona riputazione che goda, lascia sempre il timore di un fallimento. E quanti fallimenti!  quante famiglie ridotte per questo al verde! Ma sia pur sicura una banca; non passa tuttavia un interesse superiore al cinque o al sei per cento. Ma io conosco una banca inesauribile, che presenta guarentigie tali da rendere impossibile ogni fallimento e che passa un interesse non dico del cinque, del dieci, del trenta, del cinquanta per cento, ma il cento per uno. Chi è questo sfondolato banchiere? É Dio, padrone del cielo e della terra, che appunto ha promesso di rendere ora, nunc, in questo tempo, in tempore hoc, il cento per uno a chi dispone de' suoi beni alla sua maggior gloria, a vantaggio de' suoi poverelli. Chi lascerà per me le cose sue riceverà centies lantum nunc in tempore hoc, ci assicura Gesù Cristo nel Vangelo, et in saeculo futuro vitam aeternam . Riceverà il centuplo nelle benedizioni che Dio manderà alla sua persona, ai suoi beni, ai suoi affari, ai suoi negozi; il centuplo nella pace del cuore, nella concordia della famiglia, nelle grazie spirituali in vita e in morte. Non basta: il Signore tiene ancora riserbato nell'altra vita un premio imperituro: et in saeculo futuro vitam aeternam. Ravviviamo dunque la nostra fede, o benemeriti signori, e studiamo il modo di assicurarci un tanto bene.

La seconda osservazione è questa. Alcuni credono che il fare limosina sia un consiglio e noti un precetto; quindi, purchè non si servano male dei loro averi, si pensano di fare abbastanza per salvarsi. Questo è un inganno fatale, che impedisce purtroppo tante opere buone nel mondo e strascina molte anime all'eterna perdizione, come vi ha menato il ricco Epulone. É più facile, ha detto Nostro Signore Gesù Cristo, ad un cammello passare per la cruna di un ago, che un ricco salvarsi, se egli mette il suo cuore nelle ricchezze e non si cura dei poverelli. Costui, se si vuole, non peccherà contro la giustizia, ma peccherà contro la carità; ora che differenza c'è tra l'andare all'inferno per aver mancato contro la giustizia e l'andarvi per aver mancato contro la carità? Che poi l'aiutare gl'indigenti non sia un consiglio, ma un coniando, apparisce chiaro dalla divina Scrittura. Non mancheranno poveri nella terra di tua abitazione, diceva Dio nell'antica legge; perciò io ti comando di aprire la mano al povero e al bisognoso: idcirco ego praecipio tibi, ut aperias manum fratri tuo egeno . E il divin Salvatore, parlando della limosina, usa il verbo al modo imperativo dicendo: Quod superest, date eleemosynam . E per non lasciare alcun dubbio in questa materia dichiarò che al dì del giudizio chiamerà al regno eterno coloro che sulla terra avranno fatte opere di carità, e manderà all'inferno coloro che si saranno ricusati di farne . Un'altra volta disse: Non chi avrà detto: Domine, Domine, Signore, Signore, entrerà nel regno de' Cieli, ma chi avrà fatto la volontà del mio Padre, che non si contenta di parole, ma vuole opere buone . Quindi l'apostolo San Giacomo scrive che la stessa fede non giova alla salute, se non è congiunta con le opere, e  dice che una fede senza le opere è una fede morta: fides sine operibus mortua est .

Mi sono fermato a trattare un poco più a lungo questo argomento, non già perchè io creda che qualcuno di voi ne abbia bisogno, ma affinchè, se gli occorre, se ne serva per cavare certi pregiudizi dal capo di altri, In quanto ai Cooperatori e alle Cooperatrici io sperimento ogni giorno che essi fanno e sanno fare la carità, e confido che vorrai continuare, mostrandosi così veri seguaci di San Francesco di Sales, che si fece tutto a tutti per guadagnare tutti a Dio, e ripeteva sovente: Datemi anime e prendetevi il resto; da mihi animas, cetera tolle. Voi avete udito, e leggete pure ogni mese, dove va a finire la vostra carità. La speranza, anzi la certezza di giovare a tanti poveri giovanetti, allontanarli dai pericoli del mondo, educarli per Dio, per la Chiesa, per il Cielo, vi deve grandemente consolare e farvi sembrare leggiero ogni sacrifizio. Facciamoci dunque coraggio e seguiamo l'avviso lasciatoci dal divin Salvatore. Coi vostri beni fatevi degli amici, affinchè quando veniate meno, alla fine della vostra vita, questi vi ricevano negli eterni tabernacoli. Facite vobis amicos de mammona iniquitatis, ut, cum defeceritis, recipiant vos in aeterna tabernacula . Amici nostri saranno allora tante anime state per mezzo nostro salvate; amici nostri gli Angeli custodi di quelle stesse anime; amici nostri i Santi, a cui avremo procacciato compagni in Cielo e quello che più importa, amico nostro sarà Gesù Cristo, che ci assicura di tenere per fatto a se medesimo tutto il bene che avremo fatto al più piccolo de' suoi discepoli. Amen dico vobis, quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis .

 

Don Bosco, che professava e inculcava una riverenza ai Vescovi divenuta tradizionale nelle nostre case, prima di scendere rivolse umile preghiera a monsignor Ferrè, perchè si degnasse di consolare l'uditorio con una sua buona parola. Il Vescovo, che era parlatore facondo, ragionò con foga dei bisogni sociali e dei cómpiti assegnati dalla Provvidenza ai figli di Don Bosco, raccomandando infine la pia Società all'affetto operoso di coloro che lo ascoltavano. Quella sera fu recitata dai convittori la commedia latina Phasmatonìces, di cui abbiamo parlato nel volume dodicesimo. Il medesimo lavoro drammatico era stato rappresentato poco prima anche nel nobile collegio di Valsalice; nel 1882 venne portato sulle scene di Randazzo, nel primo collegio Salesiano di Sicilia. La tradizione dei drammi latini durò nelle case Salesiane fino a pochi anni dopo la morte di Don Bosco.

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