Capitolo 22

D. Cafasso conferenziere al Convitto - Stia stima per Don Bosco - Confidenza di D. Bosco in D. Cafasso - Squisito discernimento di D. Cafasso - L'idea di farsi religioso e missionario si fa più viva in D. Bosco - D. Guala lo distorna dall'accettare l'ufficio di Economo spirituale - D. Bosco va agli esercizii - D. Cafasso gli annunzia la volontà del Signore.

Capitolo 22

da Memorie Biografiche

del 23 ottobre 2006

 In quest'anno 1844 eravi stato al Convitto Ecclesiastico un necessario cambiamento negli uffici dei Superiori. Il Teol. Guala in causa dei dolori alle gambe, che più non gli lasciavano requie, aveva interrotte le predicazioni ordinarie e le conferenze di morale, commettendo a D. Cafasso tutto il peso dell'insegnamento e la cura del buon ordine e della disciplina. Egli, confinato fra le quattro mura della sua camera, limitavasi alla direzione suprema. Con grande edificazione dei convittori quando le sue infermità non gli permettevano di celebrare la santa Messa, faceva la comunione quotidiana, e questo suo vivissimo desiderio di unirsi al sacramentato Redentore era una gran lezione agli alunni sacerdoti.

D. Bosco coadiuvava D. Cafasso in quelle incombenze che erangli affidate, facendo il ripetitore di morale, quando alcuni di intelligenza più limitata necessitavano di maggiori spiegazioni, e talora predicando nella chiesa di S. Francesco. D. Cafasso vedeva alcun che di straordinario nella sua attività così ben regolata in ogni azione: nel tempo stesso aveva sopra di lui un'idea persistente che non palesava, mentre nutriva per il suo giovane amico una stima che rivaleggiava colla venerazione e che mai venne meno. Mons. Cagliero ne fu testimonio per ben dieci anni.

Quando D. Bosco era venuto al Convitto, avea confidato al santo suo Direttore spirituale ogni suo segreto, e tra le altre particolarità, il sogno nel quale eragli sembrato di essere sarto e rattoppare abiti logori. D. Cafasso, mirandolo fissamente, avevagli dimandato: - Sapete fare il sarto?

 - Sì che lo so fare; e so fare calzoni, giubbe, mantelli, e vesti talari per i chierici.

 - Vi vedremo alla prova - E tutte le volte che incontravalo dicevagli: - Come va, sarto?

D. Bosco intendendo il significato di questa domanda, rispondeva: - Sto aspettando la sua decisione. Infatti D. Cafasso scrutava col suo criterio squisitamente fino e sagace, il carattere degli alunni, le loro disposizioni affine di assegnare poi ad essi il conveniente collocamento nella casa di Dio. “ Lo studio profondo della morale, scriveva D. Bosco, dell'ascetica e della mistica, congiunto ad un'attenta penetrazione e ad un pronto discernimento degli spiriti, lo aveva reso capace di poter in poche parole conoscere e giudicare dell'ingegno, della pietà, della dottrina, delle propensioni e della capacità degli Ecclesiastici. Egli diceva senza fallirsi: Costui sarà un buon parroco, questi un buon vice - parroco, quell'altro un buon cappellano; quegli sarà un prudente direttore spirituale di un monastero, un degno rettore di uno stabilimento di educazione. Ad uno che lo interrogava, egli diceva: Voi sarete un eccellente cappellano delle carceri; oppure: Vostra missione è l'assistenza degli infermi negli ospedali e farete del gran bene: ad altri: Riuscirete un distinto e fruttuoso predicatore quaresimalista, un zelante missionario apostolico, un valente maestro e catechista, un consigliere sicuro in cose di spirito. E come diceva, l'evento sempre confermava”. Perciò era illimitata la confidenza che gli alunni del Convitto riponevano ne' suoi consigli e nessuno ebbe mai a pentirsi di averli seguiti.

D. Bosco tuttavia nel Convitto non aveva maggiore impegno che quello di studiare. Pel momento le altre sue occupazioni, benchè così complicate, le giudicava accessorie. Tutte le questioni teologiche, specialmente quelle che riguardavano la storia sacra ed ecclesiastica, lo intrattenevano in modo, che dietro a simili studi andava come perduto. Su questi aveva intenzioni sue proprie, e vista la pace e il silenzio che regnava, nel convento del Monte e in quello della Madonna di Campagna, nei quali si trovavano alcuni suoi buoni amici, desiderava ritirarsi per alcun tempo tra quei Cappuccini, o in qualche altro luogo solitario, per meditare sopra i suoi volumi. Tutto ciò egli designava in ordine alla predicazione. Di questa sua fantasia, parlò un giorno a D. Cafasso il quale non gli rispose e si contentò di sorridere.

Eziandio il pensiero di essere missionario non lo abbandonava mai. Sentiva in sè una forte inclinazione di portare la luce del Vangelo agli infedeli e alle genti selvagge. Anche là avrebbe incontrate le migliaia e i milioni di fanciulli. Lo entusiasmava il fatto che gli Oblati di Maria Vergine nel 1839, per un penoso e quasi sconosciuto cammino, erano penetrati nei regni di Ava e Pegu predicando la vera religione; e nel 1842 questa missione era stata ad essi interamente affidata con un Vescovo della loro Congregazione, ivi riportando copiosi frutti di apostolico ministero. D. Cafasso, al quale non isfuggiva ogni suo menomo atto, gli lasciò studiare la lingua francese e gli elementi della spagnuola; e quando vide che incominciava a prendere la grammatica inglese, senz'altro gli disse: - Voi non dovete andare nelle missioni!

 - Si può sapere il perchè? domandò D. Bosco.

 - Andate, se potete; non vi sentite di fare un miglio, anzi di stare un minuto in vettura chiusa senza gravi disturbi di stomaco, come avete tante volte sperimentato, e vorreste passare il mare? Voi morireste per via! - Così anche questo progetto andò in fumo, non tanto per una difficoltà che non era insuperabile, quanto per l'obbedienza al consiglio dei suo Superiore.

Ma altre idee che gli rigurgitavano in mente non gli davano tregua, specialmente in sul finire del terzo corso di morale. Egli nutriva in petto una stima tutta speciale, un amore vivissimo per ogni Ordine e Congregazione di Religiosi. Destinato da Dio a fondare la Pia Società di S: Francesco di Sales, si credeva e sentivasi chiamato allo stato religioso. Così egli stesso narrava nei primi anni dell'Oratorio a D. Angelo Savio, suo alunno. Era talmente convinto di questa sua vocazione, la quale parevagli gli avrebbe, somministrati anche i mezzi per aver cura incessante dei fanciulli, che visitando il Santuario della Consolata ne teneva discorso cogli Oblati di Maria Vergine. Pertanto, sia che l'antica idea di andare fra gli Oblati si fosse in lui più vivamente destata, sia che volesse far uscire D. Cafasso da una prudente riserbatezza, per la quale ancora non avevagli dato coll'autorità di superiore un responso decisivo sulla sua vocazione speciale, si presentò a lui e gli espose il suo nuovo pensamento. Il santo prete ascoltò silenzioso tutti i suoi disegni e le sue ragioni, e come D. Bosco ebbe finito di parlare, null'altro:gli rispose fuori di un secco e risoluto - No!

D. Bosco stupì pel tono energico della sua voce, ma non volle neppure domandare il motivo di quella negativa; e perdurava in fervorose preghiere, acciocchè' la Vergine Santa gli indicasse il luogo e l'ufficio dove esercitare il sacro ministero con frutto delle anime. Con tutto che si sentisse profondamente inclinato ad occuparsi in modo particolare al benessere dei giovanetti più abbandonati per mezzo degli Oratori festivi, non voleva fidarsi del proprio giudizio, temendo eziandio che nei sogni, che pure erano così chiari, potesse esservi qualche illusione.

Giungeva intanto il tempo nel quale, secondo il regolamento, il nostro caro D. Bosco doveva applicarsi a qualche parte determinata dei sacro ministero ed uscire dal Convitto. Vari Parroci lo desideravano e lo domandavano quale Coadiutore. Fra gli altri, D. Giuseppe Comollo, zio del defunto chierico Luigi Comollo, rettore di Cinzano, lo aveva richiesto ad Economo amministratore della sua parocchia, cui per età e malori non poteva più reggere, e ne aveva già ottenuto il consenso dall'Arcivescovo Fransoni. Il venerando vecchio però era omai vicino al termine de' suoi giorni e poco tempo avrebbe durato D. Bosco in quell'ufficio. Tuttavia quel Dio, che pietosamente vegliava sopra tanti poveri giovanetti, presiedeva altresì alle sorti di colui che doveva essere valido strumento della loro salute. Il Teol. Guala un giorno fece chiamare in sua camera D. Bosco, che nulla ancor sapeva della decisione di Monsignore, e lo consigliò a scrivere una lettera di ringraziamento all'egregio Prelato, pregandolo ad un tempo di volerlo dispensare da quell'onorevole ufficio, a cui per altra parte non sentivasi punto inclinato. D. Bosco obbedì, e fu esaudito. Da ciò si deve argomentare come il Teol. Guala, intuisse egli pure i futuri destini di D. Bosco. Ma omai a S. Ignazio dovevasi dare principio ai santi spirituali esercizi, e D. Cafasso disse a D. Bosco: - La vostra vocazione, perchè sia ben decisa, ha bisogno di essere pensata meglio davanti al Signore; e pregare ancora, pregare molto. Vi sono appunto gli esercizi spirituali a S. Ignazio. Andate a farli. Pregate Dio che vi spieghi chiaramente la sua volontà; e poi ritornato riferirete.

D. Bosco partì accompagnando D. Cafasso, il quale intraveduta l'estesa missione e la gravissima responsabilità che avrebbe assunto il suo allievo, voleva metterlo in pronto ad essere degno esecutore dei disegni divini. Si era nel mese di giugno. Don Cafasso predicava la prima volta ai sacerdoti dettando le meditazioni. Per dieci anni erasi preparato convenientemente eziandio per le istruzioni, e d'allora in poi continuò a predicare quasi ogni anno ad uno ed anche a due corsi di esercizi, sino al termine della sua vita. La sua parola, piana, semplice, precisa nell'esporre i doveri cristiani ed ecclesiastici, era ricca di una santa unzione, scendeva al cuore, strappava le lagrime, convertiva, faceva un gran bene. Non era egli che parlava, ma la grazia di Dio; e si partiva col desiderio di ascoltarlo un'altra volta. Tutti i preti si confessavano da lui, ed egli mandavali contenti e in pace, pieni di ardore, zelo, coraggio, conforto, risoluti di intraprendere la voluta riforma e durarla nel bene sino alla fine.

D. Bosco assistette eziandio agli esercizi dei secolari, ai quali volle essere condotto e predicare il Teol. Guala. Ritornato a S. Francesco di Assisi, D. Bosco aspettò che D. Cafasso lo chiamasse per sapere che cosa gli avrebbe detto in conclusione degli esercizi. Ma sembrava che D. Cafasso non se ne desse per inteso. Strana presentavasi la futura posizione di D. Bosco. Era cosa decisa che non avrebbe prolungata la sua dimora al Convitto; dalle parole dei Teol. Guala aveva capito non essere per lui gli impieghi e le dignità diocesane; D. Cafasso negavagli di entrare in ordine religioso o di consacrarsi alle missioni estere. Egli non sapeva ove andare, e sentiva bisogno di essere circondato di aiuti spirituali e materiali. Da qual parte dunque rivolgersi? Quale sarebbe stata la deliberazione del suo direttore spirituale? Per investigare adunque il pensiero di D. Cafasso ricorse ad una:specie di stratagemma. Si presentò a lui, annunziandogli come avesse pronto il baule del suo povero corredo per andar a farsi religioso e che veniva a salutarlo e a prendere commiato. Ma il buon sacerdote col suo dolce sorriso sulle labbra: - Oh che premura! gli disse: e chi penserà da qui avanti ai vostri giovani? Non vi pareva di far dei bene lavorando attorno a questi giovani?

 - Sì, è vero; ma se il Signore mi chiamasse allo stato religioso, egli provvederà che ai giovani pensi qualcun altro!

D. Cafasso allora, serio, serio, fissò in volto D. Bosco e, con una certa aria di solennità paterna gli disse: - Mio caro D. Bosco, abbandonate ogni idea di vocazione religiosa; andate a disfare il baule, se pure l'avete preparato, e continuate la vostra opera a pro dei giovani. Questa è la volontà di Dio e non altra! - Alle gravi e risolute parole del direttore dell'anima sua D. Bosco abbassò il capo sorridendo, poichè aveva saputo ciò che desiderava. È vero che ancora ignorava la strada che avrebbe dovuto percorrere, i modi per continuare l'opera sua, il luogo dove si sarebbe stabilito; ma di ciò non preoccupavasi. Dio, che aveva parlato per bocca di D. Cafasso, avrebbe provveduto i mezzi. Da tutto il complesso di queste circostanze prevedeva croci, strettezze, miserie, umiliazioni, ma non ne era spaventato. Charitas non est ambiliosa. Egli avrebbe potuto aspirare ad offici onorevoli; e coll'ingegno che possedeva e la destrezza nel trattare colle persone e degli affari, colla fermezza ed abilità nei propositi, gli era garantita una luminosa e lucrosa carriera, anche salendo ad alti gradi. Invece accettò, per sua parte d'eredità, e per tutta la sua vita, i poveri giovanetti. Solo un amore ardentissimo al prossimo poteva indurlo ad un così grave e per lui così gradito sacrificio.

 

 

 

 

 

 

 

 

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