Ultimi smantellamenti della carne.
del 11 dicembre 2006
L’organismo di Don Bosco oppose al dissolvimento finale una resistenza delle più tenaci; si direbbe che la morte glielo dovette smantellare fibra a fibra, prolungandogli lo spasimo di un lento martirio. Soprattutto lavorava la miolite, causa prima del dissesto generale. Sott'altro aspetto si può asserire che la malattia fu crogiuolo, nel quale si vide quanto fosse puro l'oro della sua virtù. Una tranquillità inalterabile, una carità delicata, una rassegnazione perfetta alla volontà di Dio sono le tre cose che maggiormente si ammirarono in lui per lo spazio dei quaranta giorni passati nel letto de' suoi dolori.
  Monsignor Cagliero non aveva ancora posto mente ai primi sintomi di regresso, quando il 21 gennaio disse all'infermo: - Caro Don Bosco, sembra che il pericolo che noi temevamo sia scongiurato. Mi chiamano a Lu per la festa di S. Valerio, patrono di quel paese da Lei molto amato e che diede un numeroso contingente di persone per le Missioni e specialmente di Suore.
   - Va', sono contento, rispose Don Bosco. Ma starai fuori poco tempo, non è vero?
   - Passata la festa, andrò a fare una breve visita ai nostri giovani di Borgo S. Martino, e ritornerò.
 - Sia pure; ma fa' presto.
Monsignore partì; ma quel “ fa' presto ” gli risonò all'orecchio per tutto il tempo che rimase fuori, tenendolo in apprensione.
  Il peggioramento si accentuò alquanto la mattina del 22; egli potè nondimeno ascoltare la santa Messa e fare la sua comunione. Dopo i medici stimarono necessario procedere a un'operazione chirurgica. Da parecchi anni gli si era formata sull'osso sacro un'escrescenza di carne viva, grossa come una noce, che gli rendeva assai penoso lo star seduto e coricato; per un senso tutto suo di dignitoso e virtuoso riserbo aveva preferito soffrire quel grave incomodo senza mai farne parola neppure al dottore curante . Questi se n'era avveduto da poco e comprendeva quanto dovesse riuscirgli tormentoso il decubito; gli propose perciò il taglio. Don Bosco docile come un bambino vi si sottomise. Erano presenti anche gli altri due medici. Il dottor Vignolo gli fece l'amputazione di colpo e per sorpresa, perchè gli aveva lasciato intendere che la cosa si sarebbe potuta eseguire l'indomani. Don Bosco a quel dolore improvviso mandò un grido. L'operazione era riuscita ottimamente. Il Santo riconoscentissimo strinse la mano al dottore. Disse in seguito che si sentiva perfettamente libero. Don Sala, entrato pochi minuti dopo nella stanza, gli domandò come stesse.
     - Mi hanno fatto un taglio da maestro, rispose.
 - Povero Don Bosco, avrà sentito molto male.
    - Credo che quel pezzetto di carne che staccarono non abbia sentito nulla.
  C'era un'altra grande penitenza per lui. Data l'impossibilità di muoversi da sè, accadeva non di rado che il suo povero letto fosse malconcio; perciò disse una volta a Don Sala: - Tu sai quanto io fossi esatto per la pulizia; ed ora non posso più ottenerla, Mi trovo sempre nell'immondizia.
Verso le dieci vennero a visitarlo i monsignori Krementz, arcivescovo di Colonia, e Korum, vescovo di Treveri, accompagnati dal loro seguito. Parlando a stento, raccomandò loro i poveri giovani e li pregò di chiedere per lui la benedizione del Santo Padre.
  La mattina del 24 vi fu la visita di un altro altissimo Prelato, monsignor Richard, arcivescovo di Parigi. Don Bosco volle essere da lui benedetto. Monsignore lo accontentò; ma poi, messosi in ginocchio, pregò Don Bosco di benedirlo a sua volta. - Sì, rispose Don Bosco, benedico lei e benedico Parigi. - Al che l'Arcivescovo: - Ed io parlerò di Don Bosco alla mia città e annunzierò a Parigi che porto la benedizione di Don Bosco .
  Nel pomeriggio stava tanto male, che i medici dichiararono essere egli ritornato nelle condizioni di un mese addietro. Partiti i medici, mandò a chiamare il giovane sagrestano Palestrina, del quale aveva molta stima, e gli fece dire dal segretario che rimanesse a pregare Gesù e Maria per tutto il tempo libero, affinchè in quegli ultimi suoi momenti, mentre aspettava l'ora sua, potesse avere viva fede. Dopo il giovane medesimo venne introdotto presso Don Bosco, il quale gli ripetè la stessa cosa tutto commosso e poi lo benedisse. Verso sera, contrariamente a quanto succede negl'infermi, egli si sentiva più sollevato e ciò, come disse a Don Lemoyne, in grazia delle preghiere di quel buon giovane.
  Il 24 nuovo aggravamento. Chiese che gli si suggerissero giaculatorie divote. La difficoltà del parlare andava crescendo, sicchè a chi l'ascoltava si stringeva il cuore. A Don Sala che gli aveva presentata una bibita, disse: - Studiate il come io possa riposare. - Tosto lo assettarono nel miglior modo possibile. Quindi sembrò che realmente fosse per addormen­tarsi; ma a un tratto si scosse, battè palma a palma le mani e gridò: - Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani!... Maria Santissima, aiutateli... Madre, Madre!
  Don Sala, avvicinatosi subito al letto, gli domandò che cosa comandasse. - Dove siamo in questo momento? chiese.
 - Siamo nell'Oratorio di Torino.
    - E i giovani che cosa fanno?
 - Sono in chiesa alla benedizione e pregano per lei
  Non c'era mai nè acqua nè ghiaccio che valesse a spegnere l'ardente sete che lo crucciava nelle ultime settimane; perciò si provvide acqua di seltz, che infatti sembrava arrecargli qualche sollievo. Ma, credendo che quella fosse una bevanda costosa, si rifiutò assolutamente di giovarsene. Se si volle che si acquietasse, bisognò che i coadiutori Buzzetti e Rossi gli dimostrassero che costava soltanto sette centesimi alla bottiglia.
  Monsignor Cagliero, ritornato il 26, andò subito al letto di Don Bosco, che passava un'ora di grande travaglio. Quando lo vide, gli mormorò con fatica queste sole parole: - Salvate molte anime nelle Missioni.
  Il giorno dopo Monsignore, ancora propenso a sperare, volle fare un tentativo per sapere se il buon Padre sarebbe guarito o no. A questo scopo lo interrogò, se gli permettesse di andare a Roma; chè senza il suo consenso non si sarebbe mosso.
   - Andrai, ma dopo, gli rispose con un grande sforzo.
   - Ma, Don Bosco, mi dica se, andando dopo S. Francesco, posso stare tranquillo. Devo anche andare in Sicilia...
 - Sì, replicò, andrai, farai molto bene, ma aspetta dopo.
  Si capì quale fosse il “ dopo ”, a cui alludeva. Ripigliato che ebbe un tantino di forza, gli disse ancora: - La tua venuta è molto opportuna e vantaggiosa per la Congregazione in questi momenti.
  In mezzo a' suoi dolori non poteva nemmeno procurarsi il sollievo di cambiare posizione. Chi lo assisteva, lo esortò a ricordarsi di Gesù, che sulla croce soffriva tanto senza potersi muovere nè da una parte nè dall'altra. Egli rispose: - Sì, è quello che faccio sempre. - Nel trasportarlo di letto Don Bonetti gli disse: - Le facciamo male, povero Don Bosco! Noi siamo inetti. Pensi alla passione di Gesù Cristo. - Egli fe' segno di sì.
  Verso sera lo visitò Don Dalmazzo. Egli lo guardò intenerito, gli strinse la mano e gli disse: - Ti raccomando la Congregazione! Sostienla, difendila in ogni tempo. - Disse quindi a Monsignore: - La Congregazione non ha nulla a temere. Ha uomini formati.
  Avvenne che sul tardi Don Sala si trovasse solo nella camera. Colto il momento in cui egli sembrava avere più libero il respiro: - Don Bosco, gli chiese, si sente molto male, è vero?
 - Eh sì! rispose. Ma tutto passa e passerà anche questo.
    - Che cosa potrei fare per sollevarla un poco?
 - Prega!
  Ciò detto, congiunse le mani e si mise a pregare. Lasciatolo riposare alcuni minuti, Don Sala ripigliò: - Don Bosco, ora si troverà contento, pensando che dopo una vita di tanti stenti e fatiche è riuscito a fondare case in varie parti del mondo e stabilire saldamente la Congregazione Salesiana ...
   - Sì, rispose. Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore ... Si sarebbe potuto fare di più... Ma faranno i miei figli... La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria Ausiliatrice.
  Alle ore venti stentava assai a farsi intendere e a dar segno di capire. Intorno al suo letto vi erano monsignor Cagliero, Don Rua e altri. Vi si parlava dell'iscrizione da scolpirsi sulla tomba del conte Colle. Don Rua proponeva: Orphano tu eris adiutor. Monsignore invece: Beatus qui intelligit super egenum et, pauperem. A un tratto Don Bosco, che non sembrava affatto badare alla loro conversazione, aperse gli occhi e sforzandosi riuscì a proferire con voce abbastanza intelligibile: - Scolpirete: Pater meus et mater mea dereliquerant me, Dominus autem assumpsit me.
  Ormai la fausta notizia che Don Bosco s'avvicinava alla guarigione, aveva riempito il mondo, procurando lettere gratulatorie da ogni parte, anche da paesi assai remoti, perfino da Grodno o Gardinas nella Lituania. Si può ben immaginare con che cuore nell'Oratorio si leggesse, per esempio, la speranza della contessa d'Oncieu di rivedere presto Don Bosco a Milano; o queste altre parole della mamma di Don Lemoyne al figlio: “ È un uomo che interessa tutti; a Genova non si parla che della sua malattia e della speranza della sua guarigione ”. E che fiducia nelle sue preghiere! La signora Susanna Poptovska dalla Podolia nell'Ucraina gli scriveva: “ Le sue preghiere, buon Padre, attirano tante grazie quasi miracolose dal cielo a tutti coloro che vi ricorrono, anche nelle nostre lontane contrade, che io ho la massima fiducia che le grazie domandate da me saranno pure concesse per sua intercessione. Ella, buon Padre, non me la rifiuterà, non è vero? ”.
  Don Bosco aveva un nipote che ne disonorava la famiglia: il secondogenito di Giuseppe, per nome Luigi. Educato nell'Oratorio, aveva ripreso, dopo un'interruzione, gli studi, riuscendo cancelliere di pretura. Allora da più anni conviveva a Gravellona Lomellina con una donna separata dal marito. Il santo zio, che lo amava molto, non gli aveva risparmiato ammonimenti e rimproveri; ma poichè era come dire al muro, non lo volle più vedere; soltanto gli concesse un breve colloquio pochi mesi prima di morire, perchè si trattava di dividere le proprietà sue come salesiano da quelle della famiglia, rimaste sempre indivise dopo la morte del fratello Giuseppe. Orbene quel disgraziato protestava che a suo tempo avrebbe mossa lite per rivendicare quanto possedeva Don Bosco. La cosa avrebbe causato gravi inconvenienti. Ma Iddio lo aspettava  proprio in quel torno di tempo. Dagli ultimi di gennaio fu tra la vita e la morte fino al 6 febbraio, quando passò all'eternità.
Le condizioni dell'infermo si aggravavano sempre più. Durante il 27 e nella notte e al mattino seguente vaneggiava con frequenza. Ascoltò tuttavia la santa Messa e ricevette la comunione. Durante il divino sacrifizio era sorpreso ad intervalli da assopimento, cessato il quale, gli si faceva più affannoso il respiro. Quando si fu all'Agnus Dei, Don Lazzero che lo assisteva, lo interrogò: - Don Bosco, fa la comunione stamattina? - E Don Bosco fra sè: - È tosto la fine... - Poi, voltosi a Don Lazzero, disse ad alta voce: Conto di fare la santa comunione. - Così dicendo, si tolse il berrettino e giunse le mani. Nel fare quest'atto il suo volto prendeva sempre un aspetto tale di profondo raccoglimento, che nei riguardanti destava sensi di viva fede.
  Spesso fu udito ripetere: - Sono imbrogliati. - E poi: - Coraggio! Avanti!... Sempre avanti! - Talora chiamava per nome qualcuno. Quella mattina avrà ripetuto una ventina di volte: - Madre - Madre! - Alla sera con le mani giunte invocava: - Oh Maria! Oh Maria! Oh Maria! - Don Berto lo interrogò, se permetteva che gl'indossasse l'abitino della Madonna del Carmine. Egli annuì e lo ricevette con viva compiacenza.
  A quanti si avvicinavano al suo letto, dava gli ultimi ricordi, dicendo per lo più: - Arrivederci in Paradiso!... Fate pregare per me... I giovani facciano per me la santa comunione. - Disse pure a Don Bonetti: - Di' ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso! - E poco dopo: - Quando parlerai o predicherai, insisti sulla frequente comunione e sulla divozione a Maria Santissima.
  Don Berto gli aveva messo nelle mani uno di quei crocifissi, baciando i quali si acquista ogni volta l’indulgenza plenaria. Egli lo recava sovente alle labbra. Essendogli stata presentata da Don Bonetti un'immagine di Maria Ausiliatrice, la guardò ed esclamò: - Ho sempre avuta tutta la fiducia in Maria Ausiliatrice! - Di nuovo a Don Bonetti: - Ascolta. Dirai alle Suore che, se osserveranno le regole, la loro salvezza è assicurata.
I medici lo trovarono gravissimo, nè vedevano la menoma speranza di salvarlo. Il dottor Fissore gli disse: - Don Bosco, si faccia coraggio... Vi è speranza che domani la cosa vada meglio. È già accaduto altre volte... Oggi il cattivo tempo influisce... - Don Bosco, rimasto fino allora immobile, sorrise e col dito minacciando scherzevolmente il buon dottore, disse a stento: - Dottore, che vuol far risorgere i morti! Domani?... Domani?... Farò un viaggio più lungo!
  I medici tennero consulto. Dopo egli si sentiva molto spossato; soffriva assai più del solito. - Aiutatemi! disse a Don Lazzero e a Don Viglietti là vicini. Aiutatemi tutti.
   - Sì, Don Bosco, ben volentieri. In che cosa desidera che l'aiutiamo?
 - Aiutatemi a respirare, rispose quasi scherzando.
  Nell'ora del pranzo e della cena, fino al 28, mandò abitualmente Don Viglietti nel refettorio dei Capitolari ad augurar loro da sua parte buon appetito.
  Nella prima ora di notte gridò: - Paolino, Paolino, dove sei? Perchè non vieni? - Tutti i presenti ritennero che chiamasse Don Paolo Albera, ispettore delle case di Francia.
  Dopo un po' ripetè: - Sono imbrogliati! - Allora monsignor Cagliero con voce forte gli disse: - Stia tranquillo, Don Bosco, faremo tutto, tutto quello che desidera. - In quella parve fare uno sforzo, alzò un momento il capo e disse con voce ferma: - Sì, vogliono fare e poi non fanno. - Indi ricadde sul cuscino.
    Una volta domandò: - Chi c'è là? Chi è quel ragazzo?
   - Non c'è nessun ragazzo. È l'attaccapanni, rispose Enria.
 - Là, pazienza!
  Faceva però dei segni come se avesse qualcuno vicino, finchè all'improvviso battè le mani, come soleva fare quando in sogno gli si presentavano oggetti spaventosi. - C'è nessuno? c'è nessuno? - gridava. - Ci siamo noi, rispose Don Sala, portandosi al suo fianco. - Batteva i denti, come se lo assalissero i brividi febbrili. La notte fu molto agitata. Spuntò l'alba della festa di S. Francesco di Sales. Bisognò scampanare, cantare, pontificare; ma nei cuori regnava la mestizia. Perfino il sacro rito sembrò annunziare l'imminente lutto. Nell'epistola San Paolo diceva a Timoteo: L’ora del mio risolvimento è Prossima. Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuta la carriera, ho mantenuta la fede. Nel resto mi sta serbata la giusta corona, la quale mi attribuirà in quel giorno il Signore, il giudice giusto; nè a me solo, ma a quanti avranno amato l’apparimento di lui. Mentre il suddiacono cantava, molte fronti si abbassarono, molte guance erano rigate di lacrime; parve che la voce del Signore dicesse: - Il pellegrinaggio di Don Bosco è finito.
   Quella mattina alcuni pensavano che non si dovesse dare la comunione all'infermo, perchè sembrava fuori dei sensi; ma il segretario si oppose, sperando che al momento buono il Signore gli avrebbe ridonata la conoscenza. Celebrò adunque Don Viglietti. La porta che dalla stanza metteva nella cappella, era aperta. Passata l'elevazione, Don Bosco si volse a Don Sala che lo assisteva e gli disse: - E se dopo la comunione mi sorprendessero impeti di vomito? - Don Sala lo assicurò non esservi pericolo di tale inconveniente. Quando il sacerdote gli si accostò con l'ostia santa, Don Bosco era assopito. Don Sala pochi minuti prima l'aveva avvisato che presto sarebbe venuto il Signore a confortarlo e gli mise la stola e gli stese sul petto un candido lino. Egli però non si mosse. Ma appena Don Viglietti disse a voce alta: Corpus Domini nostri Jesu Christi, l'infermo si scosse, aprì gli occhi, fissò l'ostia, giunse le mani e, fatta la comunione, stette raccolto, ripetendo le parole di ringraziamento suggeritegli da Don Sala. Questa fu l'ultima comunione di Don Bosco.
   Ritornarono poi i soliti vaneggiamenti. Un indizio lasciava quasi diritto a supporre che egli avesse un mese prima previsto o presentito o comunque preannunziato questo suo indebolimento mentale per quella data. Infatti a Don Rua che nel secondo giorno di letto gli aveva chiesto, come a direttore e confessore, di rinnovargli la dispensa dal breviario, aveva risposto: - Te la dò fino al giorno di S. Francesco di Sales. Dopo, se ne avrai bisogno, andrai a fartela rinnovare da Don Lemoyne.
   Abbiamo usato la parola “ vaneggiamenti ”; ma il mancamento di forze non gli tolse del tutto la lucidità dell'intelletto. Infatti verso le dieci con pienezza di cognizione interrogò Don Durando che ora fosse, che cosa si facesse in chiesa, quale festa si celebrasse, e, richiamatogli alla memoria che era la festa di S. Francesco di Sales, ne provò soddisfazione. Entrati quindi i medici, rivolse loro poche parole, ma senza vaneggiare.
   I dottori che con la partecipazione del Bestenti avevano tenuto consulto quasi ogni giorno, dichiararono che l'infermo non poteva più riaversi. Quand'essi si furono ritirati, l'infermo rimase alcuni minuti assopito; poi, ridestatosi, interrogò Don Durando: - Chi erano quei signori che sono usciti adesso?
 - Non li ha conosciuti? Erano i dottori.
          - Oh sì! Di' dunque che oggi si fermino qui con noi... Voleva terminare la frase aggiungendo “ a pranzo ”, ma non gli riuscì.
   Quella sera potè ancora riconoscere e benedire il conte Incisa, priore della festa di S. Francesco di Sales, e monsignor Rosaz, vescovo di Susa, che aveva fatto il panegirico del Santo. Monsignor Rosaz, morto in concetto di santità, fu amico intimo di Don Bosco, dal quale amava prendere consiglio in affari difficili, massime riguardo a una Congregazione di Suore da lui fondata.
   Lungo il giorno aveva detto al segretario: - Quando non potrò più parlare e qualcuno verrà per chiedere la benedizione, tu alzerai la mia mano, formerai con essa il segno di croce e pronuncerai la formula. Io metterò l'intenzione.
    Nel suo assopimento continuo nulla più intendeva, eccetto che gli si parlasse del Paradiso e di cose dell'anima. In questi casi faceva cenno di sì col capo, e se gli si suggeriva qualche giaculatoria, egli col muovere delle labbra la compieva. Avendogli Don Bonetti suggerito: Maria, mater gratiae, tu nos ab hoste protege, egli continuò: Et mortis hora suscipe. Anche in quel giorno aveva ripetuto sovente: - Madre! Madre! - aggiungendo qualche volta: - Domani! Domani! - Verso le diciotto bisbigliò fra sè: - Gesù... Gesù... Maria... Maria! Gesù e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia... In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum... Oh Madre... Madre... apritemi le porte del Paradiso. - Poi andava ripetendo testi scritturali, di quelli che l'avevano guidato in tutta la sua vita e gli erano stati regola nelle sue opere: Diligite... diligite inimicos vestros... Benefacite his, qui vos persequuntur... Quaerite regnum Dei... Et a Peccato meo... Peccato meo... munda... munda me.
  Al suono dell'Avemaria Don Bonetti lo invitò a salutare la Madonna, dicendo: Viva Maria. Con voce sensibile e divota egli ripetè: Viva Maria.
         Una delle ultime parole dette da Don Bosco a Don Rua fu questa: Fatti amare.
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