Altre pratiche di Don Bosco per aver sussidii - Generosa promessa del Re - Benedizione e collocamento della pietra fondamentale della chiesa - Discorso del P. Barrera - Feste, dialogo e nuova predizione - Don Bosco e gli Ebrei.
del 24 novembre 2006
Nel mese di giugno e di luglio D. Bosco non aveva cessato un istante dall'occuparsi per l'erezione della sua chiesa.
Ad alcuni parve che D Bosco fosse troppo importuno nel domandare elemosine e quasi troppo sollecito per ottenere danaro. Ma noi osserveremo che non domandava per sè , che era sempre in grande bisogno, che i suoi debiti non poteva mai estinguerli interamente, che senza una virtù eroica non avrebbe potuto sottomettersi a tanti sacrifizii di ogni genere.
Infatti il 18 giugno con atto rogato Porta era stato costretto a vendere al sig. Giovanni Battista Coriasso un suo terreno presso Casa Moretta di ettari 0,03,43 per il prezzo di lire 2.500, il quale confinava a ponente col campo dei sogni. Il Coriasso vi edificava una casetta con un laboratorio da falegname nel sito ora occupato dalla porteria dell'Oratorio.
D. Bosco fatta questa vendita, oltre le schede da sottoscriversi spediva inviti famigliari a' suoi amici, dei quali diamo qui per saggio uno diretto alla Sacra di S. Michele.
 
Carissimo Sig. D. Fradelizio,
 
Pieno di desiderio di volare sul Pirchiriano, ne sono dalle mie faccende trattenuto. Causa principale di queste faccende è la chiesa costruenda a cui V. S. Car.ma deve (non sub gravi) prendere parte. In qual modo? Non con mattoni che sono troppo pesanti; non con danaro, perchè in Torino v'è la Zecca: dovrà prendere parte col mandarmi qualche fascio di legna, qualche trave di maleso, alcuni listelli o montanti per fare il coperto alla mia povera chiesa. Mi raccomandi di questo anche al sig. Prevosto di S. Ambrogio; e inter totos et omnes mi aiutino pel coperchio del già cominciato edifizio.
Questa mia lettera manca di molte qualità, ma La tolleri come scritta da un birichino; facciami anche una perrucca, purchè mi mandi qualche fascio di legna.
Offra li miei pi√π cordiali saluti al Sig. D. Puecher, Don Gagliardi, D. Costantino, D. Flecchia; e mentre Le auguro ogni bene dal Signore, mi raccomando di tutto cuore alle sue preghiere, dicendomi
Torino, 4 luglio 1851.
Obbl.mo Servitore ed amico
Sac. BOSCO GIOVANNI
(vicino al Rifugio)
 
P. S. L'esame del Chierico Nicolini riuscì bene; deve ancora subire il pubblico per lunedì.
 
Nè  dimenticava di rivolgersi eziandio a ricchissimi personaggi non abituati a fare la carità. Talvolta non otteneva risposta, e talvolta rinnovava le pratiche anche prevedendo una negativa. Però, confidando in Dio, egli diceva: - Facciamo dal canto nostro quanto possiamo, e il Signore farà colla sua bontà quello che noi non possiamo. - E dopo aver lasciato trascorrere un tempo notevole riannodava sotto altra forma le sue prove.
Pertanto poco dopo la metà di giugno egli aveva presentato al trono di Re Vittorio Emanuele una supplica, nella quale ricordava con gratitudine la sovrana sua benevolenza verso i giovanetti dell'Oratorio, gli dava contezza della costruzione della novella chiesa, lo pregava che si volesse degnare di recarsi a collocarne la prima pietra, e, ove ciò non potesse fare, supplicava la Maestà Sua, che seguendo, come aveva fatto sino allora, le gloriose pedate dell'augusto suo Genitore, volesse continuare al nostro Istituto il suo appoggio sovrano. Or bene, poco appresso, D. Bosco riceveva dalla Regia Segreteria di Stato la seguente importantissima lettera
 
Torino, addì 5 luglio 1851.
 
Molto Rev.do Sig. Oss.mo,
 
Sua Eccellenza il Duca Pasqua, Prefetto del Real Palazzo, cui questo Dicastero ha dovuto trasmettere per ragione di competenza il ricorso stato presentato da V. S. M. Rev., ha con suo foglio del 25 ultimo scorso mese notificato che, avendo rassegnato alle reali determinazioni le inoltrate istanze, Sua Maestà vide con vera soddisfazione la determinazione presa dalla S. V. e dalle altre pie persone, di raccogliere giovani nell'Oratorio quivi stabilito, onde procurar loro una religiosa e morale educazione.
Che per ciò nel desiderio di promuovere l'esecuzione della pia opera, e non potendo, attese le molte sue occupazioni, intervenire al collocamento della pietra fondamentale della nuova chiesa, di cui fu progettata la costruzione, si è degnato di dare fin d'ora una prova del generoso Reale suo animo, con manifestare l'intenzione di concorrere in qualche modo per siffatta opera, quando ne sarà il caso.
Mi è ben soddisfacente il far conoscere alla S. V. M. Rev. le favorevoli disposizioni manifestate dalla Maestà Sua a riguardo di una istituzione cotanto commendevole per il pio scopo cui è diretta, e non potendo non aggiungere nel mio particolare un tributo d'encomio per le zelanti cure, con cui Ella la promuove e dirige, profitto della propizia occasione, che mi si presenta, per proferirmi con distinta stima
Di V. S. M. Rev.
Devotissimo Servitore
Pel Ministro
Il primo Uffiziale DEANDREIS.
 
Intanto lavorandosi a tutta lena, le fondamenta della chiesa erano giunte a fior di terra, e D. Bosco e gli altri ecclesiastici incaricati degli Oratorii presentavano in Curia una supplica per l'Arcivescovo, chiedendo la facoltà di benedirne la pietra fondamentale. Il 18 luglio il Can. Celestino Fissore Provicario Generale, a nome di Mons. Fransoni assente, annuiva per lettera alla domanda, concedendo a D. Bosco, e, ad altro sacerdote da lui richiesto, la facoltà di quella benedizione e funzione a termine del Rituale Romano.
Il 20 luglio si decise il collocamento della pietra angolare. I seicento e più giovani dell'Oratorio, come altrettante trombe, avendo sparsa questa notizia per tutta la città, la sera di quel giorno si trovò sul luogo sì gran folla di gente, quanta non si era mai vista in quelle parti.
La benedizione della pietra sarebbe certamente stata fatta da Mons. Luigi Fransoni, che tanto amava D. Bosco e l'Opera sua, ma pur troppo questo intrepido Prelato dimorava esigliato in Lione. La benediceva in sua vece il Can. Ab. Moreno, economo generale; e la collocava a posto il signor Comm. Giuseppe Cotta, grande amico dei poveri e insigne benefattore delle opere di D. Bosco. Di tutto fu redatto apposito verbale, di cui una copia con monete grandi e piccole, medaglie ed altre memorie, venne deposta dentro la pietra medesima. Il Sindaco Bellono colla cazzuola versò la prima calcina.
In quell'occasione il celebre P. Barrera della Dottrina Cristiana, commosso alla vista del gran popolo accorso ed edificato del bel numero di Sacerdoti, di Patrizi e Matrone torinesi, che gli facevano corona, montò sopra un rialto di terra, ed improvvisò un discorso stupendo. Egli esordiva con queste parole: - Signori, la pietra, che fu testè  benedetta e collocata nelle fondamenta di questa futura chiesa, ha due grandi significati. Essa significa il granello di senapa, che crescerà in albero mistico, presso cui molti ragazzi, come augelli dell'aria, verranno a cercarvi rifugio; essa significa ancora che l'Opera degli Oratorii, basata sulla fede e sulla carità di Gesù Cristo, sarà qual masso immobile contro del quale invano lotteranno i nemici della Religione e gli spiriti delle tenebre. - L'oratore dimostrava poscia l'una e l'altra delle proposizioni con tanta eloquenza, che tutto l'uditorio pendeva come estatico dal suo labbro. Ma la caratteristica del discorso in una similitudine ed una preghiera. Egli paragonò i tempi ad un uragano, che minaccia di devastazione e rovina città e villaggi. - In quel periglioso cimento, che vediamo noi, o signori? domandò l'illustre Dottrinario. Noi vediamo ogni vivente impaurito e trepidante cercarsi un riparo. La gente si ritira nelle sue case; le fiere del campo fuggono alle loro tane; e gli augelli dell'aria volano al proprio nido, fortunati se lo hanno fabbricato sopra un albero ben saldo e sicuro. I tempi che corrono si fanno cattivi, cattivi sopratutto per la povera gioventù. Ecco qui un albero, che metterà profonde le sue radici, e non crollerà la cima pel soffiar dei venti. All'ombra di questo albero, nel recinto di questo sacro edifizio verranno migliaia di giovanetti a trovar riparo e difesa contro ad errori, seminati oggidì da uomini empi e da scrittori venali; riparo e difesa contro a massime distruggitrici di ogni idea di virtù e di morale; riparo e difesa eziandio dalle saette infuocate delle ardenti giovanili passioni, eccitate dai mali esempi e dagli scandali di ogni ceto di persone. Già mi par di vedere stormi di giovanetti, come colombe atterrite, levarsi a volo quali da una e quali da un'altra parte, e qui dirigersi come in luogo sicuro, e qui riunirsi non solamente per trovarvi riparo e difesa, ma cibo, ma nutrimento di vita temporale ed eterna. Signori che mi ascoltate, deh! col consiglio e colla mano adoperatevi a far sì, che questo albero cresca presto gigante, distenda i suoi rami per tutta la città, e sotto vi raccolga tanti poveri giovanetti, che a disdoro della Religione a vitupero della morale, veggonsi scorrazzare nei giorni di festa per le vie e per le piazze, in pericolo di divenire così il disonore di se stessi, l'onta delle famiglie, lo scompiglio e la desolazione della civile società. La vostra carità, o Signori, non potrebbe oggimai impiegarsi in opera più utile alla Chiesa ed allo Stato; poichè dalla gioventù bene o male educata dipende la vita o la morte delle famiglie, dei regni e del mondo. - In fine il buon Padre rivolto a Gesù Cristo gli fece una preghiera sì bella, che a molti trasse le lagrime. - E voi, mio Dio, egli disse, Voi, Salvator nostro Gesù Cristo, simboleggiato nella pietra qui collocata, deh! colla virtù del vostro braccio onnipotente proteggete l'Opera di questo Oratorio. Sarà ella forse dagli empi maledetta? e Voi beneditela; combattuta? e Voi difendetela; odiata? e Voi amatela come la pupilla degli occhi vostri. Essa ha tutti i titoli alla vostra benevolenza, perchè ha per iscopo di raccogliere, istruire, educare quei fanciulli, che in vostra vita mortale formavano la delizia del vostro cuore, e sono e saranno sempre l'oggetto delle vostre amorose finezze, come agnelletti del vostro gregge, come il fiore più eletto del giardino della vostra Chiesa. Sì, sotto il vostro usbergo duri quest'Opera imperitura; anzi il suo seme, portato dal vento della vostra grazia, si spanda per ogni dove, e pria abbiano a crollare le colonne che sostengono il firmamento, che dessa venga a cessare in sulla terra. - Le parole dell'eloquente religioso furono di un effetto mirabile, ed al presente paiono quasi dal Cielo inspirate, paiono come profetiche, perchè si avverarono e continuano ad avverarsi luminosamente.
Dopo che l'Abate Antonio Moreno ebbe firmata la dichiarazione attestante che la pietra era stata da lui benedetta, si incominciò una graziosa accademia. Il Ch. Bellia lesse un indirizzo, alcuni alunni qualche breve poesia, e sei giovinetti dei più piccoli fra gli esterni recitarono un dialoghetto, scritto da D. Bosco, mentre recavano un mazzo di fiori da presentare al Sindaco.
 
Giovannino, Carlo, Cesare, Agostino, Pietro, Manfredo.
 
Cesare - Giovannino! Hai tu pensato a quello che devi dire a questi signori prima di presentar loro questa umilissima nostra offerta?
Giovannino - Sai bene che io non son capace.
Cesare - Almeno hai studiata la lezione che ti hanno assegnato in scuola per questo bel giorno?
Giovannino - Sì, l'ho studiata, ma .....
Cesare - Che ma? l'hai già dimenticata?
Giovannino - Dimmi soltanto la prima parola e il restante lo dirò io!
Cesare - Nella scuola non si deve far così! Dunque o complimento, o lezione. Se tu studiata l'hai, recita quel che sai!
Giovannino - Giacchè non so più tutta la lezione, dirò quello che potrò. Signori, io vi ringrazio da parte de' miei compagni di tutto il disturbo che avete avuto per noi.
Agostino - Io ringrazio il sig. Sindaco e nella sua persona ringrazio il Municipio per tutti i favori fatti al nostro Oratorio.
Carlo - Io dirò altrettanto al sig. Canonico Moreno, al Sig. Cavalier Cotta e a tutti questi nostri benefattori. Grazie a tutti.
Pietro - Io dico altresì da parte de' miei compagni. Noi amiamo la religione, amiamo la patria, amiamo la scienza e la virtù.
Manfredo - Non sapendo pi√π dire altro, invito i miei compagni a dire ad alta voce: Viva il Sindaco! Vivano sempre felici tutti quei signori, che oggi sono venuti fra noi!
 
Piacquero a tutti i modi spigliati ed ingenui di questi rozzi figli del popolo, mentre la milizia dei ginnasti dell'Oratorio festivo, comandata dal Bersagliere Brosio, dopo aver partecipato alla festa mantenendo il buon ordine, chiudeva i divertimenti di ogni specie, eseguendo evoluzioni militari, come soleva fare in tutte le solennità.
Caduta la notte e ritiratasi la moltitudine D. Bosco rimase coi soli alunni interni, ai quali la costruzione di quella chiesa sembrava l'opera massima che avrebbe potuto fare D. Bosco. Ed egli al Ch. Reviglio, che manifestava il suo stupore per la chiesa di S. Francesco, con tutta sicurezza, come se avesse tesori a sua disposizione, rispose: Oh questo è nulla; vedrai che si fabbricherà qui... avanti... attorno... - e descrisse la casa colossale che presentemente si rimira. E mentre parlava, i giovani notavano attentamente i suoi detti, e aspettavano l'avveramento delle sue predizioni, benchè allora non comparisse alcuna probabilità di successo.
La nuova costruzione però bastava per accrescere l'entusiasmo dei giovani dell'Oratorio festivo, e con essi non di rado venivano ragazzi ebrei. D. Bosco che aveva dimostrato tanta amorevolezza ai loro correligionari suoi condiscepoli a Chieri, e che aveva aiutato le conversioni di Abramo e di Giona, li accoglieva molto volentieri. Uno di questi un giorno lo affidò al Ch. Savio Ascanio perchè lo istruisse, e il giovanetto fu battezzato. Molti altri di buon grado si sarebbero convertiti, ma avevano l'ostacolo dei parenti. Dopo l'emancipazione, frequentando essi le scuole pubbliche, volere o non volere, ascoltavano qualche istruzione catechistica, ed un eccitamento dovevano provare verso il cristianesimo. Ma i genitori non mancavano di premunirli che si guardassero bene dai cristiani come da nemici, contro i quali era doveroso per essi mantener odio implacabile. E se qualcuno dava indizio di propensione pei cattolici, lo toglievano subito dalle scuole.
“Io ne ho conosciuti molti di questi fanciulli, ci diceva D. Bosco negli ultimi suoi anni, i quali ardevano di desiderio di abbracciare la nostra santa religione; e perchè insistevano di voler venire alla fede cristiana, le loro famiglie presero a chiamarli ingrati, traditori della loro religione, infamatori della loro parentela ed a minacciarli che li avrebbero diseredati, espulsi dalla casa paterna ove non mutassero proponimento. E ne conosco eziandio alcuni i quali furono chiusi per molto tempo in una stanza, come in una carcere, a fine di impedirli di rendersi cristiani. Nè  ciò deve recar sorpresa. L'Ebraismo moderno non è più la santa legge di una volta, annunziata dai profeti e confermata dai miracoli. Ha la Bibbia, ma tiene in maggior pregio il Talmud ispiratore di odio contro i cristiani, e bestemmiatore di Dio, negandone indirettamente l'esistenza.
”Nel corso della mia vita non rare volte mi toccò di trattare con Ebrei adulti, e spesso cadde il discorso sopra cose di religione; parlando del Messia faceva compassione, udire come ragionassero di tale importantissima verità. Alcuni, interrogati da me, mi commossero quasi fino all'indegnazione per le loro ciniche risposte. Vi ebbe chi domandato, se credeva nel Messia, mi rispose: “Il mio Messia è il danaro della mia borsa”. Un altro a somigliante interrogazione mi replicò: “Un buon pranzo è per me un vero Messia”. Che cosa si ha mai a rispondere a persone siffatte? Il maggior numero di essi passa la vita nell'ignoranza della propria religione, senza curarsi del Messia e fuggendo chiunque volesse adoperarsi per istruirli. I Rabbini poi ricusavano sempre di entrare in tale argomento.
”Non a tutti però era sconosciuto N. S. Gesù Cristo, ma stavano nell'Ebraismo tenutivi dal solo interesse. Non ha gran tempo che un Ebreo fattosi istruire nella religione cristiana, mostravasi dispostissimo a ricevere A Battesimo, sì veramente che gli fossero pagati alcuni debiti che egli aveva contratti. Un altro mi assicurò che avrebbe abbracciato la nostra religione, ove con ciò non fosse stato costretto a rinunciare all'eredità del padre. Un terzo, uomo dottissimo, era pronto a convertirsi, purchè io gli assicurassi i mezzi di sua sussistenza con una grossa somma. Egli era Rabbino. Ciò non ostante, io trovai anche fra gli Ebrei persone oneste nei contratti e benefiche e alcune poche che vivevano secondo la legge di Dio, e mi parve che stessero in buona fede aspettando il Messia ”.
D. Bosco, anche tra gli Ebrei, contava degli amici e di due specialmente ne parleremo a suo tempo. Per ora diciamo che un giorno noi, accompagnando D. Bosco per Torino, abbiamo visto un signore d'aspetto rispettabile che, avvicinatosi a lui con riverenza, prese a parlare in modo che noi eravamo persuasi fosse cattolico. Come si fu congedato, D. Bosco ci disse: - Vedi quel signore? Tutte le volte che m'incontra, s'intrattiene con me lungamente. Sai tu chi è ? Un Rabbino! Conosce la verità, ma non l'abbraccia per timore della povertà alla quale sarebbe ridotto qualora perdesse il pingue onorario che gli provvede la Sinagoga. Più volte io lo esortai a confidare nella Provvidenza, ma gli manca il coraggio.
E D. Bosco era pieno di compassione per gli Ebrei e pregava ed esortava gli altri a pregare per una nazione che fu un giorno il popolo di Dio, destinato ad entrare alla fine dei tempi nel grembo della Chiesa.
E finchè visse continuò a procurare come poteva la loro salute. Anche gli adulti, come abbiamo visto, ebbero le sue cure, e nel corso dei racconto esporremo altri fatti. Li trattava con carità e li ospitava quando ne lo richiedevano. Ricoverò anche giovanetti, li istruì e battezzò.
Il 17 luglio 1851 Mons. Luigi Calabiana Vescovo di Casale gli raccomandava un giovane israelita di cognome Deangelis, chiamato per soprannome Giovanni de' Farisei. Costui era spedito da Casale a Torino per vedere se ci fosse posto nell'Ospizio dei Catecumeni per essere istruito nella religione cattolica e per sottrarlo alle persecuzioni de' suoi correligionarii, essendosi messo sossopra il Ghetto di Casale per impedire al giovane l'adempimento di sua vocazione. Se non vi fosse ricovero nell'Ospizio, il Vescovo pregava D. Bosco a ricevere fra i suoi figli il Deangelis, almeno per breve tempo, sicuro di consegnarlo ad un padre, e promettendo di pagare tutte le spese di mantenimento.
D. Bosco era felice nel ricevere tali giovani, e nel presentarli a Giona di Chieri, il quale, sempre suo buon amico, veniva spesse volte a visitarlo nell'Oratorio.
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)