Alcuni fatti straordinari.
del 06 dicembre 2006
Fatti di ordine soprannaturale s'intrecciarono costantemente con la vita del Beato Don Bosco; per altro, dell'anno 1875 pochi sono quelli di cui ci fu tramandata notizia. Noi esporremo questi pochi; ma abbiamo ragione di credere che molto più numerosi siano quelli di cui purtroppo si è perduta la memoria. Alle cose che diremo sì presta naturalmente la semplice fede che si suole prestare a racconti umani corredati da attendibili testimonianze.
Il 27 marzo morì nell'Oratorio un giovane di nome Salvatore Pagani da S. Giorgio Lomellina, alunno di Don Veronesi nella prima ginnasiale. Il Servo di Dio aveva annunziato che per il prossimo esercizio della buona morte uno avrebbe cessato di vivere. Era l'ultimo giorno di carnevale. Nevicava. All'uscir di chiesa anche Pagani prese il suo pane ed anche il suo salame, perchè era quello il giorno del suddetto esercizio. Poche ore dopo gli venne male. Si telegrafò al padre, che giunse verso notte; ma il figlio era già spirato. Don Bernardo Vacchina è testimonio della predizione e dell'avveramento.
Quando il Beato partiva da Torino per accompagnare a Genova i Missionari, entrò nella vettura ferroviaria con lui il signor Cerrato di Asti, venuto appositamente per assistere alla funzione dell'addio: sant'uomo, già avanzato in età, gran benefattore dell'Oratorio. Nella sua patria spinto dalla carità del Signore, aveva fondata una Piccola Casa, a somiglianza
di quella del Cottolengo, quand'era ne' suoi esordi; ma gli bisognavano suore, che ne curassero il buon andamento. Due giorni prima a Piacenza aveva trattato con le Figlie di Sant'Anna, che gli davano buone speranze, senza però che vi fosse nulla di conchiuso. A Torino con un biglietto di Don Bosco si era presentato al Padre Anglesio, Superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, per ottenere da lui alcune delle sue religiose. I1 Padre pure l'aveva accomiatato con buone parole e niente più. Ora egli sedeva già in vettura per tornarsene ad Asti, la macchina già cominciava a lanciare il fischio della partenza, quando all'improvviso il Servo di Dio gli dice: - Scenda, scenda; vada a ritentar la prova col padre Anglesio; finisca le cose. - Il Cerrato obbedisce, discende, ha appena tempo di mettere il piede a terra, che il treno in moto piglia la corsa. Non è ancora uscito dalla stazione, che s'imbatte in un signore venuto in cerca di lui per consegnargli da parte del padre Anglesio un biglietto così concepito: “ Venga, che forse possiamo concertare subito tutto intorno a quelle cose, delle quali abbiamo parlato ”
Andò al Cottolengo la stessa sera, quantunque fossero le nove; in un batter d'occhio fu affar finito. Chiunque fosse stato in luogo suo; avrebbe attribuito la parola del Beato a lume superiore; egli più di tutti.
Faceva patte della spedizione Don Valentino Cassinis. Nell'Oratorio al giorno della partenza; egli si sentiva profondamente afflitto e se ne stava in un angolo. Il Beato, passando di là, gliene domandò la causa. - Sono mesto, rispose, perchè devo abbandonare Don Bosco e non lo vedrò mai più. Don Bosco lo consolò dicendogli: - Caro Cassinis, stai tranquillo, chè ci vedremo ancora. Te l'assicuro.
 - Lei me lo dice per farmi coraggio. In America non verrà lei, e io forse non tornerò più in Italia.
 - Sta' sicuro; ci vedremo ancora prima di morire. Te lo assicura Don Bosco, te lo assicura Don Bosco!
Al colloquio era presente Don Rua.
Don Cassinis partì rassicurato. Stette dodici anni laggiù, finchè nel settembre del 1887 monsignor Cagliero lo volle compagno di viaggio in Italia, senza che egli ne avesse fatto domanda, anzi meravigliato di quella disposizione.
Giunto a Torino, passate le prime emozioni, il giorno dopo la festa dell'Immacolata Concezione, il Beato disse per il primo a Don Cassinis, che più non se ne ricordava: - Non te l'ho detto io che prima di morire ci saremmo ancora visti? - D. Cassinis si rammentò, gli baciò la mano e intenerito pianse.
Il suo spirito di profezia si rivelò ancora in una circostanza singolare. Costanza Cardetti, fanciulla di quindici anni, aveva nella propria casa una persona che attentava continuamente alla sua virtù: il suo padrigno. Mercè la grazia di Dio sempre ella ne respinse gli assalti; ma le era impossibile allontanarsi dal luogo del pericolo. Manifestata la cosa al confessore, questi le ordinò di palesare tutto alla madre, la quale, ascoltata in silenzio la confidenza, venne senz'altro a Torino nel '75 per chiedere consiglio a Don Bosco.
Il Servo di Dio le diede una medaglia di Maria Ausiliatrice e le disse:
 - Consegnate questa medaglia a vostra figlia, che se la metta al collo. Per due anni e più la Madonna non le farà la grazia di essere liberata da quella persona; ma le farà l'altra più grande di proteggerla, sicchè non le accadrà nulla.
La buona madre, tranquillata dalle parole di Don Bosco, fece ritorno a casa, consegnò la medaglia alla figliuola e le riferì quello che Don Bosco le aveva detto.
Infatti per due anni interi, nonostante che la persecuzione continuasse e molte volte il pericolo fosse serio, la fanciulla ne scampò sempre quasi per miracolo. Passati due anni e otto giorni, la stessa persona, che, avendo autorità sopra di lei, non le aveva mai permesso di andar a stare fuori di casa, nella festa di Maria Assunta in cielo la mandò a lavorare stabilmente in un paese lontano dodici miglia.
La giovane, ringraziando la Madonna, non se lo fece dire due volte, ma si affrettò a raggiungere la sua nuova destinazione nè comparve mai più a casa. Poco dopo si fece suora nel Monastero delle Giuseppine di Cuneo, dove ancora viveva nel 1903, pronta sempre a confermare con giuramento le cose che abbiamo narrate.
Come nell'avvenire i fatti contingenti, così il Servo di Dio leggeva negli animi i pensieri reconditi. I due episodi che ora narreremo, accaddero anch'essi nel 1875.
Il sacerdote D. Maurilio Mandillo, Rettore di Bertolla, piccolo villaggio nelle vicinanze di Torino, fu mandato un giorno dal padre Carpignano filippino a chiedere confidenzialmente una cosa a Don Bosco. Il prete, che frequentava San Filippo e non aveva mai visto il Servo di Dio, venendo verso l'Oratorio, lo incontrò sul viale. Don Bosco gli si avvicinò e senza lasciargli aprir bocca lo salutò per nome e gli disse: - Lei viene da Dante del padre Carpignano a domandarmi questo e questo. Ebbene, riporti al Padre che è così e così. - Ciò detto, gli rinnovò il saluto, lasciandolo trasecolato, poichè nessuno al mondo poteva aver detto a Don Bosco quello, su che era venuto a consultarlo.
Dal medesimo Rettore di Bertolla proviene la relazione del fatto seguente. Giaceva inferma, sembra per grave piaga ad una gamba, la Superiora delle Figlie della Carità in Torino. Due suore si recavano al santuario di Maria Ausiliatrice per raccomandarla alla Madonna, quando sulla piazza incontrarono il Beato, il quale, avvicinatele, disse loro che cosa erano venute a fare, e poi soggiunse che la Superiora sarebbe guarita e vissuta ancora lungo tempo. Infatti viveva ancora nel 1902.
Un rubizzo vecchietto di Borgo S. Martino, per nome Pietro Cornelio, serbò fino all'ultimo viva memoria di un fatto, che non si stancava di ripetere, terminando sempre il racconto con la chiusa obbligatoria: - E questo è vero come è vero che sono battezzato. - Il fatto accadde nel '75. Un giorno Don Bosco attraversava il paese in compagnia del parroco e fra molta gente uscita sulla strada per vederlo, quando giunse vicino a una povera donna, che lo supplicava accoratamente di benedirla. Da due anni aveva le gambe irrigidite da paralisi; si era fatta portare là, nella speranza che il Servo di Dio la guarisse. Don Bosco, udito il caso, n'ebbe pietà, le diede la benedizione e le disse: - Domenica andrete a Messa. - Infatti la domenica seguente si potè muovere e andare alla chiesa, perfettamente guarita (I).
Una grazia straordinaria, non del '75, ma nel '75 resa di pubblica ragione, trovi posto in questo luogo. Il giovanetto Eugenio Ricci dei baroni des Ferres, giocando col fratello Carlo e con un cugino, fece per saltare una fossatella, ma, fallitogli il piede, cascò e si ruppe la gamba. Don Bosco, che amava il pio giovane e n'era riamato, andò a visitarlo. L'ammalato gli fece mille feste. Don Bosco, per usare l'espressione dell'anonimo Gesuita che narra il fatto, “ con quel mansueto, umile e venerando aspetto che gioconda e soggioga i cuori ”, gli disse sorridendo:
 - Mio caro, quanto sarei contento che ti fossi rotta anche l'altra!
 - Che dice, Don Bosco?
 - Eh, sì, “ continuò pacatamente l'uomo di Dio ”, allora potresti apprezzar meglio il potere della Madonna a guarirti. Su, coraggio, spera in Maria Santissima; alla fine del mese ti potrai mettere in viaggio.
E così fu; poichè doveva recarsi a Parigi nel Convitto di Santa Genoveffa.
Il barone Carlo, suo fratello, completò la narrazione del Gesuita attestando che i medici subito dopo la caduta dubitavano di dover amputare la gamba; che ne fu tosto scritto a Don Bosco, il quale andò solamente dopo quattro o cinque giorni; che per la sua benedizione l'infermo si senti all'istante meravigliosamente sollevato, tanto che quasi subito o dopo brevissimo tempo si potè alzare da letto.
Il Signore favoriva di grazie gratis datae il suo Servo, perchè gli fossero di aiuto nel procurare la divina gloria e la salvezza delle anime. Esse ne manifestavano anche a tutti l'esimia santità; ciò nondimeno la fama di santità che lo accompagnava, nacque primamente dalle virtù che dappertutto e sempre si vedevano in lui risplendere.
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