Capitolo 25

Giovanni Cagliero - Impressioni e giudizii del giovane Turchi accettato nell'Oratorio - La Commemorazione di tutti i defunti a Castelnuovo - Cagliero è condotto da D. Bosco in Valdocco - Sua testimonianza della povertà della casa e della bontà e Zelo di D. Bosco - Cagliero e Rua a scuola - Scritture di locazione d'opera per gli artigiani.

Capitolo 25

da Memorie Biografiche

del 24 novembre 2006

Sul principio dell'ottobre D. Bosco giungeva alla borgata dei Becchi per la festa della Madonna del Rosario, conducendovi varii de' suoi alunni. Il giovanetto Cagliero Giovanni lo aveva aspettato con impazienza. I suoi compagni di Castelnuovo lo riconoscevano per capo in ogni divertimento Essendo venuto un Vescovo a dar la cresima nella parrocchia, il giovanetto, ammirando il paludamento di Monsignore, erasi fatta una mitra ed un piviale di carta; di una canna aveva formato un pastorale, quindi sedutosi su di una scala a piuoli facevasi portare sulle spalle dei compagni, in mezzo alla turba dei fanciulli che applaudivano al piccolo vescovo, mentre esso seriamente li benediceva. Questo spiritello così vivace, ma buono, godeva le simpatie di Don Cinzano, il quale lasciavalo liberamente venire in canonica, lo incaricava di qualche piccolo servizio, tanto più quando D. Bosco gli ebbe promesso di accettarlo nell'Oratorio. Ed è qui che Giovanni Cagliero incominciò a sentirsi preso da affetto ed entusiasmo per D. Bosco.

Lo stesso Cagliero ci raccontava - Udiva continuamente gli elogi di D. Bosco. I miei conterranei, e specialmente mia madre, i miei cugini ed amici, mi dicevano di aver sempre visto nella fanciullezza del giovanetto Bosco alcunchè di straordinario che lo distingueva da' suoi coetanei e che il suo portamento, modestia e dolcezza rivelavano un giovane più che virtuoso. Io conosceva in Castelnuovo parecchi de' suoi condiscepoli di ginnasio e di chiericato, come il sig. Matta di Morialdo, il dottor Allora e l'avvocato Musso. Essi mi parlavano del servo di Dio sempre con tale riverenza ed elogio di sua bontà e virtù, da considerarlo più che modello di perfezione cristiana, modello di vita santa. Il medico Allora disse poi a me e ad altri, che in Chieri presso i compagni era tenuto in concetto di santo. D. Cinzano, Vicario di Castelnuovo, parlandomi di lui ripeteva:

“Io ho sempre visto in D. Bosco qualche cosa che non era ordinaria: non era ordinaria la sua pietà, la sua giovialità, la sua riservatezza, la sua obbedienza, la sua umiltà ecc., Era straordinario in tutto. E poi, alludendo alla sua tenacità nel bene e nelle opere sue intraprese, soleva dirmi celiando: - D. Bosco fu sempre stravagante e testardo come i Santi.

Cagliero adunque appena saputo l'arrivo di D. Bosco si affrettò a correre ai Becchi, e all'esteriore grave, composto, modesto del buon prete, subito riconobbe essere desso ornato di quelle tante virtù di cui aveva udito parlare. Ritornato a casa, invitò un compagno, certo Giovanni Turchi, che aveva 16 anni, ad andarvi esso pure. “Cagliero, - ci riferiva Don Turchi, ora cavaliere e professore in belle lettere. - mi disse tante ottime cose di D. Bosco, che io da Castelnuovo mi portai ai Becchi. Colà giunto, fui colpito dallo scorgere un sacerdote così compreso del suo ministero e così affabile, cosa cui io non era affatto abituato; e fin d'allora ne concepii un'idea ed un'impressione incancellabile. Al vedere poi il modo amorevole con cui parlava con me e con gli altri giovani, ne restai entusiasmato. Avendomi egli dato un po' d'esame sulle materie che studiava e sulla elezione dello stato, finì con dirmi: - Io conosco tuo padre e sono suo buon amico; digli che venga domani a trovarmi! - Mio padre andò, e così fu conchiuso che io sarei entrato nell'Oratorio verso la metà di ottobre.

”Condotto in Valdocco per gli studii, udii dai miei compagni come D. Bosco operasse cose straordinarie, e questa fama dovetti constatare che andava sempre ingrandendosi; e vidi le scuole serali che esso dirigeva, e fra gli altri maestri il Teol. Chiaves e certo Signor Geninatti. Le mura della nuova chiesa di S. Francesco erano all'altezza dei finestroni, ed io pure coi compagni attesi subito a sporgere mattoni sino sopra i ponti. Nelle feste intervenivano alle funzioni di chiesa moltissimi giovani esterni, e tanto ci divertivamo, fra gli altri giuochi, agli esercizii militari fatti con grucce di fucili smessi dall'arsenale. Ma sopratutto ciò che mi colpì entrando nell'Oratorio si fu il trovarvi una pietà, della quale non aveva idea, e debbo asserire che capii allora che cosa volesse dire confessarsi. Eravi frequenza di Sacramenti, non solo nei dì festivi, ma anche nei feriali. Don Bosco ci raccomandava che lungo la settimana distribuissimo i giorni per le comunioni, perchè esse fossero continue. In massima parte andavamo a confessarci da lui, benchè nei giorni festivi vi fosse pure qualche altro sacerdote per coadiuvarlo. Era tanta la delicatezza di molti giovani per accostarsi alla sacra mensa, che nei giorni feriali, mentre ei si parava per la S. Messa, aveva quasi sempre qualcuno

che gli confidava all'orecchio qualche pena o scrupolo per essere assicurato di poter fare tranquillamente la comunione. Allora e sempre ho visto nell'Oratorio un buon nucleo di giovani di una pietà sì soda ed ammirabile, che intonava tutta la casa ed attirava tutti gli altri al bene. - E Don Bosco era zelantissimo che si facessero i catechismi. Le sue prediche erano tutto sugo. Soleva esporre la Storia Ecclesiastica in modo facile, chiaro, attraente, e, prima di terminare il suo dire, soleva interrogare qualcuno degli uditori a farvi su qualche osservazione, ossia a dedurre qualche conseguenza pratica. Alla sera poi dopo le orazioni ci dava dalla cattedra avvertimenti così appropriati, che io ritiratomi nella mia camera, ne sentiva un'impressione ed un gaudio che non posso esprimere. D. Bosco educava i giovani e li portava al bene colla persuasione, e quelli lo facevano con trasporto di gioia. Egli procedeva sempre con dolcezza; dando ordini quasi ci pregava, e noi ci saremmo assoggettati a qualunque sacrifizio per contentarlo. Così di bene in meglio vidi procedere l'Oratorio nei dieci anni che quivi dimorai cioè fino alla mia ordinazione sacerdotale; e dopo aver visitati molti Istituti, non ne trovai alcuno che albergasse tanta pietà come quello di D. Bosco, del quale godetti sempre anche lontano la benevolenza”. Fin qui D. Turchi.

L'accettazione definitiva di un altro giovane faceva Don Bosco a Castelnuovo il 1° novembre 1851 che lascerà eterna memoria negli annali dell'Oratorio. Quella di Giovanni Cagliero, rimasto orfano di padre, da pochi giorni.

L'anno 1851 il giorno d'Ognissanti doveva giungere da Torino a Castelnuovo d'Asti D. Bosco per fare il discorso dei morti. Cagliero con ansia febbrile aveva preceduti i compagni in sagrestia alcune ore prima che incominciasse la funzione. Desiderava di essere prescelto ad accompagnare in qualità di chierichetto il predicatore al pulpito. Messosi la veste talare e la cotta, aspettava pazientemente mentre i suoi coetanei erano andati incontro a Don Bosco; e quando giunse, ebbe la gioia di veder soddisfatto il suo desiderio.

D. Bosco fece una di quelle prediche ammirabili che non si dimenticano più. Disse essere passato, nel venire, innanzi al cancello del Camposanto e di aver udito voci lamentevoli che lo chiamavano per nome. Si appressò e vide in mezzo alle croci uscir le anime da quelle fosse: - Di' a mio figlio, gli diceva una, di' a mia figlia, gli diceva l'altra, che mi trovo in purgatorio, che io l'ho sempre amata, e pure non pensa più a me. - Era un marito, una moglie, un figlio, un amico che gli davano commissioni da recare a quei del paese, perchè si movessero a liberarli da atroci tormenti! D. Bosco descriveva quelle scene pietose, quelle tenere lamentazioni, quei ricordi del passato, con tanta vivacità, candore e verità, che gli uditori piangevano. Abbondantissima fu la elemosina raccolta, circa 150 lire. A quelli che si meravigliavano delle abbondanti offerte che le sue prediche conseguivano, rispondeva: - Per ottenere dal popolo la carità bisogna fargli capire essere suo interesse abbondare nell'elemosina, eziandio per ottenere dal Signore vantaggi temporali, e come invece sia suo danno essere avari colle anime sante, o colla Chiesa: che aver protettori in cielo è vantaggioso anche per le campagne. Essi allontanano i castighi, le disgrazie, le tempeste, le malattie, gli insetti dalle piante, le siccità, ecc. ecc. È questo il segreto per indurre la gente a far elemosina, altrimenti si ottiene poco o nulla.

Fatto il discorso, D. Bosco scendeva in sagrestia e con aria dolce ed affabile voltosi al suo piccolo inserviente:

- Sembra, gli disse, che tu abbia qualche cosa a dirmi ed a manifestarmi qualche tuo ardente desiderio. Non è vero?

- Sissignore, rispose tutto infiammato in volto il giovanetto; voglio proprio dirle una cosa che da tempo mi agita; voglio venire con lei a Torino, continuare gli studii e farmi prete.

- Bene, verrai con me, gli disse D. Bosco: il sig. Prevosto già di te mi ha parlato; di' a tua madre che ti accompagni stasera in canonica e ci intenderemo.

Al suono lugubre delle campane che invitavano i fedeli a pregare per i defunti, tra il mesto raccoglimento della popolazione, entrano nella casa del parroco la madre ed il figlio.

- Mia buona Teresa, disse allora scherzando quel caro sacerdote e padre già di tanti orfani, siete venuta a tempo: io già vi attendeva; parliamo adunque del nostro negozio. È vero che volete vendermi vostro figlio?

- Oh! venderlo no, esclamò la buona madre; ma se lo gradisce, piuttosto glielo regalo.

- Meglio ancora, rispose D. Bosco; allora preparategli il suo piccolo fardello. Domani verrà con me ed io gli farò da padre.

L'indomani Giovanni Cagliero era pronto, e sul far dell'alba si trovava in chiesa per servire la S. Messa a Don Bosco. Da tutti i suoi movimenti dimostrava un'estrema vivacità. D. Bosco da Castelnuovo a Torino faceva il viaggio a piedi.

- Ebbene, Cagliero, andiamo a Torino?

- Andiamo.

- E tua madre?

- Essa è , contenta; ed ora io sono con D. Bosco

Si misero in cammino. Cagliero ora camminava al fianco di D. Bosco, ora lo precedeva correndo, ora lo aspettava, ora rimaneva indietro per cogliere qualche frutto dalle siepi e quindi lo raggiungeva, ora saltava il fosso e scorrazzava per i prati. D. Bosco di quando in quando lo interrogava, e le sue risposte erano di un candore ammirabile. Parlava del suo presente, del suo passato, de' suoi progetti in avvenire. Narrava quanto aveva fatto a casa, svelava i segreti più reconditi del suo cuore. Era tanto sincero, che D. Bosco ebbe a dire di averlo in poche ore conosciuto così perfettamente, che se si fosse trattato di confessarlo non avrebbe più avuto da far altro che dargli l'assoluzione

Cagliero parlavaci delle sue impressioni in questo viaggio: “D. Bosco non mi discorreva che di Dio, della Vergine SS., se mi accostava ai Sacramenti, se ero divoto della Madonna, e di altre cose spirituali. E talora anche scherzando mi invitava ad essere buono. Finalmente giungemmo a Torino.

”Ricordo sempre con piacere il momento della mia entrata nell'Oratorio la sera del 2 novembre. D. Bosco mi presentò alla buona mamma Margherita, dicendo: - Ecco, mamma, un ragazzetto di Castelnuovo, il quale ha ferma volontà di farsi buono e di studiare.

”Rispose la mamma: - Oh sì, tu non fai altro che cercare ragazzi, mentre sai che manchiamo di posto.

”D. Bosco sorridendo soggiunse: - Oh, qualche cantuccio lo troverete!

” - Mettendolo nella tua stanza, - rispose la mamma.

” - Oh, non è necessario. Questo giovanetto, come vedete, non è grande, e lo metteremo a dormire nel canestro dei grissini; e con una corda lo attaccheremo su in alto ad un trave; ed ecco il posto bello e trovato alla maniera della gabbia dei canarini. - Rise la madre ed intanto cercommi un sito, e fu necessario per quella sera che dormissi con un mio compagno ai piedi del suo letto.

”L'indomani vidi che tutto era povero in quella casetta. Bassa ed angusta la stanza di D. Bosco, i dormitorii nostri a pian terreno, stretti e col selciato di pietre da strada, e con nessuna suppellettile, tranne i nostri pagliericci, lenzuola e coperte. La cucina era meschinissima e sprovvista di stoviglie, eccetto di alcune poche scodelle di stagno col rispettivo cucchiaio. Forchette e coltelli e salviette li vedemmo poi molti anni dopo, comprati o regalati da qualche pia e caritatevole persona. Il refettorio nostro era una tettoia, e quello di D. Bosco una stanzetta, vicina al pozzo, che serviva di scuola e luogo di ricreazione. E tutto questo cooperava a tenerci nella condizione bassa e povera nella quale eravamo nati e nella quale ci trovavamo educati dall'esempio del servo di Dio, il quale molto godeva, quando poteva egli stesso servirci nel refettorio, prestarsi a tenere in assetto il dormitorio, pulire e rappezzare gli abiti, ed altri simili servizii.

”La sua vita comune, che faceva con noi, ci persuadeva che noi più che in un ospizio o collegio, ci trovavamo come in famiglia, sotto la direzione di un padre amorosissimo e di niente altro sollecito fuorchè del nostro bene spirituale e temporale.

”Amava farsi piccolo coi piccoli, ed anche alle volte succedeva che qualcuno di noi dimenticavasi del rispetto che gli era dovuto; ed allora più che da D. Bosco, che tutto tollerava dai fanciulli, veniva avvisato dai più grandicelli, i quali dicevano: - Sta' a modo! Non vedi che urtando noi, urti e calpesti anche D. Bosco? Se è tanto buono con noi, e noi dobbiamo essere buoni con lui!

”Spesse volte vedevamo dei signori che venivano a visitare D. Bosco, tratti dalla fama delle sue opere, e non pochi meravigliavansi di trovarlo seduto sopra un cavalletto di legno, ed anche per terra e come nascosto in mezzo ad un numeroso stuolo di ragazzi, mentre c'intratteneva con ameni racconti e piacevoli lepidezze, o mentre giocava con noi a mancalda, oppure gareggiava in sveltezza nel battere le palme della propria mano e poi quelle del compagno (la sinistra contro la destra, la destra contro la sinistra).

”Nulla aveva di più a cuore se non che i giovani salvassero l'anima propria. Se vedeva che qualcuno fosse meno buono, s'industriava di avvicinarlo, dirgli qualche buona parola all'orecchio; e poi lo faceva sorvegliare per trarlo al bene e rassodarlo nella pietà! Aveva tutta la fiducia che Dio l'avrebbe aiutato nell'educazione e nell'istruzione cristiana di tanti giovanetti.

”Ricordo che, ancor piccolo alunno dell'Oratorio, l'udii raccontare con santa semplicità e spesse volte, che aveva domandato al Signore un posto in paradiso per diecimila de' suoi giovanetti. E soggiungeva che l'aveva ottenuto, ad un patto: che non offendessimo il Signore: - Oh! miei figliuoli, diceva, saltate, correte, giuocate, schiamazzate; ma non fate dei peccati, ed il vostro posto è sicuro in paradiso.

”Vedendo poi che i giovani andavano crescendo in numero, gli domandavamo se fossero sufficienti diecimila posti in cielo per noi. Allora soggiunse che aveva chiesto un locale più ampio per molti altri giovani, che sarebbero venuti ed otterrebbero la loro eterna salvezza coll'aiuto di Dio e colla protezione di Maria SS.

”E queste sue parole facevano tanto maggior effetto in quantochè il suo spirito profetico era manifesto in mille guise e in mille circostanze ed occasioni, ed era persuasione comune nell'Oratorio che D. Bosco sapesse le cose occulte”. Fin qui lo stesso Mons. Cagliero.

Dopo, adunque, la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, Cagliero incominciò il suo corso classico di latinità frequentando la scuola del Prof. Bonzanino con Turchi, Savio Angelo ed altri. Nello stesso tempo Michele Rua era stato ammesso alla scuola privata di D. Matteo Picco, professore di umanità e rettorica che insegnava in un appartamento di una casa presso la parrocchia di S. Agostino. Questo esimio insegnante, pregato dallo stesso D. Bosco, volonterosamente si incaricò di istruirlo nella classe di umanità. E qui pure fu stupenda la riuscita del giovane Rua, il quale continuava ad abitare presso i suoi genitori.

D. Bosco continuava sempre ad aiutare i suoi alunni negli studii classici. Ed era veramente maestro nel dare consigli, acciocchè essi studiassero con molto profitto la grammatica latina. Di ciò fa ampia fede il Prof. D. Cerruti Francesco. D. Bosco diceva loro e particolarmente a Rua Michele: - Vuoi imparare bene la lingua latina? Traduci prima in italiano un tratto di autore classico; quindi, senza più vedere il testo, volta in latino la tua traduzione e in ultimo confronta col testo la tua composizione latina. Con questo esercizio, fatto tutti i giorni per un mese, ti assicuro che intenderai moltissime difficoltà senza aver bisogno di vocabolario.

Mentre D. Bosco collocava a scuola gli studenti, con cura non minore attendeva al profitto nel mestiere de' suoi artigiani, che mandava dall'Oratorio ad imparare l'arte ed a lavorare nelle botteghe di Torino. Perchè non ne risentisse danno la loro moralità, educazione ed istruzione, sempre vigilante, non solo continuava ad andare spesse volte a visitarli, ma si assoggettava a stringere coi padroni speciali convenzioni che intendeva fossero rigorosamente osservate. Ed è qui pregio dell'opera riportarne alcune, perchè ci danno idea di quei tempi ed anche ci risparmiano non inutili osservazioni.

 

Contratti di locazione d'opera.

 

“In virtù della presente privata scrittura da potersi insinuare a semplice richiesta di una delle parti, fatta nella Casa dell'Oratorio di S. Francesco di Sales tra il Sig. Carlo Aimino ed il giovane Giuseppe Bordone allievo di detto Oratorio, assistito dal suo cauzionario Sig. Ritner Vittorio, si è convenuto quanto segue:

1°. Il Sig. Carlo Aimino riceve come apprendizzo nell'arte sua di vetraio il giovane Giuseppe Bordone nativo di Biella, promette e si obbliga di insegnargli la medesima nello spazio di tre anni, i quali avranno il suo termine con tutto il mille ottocento e cinquantaquattro il primo dicembre e dargli durante il corso del suo apprendizzaggio le necessarie istruzioni e le migliori regole riguardanti l'arte sua ed insieme gli opportuni avvisi relativi alla sua buona condotta, con correggerlo, nel caso di qualche mancamento, con parole e non altrimenti; e si obbliga pure di occuparlo continuamente in lavori relativi all'arte sua e non estranei ad essa, con avere cura che non eccedano le sue forze.

2°. Lo stesso mastro dovrà lasciare per intiero liberi tutti i giorni festivi dell'anno all'apprendizzo acciocchè possa in essi attendere alle sacre funzioni, alla scuola domenicale ed agli altri suoi doveri come allievo di detto Oratorio.

Qualora l'apprendizzo per causa di malattia (o di altro legittimo motivo) si assentasse dal suo dovere, il mastro avrà diritto a buonificazione per tutto quello spazio di tempo che eccederà li quindici giorni nel corso dell'anno. Tale indennità verrà fatta dall'apprendizzo con altrettanti giorni di lavoro quando sarà finito l'apprendizzaggio.

3° Lo stesso mastro si obbliga di corrispondere giornalmente all'apprendizzo negli anni suddetti, cioè il primo lire una, il secondo lire una e cinquanta, il terzo lire due, in ciascuna settimana (secondo la consuetudine gli si concedono ciaschedun anno 15 giorni di vacanza).

4° Lo stesso signor padrone si obbliga in fine di ciascun mese di segnare schiettamente la condotta del suo apprendizzo sopra di un foglio che a tale oggetto gli verrà presentato.

5° Il giovine Giuseppe Bordone promette e si obbliga di prestare durante tutto il tempo dell'apprendizzaggio il suo servizio al mastro suo padrone con prontezza, assiduità ed attenzione; di essere docile, rispettoso ed obbediente al medesimo e comportarsi verso di esso come il dovere di buon apprendizzo richiede, e per cautela e garanzia di questa sua obbligazione presta in sua sicurtà il qui presente ed accettante Sig. Ritner Vittorio Orefice, il quale si obbliga al ristoro di ogni danno verso il padrone mastro, qualora questo danno avvenga per colpa dell'apprendizzo.

6° Se venisse il caso che l'apprendizzo incorresse in qualche colpa per cui fosse mandato via dall'Oratorio (cessando ogni suo rapporto col Direttore dell'Oratorio), cesserà allora anche ogni influenza e relazione tra il Direttore di detto Oratorio ed il mastro padrone; ma se la colpa dell'apprendizzo non riflettesse particolarmente il mastro, dovrà esso ciò non ostante dare esecuzione al presente contratto fatto coll'apprendizzo e questo compiere ad ogni suo dovere verso del mastro sino al termine convenuto sotto la sola fidejussione sopra prestata.

7° Il Direttore dell'Oratorio promette di prestare la sua assistenza pel buon esito della condotta dell'apprendizzo e di accogliere con premura qualsiasi lagnanza che al rispettivo padrone accadesse di fare a cagione dell'apprendizzo presso di lui ricoverato.

Locchè tanto il mastro padrone che l'apprendizzo allievo, assistito come sopra, per quanto a ciascuno di essi spetta ed appartiene, promettono di attendere ad osservare sotto pena dei danni.

Torino, novembre 1851.

Carlo Aimino.

Giuseppe Bordone.

D. Gio. Batt. Vola Teol.

Ritner Vittorio Cauzionario.

D. Bosco Giovanni

Direttore dell'Oratorio.

 

Le prime convenzioni erano fatte in carta semplice, ma quelle dell'anno seguente sono in carta bollata: tale è la convenzione tra il Sig. Giuseppe Bertolino mastro falegname dimorante in Torino ed il giovane Giuseppe Odasso nativo di Mondovì, coll'intervento del Rev. Sacerdote Giovanni Bosco e coll'assistenza e fidejussione del padre di detto giovane Vincenzo Odasso, nativo di Garessio e domiciliato in Torino. In questa si richiede che la scrittura sia fatta in doppio originale: si specifica essere il padrone obbligato a dare all'allievo, relativamente alla sua condotta morale e civile, quegli opportuni e salutari avvisi che dovrebbe dare un buon padre al proprio figlio: correggerlo amorevolmente in caso di qualche suo mancamento, sempre però con semplici parole di ammonizione e non mai con atto alcuno di maltrattamento: si dichiara con termini espressi che chi presta cauzione è solo obbligato quando un danno recato dall'apprendista al padrone possa giustamente venir imputato al danneggiante, fosse cioè per risultar proveniente da volontà spiegata e maliziosa e non quale un semplice effetto di accidentalità, o per conseguenza di imperizia nell'arte: si dichiara che l'assistenza di D. Bosco prestata per la buona condotta del giovane cesserà dal punto che il giovane cessa di appartenere all'Oratorio. Seguono le firme di Giuseppe Bertolino, Odasso Giuseppe, Odasso Vincenzo, Sac. Bosco Giovanni. La Convenzione porta la data dell'8 febbraio 1852.

Queste convenzioni variano nella durata del tempo, nella paga giornaliera, secondo l'età e l'abilità del fanciullo, e secondo l'importanza, la difficoltà dell'arte che si doveva apprendere. Ma dal leggere questi articoli si potrà intendere quante contrarietà, quante difficoltà sorgessero ogni istante a preoccupare D. Bosco. Quante noie, quanti dispiaceri, ma che non valevano a turbare la sua serenità. Si trattava sovente di padroni troppo esigenti e di giovani spensierati. Tuttavia la sua carità poneva sempre rimedio a tutto: e questa sua carità, specialmente verso i giovani, quanto apparisce luminosa in ogni riga di questi contratti da esso stesso compilati o adottati!

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