Capitolo 25

Critiche mosse a D. Bosco: per le comunioni frequenti de' suoi giovani: per i suoi maestri che non vanno alle scuole del Seminario: Per gli studii teologici giudicati insufficienti - Timore che i migliori chierici rimangano con D. Bosco e brighe per staccarli da lui - Lettera di D. Bosco al Can. Vogliotti pel servizio della Cattedrale - D. Bosco accusato di voler essere indipendente dall'Autorità ecclesiastica - Non si vede bene che i chierici si preparino a conseguire patenti di maestro e lauree - I pericoli dell'Università - Accuse scritte a Mons. Fransoni contro D. Bosco e difesa del Can. Nasi - Parole dell'Arcivescovo in lode di D. Bosco - Gli amanti del bene sono amici di D. Bosco.

Capitolo 25

da Memorie Biografiche

del 29 novembre 2006

Ottime erano le attinenze di D. Bosco colle supreme autorità della Diocesi. I Vicarii generali, Ravina e Fissore lo sostennero sempre, mentre nel canonico Zappata contava un amico. La massima parte dei sacerdoti si mostrava a lui favorevole. Egli era tranquillo e sicuro in tutto ciò che faceva, avendo la piena approvazione di D. Cafasso. Non gli mancavano però oppositori in personaggi influenti del clero, persone pie e dotte. Tale opposizione più o meno intensa era incominciata fin dal 1844 e durò fino al 1883. Si avverava un antico proverbio: “ Un prete se è cattivo lo castigano, se è buono lo sostengono, se è santo lo osteggiano”. La cosa è naturale; il prete santo, tale si dimostra con azioni straordinarie, e finchè non è ben conosciuto, una prudenza elementare insegna che bisogna andare cauti nell'emettere un giudizio; di più quest'uomo superiore agli altri pare talvolta che esca da quell'ordine stabilito, al quale si conformano tutti i suoi confratelli e quell'esimersi da costumanze comuni sembra ostentazione e novità riprensibile. E poi... e poi sarà per poco.. ma c'entra anche inavvertita la miseria umana.

La prima accusa che si faceva a D. Bosco era che egli concedesse con troppa facilità la S. Comunione ai giovanetti. Infatti tale frequenza la raccomandava sempre a quelli, che raccoglieva negli Oratorii festivi e fu il primo che introdusse la comunione quotidiana in un istituto maschile. Tale costumanza era biasimata da più ecclesiastici di Torino e da Direttori di Seminarii, perchè il giansenismo aveva ancora non poche radici nel clero.

Ma D. Bosco era della scuola di D. Cafasso e perciò di quella di S. Alfonso; il suo spirito era quello della Chiesa cattolica, come risulta evidentemente dal concilio di Trento fino alle ultime dichiarazioni di Pio X. Egli però non si perdette mai in disputazioni aride; la sua vita era più pratica che teoretica. Con poche parole rispondeva ai suoi oppositori. Uno di questi un giorno venne a fargli un'osservazione:

- Chi avrà tali disposizioni da poter fare ogni giorno la comunione, mentre lo stesso S. Luigi non la faceva che una volta alla settimana?

- Quando si trovi uno, risposegli D. Bosco, che sia perfetto e fervoroso come S. Luigi, allora potrà bastargli la Comunione una sola volta alla settimana; poichè egli soleva impiegare tre giorni a prepararsi e tre altri li passava in continuo ringraziamento: quindi per lui bastava il comunicarsi ogni otto giorni per mantenere acceso il fervore del suo cuore.

Ad un altro che gli opponeva il detto di S. Francesco di Sales, che cioè egli nè loda, nè vitupera la Comunione quotidiana, D. Bosco rispondeva: - E perchè dunque lei la biasima? Non la disapprovi neppur lei.

Questi signori però non osservavano quanta cura mettesse D. Bosco perchè le comunioni si facessero bene. Era suo principio che il solo peccato mortale fosse il vero ostacolo che impediva l'accostarsi alla Mensa Eucaristica; e non concedeva la Comunione quotidiana a coloro che portassero affetto al peccato veniale. E suggeriva un limite alla frequenza delle confessioni, raccomandando ai preti, ai chierici, agli alunni, che ordinariamente andassero a confessarsi una sola volta alla settimana e di tenere un confessore stabile. Tuttavia soggiungeva, specialmente ai giovanetti: - Piuttosto che fare una Confessione e Comunione sacrilega, cambiate anche tutte le volte il confessore.

Ma gli importuni consiglieri non si ristavano dal tentare di fargli mutar sistema. Ci scrisse il Can. Prof. Anfossi: “ Una sera dell'autunno avanzato, non so più precisare l'anno, ma è verso il 1858 o 1859, entrò nell'Oratorio il sacerdote C... stimato ed influente in società. Era uomo di carattere burbero, che non conosceva molto l'arte di farsi avvicinare dalla gioventù, infelice sempre nelle sue intraprese per mancanza di buono spirito, e che sosteneva non doversi incominciare fondazioni di carità senza il beneplacito e l'appoggio del Governo. Quanto diverso da D. Bosco che cercò sempre e solamente l'approvazione della Chiesa e la benedizione del Papa! Lo vidi entrare questo signore nell'Oratorio di

S. Francesco; il cortile era deserto, essendo i giovani nello studio o nei laboratorii. Mi feci incontro a lui, e avendomi egli detto che voleva parlare a D. Bosco, lo condussi nel piccolo parlatorio che era al primo piano, presso l'ufficio di D. Alasonatti, quindi andai a cercare D. Bosco. Finita la conversazione di questi due uomini, io che attendeva fuori, accompagnai quel prete alla porteria e poi presto raggiunsi D. Bosco, il quale mi disse.

- Sai che cosa mi venne a dire quel prete?

- No, signore, risposi.

Mi venne a rimproverare, soggiunse, perchè io eccito i miei giovani a frequentare troppo i Sacramenti; basta nelle feste principali dell'anno, mi diceva; altrimenti diventano impostori. Io risposi, continuava D. Bosco, che i risultati dell'educazione religiosa ch'io dava ai giovanetti, mi procacciavano delle consolazioni e frutti grandissimi di virtù e che quella era la dottrina dei più grandi santi. Ma D. C... persisteva nella sua idea. Allora io mi alzai invitandolo a riferire tali idee a D. Cafasso. Ma D. C... non si presentò certo a D. Cafasso. Costui era di quelli che accusavano D. Bosco di respingere i consigli delle persone prudenti ”.

Oltre a ciò  da questi uomini prudenti altra critica facevasi a D. Bosco. Non volevasi tener conto dell'essere stato l'Oratorio per anni, ed esserlo ancora, il luogo d'asilo per tanti chierici dell'Archidiocesi, essendo il Seminario di Torino sempre occupato dal Governo. Non si conosceva la natura dell'istituzione di D. Bosco, che era principalmente di aiutare le vocazioni allo stato ecclesiastico. Non si comprendeva l'importanza di un'opera destinata a provvedere sacerdoti a tutte le diocesi del Piemonte e di altri Stati anche fuori d'Italia. Quindi si vedeva con più o meno freddezza che D. Bosco oltre i poveri artigianelli, si occupasse degli studenti e dei chierici. Nella loro sapienza lo giudicavano inetto all'educazione del giovane clero.

Il malumore apparve più vivo quando D. Bosco fu costretto a non mandare alle scuole di Teologia in Seminario ed a ritenere in casa alcuni pochi chierici assolutamente necessarii in qualità di maestri nelle classi ginnasiali. Quantunque egli avesse di ciò fatta parola al Vicario Generale, riceveva un avviso che suonava, rimprovero dalla Curia Arcivescovile, come se egli in questo caso volesse sottrarsi alle disposizioni dichiarate dall'autorità ecclesiastica. Ma il Servo di Dio o doveva servirsi di mezzi proprii, cioè di quei chierici, non potendo trovare altri maestri, o rassegnarsi a non più mantenere l'opera sua, anzichè svilupparla ed allargarla come egli era fermamente deciso. La Curia udite le sue ragioni concesse la chiesta dispensa: e D. Bosco raccomandò, insistendo vivamente, al detti chierici maestri che studiassero bene i trattati imposti dal programma del Seminario; e li mandava regolarmente a subire gli esami in Curia. E non li lasciava abbandonati a se stessi, poichè il Teol. Berta faceva loro ripetizione in casa propria nelle Domeniche e nei giorni di vacanze.

Ma tutti gli altri suoi chierici non addetti alle scuole dell'Oratorio, li tenne soggetti, senza eccezione e per lunghi anni ai regolamenti diocesani.

Si mormorava eziandio che i chierici di D. Bosco distratti dalle varie e gravi occupazioni, non potessero conseguire la necessaria scienza teologica. “ Ma io posso invece attestare, scrisse il Teol. Bongiovanni Domenico, che i chierici dell'Oratorio davano prove di studio indefesso, e poi molti di essi spiccarono per dottrina fra i seminaristi medesimi e si abilitarono a conseguire la laurea anche in teologia. ” E i registri dei voti da questi ottenuti negli esami, aggiungono una prova alla suddetta affermazione.

Erano anche guardati da taluno con occhio geloso e diffidente, e si diceva che D. Bosco, tenendoli per sè e per la sua piccola Congregazione, toglieva alla diocesi soggetti di migliore ingegno e speranze. E non si voleva capire come fosse al tutto naturale, che egli ritenesse quelli sui quali poteva contare di più. D'altra parte mentre egli privava una diocesi di un prete o di un chierico, per mezzo del medesimo ne tirava su centinaia di altri, o con gratuita o con modica pensione, i quali senza D. Bosco non avrebbero potuto intraprendere la carriera degli studii e sarebbero certamente mancati alla Chiesa. Ma certi zelanti non potevano di ciò persuadersi, essendo allora l'avvenire nelle sole mani di Dio, quindi a quei pochi che si fermavano nell'Oratorio, coadiutori necessarii per continuare la grande opera, e che a D. Bosco erano costati tanto denaro e fatiche, tendevano insidie da essi giudicate atti di carità. Cercavano di allettarli ad abbandonare il loro benefattore con promesse di pensioni in Seminario, di benefizii lucrosi, di carriere onorevoli. In questi imbrogli stringevano alleanza eziandio coi parenti dei chierici, e non poche volte riuscirono nel loro intento. Le amarezze che D. Bosco ebbe a provare per ciò furono grandi, e se l'Oratorio non cadde fu opera della Madonna.

In questo stesso anno 1859 era sorta nuova difficoltà, per il servizio che prestava l'Oratorio alle funzioni della Cattedrale. Il Can. Vogliotti Rettore del Seminario e Provicario, mandava a chiamare D. Bosco e gli chiedeva che si continuasse tale prestazione ai canonici. D. Bosco prese tempo alcuni giorni per riflettere e poi così gli scriveva:

 

Benemerito Signor Rettore,

 

Ho pensato e ripensato sul modo di poter lasciar alcuni chierici liberi pel Servizio Religioso siccome Ella aveva parlato; ma l'ora in cui dovrebbero assentarsi coincide precisamente con quella in cui sonvi le funzioni negli Oratori, ove sono ripartiti ed impiegati tutti quanti.

Il non aver l'aiuto nè da altri Sacerdoti, nè d'altri chierici, fa sì che i miei sono da mattino a sera occupati nel fare catechismi, scuola festiva, assistere giovani in chiesa e fuori, tanto in questa casa, quanto nelle chiese di Vanchiglia e di Porta Nova.

Io mi sono tenuto soltanto il numero dei chierici, che mi era strettamente necessario. Se però occorrono solennità in cui siano necessari più chierici, volentieri mi aggiusterò come posso per tenerle libero quel numero che Le occorre.

Il canonico Anglesio ha un buon numero di chierici, che non hanno la farragine di cose come abbiamo noi. Le sembra bene di indirizzarsi a lui? Ci pensi un poco.

Il Sig. T. Gaude parlò al Ch. Molino per metterlo al clero di S. Filippo: ma qui abbiamo cerimonie, servizio ecc. e quel che è più ho bisogno di servirmene. Onde prego Lei a volermelo dispensare.

Le mando la fede di buona condotta de' nostri chierici Del tempo delle vacanze; e mi raccomando per la revisione di S. Cornelio, mentre con pienezza di gratitudine mi professo

Di V. S. Benemerita.

Torino, 12 novembre 1859.

Obblig.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Per tali controversie, quantunque cortesi e deferenti, intorno ai chierici dell'Oratorio, vi furono alcuni i quali, ignorando lo stato delle cose, non mancavano di mormorare, accusando D. Bosco di voler primeggiare in diocesi e di armeggiarsi in ogni modo per non stare soggetto ai suoi superiori. Talvolta infatti, benchè D. Bosco avesse sempre un retto fine in tutte le sue azioni, parve dare qualche appiglio ai critici. La sua Pia Società non era ancora approvata, e la Curia a malincuore tollerava certi atti, che pure erano, necessarii, perchè non si spegnesse la vita incipiente di quella. D'altra parte D. Bosco dopo i consigli del Papa e del suo Arcivescovo non poteva a meno, per raggiungere il suo scopo, di adoperare i mezzi che a quello conducevano. Da ciò nasceva qualche malinteso. Andando egli in Curia per avere qualche permesso talvolta gli fu negato; ed egli senza far cenno della sua missione e de' suoi progetti, usciva un giorno in queste espressioni: - Ma signori! Nulla io chiedo per me; badino! Servo la diocesi e non ho stipendio di sorta; lavoro unicamente pel bene delle anime: non domando altro, che di poter lavorare per la gloria di Dio.

Quando udiva qualcuno interpretare sinistramente le sue intenzioni, come se operasse per spirito d'indipendenza, egli soggiungeva: - Si osservino pure tutte le opere mie e tutti i miei scritti e si conoscerà da quale spirito io sia animato. Si guardi pure alla mia vita pubblica e a ciò che vado facendo, e se c’è qualche cosa di biasimevole, io sono ben contento di correggerla. Mi si avverta soltanto, ma in modo concreto e non vago e indeterminato.

Finalmente non mancarono di quelli che trovavano argomento di critica e facevano le meraviglie di una saggia risoluzione di D. Bosco. Per lui era cosa evidente che gli uomini politici, a dispetto della legge Casati, sarebbero stati di anno in anno sempre più ostili alla libertà d'insegnamento; e che avrebbero posto gravi incagli, affinchè gli ordini religiosi e i sacerdoti in generale non potessero più attendere nè al pubblico, nè al privato insegnamento, sia scentifico che letterario. - È finita, egli andava dicendo; i tempi sono cattivi e non cambieranno così presto. Noi, fra alcuni anni, dovremo o chiudere le nostre scuole, od avere maestri e professori patentati per insegnare.

Perciò aveva già prima messi a studiare parecchi suoi chierici, perchè potessero presentarsi agli esami di corso normale e fornirsi delle patenti per le scuole elementari. A questo scopo s'intese con un bravo insegnante che veniva in tempo di vacanza a dar loro regolarmente le sue lezioni, sicchè non pochi fecero eccellente prova.

Allo stesso modo ne preparava alcuni fra i più distinti per il conseguimento delle lauree; e fra i Superiori di Congregazioni religiose fu il primo, e il solo allora, a prendere questo provvedimento, facendo ascrivere alla Regia Università di Torino i suoi alunni per compiere i corsi di Delle Lettere, di Filosofia e di Matematica, come ci afferma il Can. Anfossi, che fu uno di questi. Non li dispensava però mai dal presentarsi agli annuali esami di Teologia.

Con ciò D. Bosco dimostrava la necessità che il clero si armasse colla esigenza delle leggi, affine di resistere per quanto sarebbe stato possibile all'istruzione laica, empia e scandalosa; tutelava un gran numero di vocazioni ecclesiastiche; anche in faccia alla gente dimostrava quanta importanza egli desse agli studii, e preparava l'espansione anche fuori di Torino della sua Pia Società, che altrimenti neppure nell'Oratorio avrebbe potuto sussistere come insegnante.

D. Bosco in questa sua decisione era andato d'accordo col Vicario generale della Diocesi, e di ciò ne è testimonio D. Rua; ma non tutti gli ecclesiastici, anche di molta pietà, videro bene questa misura. Alcuni Vescovi la disapprovavano quasi condannando il buon prete perchè si fosse piegato ad ingiuste pretenzioni del Governo. Ed essi non lasciavano che

il loro clero si presentasse a tali esami. In seguito però scorgendo le conseguenze che il loro avviso produceva a danno delle anime, si accorsero quanto egli avesse operato prudentemente nell'interesse della Chiesa. D. Bosco gli aveva esortati ad arrendersi a quella necessità, adducendo loro per ragione che senza di ciò tutte le scuole sarebbero sfuggite di mano al clero: e ben tosto imitarono il suo esempio. Don Bosco stesso avendo consigliato ai Superiori di vari Ordini religiosi di procurare ai loro Istituti professori laureati del proprio ordine, sulle prime si mostrarono sorpresi, ma più tardi convennero non potersi fare altrimenti. A questo modo D. Bosco fu cagione che molti sacerdoti e chierici, oltre i suoi, si abilitassero all'insegnamento classico inferiore e superiore.

Egli per tale impresa non risparmiò nè a fatiche, nè a spese, nè a dolori. Sono addirittura incredibili le difficoltà da lui sostenute, ma ad ogni ostacolo che incontrava egli si faceva più forte.

Con tutto ciò sul principio si accusava D. Bosco eziandio d'imprevidenza, perchè l'attendere a questi studi, non era senza pericolo per la gioventù ecclesiastica. Il professore Tommaso Vallauri diceva a D. Francesia: - D. Bosco fa sempre conto di mandare i suoi chierici all'Università? Ditegli da parte mia che qui regna un'aria pestilenziale.

Ma D. Bosco era sicuro che i principii cattolici avevano salde radici nel cuore de' suoi figli, e poi essi erano premuniti da' suoi continui avvisi. - Volete voi essere forti per combattere contro il demonio e le sue tentazioni? Amate la Chiesa, venerate il Sommo Pontefice, frequentate i Sacramenti, fate sovente la visita a Ges√π ne' suoi tabernacoli, siate molto divoti di Maria SS., offritele il vostro cuore, ed allora supererete tutte le battaglie e tutte le lusinghe del mondo. Quando si tratta di fare il bene, di respingere o di combattere gli errori, mettete la vostra confidenza in Ges√π e Maria, e allora sarete pronti a calpestare il rispetto umano e a subire anche il martirio.

E perciò nella sua prudenza illuminata lasciava ai suoi per massima e per testamento di continuare a provvedere le scuole, mediante l'abilitazione all'insegnamento, per mezzo dei relativi esami, dei chierici e dei preti.

Noi abbiamo adunque esposte le principali osservazioni che per anni parecchi si udirono ripetere in discredito di D. Bosco, e nello stesso tempo le difese della sua condotta. È vero che i suoi critici non potevano allora prevedere e ponderare i retti fini e le conseguenze delle azioni di Don Bosco; tuttavia non poteva da loro ignorarsi come egli fosse sempre fermo nel bene operare a vantaggio della gioventù e in modo eroico. Nel generale andamento delle sue opere avran trovato anche qualcuno di quei difetti inevitabili nelle cose umane, e che D. Bosco stesso lamentava e studiavasi di rimediarvi per quanto era possibile; ma non ottemperavano all'avviso dello Spirito Santo scritto nel libro de' Proverbi al capo quarto: “ Non tendere insidie al giusto e non cercare l'empietà nella casa di lui, e non isturbare la sua pace ”.

Questi signori invece non di rado scrivevano a Monsignor Fransoni rapporti contro D. Bosco e venuto a lui in Lione il Can. Nasi, l'Arcivescovo gli chiese: - Ma insomma, D. Bosco fa del bene o fa del male? - Il Canonico gli diede spiegazioni, quali poteva dargli un amico sincero dell'Oratorio, e l'Arcivescovo ne fu contento, e non tardò di presentarsi a lui l'opportunità per dar prova della sua soddisfazione.

Una commissione di tre ecclesiastici recatasi a fargli visita, dopo aver parlato di molti affari riguardanti la diocesi, finì con esporre varie accuse contro l'Oratorio. Fra le altre cose dicevano, che D. Bosco coi giovani studenti educati da lui, e cogli altri chierici, che abitavano nel suo Ospizio, intendeva fondare un Seminario a suo conto che provvedesse il personale al suo Istituto, il quale sarebbe riuscito a danno dei Seminarii diocesani e quindi a disdoro e vilipendio dei diritti Vescovili. Avrebbero voluto far tale pressione sull'animo del buon prelato da indurlo a scrivere una lettera colla quale fosse vietato a D. Bosco di persistere in tale disegno, anche insinuando la possibile chiusura dell'Ospizio di Valdocco. Monsignore, conoscendo l'animo di D. Bosco, dopo averli lasciati dire, esclamò: - Ho chieste informazioni precise da persona fidata: nulla mi venne riferito intorno a ciò, che voi asserite ed ho saputo che nell'Oratorio si fa un gran bene. Lasciate adunque che in Torino ci sia chi continui a fare questo bene alle anime, giacchè non posso farlo io.

- Qui faremo punto, riportando un giudizio del Teol. Can. Ballesio. “Mi sembra di poter affermare che i nemici ed avversarii di D. Bosco, del suo nome e delle sue opere furono, come sono, i nemici del bene. Del resto ricordo sempre d'aver veduto che tutte le persone amanti del bene, se potevano dissentire da lui in qualche punto accidentale, o trovavano qualche cosa da dire sulle opere sue, tutti convenivano con lui e l'approvavano nelle cose essenziali e d'importanza delle sue imprese. È accaduto, e specialmente nei primi tempi dell'Oratorio, che personaggi rispettabili del clero ebbero in sospetto il Servo di Dio e le sue intraprese ed anche gli si mostrarono avversarii; ma per quanto è a mia cognizione queste persone si ricredettero, quando vennero a conoscere il vero stato delle cose, e quasi sempre gli diventarono amiche ed anche benefattrici ”.

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