Capitolo 25

D. Bosco svela la seconda parte del sogno Le carni del serpe, l'avvelenamento di chi ne mangia, il rimedio che può richiamare in vita - La verità nella storia - Nostre ri flessioni sulla seconda parte del sogno - Fioretti per la novena della Natività di Maria SS.: non commettere peccati: dare un buon consiglio: correggere gli abiti cattivi e aver confidenza ne' superiori: confessione generale per chi non l'ha latta ancora: amiamo Gesù per essere amati dalla Madonna: compostezza in Chiesa: obbedienza - D. Bosco è invitato a predicare e a benedire un quadro del Sacro Cuore di Maria in Montemagno: per lettere chiede informazioni e suggerisce le previdenze necessarie - Predicazione a Montemagno del Can. Galletti e di D. Bosco - Lodi di D. Bosco alla santità e alla zelante parola del Canonico - Pubblico sacrilegi o in Torino - Discorso famigliare di D. Bosco: si vedranno giovani dell'Oratorio elevati all'onore degli altari: il mezzo più facile per farci santi: sua sollecitudine pel bene dell'ani ma de' giovani - Terza edizione della Storia d'Italia e la Civiltà Cattolica.

Capitolo 25

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

Esposte ai lettori di queste pagine le nostre povere idee intorno al significato della casetta di Morialdo e dell'albero della sua aia, riprendiamo il memoriale di D. Provera, che ci racconta altre circostanze del sogno ed altre parole di D. Bosco.

“ Il 21 agosto alla sera, recitate le comuni orazioni, eravamo tutti impazienti di sentire la seconda parte del sogno che D. Bosco aveva detta curiosa ed interessante per tutti: ma i nostri desideri non furono soddisfatti. D. Bosco salì sulla solita tribuna e disse: - Ieri sera vi annunziai che oggi vi avrei raccontata la seconda parte del sogno, ma mio malgrado non credo opportuno mantener la parola.

” A questo punto levossi da ogni parte un sussurro che indicava rincrescimento e scontentezza. D. Bosco lasciato alquanto sedare quel mormorio, ripigliò: - Che mai volete? Ci pensai iersera, ci pensai quest'oggi ed ho visto non essere cosa conveniente raccontare il restante del sogno; poichè esso contiene cose che io non vorrei che si sapessero fuori di casa. Contentatevi perciò di trarre profitto di quanto vi dissi della prima parte.

” Il domani 22 agosto, lo pregammo più volte a volerci raccontare se non in pubblico, almeno in privato quella parte di sogno che aveva taciuta. Non voleva accondiscendere. Dopo però molte suppliche si piegò e disse che alla sera avrebbe ancor parlato del sogno. Così fece. Dette le orazioni, incominciò:

          Dietro molte vostre istanze racconterò la seconda parte del sogno.

Se non tutta, almeno vi dirò quel tanto che potrò raccontarvi. Ma prima debbo premettere una condizione, cioè che nessuno scriva o dica fuori di casa quello che io racconterò. Parlatene tra di voi, ride­tene, fatene tutto quel che volete, ma fra di voi soli.

Mentre adunque io e quel personaggio parlavamo della corda, del serpente e dei loro significati, mi volgo indietro e vedo giovani che raccoglievano di quei pezzi di carne del serpente e mangiavano. Io allora gridai subito: - Ma che cosa fate? Pazzi che siete! Non sapete che quella carne è velenosa e vi farà molto male?

    - No, no, mi rispondevano i giovani: è tanto buona!

Ma intanto, mangiato che avevano, cadevano in terra, gonfiavano e restavano duri come pietra. Io non sapeva darmi pace, perchè non ostante quello spettacolo altri e altri giovani continuavano a mangiare. Io gridava all'uno, gridava all'altro; dava schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero: ma inutilmente. Qui uno cadeva, là un altro si metteva a mangiare. Allora chiamai i chierici in aiuto e dissi loro che si mettessero in mezzo ai giovani e si adoperassero in ogni modo perchè più nessuno mangiasse di quella carne. Il mio ordine non ottenne l'effetto desiderato, che anzi alcuni degli stessi chierici si misero a mangiare le carni del serpe e caddero egualmente che gli altri. Io era fuori di me stesso, allorchè vidi tutto intorno a me un gran numero di giovani distesi per terra in quello stato miserando.

Mi rivolsi allora A quello sconosciuto e gli dissi: - Ma che cosa vuol dire ciò? Questi giovani conoscono che - quella carne reca loro la morte, tuttavia la vogliono mangiare! E perchè?

Egli rispose: - Sai bene: che animalis homo non percipit ea quae Dei sunt.

 - Ma e ora non c'è più rimedio per riaver di nuovo questi giovani?

 - Sì che c'è

 - Quale sarebbe?

 - Non vi è altro che l'incudine ed il martello.

 - L'incudine? il martello? E che cosa fare di tali cose?

 - Bisogna sottoporre i giovani alle azioni di questi strumenti.

 - Come ? Debbo forse io metterli su di un incudine e poi batterli con un martello?

Allora l'altro spiegando il suo pensiero, disse: - Ecco; il martello significa la confessione; l'incudine la S. Comunione: bisogna fare uso di questi due mezzi. - Mi misi all'opera e trovai giovevolissimo questo rimedio, ma non per tutti. Moltissimi ritornavano in vita e guarivano, ma per alcuni il rimedio fu inutile. Questi sono coloro che non facevano buone confessioni.

” Come i giovani si furono ritirati nelle camerate, io chiesi privatamente a D. Bosco perchè il suo ordine ai chierici, di impedire ai giovani che mangiassero le carni del serpe, non avesse ottenuto l'effetto desiderato. Mi rispose: - Non fui obbedito da tutti: anzi vidi alcuni degli stessi chierici, come ho già detto, a mangiare quelle carni ”.

Questi sogni in buona sostanza rappresentano la realtà della vita e colle parole e fatti di D. Bosco manifestano lo stato intimo di una, di cento comunità, ove in mezzo a pre­ziosissime virtù si trovano non poche miserie. E non è da farne le meraviglie. Pur troppo che il vizio di sua natura si espande assai più che la virtù, quindi la necessità di una vigilanza continua.

Qualcuno potrebbe osservare che sarebbe stato conveniente attenuare od anche omettere qualche descrizione troppo disgustosa, ma non è tale il nostro parere. Se la storia deve effettivamente adempiere al suo nobile ufficio di maestra della vita, essa deve descrivere la vita passata quale fu realmente, acciocchè le future generazioni possano non solo trarre coraggio e fervore dalle virtù di quelli che li precedettero, ma al tempo stesso dai loro mancamenti ed errori imparino con quale prudenza debbano regolarsi. Una narrazione che rappresenti un lato solo della realtà storica  non può condurre che ad un falso concetto. Errori e difetti altre volte commessi, quando non siano conosciuti o non riconosciuti come tali, torneranno ad essere commessi, senza emendazione. Una malintesa apologia, non giova nulla ai benevoli e non converte i mal disposti, potendo sola una franchezza illimitata generare credito e fiducia.

Quindi noi per esporre tutto il nostro pensiero, diremo di vantaggio come D. Bosco avesse dato al sogno le spiegazioni più ovvie all'intelligenza de' giovani, ma che però altre ne lasciava travedere di non minore importanza. Non le svelò perchè forse in quel momento non li riguardavano. Infatti ne' sogni lo vediamo tratteggiare non solo il presente, ma anche l'avvenire lontano, come in quello della Ruota e in altri che verremo esponendo. Ma intanto le carni imputridite di quel mostro non potrebbero indicare scandalo che fa perdere la fede, lettura di libri immorali, irreligiosi? Che cosa indica la disobbedienza al Superiore, la caduta, la gonfiezza, la durezza come di pietra, se non colpa, superbia, ostinazione, malizia ?

È il veleno che in loro ha trasfuso quel cibo maledetto, quel dragone descritto da Giobbe nel Capo XLI, che asseriscono i Santi Padri essere figura di Lucifero. Il versicolo 15° dice così: Il cuore di lui è duro come la Pietra. E cosi diventa il cuore dei miseri avvelenati, ribelle e ostinato nel male. E quale sarà il rimedio a tale durezza? D. Bosco si esprime con un simbolo alquanto oscuro, ma che in sostanza indica un aiuto soprannaturale. A noi sembra che si possa spiegare così: Essere necessario che la grazia preveniente, ottenuta colla preghiera e coi sacrifizii de' buoni, accenda i cuori induriti e li renda malleabili; che i due sacramenti, cioè il martello dell'umiltà e l'incudine dell'eucaristia sulla quale il ferro riceve una forma costante, artistica per essere poi temperato, possano esercitare la loro efficacia divina; che il martello che batte, e l'incudine che sostiene, concorrano insieme a compiere l'opera che nel nostro caso è la riforma di un cuore ulcerato, ma divenuto docile. Ed è allora che questo, circondato come da un nimbo di splendenti scintille, ritorna ad essere quel che era una volta.

Espressa così la nostra idea, ripigliamo le cronache. Colla protezione di Maria SS., D. Bosco era sicuro nel sostenere e vincere gli urti del nemico infernale, e quindi preparava i suoi alunni alla festa della Natività della Madre di Dio. Il 29 agosto diede il primo fioretto e quindi altri cinque nelle sere successive. D. Bonetti li trascrisse.

I.° Tutti facciamo uno sforzo per passar questa novena senza commettere alcun peccato, nè mortale nè veniale.

2° Dare un buon consiglio ad un amico.

Egli la sera dopo lo diede pure a tutti in generale e disse che ci facessimo una generosa violenza per correggere i nostri cattivi abiti mentre siamo ancora giovani; e che avessimo coi superiori una grande confidenza, sia nelle cose dell'anima, sia anche nelle cose del corpo.

3.° Pensare se sia bene di fare una confessione generale, e ciò per quelli che non l'hanno ancor fatta; quelli che l'hanno già fatta procurino di recitare un atto di contrizione per tutti i peccati della vita passata.

4° Ci raccontò quello che disse una volta Don Cafasso ad un brentatore, il quale gli aveva domandato qual cosa piacesse più alla Madonna. Interrogò egli il brentatore: - Quale è la cosa che molto piace alle madri?

L'altro rispose: - Alle madri molto piace che si accarezzino i loro figli.

 - Bravo, riprese D. Cafasso; hai risposto bene. Se adunque vuoi fare una cosa molto gradevole alla Madonna, fa molte carezze al suo Divin figliuolo Gesù, prima col mezzo di una santa Comunione, quindi col tener lontano dal tuo cuore ogni sorta di peccato anche solo veniale. - Così disse D. Cafasso a quel tale e così io dico a voi tutti.

5° Domani nelle orazioni si faccia ogni possibile per non appoggiarsi o sulle calcagna, o sui banchi, o cercare qualche altra comodità, e questo sia detto specialmente per coloro che sono soliti fare altrimenti. Per tutti poi sia questo il fioretto; di parlare sempre italiano e di avvisarci di farlo se taluno non si ricorda.

6° Obbedienza perfetta e in tutto. Domani facciamoci nè anche avvisare per osservare le regole della casa, nè per adempiere ai proprii doveri. Se alcuno poi venisse in particolare comandato di fare qualche cosa, la faccia con tutto piacere e prontamente. Vi assicuro che questo sarà il più bel fioretto che possiamo presentare a questa nostra Madre celeste. Così facendo noi ci meriteremo il titolo di suoi figli ed ella come madre amorosa c'insegnerà il santo timore di Dio, come essa stessa per bocca della Chiesa ci promette: Fili, audite me; timorem Domini docebo vos.

 

Così parlava D. Bosco a' suoi figliuoli, dai quali doveva allontanarsi in que' giorni per andare a Montemagno ove nel giorno 8 settembre sarebbesi celebrata la festa del Sacro Cuore di Maria.

La Marchesa Fassati aveva provvisto un magnifico quadro dipinto dal Lorenzoni per l'altare della Madonna e disponeva di un reddito di 400 lire annuali da pagarsi al Pievano, per un prete da lui scelto che ogni sabato facesse per tempo una funzione a quell'altare. Questa doveva consistere nella celebrazione della S. Messa, nel canto delle litanie della B V. e nella benedizione col SS. Sacramento. Si era anche stabilito di erigere la confraternita del Sacro Cuore di Maria, e si desiderava un triduo di prediche a modo di esercizi spirituali in preparazione a questo grande atto.

La Marchesa fin dal principio di agosto aveva trattato della cosa con D. Bosco, il quale volentieri acconsentiva e rispondeva ad una lettera della Marchesina Azelia, che gli aveva scritto per ordine della madre:

 

Dillettissima in Ges√π e Maria,

 

È inteso col Can. Galletti che andiamo a Montemagno in onore di Maria. - Abbiamo soltanto bisogno di sapere.

I° Quando si comincia e quante prediche.

2° Se l'uso è di predicare italiano o piemontese.

La ringrazio molto delle belle notizie che mi dà; rincresce che io non possa scrivere molto. Le raccomando soltanto di essere la consolazione di Papà e di Mamma e l'esempio di Emanuele con una condotta veramente cristiana. Il nemico delle anime vorrà anche metterla alla prova; non tema, obbedisca, speri in Gesù Sacramentato ed in Maria Immacolata.

La benedizione del Signore sia sopra di Lei, sopra Papà e Maman e sopra il mio amicone Emanuele. Preghino anche per me che di tutti mi professo

Torino, 15 agosto 1862

 

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

E alla Marchesa spediva il seguente

 

Benemerita Sig. Marchesa,

 

Tutto come ha scritto. Abbia ancora la bontà di aggiungere alcuni schiarimenti.

Se partendo da qui alle 11 del 6 Settembre giungeremo ancora a tempo per la predica di quella sera.

Se per Domenica e Lunedì il Prevosto stima a proposito che si facciano tre prediche.

Se il Prevosto ama meglio che si predichi italiano o piemontese; per noi è cosa indifferente.

Il Sig. Prevosto abbia là bontà d'intendersi col Sig. Vicario Gen. per le opportune facoltà essendo noi di Diocesi diversa.

Il medesimo sig. Prevosto pensi ai confessori, giacchè in simili occasioni si penuria sempre di tempo e di sacerdoti per ascoltare le confessioni.

La Santa Vergine Immacolata ci conservi tutti suoi, e la grazia di nostro S. G. C. discenda copiosa sopra di Lei, sopra il sig. Marchese e sopra tutta la venerata di Lei famiglia, mentre con la pi√π viva gratitudine ho l'onore di professarmi di V. S. Benemerita,

Torino, 29 agosto 1862

              Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

Il Can. Eugenio Galletti e D. Bosco giunsero adunque a Montemagno nel giorno stabilito e incominciarono la loro predicazione, che fu, non è a dire, ricca di messe ubertosa, quale

poteva aspettarsi dalla parola di due santi sacerdoti. D. Porta Luigi ci raccontò che il Canonico Galletti sembrava un serafino parlando di Maria. Eziandio D. Bosco, affermò D. Rua, parlava poi con viva ammirazione della virtù, dell'austerità le dell'unzione delle prediche del Canonico; ed in guisa da parer egli ben lontano dalla perfezione di quel servo di Dio. Eppure anche le sue prediche erano ascoltate con entusiasmo dalla moltitudine che riempiva la Chiesa.

Ma nello stesso tempo che D. Bosco a Montemagno benediceva il quadro del Sacro Cuore di Maria, un orrendo misfatto funestava la città di Torino nel di 8 settembre. Tra grande folla di popolo incominciava a sfilare dalla Cattedrale la processione che, secondo il prescritto delle leggi dello Stato, si faceva ogni anno in questo giorno, per commemorare la liberazione di Torino dall'assedio dei Francesi nel 1706. Ad un tratto un uomo si slanciò sul trono ove era la statua di Maria SS. col bambino in braccio, che si doveva portare in processione. Trattasi di sotto all'abito un accetta, prese a menar colpi furiosi contro la statua di Maria Vergine di rame argentato e contro il bambino. La testa ed un braccio del bambino spiccati caddero. Il descrivere le grida, i pianti, la confusione, il tumulto che destossi nella vasta Chiesa è cosa impossibile. Un carabiniere accorso fece stramazzare con una sciabolata quel miserabile che continuava a menar colpi contro la Madonna. Grondante sangue, legato, difeso dalle guardie perchè il popolo si avventava contro di lui per farlo a pezzi, gridava: - Me lo hanno fatto fare; mi hanno pagato per fare questo colpo. Il ribaldo non era mai stato pazzo, ma avendo bisogno l'Autorità pubblica di velare le scelleraggini di un partito del quale aveva paura, tale lo fece dichiarare e lo mandò diritto al manicomio.

Un solenne triduo espiatorio di quella profanazione fu celebrato prima nella Cattedrale e poi nel Santuario della Consolata e a questo prese parte D. Bosco ritornato da Montemagno.

I giovani dell'Oratorio lo avevano atteso e D. Bosco non cercava altro che di averti attorno a sè. D. Bonetti nota nella sua cronaca - “ 13 settembre. A stare vicino a D. Bosco sempre si impara e dai suoi discorsi, anzi da una sola parola si ricevono grandi stimoli per correre sulla strada della virtù. Un giorno dopo pranzo ci eravamo a lui avvicinati attorniandolo, ansiosi di udire, qualche bell'ammaestramento. Il discorso venne a cadere sul modo di farei santi ed osservavamo come tutti i veri servi di Dio amassero e praticassero la penitenza, come faceva pure il nostro Savio Domenico.

” Dopo aver buona pezza di ciò parlato, recando l'esempio or dell'uno or dell'altro, D. Bosco venne a dire: - Quello che vi assicuro si è, che noi avremo dei giovani della - casa elevati agli onori degli altari. Se Savio Domenico continua così a fare miracoli, io non dubito punto, se sarò ancora in vita e possa promuovere la sua causa, che la Santa Chiesa ne permetta il culto almeno per l'Oratorio. - Oh giorno fortunato, si esclamò da tutti, quale festa non sarà mai per noi!

” Quindi D. Bosco fece questa domanda al Ch. Anfossi: Quale credi che sia il mezzo più facile a noi per farci santi?

” Gliene furono detti parecchi, ma egli dopo aver udito in silenzio senza interrompere, disse. - È  il seguente. Riconoscere la volontà di Dio in quella dei nostri Superiori in tutto ciò che ci comandano e in tutto quello che ci accade lungo la vita. Alcune volte ci pare proprio, proseguì egli, che le cose non debbano essere così. Allora è tempo di farci coraggio e dire a noi stessi; mi fu detto così, perciò andiamo avanti. Altre volte ci sentiamo oppressi da qualche calamità od angustia di corpo o di spirito: non ci perdiamo di coraggio, confortiamoci col dolce pensiero che tutto è ordinato da quel pietoso nostro Padre che è nei cieli e per nostro bene: a lui tutto offriamo, noi e le cose nostre. Questo è il mezzo più acconcio per arrivare con somma facilità alla più alta perfezione. Vi sarà per es. chi vuole fare penitenza, digiu­nare; il Superiore lo consiglia a ciò non fare: ebbene, ubbidiamo, chè cosi saremo sicuri di fare la volontà di Dio e saliremo un gradino sulla scala della santità.

” Una volta parlando egli del desiderio che aveva di salvare le anime de' suoi giovani, venne a dire: - Se io mettessi tanta sollecitudine pel bene dell'anima mia come ne metto pel bene delle anime altrui, potrei essere sicuro di salvarla. - Altra volta dicendo come desiderasse di possedere il cuore de' suoi giovani, soggiunse: - Tutto io darei per guadagnare il cuore dei giovani e così poterli regalare al Signore ”.

Intanto in quest'anno 1862 D. Bosco aveva fatta stampare la terza edizione della sua Storia d'Italia dalla Tipografia di Luigi Ferrando con una carta geografica della penisola: e la Civiltà Cattolica serie V, vol. III, pag. 474 così davane giudizio.

In un tempo come il nostro nel quale della menzogna storica si fà un manicaretto per avvelenare le menti giovanili, molto importa rendere note le opere che nell'educazione della gioventù possono servire d'antidoto alle predette corruttele. E che tale sia questo veramente egregio libro del chiarissimo D. Bosco non ci bisogna provarlo alla lunga. Altrove parlando di questa storia notammo i meriti particolari che in se contiene (I); e che sono di assai cresciuti nella nuova edizione che annunziamo.

Per lo scopo che l'autore si propone, che è d'insegnare la storia patria ai giovanetti Italiani con facilità, con brevità, con chiarezza, noi non esitiamo ad affermare che il libro nel suo genere non ha forse pari in Italia. È  composto con grande accuratezza e con una pienezza rara a trovarsi nei compendii.

Tutto il lavoro è diviso in quattro epoche, la prima delle quali incomincia dai primi abitatori della penisola; e l'ultima giunge fino alla guerra del 1859. Un breve studio di storia antica con un confronto dei nomi geografici dell'Italia vetusta coi nomi moderni, chiude il libro a maniera di appendice. Sotto la penna dell'ottimo D. Bosco la storia non si tramuta in pretesto di bandir idee di una politica subdola e principii di una ipocrita libertà, come pur troppo avviene di certi altri compilatori di Epiloghi, di Sommarii, di Compendii che corrono l'Italia e brulicano ancora per molte scuole godenti riputazione di buone. Alla veracità dei fatti, alla copia della materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell'ordine, l'autore accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime, vuoi morali, vuoi religiose, vuoi politiche. E questa è la qualità che ci sprona a raccomandare caldamente questo bel libro a quei padri di famiglia, a quei maestri, a quegli istitutori che desiderano di avere figliuoli e discepoli eruditi nella germana istoria patria, ma non dalla falsa storia patria attossicati.

Ecco di fatto come l'egregio autore rende ragione del modo da sè serbato nel compilare e scegliere ed ordinare questo suo prezioso ristretto. “ Attenendomi ai fatti certi e più fecondi di moralità, e di utili ammaestramenti, tralascio le cose incerte, le frivole congetture le troppo frequenti citazioni di autori, come pure le troppo elevate discussioni politiche, le quali tornano inutili e talora dannose alla gioventù. Posso non pertanto accertare il lettore che non scrissi un periodo senza confrontarlo coi più accreditati autori e, per quanto mi fu possibile, contemporanei o vicini al tempo cui si riferiscono gli avvenimenti. Nemmeno risparmiai fatica nel leggere i moderni scrittori delle cose d'Italia, ricavando da ciascuno quanto parve convenire al mio intento ”.

Convien pur dirlo, giacchè è per nostra sciagura troppo vero. Quella colluvie di scritti elementari e pedagogici, che ora allaga la nostra penisola, è per la massima parte appestata dagli errori moderni contro il Papato, contro la Chiesa, contro il Clero, contro l'autorità divina ed umana. La diabolica congiura dei figliuoli delle tenebre contro la Luce eterna opera indefessamente a guastare fino dal seme le tenere anime dei giovanetti. Quindi noi stimiamo di fare un atto d'amicizia suggerendo ai cattolici nostri lettoti un libro elementare, il quale nè procede da un congiurato contro la verità, nè ha le magagne che corrompono ai di nostri le menti inesperte.

In prova delle quali asserzioni, e come per saggio dello spirito sodamente cattolico, che anima tutto questo lavoro, porremo sotto l'occhio dei lettori, i sugosi e sapientissimi ammonimenti coi quali l'autore conchiude tutta la sua esposizione.

“ Noi pertanto porremo qui termine ai racconti sulla storia d'Italia, ma, per conclusione di quanto vi ho finora esposto, vorrei che v'imprimeste bene in mente alcuni ricordi da non mai dimenticarsi e che voi potete applicare a qualsiasi altra storia che siate per leggere.

Ricordatevi adunque che la storia è una terribile e grande maestra dell'uomo. Maestra terribile, perchè espone le azioni degli uomini tali quali sono state fatte, senza avere alcun riguardo alla dignità, grandezza e ricchezza di coloro a cui si riferiscono. Compiuta un'azione la storia è in diritto di esporla, approvarla o biasimarla secondo che merita. Perciò dobbiamo temer grandemente quello che altri saranno per dire intorno alle nostre azioni, e vivere in modo che gli uomini abbiano argomento di parlar bene di noi.

” La storia è eziandio una grande maestra per le cose che insegna. Essa insegna come in ogni tempo è stata amata la virtù e furono sempre venerati quelli che l'hanno praticata; al contrario fu sempre biasimato il vizio e furono disprezzati i viziosi. La qual cosa deve essere a noi di eccitamento a fuggire costantemente il vizio e praticare la virtù.

” Finalmente vi rimanga altamente radicato nell'animo il pensiero che la religione fu in ogni tempo riputata il sostegno dell'umana società e delle famiglie, e che dove non vi è religione, non vi è che immoralità e disordine; che perciò noi dobbiamo adoperarci per promuoverla, amarla e farla amare anche dai nostri simili e guardarci cautamente da quelli che non la onorano o la disprezzano.

” Gesù Cristo nostro Salvatore ha fondata la sua Chiesa e unicamente in questa Chiesa conservasi la vera religione. Questa religione è la Cattolica, unica vera, unica santa, fuori di cui niuno può salvarsi.

” Amiamo pertanto questa religione, dico di nuovo, e pratichiamola: amiamola colla fermezza nel credere, pratichiamola coll'adempimento, de' suoi precetti. E poichè avvi un solo Dio, una sola fede ed una sola religione, uniamoci anche noi in un solo vincolo di fede e di carità per aiutarci nei bisogni della presente vita; sicchè, l'uno dall'altro a vicenda confortati nel corpo e nello spirito, possiamo pervenire un giorno a regnare eternamente con Dio nella patria dei beati in cielo. ”

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