D. Virano si ritira dalla scuola di Castelnuovo - Gli succede D. Moglia - Scolaresca indisciplinata e tempo perduto - Pazienza di Giovanni - Impara la musica e il mestiere del sarto e del fabbroferraio - Sue industrie per le necessità della vita - L'albero della cuccagna.
del 10 ottobre 2006
Le cose di Giovanni prendevano così ottima piega, allorchè novello incidente lo venne a disturbare. D. Virano, suo professore, fu nominato parroco di Mondonio nella diocesi d'Asti; e però nell'aprile di quell'anno 1831 si ritirava dalla scuola per ordinare le cose sue, eseguire le incombenze che esigevano le leggi e apparecchiarsi il suo nuovo domicilio: nel 1832 poi andava al possesso della sua parrocchia. Castelnuovo quindi rimaneva senza maestro di latino. Fu incaricato di supplirlo D. Moglia, uomo caritatevole e pio, del quale in Castelnuovo si conserva tuttora venerata memoria, ma incapace di dominare cinque gruppi di giovani vivacissimi e diversi per età, istruzione e sviluppo d'intelligenza. Egli dovea contemporaneamente far scuola corrispondente alle nostre prima, seconda e terza ginnasiale, umanità e retorica. La mancanza di disciplina pertanto mandò quasi al vento quanto nei mesi precedenti Giovanni aveva imparato. Il nuovo maestro, testimonio della sua buona condotta, quantunque avesse udito parlarne con gran lode anche dai propri parenti alla cascina Moglia, e in fondo in fondo gli volesse bene, pure erasi fitto in capo che, essendo dei Becchi, non potesse essere che un asino, di buon conto se volete, ma sempre asino. L'età sua avanzata di quindici anni la supponeva causa d’inettitudine. Giovanni era classificato con quelli che facevano il primo corso ginnasiale. Un giorno il maestro dava il lavoro dei posti: Giovanni chiese per grazia che gli lasciasse fare il compito assegnato a quelli di terza ginnasiale. D. Moglia diede in una risata: - Che pretendi tu... tu dei Becchi? che cosa vuoi sieno capaci di fare que' dei Becchi? Lascia, lascia di studiare il latino... non ne capirai niente. Tu va per funghi, va per nidiate: ecco il tuo buono: ecco la tua abilità: in ciò riuscirai stupendamente... Ma tu studiare il latino è una stranezza! - Giovanni senza dar segno di essere offeso insistè: il maestro replicò caricando la dose; ma siccome Giovanni non cessava di chiedergli che facesse quella prova, finalmente gli disse di accomodarsi con quel còmpito che gli piacesse meglio, ma protestando che egli non leggerebbe le bestialità che riuscirebbe a mettere in carta.
Per gli allievi di terza ginnasiale fu dettato un tema latino da tradurre in italiano. Dopo breve ora Giovanni presentava la sua pagina al professore, il quale la prese, e senza guardarla, la pose sul tavolino, sorridendo in atto di compassione. Giovanni erasi fermato in piedi innanzi al maestro, e: - La prego, gli disse, osservi la mia pagina; ne corregga gli errori. - Ma non ti ho detto, rispose stizzito il maestro, che quei dei Becchi non sanno niente... che non hanno ingegno per queste cose elevate? - Allora alcuni della scolaresca si alzarono e dissero: - Sì, sì, legga, legga la pagina di Bosco: chè anche noi vogliamo sentire i belli spropositi che vi sono. - Il maestro, solito a cedere innanzi alla scolaresca, prese la pagina e le diede uno sguardo: la traduzione era esatta; ma D. Moglia, riponendola sul tavolino, esclamò: - L’ho detto io che Bosco è buono a niente!? l'ha copiata tutta per intero da qualche compagno... l'ha copiata certamente: è impossibile che questa sia opera sua. - Il vicino di posto a Giovanni, che era stato testimone del come aveva lavorato il suo compagno, senza ricorrere ad altri o a libri, s'alzò allora a prenderne le difese: - Signor professore, disse, lei afferma che Bosco ha copiata la traduzione; favorisca esaminare se fra le pagine degli scolari ve ne sia alcuna somigliante alla sua. - Era un'osservazione ragionevole, che avrebbe dovuto sciogliere ogni questione; ma il maestro sempre più ostinato rimproverò colui che l'avea fatta: - Ma che cosa vuoi sapere tu? Non hai inteso che que' dei Becchi sono buoni a nulla, a nulla affatto? - E non ci fu verso di persuaderlo, chè, accecato da pregiudizi, non curavasi punto di cercare la verità. Quel giovanetto però, che avea visto Giovanni a fare il còmpito, narrò ai compagni per filo e per segno come era andata la cosa; e tutti ammirando non solo l'ingegno suo, ma ancor di più l'umiltà onde avea sopportate le ignominiose parole, concepirono per lui grandissima stima ed affetto. Questo fatto contribuì molto ad accrescere la sua influenza in mezzo a quei giovanetti, i quali l'ammiravano pure pel suo edificante contegno. Egli infatti fin d'allora procedeva tanto composto in tutta la persona e negli atti, così quando era solo come allorchè trovavasi in mezzo ai compagni, da essere un modello di cristiana dignità. Aborriva da ogni scherzo villano, da ogni giuoco che portasse a mettere le mani addosso agli altri, e da ogni specie di famigliarità sconveniente a persona bene educata. Era specialmente avversissimo al giuoco della cavallina; ricusavasi sempre di prendervi parte e biasimava coloro che prima e dopo scuola in simile guisa si trastullavano.
Sotto la guida di un tal maestro si può immaginare quali avanzamenti abbia potuto fare Giovanni negli studi dall'aprile fino al fine dell'anno. Saremmo tentati di chiamarla desolante fatalità: eppure era sempre la divina Provvidenza che dirigeva gli avvenimenti per formare il suo servo alla propria vocazione.
Giovanni Roberto era allora capo-cantore della parrocchia, ed il giovanetto Bosco fin dal principio dell'anno, essendo fornito di buona voce, da lui guidato davasi con tutto amore all'arte musicale. Non solo imparò il canto fermo, ma in pochi mesi potè salire sull'orchestra ed eseguire parti obbligate in musica con felice successo. Nello stesso tempo incominciò ad esercitarsi nel suono del violino e a tentar sue prove sopra un vecchio cembalo o spinetta per poter accompagnare qualche volta sull'organo. Nel 1831, oltre le grandi solennità dell'anno, straordinari avvenimenti radunavano i fedeli in parrocchia, e davano occasione ai cantori di alternare le loro armonie ora liete ed ora tristi. Il 2 febbraio veniva eletto il nuovo Papa Gregorio XVI: il 27 di aprile moriva il Re Carlo Felice, ultimo sovrano della linea primogenita di Casa Savoia e a lui succedeva sul trono Carlo Alberto, capo della Casa Savoia - Carignano, il quale apriva in Torino la chiesa della Gran Madre di Dio incominciata nel 1818: ed al 6 agosto rendeva la sua anima al Creatore l'Arcivescovo Mons. Chiaverotti.
Questi esercizi di musica furono per Giovanni di vantaggio incalcolabile. Il buon Roberto era entusiasmato dei suo allievo e senza saperlo cooperava colle sue lezioni ai disegni di Dio. La sua casa era l'unica scuola, nella quale il caro giovine avrebbe potuto imparare con sufficiente perfezione il canto: in qualunque altro luogo la madre lo avesse messo, e specialmente se lo avesse mandato fin da quell'anno a Chieri, con tutta probabilità sarebbe rimasto privo di così preziosa istruzione. Ed era necessario che si sviluppasse in lui l'amore e la cognizione di quest'arte, che doveva essere la vita dell'istituzione che la Provvidenza voleva per suo mezzo fondare. La lode perenne che si sarebbe innalzata da un capo all'altro del mondo al trono dell'Altissimo è la espressione della continua allegrezza che deve regnare nei cuori de' figliuoli di Dio. Quanti giovinetti ebbero ad esclamare rivolti al Signore: “Esulteranno le mie labbra e l'anima mia da Te redenta, quando io canterò le tue lodi”.
Ma lo studio ed il canto non bastarono ad esaurire la attività di Giovanni, il quale, desiderando di occupare la ricreazione in qualche utile cosa, si pose ad imparare il mestiere del sarto. In brevissimo tempo divenne capace di mettere i bottoni, fare gli orli, le cuciture semplici e doppie; poi apprese a tagliare le mutande, i corpetti, i calzoni, i farsetti, talchè raccontava poi scherzando a' suoi amici dell'Oratorio: - Mi pareva di essere divenuto un valente capo-sarto. - Ciò che aveva incominciato per ricreazione, dovette continuare in quell'anno per necessità, onde mantenersi aiutando il padrone nel mestiere: la divisione dei beni di famiglia, le esigenze di Antonio impedivano alla madre di provvederlo dei mezzi necessari per pagarsi la pensione. Questo mestiere poi gli giovò moltissimo più tardi quando, fondato l'Oratorio, dovette per lungo tempo esercitarlo a favore de' suoi giovanetti. Il padrone vedendolo così progredire nel suo mestiere, gli fece delle proposte assai vantaggiose, affinchè si fermasse definitivamente a lavorare con lui. Ma diverse erano le vedute di Giovanni: egli desiderava di avanzarsi negli studi, e di tante cose si occupava unicamente per evitare l'ozio ed avere i mezzi di raggiungere lo scopo suo.
Tra questa varietà di cose eravi eziandio il mestier del fabbro ferraio, in cui si esercitava allorchè la scuola non riuscivagli più profittevole. Egli frequentando la bottega di un certo Evasio Savio, eccellente cristiano, apprese il modo di lavorare alla forgia, colla mazza e la lima. Fino osservatore qual era, nulla sfuggivagli delle costumanze ora di questa, e più tardi di altre officine, e colle sue giudiziose e replicate interrogazioni veniva a possedere una sufficiente teoria intorno al nuovo mestiere che aveva preso a considerare.
E qui io chiedo a me stesso: Chi ha posto nel cuore di un contadinello una propensione così dichiarata a varii mestieri? Chi soavemente lo mette in tali circostanze, che l'occuparsene diventi talora per lui una necessità? Senza dubbio quegli stesso che, destinandolo a capo degli Oratori festivi e delle Colonie agricole, lo voleva eziandio fondatore di Ospizi per artigianelli. E però in lui va accumulando tali virtù, che il giovanetto del popolo, l'orfano lavoratore della terra e l'artigianello in lui abbia a trovare un uomo, che alla loro propria condizione appartenne, che intimamente ne conosca i bisogni, le aspirazioni, le abitudini e che si faccia tutto a tutti. Inoltre egli dovrà pensare a mantenere questi giovani innumerevoli, senza alcun reddito fisso, affidato unicamente giorno per giorno nella divina Provvidenza. Se al Venerabile Cottolengo, come pure ad altri Santi, Iddio conduceva i benefattori, perchè gli versassero nelle mani le proprie elemosine, pare volesse che il nostro Giovanni andasse lui stesso in suo nome a chiedere la carità ai fedeli a costo di qualunque
sacrifizio ed umiliazione. Per questo l'aveva fornito di un'anima intraprendente, attivissima, energica, ricca di espedienti per giungere al suo scopo, calma per rimuovere le difficoltà, costante e prudente nel scegliere i mezzi opportuni, affettuosa nel vincere i cuori, imperterrita nel non avere riguardi umani. Questa fu la sua palestra fin da fanciullo. Ai Becchi infatti avea usato mille industrie a fine di procurarsi i soldi necessari per attirare co' suoi giuochi la gente; ed ora ei deve, finchè non sia chierico, provvedere a se stesso quanto gli è di bisogno alla vita. Un grazioso aneddoto accadutogli in questo tempo ci dimostra fino a qual punto fin d'allora egli si rendesse industrioso nel procurarsi il necessario per continuare gli studi. Ci venne raccontato da testimoni oculari del fatto.
Nel paese di Montafia si celebrava una gran festa e in mezzo alla piazza era piantato l'albero della cuccagna. Si ergeva altissimo e in cima aveva un cerchio, cui erano appesi varii oggetti di premio. Una folla immensa assisteva allo spettacolo. I giovanotti del paese gli uni dopo gli altri avvicinavansi all'albero e, data un'occhiata a quell'altezza, ne tentavano la salita per impadronirsi del premio. Chi giungeva a un terzo dell'albero e chi a metà, ma poi sdrucciolando ritornavano a terra. Le grida del popolo, che animava i più coraggiosi che sembravano in lena di salir molto alti, o i battimani e i fischi ai più deboli che non potevano reggersi su quel tronco liscio ed unto, andavano alle stelle. Giovanni osservava come quei giovanotti incominciassero tutti con rapidità ed affanno senza prender fiato e che, arrivati a un certo punto, più non potevano continuare, in giù trascinati dallo stesso peso del corpo. Egli quindi volle far sua prova un po' diversamente. Si presentò risoluto, ma con calma, in mezzo allo spazio lasciato vuoto dalla folla, ed incominciò ad arrampicarsi lentamente, di quando in quando incrociando le gambe che abbracciavano l'albero e sedendosi sulle calcagna per riposare. Il popolo, che sulle prime non intendeva il perchè di quella manovra, rideva a più non posso, aspettandosi da un momento all'altro di veder lui pure a scivolare, come aveano fatto quelli che aveanlo preceduto; ma guadagnando egli sempre più di altezza, si fece un silenzio generale. Quando Giovanni fu vicino alla punta dell'albero, che dondolava spaventosamente per essere colassù molto sottile, frenetici applausi si levarono da tutte parti al piccolo vincitore. Ed egli, stesa la mano, prese la borsa con venti lire, un salsicciotto ed un fazzoletto, se li pose in seno, e lasciando gli oggetti di minor importanza perchè si potesse continuar il giuoco, rapidamente discese, e col suo bottino si confuse tra la folla tripudiante per la riportata vittoria e disparve.
Nè questa fu la sola volta che Giovanni riuscì a guadagnare simili premii, i quali gli tornavano utilissimi per mantenerlo nella sua condizione di povero studente.
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