Capitolo 26

Pratiche per il seppellimento e onoranze funebri.

Capitolo 26

da Memorie Biografiche

del 11 dicembre 2006

Non fu impresa delle più facili l'ottenere che Don Bosco avesse una degna sepoltura. Non solo a' suoi figli, ma a' suoi ammiratori ripugnava assolutamente il pensiero               di vederne le spoglie abbandonate nel cimitero comune. I Superiori, come dicevamo, speravano di tumularle sotto la chiesa di Maria Ausiliatrice; fallendo tale disegno, volevano trasportarle a Valsalice. Le pratiche di legge, cominciate presso la regia Prefettura di Torino, proseguirono a Roma presso il Ministero degl'Interni. Si profilarono subito gravi difficoltà per il primo disegno; onde si ricorse al Re, alla Regina, alla Duchessa della Somaglia, all'onorevole Bon­ghi, al Correnti. Buone promesse vennero da ogni parte, e l'interessamento in realtà vi fu; se non che il Crispi, presidente del Consiglio, ne dissuase Sua Maestà, allegando il pericolo che altri ne profittasse per dimostrazioni clericali. A quei tempi i così detti clericali, pubblicamente disprezzati, in fondo in fon­do mettevano paura al Governo anche solo con la loro ombra.

  Tuttavia i Superiori non si perdettero di coraggio; anzi Don Sala ebbe una felice idea. Si presentò al Prefetto e al Sindaco della città e dichiarò a entrambi che, piuttostochè portare la salma di Don Bosco al cimitero comune, avrebbe preso le opportune disposizioni per mandarla a Parigi o a Barcellona, dove certamente sarebbe stata accolta come un tesoro. La minaccia produsse un certo effetto; poichè si comprese benissimo quale disdoro ne sarebbe derivato alle autorità torinesi e qual disgusto universale si sarebbe sollevato, se la cosa si fosse eseguita.

   - Ma perchè, domandava il Prefetto, tutta questa difficoltà a seppellire Don Bosco nel cimitero comune?

   - Perchè, rispose Don Sala, Don Bosco manifestò il desiderio di stare con i suoi figli dopo morte, e io non permetterò mai a qualsiasi costo che egli vada al camposanto.

   - Pensi bene che per mandare il feretro fuori d'Italia ci vorranno pratiche abbastanza lunghe.

 - In quanto a questo le autorità di qui non potranno negarmi quello che non si nega a qualunque cittadino, il quale domandi simile permesso. A Barcellona poi basterà un nostro telegramma per avere subitamente una risposta affermativa.

 - Il Municipio potrebbe concedere un posto distinto...

   - Il Municipio ha trattato male quando io chiesi un posto per Don Bosco e per i suoi figli nel camposanto.

  Qui Don Sala narrò al Prefetto come il Municipio avesse risposto sempre negativamente alla preghiera di poter pagare a rate la somma di diciannove mila lire richieste per l'acquisto di un'area nel cimitero e come infine per conclusione avesse scritto all'Oratorio una lettera insolente. Il Prefetto ignorava che fra il Municipio e i Salesiani esistessero anche quei motivi di dissenso. Sul momento dunque si sospese ogni decisione, essendo vietato ai Prefetti del regno fare raccomandazioni al Ministero per seppellimenti in città.

  Contemporaneamente si agiva a Roma. Il procuratore Don Cagliero e con lui Don Notario chiesero udienza al Crispi. Gli annunziarono anzitutto la morte di Don Bosco. Il Ministro fu cortesissimo e rispose: - Conobbi Don Bosco prima di loro. Ricordo il bene che mi fece quand'ero a Torino emigrato. - Con quel tatto che lo distingueva, Don Cagliero prese dalle sue stesse parole la mossa a pregarlo che volesse permettere la tumulazione di Don Bosco nei sotterranei della chiesa di Maria Ausiliatrice; ma il Ministro mise in mezzo l'ostacolo delle leggi.

   - Appunto per questo, replicò il Procuratore, noi ci presentiamo a Vostra Eccellenza, affinchè abbia la bontà di accordare un'eccezione a favore di Don Bosco.

   - È un'eccezione che farebbe gridare troppo... Si creerebbe un pericoloso precedente... Non potrebbero seppellirlo in qualcuno dei loro collegi? Questo sarebbe facile a ottenersi e così Don Bosco resterebbe in mezzo a loro. Del resto, parlino col mio segretario Pagliano; ogni cosa si potrà accomodare. Vedano se egli è ancora in ufficio. Forse sarà andato a pranzo. Facciano la prova.

  Quando videro Pagliano, s'accorsero che il Ministro aveva già parlato con lui. Furono trattati con ogni riguardo. Egli lesse loro gli articoli della legge sanitaria che proibivano i seppellimenti in città. Per fare un'eccezione occorreva una legge del Parlamento, e a quei lumi di luna chi sa quale putiferio sarebbe successo alla Camera!... Domandò quindi anche lui se non avessero qualche collegio nelle vicinanze di Torino. Udito di Valsalice: - Bene, ripigliò, facciano la tumulazione in quel collegio. Avranno così due vantaggi: il loro desiderio di ritenersi Don Bosco sarà soddisfatto e noi saremo al riparo dalle pubbliche dicerie, risparmiandoci anche il rincrescimento di dover dare una negativa.,

  Ritornati da Crispi, questi approvò il partito; ma egli pure, come già il Correnti, raccomandò che i funerali non assumessero il carattere di una dimostrazione clericale. Ciò detto, si profuse in elogi alla memoria del defunto. Anzi la Lega Lombarda di Milano pubblicò una lettera di “ un illustre Cooperatore Salesiano ”, il quale asseriva di sapere aver anche detto il Crispi che nel 1852 D. Bosco lo accoglieva sovente alla sua mensa e che da Don Bosco egli si era pure confessato, riportandone l'impressione che il suo spirito era veramente quello del Vangelo. La notizia fece in quei giorni il giro di parecchi giornali senza che venisse mai smentita.

Era ospite al Sacro Cuore monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, uno dei più sinceri, costanti e generosi amici di Don Bosco. Egli aspettava con ansia il ritorno dei due Salesiani per conoscere l'esito del colloquio. Magnifica idea! esclamò quando li intese. Il collegio di Valsalice è il vero luogo per la sepoltura di Don Bosco. Egli riposerà in mezzo ai giovani chierici e infonderà loro il suo spirito. Andando a Torino, persuadano i Superiori ad accettare questa idea. Dirò anzi che, quando pure venisse il permesso di seppellirlo nell'Oratorio, non se ne valgano. A Valsalice è il posto. - Don Notario partì immediatamente per Torino, latore di questo progetto.

  Prevedendosi che lo svolgersi di dette pratiche avrebbe obbligato a chiedere per il seppellimento una dilazione oltre il termine consentito dalla legge, conveniva levar di mezzo ogni pretesto a un rifiuto, come sarebbero state eventuali emanazioni del cadavere. Perciò i dottori Bestenti e Albertotti nella chiesa di Maria Ausiliatrice, prima che si chiudesse la cassa mortuaria, vi versarono sublimato corrosivo negli angoli e sull'imbottitura laterale; mercè tale provvedimento si poteva far fede che il cadavere non avrebbe esalato cattivi odori neppure se si fosse conservato un mese sopra terra. Nell'eseguire questa operazione il Bestenti diede una prova straordinaria del suo affetto per Don Bosco. Poichè il tempo stringeva e mancava una mestola, egli, fatta la miscela di sublimato e di acqua in un secchio, impregnò del liquido l'interno della cassa mediante una spugna, che inzuppava e spremeva con le stesse sue mani. Don Durando lo avvertì che si sarebbe bruciata la pelle; ma l'altro rispose che, com'essi avevano fatto la parte loro, così lasciassero fare a lui la sua: essere ben contento di rendere quell'ultimo servizio di buon figliuolo al padre. Ne riportò difatti un malessere, che lo costrinse al letto per dieci giorni, tanto le mani gli erano rimaste malconce fino a produrgli febbre.

Ormai tutto era pronto per il trasporto funebre. Verso le ore quindici del 2 febbraio Torino alla periferia appariva quasi deserta; formicolavano invece di gente le vie della re­gione di Valdocco, per le quali si sapeva dai giornali dover passare il corteo. A memoria d'uomo non si ricordava un sì grande concorso di popolo per assistere alla sepoltura di un semplice prete. Si fece ascendere comunemente a duecen­tomila le persone venute a onorare anche solo con la presenza Don Bosco; ma chi vide e rammenta, non trova punto esa­gerata quella cifra. Don Bosco in una sua memoria raccomandava per sè la modestia dei funerali, e voleva che sol­tanto i suoi figli ne seguissero la bara; ma come impedire la partecipazione a tanti, trasportati là imperiosamente dalla riconoscenza, dall'affetto e dalla venerazione?

  Il corteo, uscendo dalla chiesa di Maria Ausiliatrice, infilava a destra la via Cottolengo, entrava nel corso Principe Oddone, volgeva sul corso Regina Margherita, percorrendolo fino a via Ariosto, per la quale rientrava nell'altro tratto di via Cottolengo, facendo ritorno alla chiesa . Il feretro veniva portato a spalle da otto sacerdoti salesiani. Al suo passaggio tutti si scoprivano, molti s'inginocchiavano; frequente si udiva l'esclamazione: Era un santo. Dietro la salma fra Don Durando e Don Sala incedeva Don Rua a capo chino, tutto raccolto nel suo immenso dolore; lo seguivano gli altri membri del Capitolo Superiore. Ad essi quindi teneva dietro una moltitudine innumerevole di ecclesiastici e laici, quali per rendere individualmente onore all'estinto, quali per rappresentare anche enti o personaggi cittadini. Non mancarono rappresentanze estere. Fiancheggiavano tutto questo grande seguito due lunghe file di domestici in livrea recanti le armi delle case patrizie torinesi, preceduti dai valletti del Municipio.

  Mentre la testa del corteo, formata da doppio stuolo di figlie di Maria, risaliva la gradinata del santuario, l'estremità opposta percorreva ancora il corso Principe Oddone. Erano le ore diciotto. La piazza e i due tratti di via Cottolengo, fin dove si poteva spingere lo sguardo, rigurgitavano di popolo. Orbene una massa così compatta di gente aveva un atteggiamento quale suole tenersi nei momenti più solenni delle sacre funzioni. Il Delegato di pubblica sicurezza al vedere quell'immensa folla disse passando accanto a Don Berto: - Che potrebbero mai fare tutte le nostre guardie con una moltitudine così sterminata, se non fosse trattenuta dal rispetto e dalla venerazione verso l'estinto?

  Soltanto la parte della strada dinanzi al centro della cancellata era mantenuta sgombra. I giovani dell'Oratorio si addensarono nel recinto del sacrato. Nella chiesa entrarono solo le figlie di Maria e il numerosissimo clero. Appena il feretro si volse verso l'ingresso, la banda dell'Oratorio intonò una marcia funebre; le campane riempivano l'aria dei loro lenti rintocchi. Un fascio luminoso di mille ceri, erompendo dall'aperto portone, lo accolse e lo introdusse in un mare di luce. Dei tre Vescovi che lo precedevano, due, monsignor Leto e monsignor Cagliero, si avanzarono con i rispettivi sacerdoti assistenti nel presbiterio, collocandosi uno in cornu epistolae e l'altro in cornu evangelii dell'altare maggiore, mentre il terzo, monsignor Bertagna, fermo sui gradini della balaustra, attendeva che il feretro gli fosse posato dinanzi . Le rappresentanze presero posto in fondo. In mezzo al più religioso silenzio il Vescovo di Cafarnao diede la rituale assoluzione.

         Il trasporto era riuscito così solenne e imponente, che lo si diceva non una funzione funebre, ma un trionfo, un'apoteosi. “ Nulla, depose Don Rua , vi fu di artificioso per promuovere tale concorso; si mandò appena, per il po' di tempo che si potè avere, la lettera mortuaria ai Cooperatori più vicini, e tutti i giornali, senza esserne incaricati, diedero l'annunzio della morte ”. In verità, per quanto si sapesse che Don Bosco era in Torino molto amato, nessuno dell'Oratorio si sarebbe potuto attendere dalla cittadinanza un concorso così mirabile per numero, per contegno e senza distinzione di classe. Il signor Jules Auffray, redattore capo della Défense di Parigi, disse allora che due cose l'avevano maggiormente colpito in Italia, il giubileo papale a Roma e il funerale di Don Bosco a Torino; aver anzi in qualche cosa trovato più sorprendente il funerale di Don Bosco. 1’Unità Cattolica del 3 febbraio potè scrivere senza ombra d'iperbole: “ Il trasporto funebre di Don Bosco non è stato inferiore a quello d'un Sovrano ”.

  Impartita che fu l'assoluzione alla salma e dato adito al pubblico, accadde uno spettacolo nuovo. Il popolo si precipitò sul feretro per toccarlo, per baciarlo, per portar via qualche minuscola parte di quanto vi stava deposto sopra. Le corone di fiori andarono in mille pezzi. Così sarebbe toccato al drappo funebre, alle insegne sacerdotali e alla cassa, se un buon nucleo di guardie civiche non avesse repressa e arrestata l'onda minacciosa.

          Dopochè la moltitudine sfollò e le porte vennero chiuse, i Salesiani con piccolo accompagnamento riportarono la bara nella chiesa di S. Francesco, dove la nascosero nell'attesa che fossero condotte a termine le pratiche per il suo definitivo collocamento.

  Di mano in mano che gli abitatori dell'Oratorio rimettevano piede in casa e levavano istintivamente lo sguardo alle camere di Don Bosco, provavano per la prima volta la sensazione del grande vuoto prodotto in mezzo a loro dalla scomparsa dell'angelo tutelare del luogo. Ma ecco un fatto che ha del prodigio. Allorchè tutta la comunità fu riunita, una pace, una serenità, una misteriosa gioia sembrò aleggiare in ogni angolo e in ogni cuore. Quelli che poc'anzi avevano pianto, si sentivano così tranquilli, come nei giorni belli, in cui Don Bosco viveva tra i suoi figli. In realtà Don Bosco era vivo e non lontano; egli era che diffondeva tanta quiete all'intorno.

  Quasi a coronare la tranquillità dell'Oratorio, più che a porgere conforto nel duolo, giunse una lettera del cardinale Rampolla, per la quale lo stesso Leone XIII aveva voluto dettare le più significative espressioni.

 

                                       Ill.mo Signore,

 

La perdita del Sacerdote Don Giovanni Bosco, che godeva la stima, l'affetto e l'ammirazione universale per le Opere di cristiana carità da lui fondate, per lo zelo onde erasi studiato mai sempre di promuovere il bene delle anime, e per quanto aveva egli fatto perchè il nome santissimo di Dio risuonasse e fosse venerato in ogni più remoto angolo della terra, la perdita di quest'Apostolo forma un vuoto, di cui si duole la Chiesa, e con essa debbono meritamente dolersene i suoi figli, che lo ebbero Padre affettuosissimo ed esempio di ogni più bella virtù.

  E posso io dire che, sull'animo della Santità di Nostro Signore, il tristissimo caso ha prodotto una impressione tanto più dolorosa, quanto maggiori erano la benvolenza, che portava al benemerito sacerdote, e il pregio, nel quale ha sempre avuto le molte sue Opere, feconde di santi e salutari frutti. E, rivolgendosi alla misericordia e bontà divina, la prega di dame alla di lui anima benedetta largo premio nella celeste gloria.

  A tutta poi la Società Salesiana impartiva di cuore l'apostolica benedizione, tenendo per fermo che le sarà di sollievo nell'afflizione, da cui è oppressa, e di stimolo a proseguire nella santa impresa che ha dessa ereditato dal defunto e che formò oggetto delle sue instancabili cure durante i lunghi anni della mortale carriera.

  Associandomi poi ai sentimenti di animo del Santo Padre, auguro a lei ogni bene, e me le dichiaro, con sensi di stima,

Di V. S. Ill.ma

 

     Roma, 2 febbraio 1888.

 

   Aff.mo per servirla

M. Card. RAMPOLLA.

 

 Un tratto singolare della Provvidenza pose termine a quella indimenticabile giornata. Il dottor Bestenti, mentre prendeva parte con i colleghi all'accompagnamento, era perseguitato da un pensiero molesto. Il Municipio non avrebbe mosso opposizione al seppellimento di Don Bosco nel collegio di Valsalice? A un certo punto abbandonò il corteo, si diresse al palazzo di città ed ecco ivi una lettera d'ufficio che stava per essere mandata alla regia Prefettura. Chiesto di che si trattasse, gli venne risposto che riguardava il seppellimento di Don Bosco a Valsalice. I medici dell'Ufficio d'igiene avevano dato voto contrario. Il Bestenti, membro dello stesso Ufficio, ferma la lettera, raduna i tre suoi colleghi, protesta contro una deliberazione presa in sua assenza e tanto dice e tanto fa che quella prima votazione è annullata e si procede a un'altra favorevole.

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