La salma di Don Bosco a Valsalice.
del 11 dicembre 2006
Non ogni speranza era svanita di tumulare Don Bosco nell'Oratorio. Nell'aristocrazia torinese circolava una petizione al Re per chiedere questo favore. La santa principessa Clotilde aveva già raccomandato la cosa a Umberto, suo fratello. Un telegramma delle ore venti da Roma lasciava ancora un barlume di fiducia. Persone influenti si venivano tuttora ufficiando nella capitale e a Torino. Il cardinale Alimonda e il principe Eugenio di Savoia Carignano se ne interessavano. Si tentò di far valere il precedente del padre Ludovico da Casoria. Ciò nonostante il Capitolo Superiore risolse di affrettare i preparativi a Valsalice. Il Municipio aveva concesso due giorni di tolleranza per l'interramento; ma questi sarebbero finiti presto, cioè la sera, del 4, e allora, mancando il decreto per la chiesa di Maria Ausiliatrice nè essendo preparato a Valsalice il sito, il Sindaco, obbligato dal regolamento d'igiene, avrebbe mandato a prendere il feretro per farlo portare al cimitero comune. Non c'era dunque tempo da perdere.
     Intanto la curiosità pungeva molti di sapere dove si sarebbe portato a seppellire Don Bosco; ma dall'Oratorio nulla si riusciva a sapere. C'era stata da parte della Piccola Casa l'offerta della tomba provvisoria del celebre padre Verri nel camposanto, e si lasciò correre quella voce, che serviva a coprire le vere intenzioni; perchè, se si fossero svelate queste, certi giornali per aizzarvi contro la così detta opinione pubblica avrebbero levato clamori contro il privilegio. Ma silenziosamente a Valsalice si lavorava dì e notte per allestire la tomba. E fu savio consiglio; poichè, se fossero svanite le ultime speranze circa la chiesa di Maria Ausiliatrice, l'urgenza di dare sepoltura al cadavere avrebbe richiesto che a Valsalice tutto fosse subito all'ordine: altrimenti non si sarebbe potuto scongiurare il deprecato invio al cimitero comune.
     E realmente quelle speranze erano destinate a svanire, perchè il Crispi non avrebbe mai receduto dal suo diniego, come si seppe dopo da una sua lettera all'onorevole Bonghi, comunicata ai Superiori di Torino. Il Ministro, dovendo rendere conto all'influente deputato del suo rifiuto, gli scriveva: “ Mi sono occupato in persona della domanda rivoltami tempo fa dai Sacerdoti del defunto Don Bosco e che tu mi raccomandi colla tua lettera, per tumularne la salma nel terreno del suo Istituto in Torino. Sarebbe stato mio desiderio il poterla secondare, in considerazione della spiccata individualità cui la salma appartenne. Ma la tumulazione nel recinto di una città è affatto contraria alle disposizioni del Regolamento sanitario in vigore, ed una eccezione, che in questo caso può parerti ragionevole, aprirebbe l'adito ad una violazione continua del Regolamento. Tale violazione non fu fino ad ora permessa mai da questo Ministero ed io ho stretto dovere d'impedirla. È per questa ragione che con mio dispiacere debbo anche a te rispondere in proposito negativamente ”. Fin dal 3 febbraio cominciò la canea dei giornali settari, i quali, avendo avuto sentore delle trattative in corso e volendole attraversare, insinuarono maliziosamente essersi dal Crispi rifiutato il permesso per aver egli saputo che si trattava di “ mene clericali ”.
     Per la sepoltura a Valsalice bastava l'autorizzazione del Prefetto, presso il quale, mentre si brigava a Roma, non furono sospesi i colloqui. Il Prefetto, conte Lovera di Maria, preso dalla solita paura dei giornali, non finiva di tergiversare. Finalmente all'ingegnere Vigna, che faceva da intermediario per l'Oratorio, disse esitante che non firmava il decreto, se prima egli non andasse a misurare le distanze fra il luogo della tomba e le circostanti villeggiature. A dir vero, fuori di cinta il Regolamento non prescriveva distanze; tuttavia l'ingegnere, stucco e ristucco di quei tentennamenti, uscì, noleggiò una vettura, si fece condurre a Valsalice, calcolò a occhio e croce le distanze e tornò con la risposta.
     Alla sera, del 4 febbraio scadeva, come dicevamo, il tempo, in cui era permesso tenere la salma entro il recinto urbano; si aspettava quindi con crescente ansietà quel benedetto decreto. Don Sala specialmente era in orgasmo e si sentiva venire la febbre. A nessun costo, neppure in deposito, egli avrebbe lasciato il corpo di Don Bosco nel cimitero comune. Erasi stabilito di occultarlo nella sua camera, che, essendo in alto e in un angolo appartato della casa, si prestava a sottrarlo alle ricerche delle guardie. Come Dio volle, alle sedici e mezzo il documento arrivò e tutti respirarono. Un'ora dopo il carro funebre trasportava Don Bosco a Valsalice. Prima che la bara vi fosse collocata sopra, Don Rua la baciò lacrimando. Sulla carrozza usata dal Santo nelle sue passeggiate serali vi tennero dietro monsignor Cagliero, Don Bonetti e Don Sala, recitando il rosario. In due altre vetture seguivano un sorvegliante responsabile e quattro vespilloni. L'incertezza durata fino all'ultimo e il timore di qualche brutto tiro giornalistico avevano obbligato a celare la cosa perfino agli amici, sicchè il trasporto si potè eseguire senza che nessuno se n'accorgesse.
     Erano le diciotto quando il carro funebre entrò nel cortile di Valsalice. I chierici con candele accese ricevettero e accompagnarono nella cappella il feretro, portato da otto di loro. La consegna al rappresentante del Municipio portava che nella sera stessa facesse fare la tumulazione e ne redigesse il verbale; ma i muratori non avevano ancora terminato di apprestare il loculo. Si cercò dunque di guadagnare tempo tirando in lungo la cerimonia nella cappella, dove, compiute le esequie, i chierici presero a cantare l'ufficio dei defunti. L'ispettore, intuito l'imbarazzo, non die' segno di avvedersene. Gli uomini che dovevano testimoniare del seppellimento, furono tenuti a bada con qualche buon bicchiere, sicchè persuasi che la salma di Don Bosco fosse nel suo sepolcro, firmarono la carta e partirono. Il loro capo, avvicinatosi a Don Barberis, gli susurrò all'orecchio: - Sono un antico allievo. - Ciò detto, lo salutò e parti anche lui.
     Remotis arbitris, il feretro venne riposto in un coretto, dinanzi al quale si fecero cadere a mo' di addobbo festivo drapperie, che mascherassero il nascondiglio, e fu fatto divieto di parlarne con chicchessia fuori del collegio. La salma rimase là altri due giorni. Le precauzioni prese impedirono che la cosa trapelasse con pericolo che qualche malevolo ne menasse scalpore; le conseguenze sarebbero state gravi. Questo era tanto più da temersi, perchè cattivi giornali per far pressione sulle autorità avevano pubblicato con aria di trionfo che nonostante domande, suppliche, buoni uffici di persone altolocate, Don Bosco sarebbe stato sepolto nel cimitero comune.
     Per buona sorte, imprudenze non furono commesse, cosicchè il lunedì 6 febbraio si potè procedere tranquillamente alla tumulazione. Tutto si fece senza rumore a tarda sera, perchè i vicini non s'accorgessero di nulla. Erano presenti i Superiori del Capitolo e parecchie Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice con la loro Madre Generale. Monsignore benedisse il sepolcro; quindi il feretro fu sollevato e introdotto nel loculo. Un silenzio angoscioso accompagnò la rapida opera dei muratori, che involavano per sempre agli sguardi dei figli anche la bara racchiudente le umane spoglie e le amate sembianze del Padre.
       Murato il sepolcro, i centoventi chierici si raccolsero nella cappella a cantare un notturno dell'ufficio dei morti. Dopo monsignor Cagliero tenne loro un breve discorso. I Superiori affidavano ai confratelli della casa di Valsalice un prezioso deposito, un sepolcro che un giorno sarebbe divenuto glorioso. Lo custodissero bene, accogliessero con amore fraterno i Salesiani delle altre case che sarebbero venuti a visitarlo. Essi per i primi vi andassero sovente a ispirarsi e a infervorarsi nella pratica delle virtù di Colui, del quale conteneva le spoglie. Monsignore, fatto un rapido cenno delle principali virtù di Don Bosco, proseguì: - I primi cristiani si animavano a combattere per la fede, a soffrire e a morire per Gesù Cristo, fortificandosi sulla tomba dei Martiri; S. Filippo Neri imparò a divenire l'Apostolo di Roma visitando spesso le catacombe. Cosi voi, così noi tutti rechiamoci con frequenza ad attingere da questa tomba la fortezza che nei più duri cimenti sostenne il nostro Don Bosco, mentre lavorava per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime; veniamo a riscaldarci di quel fuoco d'amore che sempre gli avvampò nel petto e lo rese apostolo non solamente di Torino, del Piemonte, dell'Italia, ma delle più lontane regioni della terra.
     Anche Don Rua volle dire poche parole, facendo rilevare essere la divina Provvidenza che affidava a quei di Valsalice il corpo di Don Bosco. Raccontò infatti come nelle precedenti vacanze tutti i Superiori avessero concordemente divisato di mantenere il collegio per i giovani di civile condizione, introducendo qualche modificazione nel primitivo programma per facilitarvi l'ammissione di un maggior numero; quand'ecco, saputosi che la casa di San Benigno sarebbe stata quell'anno troppo ristretta, in pochi minuti si era cambiato disegno e con una unanimità poco prima impossibile, sorpassata ogni difficoltà, specialmente quella dell'onore, si era deciso di sciogliere quel collegio e di stabilirvi lo studentato e la casa di Missione per i nostri chierici. Lo stesso Don Bosco, dopochè pochi giorni prima aveva acconsentito a mantenervi il collegio modificandone il programma, aver approvato anche lui di buon animo la divisata trasformazione, ben tosto eseguita. A che mirava tale ricordo? A far intendere che, se la casa fosse stata ancora collegio, non si sarebbe potuto ottenere il permesso di avere le spoglie di Don Bosco fra i suoi figli; non nell'Oratorio, perchè il Ministero vi aveva dato una negativa assoluta; non a Valsalice, perchè le altre autorità, la municipale e la scolastica, avrebbero posto il veto per la natura della casa destinata a dimora di giovanetti. Ma Iddio che aveva decretato di prenderci Don Bosco e per nostra consolazione voleva lasciarcene il corpo vicino, aver disposto gli eventi nel modo raccontato. Potersi dunque dire in tutta verità essere la divina Provvidenza che affidava ai confratelli di Valsalice la custodia del suo sepolcro. Si mostrassero pertanto degni di tanta sorte e con la pratica delle virtù di Don Bosco facessero sì che egli potesse allietarsi di stare col suo corpo in mezzo a loro, qual Padre presso i figli. Qui non terminò il Successore di Don Bosco, ma riprese: - Vi lascio tre speciali ricordi. - I° Per assecondare il volere espresso dì Don Bosco e le intenzioni della Chiesa, la quale comanda che si preghi indistintamente per tutti i fedeli, finchè non siano dal suo supremo magistero dichiarati venerabili, tutte le volte che passerete vicino a questa tomba, recitate almeno un requiem aeternam. - 2° Andate tratto tratto presso quella sacra tomba a fare un po' di meditazione animandovi alla virtù e se qualche volta vi sentirete languidi nell'osservanza delle Regole, se qualche volta si desteranno in voi le passioni che cercano di farvi cadere in peccato, qui rivolgete il vostro pensiero come il vostro sguardo e qui giurate fedeltà a Dio a costo di qualunque sforzo, qui giurate guerra al peccato a costo di qualunque sacrificio e invocate pure anche questo caro Padre nelle vostre tentazioni ed affanni ed egli dal cielo, dove fondatamente speriamo che sia, vi otterrà le grazie domandate. - 3° Ogni volta che volgete là lo sguardo, procurate di figurarvi come dinanzi a uno specchio da cui ricopiare ogni virtù; là specchiatevi e figuratevi che dalla tomba parta una voce che dica: Imitatores mei estote, sicut et ego Christi. In ogni vostra azione pensate: Come farebbe Don Bosco in questa circostanza? Allora sì che avverrà di lui quello che si dice della salma dei Profeti: Defunctus, adhuc loquitur.
     I Superiori rientrarono poi nell'Oratorio consolati - che tutto fosse riuscito così bene e riconoscenti verso quanti avevano loro prestato valida mano. Prima della cena i chierici di Valsalice, radunatisi intorno al proprio direttore Don Barberis, sottoscrissero un indirizzo a Don Rua, composto dal loro compagno Don Beltrami, per promettergli che le sue raccomandazioni e i suoi ricordi si sarebbero fedelmente praticati e insieme per rendere il loro primo omaggio a lui, come a nuovo Rettor Maggiore . Questo indirizzo, portato immediatamente a Don Rua, gli fu letto dopo la cena nel refettorio del Capitolo Superiore.
     Sparsasi attorno al collegio la notizia della tumulazione, parecchi proprietari di case e ville nella valletta del Salice scrissero lettere di ringraziamento al Sindaco di Torino, perchè Don Bosco fosse stato seppellito presso di loro.
     Il loculo era incavato nel muro del ripiano, dove sullo scalone che parte dal cortile basso del collegio s'incontrano due rampe di scale scendenti dal cortile alto. Là rimase il feretro per un anno indisturbato, finchè, costruitasi sulla tomba una cappella funebre per cura e a spese di alcuni antichi allievi, fu un po' meglio accomodato in sito più elevato e decoroso. Sul davanti un epitafio latino diceva il giorno e il luogo della nascita e della morte, qualificando semplicemente Don Bosco come Padre degli orfani. Alcuni ex - allievi di Valsalice ottennero poi di apporre un'altra iscrizione che rammentasse la loro dimora nel collegio e attestasse la loro riconoscenza al venerato Padre. La lapide, fissata sulla parete a sinistra di chi sale, dice così: “ Disgiunti per le vie intra­prese - del santuario, delle scienze, del foro, dell'armi - uniti sempre di mente, di cuore - gli antichi allievi dei Collegio Valsalice - al loro amato Padre - Don Giovanni Bosco - questa ricordanza di perenne affetto - p. p. ”.
     Dal 1889 in poi il feretro non fu più toccato se non sedici anni dopo la morte per la ricognizione ufficiale della salma, ordinata dalla sacra Congregazione dei Riti. In tale circostanza la cassa aperta stette poche ore esposta in un gran salone, mentre si ricomponevano le rivestiture del feretro, che fu quindi riportato al suo loculo per attendervi la trionfale traslazione del 1929.
     Don Rua, nonostante la distanza, procurava di visitare il glorioso sepolcro almeno una volta al mese; che se qualche mese non poteva, vi suppliva abbondantemente durante gli esercizi spirituali, a cui interveniva ogni anno con numerosi confratelli. Molte e molte persone vi andavano continuamente, tratte dalla venerazione per il Servo di Dio e dalla fiducia nella sua intercessione. Vi affluivano anche visitatori e pellegrinaggi da ogni parte d'Italia e da più nazioni d'Europa. Ben di rado carovane dirette a Roma e passanti per Torino omettevano di recarsi a rendergli il loro tributo di onore. Nè solo gente del popolo saliva a Valsalice per questo scopo, ma anche personaggi costituiti in dignità, italiani e stranieri. Tale concorso, cominciato subito dopo la sepoltura, continuò senza interruzione, anzi con progressivo aumento, fino a che le sante reliquie ne furono rimosse per essere esposte al culto nella chiesa di Maria Ausiliatrice.
     Le domande di oggetti appartenenti a Don Bosco si moltiplicavano ogni giorno più. Don Rua, per appagare almeno il pio desiderio dei principali benefattori, diede incarico a Don Sala e a Don Bonetti di vedere in che modo si potesse fare. C'era stato il buon precedente di Pio IX, del quale appena morto si chiedevano reliquie da tutte le parti e si mandavano. Fu seguito tale esempio.
Don Bosco nel suo testamento spirituale del 1884, da noi pubblicato nel volume precedente, aveva scritto: “ Fatta la mia sepoltura, il mio Vicario inteso col Prefetto dirami a tutti i confratelli questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale ”. Questi pensieri erano espressi in forma di lettera ai Salesiani. Don Rua subito il 7 febbraio ne ordinò la stampa in tante centinaia di copie che bastassero per tutti e in un formato che potesse comodamente conservarsi nel libro delle Regole o in qualche manuale di pietà, sicchè tornasse facile un'assidua lettura dell'affettuoso e commovente documento.
 
Lettera scritta di mano dell'amatissimo nostro Padre Sac. Don Giovanni Bosco per tutti i Salesiani, con incarico al Successore di farne avere una copia a ciascuno dopo la sua morte. Si riceva e si conservi come il suo spirituale testamento dettato dal grande affetto, di cui avvampava verso i diletti suoi figli in Ges√π Cristo.
 
            Miei cari ed amati Figli in G. C.,
 
Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio cuore.
     Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per la ubbidienza che mi avete prestata, e di quanto avete lavorato per sostenere e propagare la nostra Congregazione.
       Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la infinita Misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità.
     Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito che tutti dobbiamo pagare, ma dopo sarà largamente ricompensata ogni fatica sostenuta per amore del nostro Maestro, il nostro Buon Gesù.
     Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimaner saldi nella vocazione sino alla morte. Vegliate e fate che nè l'amor del mondo, nè l'affetto ai parenti, nè il desiderio di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito di profanare i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con cui ci siamo consecrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiam dato a Dio.
     Se mi avete amato in passato continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre Costituzioni.
     Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore, Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro Maestro, nostra Guida, nostro Modello. Ma ritenete che a suo tempo Egli stesso sarà nostro Giudice e Rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio.
Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro  che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.
            Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al Cielo. Là parleremo di Dio, di Maria, Madre e sostegno della nostra Congregazione; là benediremo in eterno questa nostra Congregazione, la osservanza delle cui regole contribuì potentemente ed efficacemente a salvarci.
    Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum.
 
Sac. GIO. BOSCO.
 
Nel medesimo testamento Don Bosco aveva inserito una serie di letterine a insigni benefattori e benefattrici, affinchè fossero loro comunicate dopo la sua morte. Don Rua ne staccò quelle destinate a persone ancora viventi nel 1888 e le spedì quali erano uscite dalla penna del Santo . Il prezioso ricordo suscitò in tutti un profondo, sentimento di gratitudine e venerazione.
     Ottimamente scrisse allora l’Unità Cattolica che sulla tomba dei Santi non si piange, ma si prega. Sfogliando il cumulo delle lettere pervenute a Don Rua dopo la morte di Don Bosco, più che dolorosi rimpianti, vi s'incontrano esaltazioni della sua santa vita ed espressioni d'illimitata confidenza nell'efficacia della sua intercessione. Ma vi fu ben altro ancora. Già l'8 febbraio Don Rua comunicò al Capitolo Superiore che il cardinale Parocchi, protettore della Congregazione, consigliava di fare pratiche presso il cardinale Alimonda, affinchè, come Arcivescovo di Torino, domandasse alla Santa Sede che, derogando alle prescrizioni ecclesiastiche, permettesse d'incominciare gli atti preparatorii al processo di Beatificazione. Don Bosco dunque era appena sceso nella tomba, che già gli si schiudevano nel mondo le vie della grande vera gloria.
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