Capitolo 27

Un giovane che ama D. Bosco prima ancora di vederlo - Affettuoso incontro - Scherni e sassate - D. Bosco accoglie all'Oratorio alcuni suoi offensori - A S. Ignazio; un giornalista liberale: apostasia e morte - Letture Cattoliche - Lettere di D. Bosco al Conte d'Agliano.

Capitolo 27

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

Il nome solo di D. Bosco era un incanto per quegli stessi giovani che ancora non lo conoscevano di persona.

       Villa Giovanni, nativo di Ponderano su quel di Biella, così ci attestava: “ Io m'incontrai con D. Bosco nel luglio del 1855 in Torino; però aveva sentito parlare di lui già dal 1852. Il mio parroco il Teol. D. Ferrero, che morì essendo arciprete del Duomo ove fu traslocato nel 1858, prese in una festa a parlare di D. Bosco dal pulpito, quando si fabbricava in Valdocco la chiesa di S. Francesco di Sales. Egli disse che molti dei giovani Biellesi, i quali vanno a Torino colla secchia per servire i muratori, nelle feste si trovavano senza assistenza ed in pericolo. Saper egli però che un giovane prete, ardente di carità, si era dato a raccogliere tutti quei fanciulli intorno a sè, e, mentre porgeva loro campo a divertirsi onestamente, li istruiva nelle verità di nostra santa religione. Aveva soggiunto, che quel prete stava per fabbricare una chiesa, e ci raccomandava di fare una abbondante elemosina per aiutarlo, persuaso che avremmo assecondata la sua domanda; e che quella carità si sarebbe riversata su tanti figli del nostro paese, che andavano a lavorare a Torino. Ei parlò di D. Bosco con tante lodi, e con tanto entusiasmo magnificò l'affetto che portava ai giovani e il bene che loro faceva, da commuovere l'uditorio. Io, che allora contava 14 anni, ebbi, nell'udire il parroco, una grande idea di D. Bosco, e divenni ansioso di conoscerlo. Tre anni dopo, per circostanze di famiglia, fui mandato da' miei parenti in Torino e mi son fatto premura di andare subito in Valdocco. Al vederlo per la prima volta, alla sua affabilità paterna colla quale mi accolse, riportai una così profonda e consolante impressione in me stesso, che non mi si scancellerà mai dalla memoria. Io mi sentii preso da un immenso amore per lui, che non si estinse più.

   ” Feci allora confronto del modo di trattare coi giovani tenuto da D. Bosco, col modo tenuto da preti della mia patria e paesi circonvicini, dai quali non aveva mai avuto accoglienza sì affabile e caritatevole. Nè fui solo a provare questo effetto in me, ma lo avevano sperimentato eziandio tanti altri buoni giovani che attorniavano Don Bosco, coi quali mi unii volentieri. Nel primo incontro D. Bosco mi disse: - D'or innanzi saremo buoni amici, finchè ci troveremo in paradiso! - Queste parole erano a lui così famigliari!

   ” Io da quel punto non ho mancato mai di frequentare l'oratorio festivo fino al 1866, ad eccezione del tempo in cui feci il servizio militare. Al paese andava già ai Sacramenti, ma presi allora a comunicarmi quasi tutte le settimane e anche più frequentemente, frutto dei consigli di D. Bosco. Dal 1866 in poi a quando a quando mi recava in Valdocco avendo sempre occasione di parlare col servo di Dio.

   ” Ma per ritornare alle mie prime impressioni dirò che conobbi la signora Margherita, tipo di buona massaia, di spirito veramente cristiano. Coi giovani dell'Oratorio faceva veramente l'ufficio di una buona e pia madre; ed in essa noi giovani avevamo tutta la confidenza figliale e tutti erano oltremodo edificati delle sue virtù e della sua esemplare condotta.

   ” In secondo luogo aggiungerò che allorquando andai la prima volta in Valdocco vidi circa 200 giovani interni, alcuni dei quali già chierici e un 600 esterni che frequentavano l'oratorio festivo; e quando D. Bosco veniva nel cortile, tutti si assiepavano intorno a lui, fortunato chi poteva avvicinarlo e baciargli le mani. Ed egli a ciascuno, si può affermare, diceva una parolina nell'orecchio, la quale faceva una santa impressione, che non si dimenticherà mai,

   ” Vidi che D. Bosco, per attirare i giovani, dava ad essi libertà e comodità di divertirsi, di giuocare, di correre. Più si faceva chiasso nel cortile, e più egli pareva ne fosse contento; e quando scorgeva che eravamo alquanto malinconici, o anche solamente non troppo vivaci, egli stesso si dava attorno per rianimarci con mille industrie, con giuochi nuovi, e così tutti ci riempiva di contentezza. Allo stesso modo adoperavasi per radunarci intorno a sè nelle feste e averci tutti sotto i suoi occhi. Venuto il tempo delle funzioni, egli suonava il campanello, o lo faceva suonare da altri. In un istante cessava ogni giuoco e ci portavamo alla chiesa ”.

Ma se dentro la cinta dell'Oratorio regnava la carità, lo spirito maligno agitava fuori gli animi dei malvagi o meglio degli inconscienti. Una turba di giovanastri, certamente indettati da qualche settario, avevano apposto a D. Bosco un soprannome ingiurioso, inventato da empii giornalisti, e lo andavano ripetendo, a coro, o singolarmente, con atti di scherno al passaggio dell'uomo di Dio. D. Bosco sentiva come il ridicolo fosse un'arma micidiale per l'effetto che produce su gli ignoranti, e come poteva rendere difficile ed anche vana in certe circostanze la sua parola e il suo ministero.

   Talora li avvertiva con bontà che smettessero; ma quando prevedeva inutili gli ammonimenti, soffriva, taceva proseguendo con tranquillità la sua via. Così narra D. Francesia che lo accompagnava.

   Ma non si appagarono di sole parole. Una schiera di questi fannulloni da parecchi mesi gironzava quasi continuamente intorno all'Oratorio, insultando chi entrava e chi usciva e talvolta molestando i passeggieri e lanciando loro dei sassolini. Nei giorni di festa poi scaraventavano pietre nel cortile di ricreazione, con grave pericolo dei ragazzi che si divertivano.

Ci scrisse Fumero Giovenale: “ Mi permetto di raccontare un fatto miracoloso, visto co' miei propri occhi, che merita di essere registrato nella vita del caro e compianto padre Don Bosco. Era un giorno di Domenica d'estate nell'anno 1855, e noi altri giovani interni artigiani e studenti uscivamo dalle funzioni dell'Oratorio verso le cinque della sera. Con noi usciva nel cortile un bello stuolo di altri giovanetti, che venivano soltanto a partecipare alle funzioni festive. Allora il cortile non era ancora cinto intieramente da muraglia. Ed ecco che una banda, detta la Coca di Valdocco che già era solita a perseguitare i giovani dell'Oratorio quando incontravali per le vie attigue, in quel giorno infierì in modo straordinario contro di noi, e incominciò a lanciarci una vera pioggia di sassi.

   ” Ciò visto il nostro caro Padre D. Bosco, raccomandò a noi tutti di ripararci dietro le mura; e lui solo con un coraggio ed una calma indescrivibile, si avanzava verso quei mascalzoni, i quali continuavano rabbiosamente a gettar sassi contro la sua persona; e fu un vero miracolo che nessuno di essi lo abbia colpito. Intanto lui pregandoli coi gestì e colla voce, ottenne che cessassero da quella furia ”.

   Ma ciò non fu tutto. D. Rua continua: “ D. Bosco incontrata poco dopo in giorno feriale una dozzina di quei soggetti che stavano divertendosi al solito modo, con scherzi incivili ed offensivi alle persone, si fermò presso di loro ed interrogandoli amorevolmente perchè non andassero a lavorare, ne ebbe in risposta che nessun padrone li voleva. Allora egli li invitò a venire con lui in sua casa, che esso li avrebbe provvisti di tutto, e avrebbe fatto loro insegnare un mestiere. Accettarono l'invito, e D. Bosco colla sua carità ed eroica pazienza mentre liberò l'Oratorio dai disturbi non lievi di quella masnada, ebbe la consolazione di farne altrettanti buoni operai. Giacchè gli uni si fermarono sei mesi, altri un anno, chi due anni, chi quattro o cinque; ma tutti uscirono dopo essere stati istruiti nella nostra santa religione ed aver imparato un mestiere con cui campare la loro vita. Uno di essi dopo molti anni ritornato dall'America, la prima sua visita la fece all'Oratorio, rammentando con riconoscenza la carità che D. Bosco aveva usato a lui ed a' suoi compagni. Io gli parlai in questa occasione ”. D. Rua concludeva: “ Troppo a lungo dovrei trattenermi se dovessi esporre i molti casi in cui D. Bosco perdonò e beneficò dei giovani che gli avevano perduto il rispetto ed anche l'avevano oltraggiato ”.

  Fra tutte queste vicende l'anno era giunto alla metà di luglio e D. Bosco col Ch. Francesia, il Ch. Turchi e altri loro compagni erano saliti a Sant' Ignazio sovra Lanzo per approfittare dei santi Spirituali Esercizi. A questi prendevano parte molti signori torinesi, e Don Cafasso affidavane a D. Bosco la direzione. In gran numero erano le riforme morali che Iddio compieva per mezzo di Don Bosco, e ciò si può anche argomentare dai doni straordinarii che aveva ricevuti dal cielo e dalla confidenza generale degli esercitandi, i quali lo ricercavano per confessarsi. Basti per ora un fatto.

  Un empio giornalista era andato a fare gli esercizi, forse più per avere alcuni giorni di riposo in quell'aria buona che non per pensare all'anima sua. Egli aveva scritti e pubblicati molti articoli contro D. Bosco, che però non conosceva di persona. Nei primi giorni, o per essere stato solitario, oppure per aver frequentato persone che non conoscevano D. Bosco, non aveva saputo che l'uomo di Dio si trovava in quel santuario. Mosso dalle prediche, decise di confessarsi, e visto che il confessionale di Don Bosco era frequentatissimo si avviò esso pure a quello. Naturalmente dovette manifestare quale fosse la sua professione e in qual modo in questa avesse mancato. Don Bosco lo ascoltò con ogni bontà, gli diede i consigli necessari e gli impose ciò che la coscienza esigeva. Egli aveva inteso benissimo chi fosse quel signore, il quale benchè incantato dalle sue maniere tutte carità, non aveva ancor pensato a chiedere il nome del suo confessore. Baciatagli quindi la mano stava per ritirarsi, quando ad un tratto gli balenò alla mente un sospetto. Tornò indietro e chiese al confessore: -Lei è forse D. Bosco?

     - Sono D. Bosco, rispose il confessore, sorridendo. Il giornalista commosso e meravigliato si ritirò colle lagrime agli occhi.

  A questo fatto ne successe un altro ancor più singolare.

  D. Bosco, la sera dell'ultimo giorno degli esercizi, guidando come era solito le orazioni, recitava il S. Rosario. Stava in ginocchio in un lato del presbiterio, avendo al fianco destro l'altare e al sinistro quasi un centinaio di pii signori torinesi.

Giunto al fine del salmo De profundis, ad un tratto tace: quindi tentando di proseguire coi responsori e coll'Oremus, incespica, balbetta e non può più continuare avanti. Sembrava che avesse perduta la memoria, ovvero fosse assorto in qualche prepotente pensiero. “ Io pensai allora, lasciò scritto D. Turchi, che per qualche distrazione avesse dimenticato momentaneamente ciò che doveva recitare; e per essere il mio posto dietro agli altri, non potei vedere ciò che facesse. Dopo un minuto seguitò la preghiera, ed io mi confermai nella mia persuasione. Usciti di chiesa, ritirandoci nelle stanze, domandai ad alcuni se si era osservata quella interruzione; ma dalla risposta conobbi che si giudicava come cosa indifferente ”.

   Non pochi tuttavia espressero il loro stupore, che D. Bosco non avesse saputo recitare una preghiera così comune. I suoi più intimi amici però s'immaginarono che forse in quel momento gli si fosso parato innanzi qualche spettacolo straordinario. Infatti era così.

   Aveva visto comparire sull'altare due fiammelle. Dentro alla luce di una era scritto a caratteri chiari: morte, e dentro all'altra: apostasia. Le due fiammelle partivano dall'altare come se si fossero staccate da quelle delle candele, e movevano verso la navata della chiesa. Don Bosco allora erasi alzato per vedere ove andasse a parare la cosa, e vide che quelle fiamme, fatti alcuni giri sovra la folla, andarono a posarsi la prima sul capo di uno e la seconda sul capo di un altro che stavano inginocchiati in mezzo ai compagni. Il riverbero di quelle luci faceva risaltare la loro fisionomia e D. Bosco potè ravvisarli senza pericolo di ingannarsi. Poco dopo le due fiammelle si spensero. Questa era stata la cagione della sua distrazione.

   Il domani, mentre tutti salivano sulle vetture, il signor Bertagna, di Castelnuovo, procurò di prender posto a fianco di D. Bosco per investigare il sospettato segreto. Eziandio i chierici erano di ciò molto curiosi. Don Bosco interrogato, aspettò che le vetture fossero messe in moto e svelò quel mistero, incominciando: - Ieri sera me ne accadde davvero una bella! - E raccontato il fatto, concludeva: “ Uscito di chiesa, io stavo ad osservare se gli altri parlassero di tale cosa; ma siccome nessuno diceva nulla, conobbi che io solo l'aveva veduta e me ne stetti pur io in silenzio. Ora la manifesto a voi e starò a vedere, che cosa sarà di quei tali sui quali si spense il lume ”.

   E nello stesso anno la visione ebbe il suo compimento. Un ricco negoziante, che aveva fama di buon cristiano e sulla cui fronte fermossi la fiammella coll'indicazione: apostasia, si fece protestante. L'altro segnato dalla seconda fiamma morì nello stesso anno: era un nobile barone.

D. Bosco ne confidò i nomi a D. Francesia che li dimenticò più mai. D. Turchi avendo chiesto, alcuni anni dopo, che cosa fosse avvenuto di colui sul quale si era spenta la prima fiammella ebbe per risposta: Si è fatto protestante.

   E’ certo che altre simili fiammelle, apparse sul capo di varie persone, rivelarono a D. Bosco il loro avvenire.

   D. Bosco, ritornato a Torino, si occupava nell'ultimare la spedizione dei due fascicoli di agosto, stampati dalla tipografia Ribotta. In questi ricompariva l'approvazione della Curia Arcivescovile di 'Forino. Il libro aveva per titolo: Istruzione catechistica sul matrimonio pel Teologo Collegialo Lorenzo Gastaldi. - È  una breve e chiara istruzione, scrivendo egli per il popolo. Il dotto Teologo dava ragione del suo scritto. “ Da ogni parte avvi un profluvio di libri e giornali diretti a diffondere falsi principii sulla natura dell'unione coniugale: vi ha professori di università, deputati al Parlamento, senatori e magistrati che per la loro ritrosia nel ricevere gli infallibili insegnamenti della Chiesa si lasciano ingannare da una falsa filosofia e mantengono dottrine erronee sul matrimonio; e quel che è peggio dánno opera a convertirle in leggi civili ”.

   Concludeva dimostrando, come corollario del matrimonio cristiano, il diritto che ha la Chiesa di intromettersi nell'educazione dei figli cattolici, i doveri dei padri di allevare i figli secondo le massime ed i precetti del Vangelo, di affidarli a maestri o a collegi veramente cristiani e di lasciar loro piena libertà nella scelta dello stato.

  Aggiungeva: “ Quando il Governo civile proponesse qualche legge sul matrimonio, che venisse dichiarata dal Sommo Pontefice o dai Vescovi contraria alle dottrine della Chiesa, tutti i cattolici dovrebbero presentare petizioni piene di energia al Parlamento, perchè tal legge venga respinta ”.

  D. Bosco intanto scriveva da Torino al signor Conte Pio Galleani d'Agliano.

 

Ill.mo e benemerito Signore,

 

Ritornato dai Santi Spirituali Esercizi di S. Ignazio, mi faccio dovere di scrivere a V. S. Ill.ma e Benemerita ad oggetto di ringraziarla e mettermi in coscienza.

  Pertanto con sentimenti di vera gratitudine ho ricevuto franchi centotrenta per biglietti di lotteria alla sua carità raccomandati; più ho ricevuto dal prestinaio Fornello Kilogr. 105 di grissino che servirono a dar da mangiare ai giovani orfani e poveri ricoverati in quest'Oratorio; come eziandio ne La ringrazio della carità che si compiacque stabilire di quindici Kilogr. al mese a beneficio di questa casa.

  Queste insigni opere di carità saranno perle preziose che unitamente ad altre ingemmeranno la corona di gloria che V. S. colla prudenza del serpente e colla semplicità della colomba si va ogni giorno preparando e assicurando in cielo.

  Ora mi trovo in un novello bisogno ma d'altro genere. Ho, tra mano un lavoro per le Letture Cattoliche, pel che mi farebbe mestiere allontanarmi qualche giorno da Torino onde potermene di proposito occupare. Mi corse più volte il pensiero di andare a Carraglio e precisamente a casa di V. S. ma prima di entrare domandiamo permesso al padrone. Se Ella adunque mi favorirà un cantuccio ove ripor la mia povera persona con qualche libro ed alcuni quaderni, con qualche cosa ad refocilandam famem, io partirei di qua la mattina del giorno sei agosto e farei ritorno al sabbato della stessa settimana.

  Ella mi dirà: Si pagherà la pensione? Mancomale Divideremo per metà lo stipendio del mio lavoro. Vale a dire: se da quel fascicolo ne ridonderà qualche vantaggio alle anime, io ne cedo la metà dell'utile a Lei per l'ospitalità usatami.

  Intanto io La prego di tutto cuore a voler accogliere questa lettera scritta forse con troppa confidenza; del resto non mancherò di pregare e di far eziandio pregare Iddio buono per Lei, per la sua famiglia; mentre con pienezza di stima e di gratitudine reputo ad onor massimo il potermi dire

Di V. S. Ill.ma e benemerita

Torino, 31 luglio 1855.

Obbl.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Alla risposta di questo buon signore, così replica D. Bosco.

 

Benemerito Sig. Conte,

 

  Un uomo pari a D. Bosco montare sulla vettura di V. S. Ill.ma! Si teme di sbalordire tutti i democratici di Carraglio; tuttavia siccome honor est honorantis accetto la graziosa offerta della vettura, specialmente che mi sono affatto sconosciute le strade ed i paesi di queste parti. Io parto pel primo convoglio del mattino; non ho alcun motivo di fermarmi a Cuneo fino al mio ritorno.

  Pieno di gratitudine pei moltiplicati favori che si degna usare verso di me La ringrazio di tutto cuore e mi dico rispettosamente nel Signore

D. V. S. Benemerita

Torino, 3 agosto 1855.

 

Obb.mo servitore

Sac. Bosco GiOVANNI.

 

 

D. Bosco adunque recavasi nella villeggiatura del Conte, accolto con mille feste, e lavorava ad ordinare i due fascicoli del mese di settembre nei quali trattavasi di un fatto molto importante - Cenno Biografico intorno a Carlo Luigi Dehaller, membro del Sovrano Consiglio di Berna in Svizzera e sua lettera alla propria famiglia per dichiararle il motivo del suo ritorno alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.

  Due verità fra le altre si facevano risaltare in questo libro: prima, che gli uomini più eletti d'ingegno, di retto giudizio, di cuore e di buoni costumi, nati nell'eresia ritornano al cattolicismo, mentre quei cattolici che si fanno protestanti sono fior di canaglia viziosa. I primi ritornano per patire, gli altri disertano per smania di piaceri. In secondo luogo, si nota l'iniqua intolleranza colla quale i protestanti perseguitavano coloro che ritornavano al cattolicismo, indifferenti d'altra parte se questi stessi cambiassero setta e magari si facessero Buddisti o Turchi.

  D. Bosco ritornato in Valdocco consegnava a Paravia il manoscritto e le bozze di stampa, e scriveva al Conte d'Agliano.

 

Ill.mo e Benemerito Conte,

 

Partecipo con  piacere a V. S. Ill.ma e Benemerita che il mio viaggio da Palasazzo a Torino fu buono e non fu segnato da altro inconveniente se non dall'incontro di due democraticoni, che mi somministrarono temi a discorrere da Cuneo a Torino, però sempre nei limiti della ragionevolezza e del rispetto.

  Il soggiorno di costà mi fu assai proficuo alla sanità corporale mediante una settimana di riposo e di tranquillità, e mi fu anche utile per lo spirituale, specialmente in vedere la regolarità, l'esemplarità e la condotta eminentemente religiosa di tutta la famiglia. Doppio motivo per me di ringraziarla più distintamente.

  Le mando un centinaio di fascicoli sopra la Confessione, che credo facciano del bene qualora siano distribuiti in questi paesi non affatto digiuni di democrazia.

  Una copia delle Letture Cattoliche dal principio fino ad ora per Lei. Altra copia per la pia Signora Contessa.

Altra poi pel Sig. D. Allione. Due copie poi solo per l'anno corrente, pel Padre Guardiano Capp. di Caraglio, siccome era stato inteso col medesimo.

  A rivederci a S. Filomena. Il giovanotto che giudico di condurre perchè aiuti a cantare, vorrebbe cantare il Tantum Ergo del Maestro Corini ad una voce sola. Ciò dico per norma di chi dovesse accompagnarlo, e se mai potesse far imparare i cori dagli altri cantori; di che potrebbesi anche fare a meno qualora essi non si potessero avere.

  Buona festa, caro Sig. Conte, buona festa a Lei e a tutta la sua famiglia, ed anche al Sia. D. Allione. La Vergine beata li benedica tutti, e a tutti ottenga dal suo Divin Figlio tranquillità, pace, coraggio onde perseverare nel bene, per poterla poi un giorno lodare, benedire in Cielo tutti insieme. Così sia.

  Preghino anche per me che con pienezza di stima e con gratitudine mi dico

Di V. S. Ill.ma e Benemerita

Torino, 14 agosto 1855.

Obb.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Pi√π tardi egli ritornava a scrivere al detto signore.

 

Benemerito e Car.mo Sig. Conte,

 

Il giovane Menardi fu accettato nella scorsa primavera pel primo Ottobre, ed è nell'Oratorio da sette giorni. Questi è quel medesimo che V. S. raccomandava la scorsa primavera, e che noi ci adopreremo per farlo divenire virtuoso.

  Mi fece profonda sensazione la morte del Sig. D. Cavallo! La morte non rispetta nemmeno i preti giovani; lezione per noi che andiamo invecchiando.

  Vado meditando di fare ancora una gita al Palasazzo, ma non son certo di poterla effettuare, attesa la moltiplicità di faccende che mi caddero addosso.

  Assicuro poi di compiere la seconda promessa di pregare per Lei e per la bella crescente famiglia; alle mie deboli preghiere unisco quelle de' miei beneficati, poveri figli che tra molti biricchini ce ne sono anche dei molto virtuosi.

  La Vergine SS. del Rosario doni a Lei la vera pace del cuore e colmi tutta la famiglia di tutte le benedizioni necessarie per la vita presente e per la futura.

Con pienezza di stima mi dico

   Di V. S. Benemerita e Car.ma

Torino, 7 ottobre 1855.

 

Obb.mo servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Abbiamo riprodotte queste lettere, perchè dimostrano quale fiducia amorevole e cristiana famigliarità unisse D. Bosco co' suoi benefattori. Della frequenza poi, dei modi e del fine col quale trattava con molti nobili signori delle prime famiglie, diremo nel capo seguente.

 

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