Capitolo 28

Opere ricusate, differite o iniziate nel 1880.

Capitolo 28

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

Vere fondazioni nel 1880 non vi furono che quelle di Patagónes e di Viedma sulle due sponde del Rio Negro argentino; per altre, a non tener conto di semplici              proposte orali o che comunque non lasciarono traccia nei documenti, in quell'anno o si diede subito una negativa o si prese tempo o vi si pose appena mano.

  Due sono le proposte che non ebbero alcun seguito di trattative. La prima parti da Roma. La principessa Odescalchi aveva intenzione di aprire scuole a Bracciano, suo feudo nel Lazio, dov'erasi insediato un frate sfratato, che dalla cattedra e fuori dispensava lezioni non precisamente di morale. Bramava pertanto da Don Bosco tre sacerdoti, di cui uno fosse professore di ginnasio e gli altri due maestri elementari. Essa avrebbe fornito alloggio, biancheria, mobili e seicento lire a testa. Se non si poteva quell'anno, si contentava di averli l'anno dopo, disposta anche a modificare le condizioni, secondochè piacesse al Beato . Don Bosco rispose che allora non gli era possibile appagare il desiderio della Principessa , e non se ne parlò mai più in, seguito Ormai, dove non apparisse la possibilità di svi­luppi ulteriori, egli non disseminava più il personale in opere di poca entità.

La seconda proposta lasciata cadere senz'altro per una ragione contraria alla precedente, fu di mandare Salesiani a Spálato in Dalmazia. I Vescovi dalmati avevano, di comune concerto ideato d'istituire un ginnasio privato, un ginnasio-liceo diremmo noi, nel seminario di quella città, ma che dovesse servire per tutte le diocesi della Dalmazia, eccetto Zara, che n'era fornita. Ogni cosa stava già predisposta da un anno, nè vi mancavano i locali e i fondi necessari' tutti gli sforzi però rimanevano paralizzati per difetto di personale insegnante, specialmente in filosofia, lingua latina, greca e italiana e scienze naturali. Quindi il Vescovo di Spálato a nome anche dei colleghi fece istanza al Santo Padre, pregandolo di venirgli in aiuto, affinchè per il prossimo anno scolastico 1880-81 la scuola si potesse aprire. Il Papa per mezzo della Segreteria di Stato portò il pensiero a Don Bosco, significandogli che avrebbe veduto con grande soddisfazione del suo animo ch'ei somministrasse i professori occorrenti per quel corso di studi secondari, semprechè fosse in grado di farlo . Un ecclesiastico dalmata, incaricato di fare i passi opportuni per trovare i soggetti e concertarsi sulle eventuali spese, venne all'Oratorio e conferì col Servo di Dio. Quel rimettersi del Papa alle sue possibilità, resero a Don Bosco molto più facile il declinare l'invito. Indubbiamente, dinanzi a un desiderio incondizionato della Santa Sede, egli avrebbe studiato il modo di assecondare la ri­chiesta; pia così nulla gl'impediva di dichiarare senz'altro l'impossibilità di mettere insieme un personale tanto numeroso e di tale qualità.

A Lugo cresceva l'impazienza di avere i Salesiani :

le insistenze presso Don Bosco si moltiplicavano; ma nulla vi si vedeva di concreto e di stabile, che ne affrettasse l'andata. Le visite fatte prima da Don Lazzero e da Don Barberis e poi da Don Bretto avevano ravvivate le speranze dei Lughesi; più ancora il passaggio di Don Cagliero e di Don Durando. Dopo la sua gita Don Bretto aveva scritto : “ Posso assicurarla di due cose: la prima è che nella Romagna vi è una grande necessità di educatori dei poveri giovanetti, i quali si trovano in circostanze da guastarsi quasi necessariamente; e l'altra si è che colà, e specialmente in Lugo, vi sono molte persone che ci vogliono bene ”. Un ecclesiastico lughese, monsignor Giuseppe Emaldi, offriva due immobili, che si sarebbero potuti ridurre a collegio; ma il vecchio Prelato morì nel 1879 senza far menzione di ciò nel testamento e solo per atto fiduciario mettendo a disposizione dell'istituto, quando si aprisse, il fruttato di ventimila lire, che era ben poca cosa. I conti Emaldi sembravano disposti a fare; ma non si veniva mai al positivo. In città la famiglia Vespignani fino dal '77 non cessava di spronare; soprattutto il Signor Carlo Vespignani, fratello maggiore di Don Giuseppe, avendo a Torino conosciuto Don Bosco , faceva mille insistenze. Don Bosco però nelle sue fondazioni procedeva con gran ponderatezza: finchè non ci vedeva chiaro, non avventurava i suoi figli. Del suo buon volere per Lugo aveva dato una prova eloquente al suddetto signore con una interessante lettera, venutaci soltanto ora a notizia. Si osservi in essa l'accenno all'esclusione di ogni colore politico dalle sue istituzioni. Ardeva nella Romagna e fortemente a Lugo la lotta coi repubblicani, con il qual nome si designavano sommariamente tutti gli anticlericali della regione; era naturale che la corrispondenza del signor Carlo risentisse della temperatura politica locale.

 

           Sig. Carlo mio carissimo,

 

Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità.

Perciò nel suo progetto di iniziare qualche cosa elle giovi ai fanciulli poveri e pericolanti, torli dai pericoli di essere condotti nelle carceri, fame buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo elle ci proponiamo.

Ella dunque prepari il campo e la messe ed io sarò lieto di fare una gita e conoscere di presenza e ringraziare tanti confratelli, che prima di conoscermi personalmente mi usano già grande carità.

Mi sono tenuto al datomi suggerimento ed ho pregato il Sig. Don Carlo Cavina di accettare da Decurione Salesiano  e così avere un centro. Procuri pertanto di mettersi in relazione con lui per le cose nostre.

D. Giuseppe manda 25 diplomi da Cooperatore e ne manderemo altri quando ne sia bisogno .

Ella mi ha invitato a cominciare la danza; ho accettato l'invito, ma bisogna che ci adoperiamo con tutti i mezzi e con tutti i sacrifizi per condurla a termine.

Si ritenga bene che se vogliamo andare avanti bisogna che non si parli mai di politica nè pro nè contro; il nostro programma sia fare del bene ai poveri fanciulli.

Non dimenticherò le altre cose che mi ha scritto e ne farò tema di altra lettera.

Dio benedica la sua famiglia piccola e grande , faccia rispettosi ossequii ai nostri collaboratori; dica a tutti elle di buon grado li raccomando ogni giorno nella santa Messa, e che mi raccomando alle loro preghiere.

La grazia di N. S. G. C. sia sempre con noi. Amen.

 

Torino, 11-4-77.

        

Aff.mo servo ed amico

           Sac. Gio. Bosco.

 

Pressanti sollecitazioni vennero a Don Bosco da Teano, piccola città della Campania; egli non potè mandarvi i Salesiani, ma fece accettare un accomodamento provvisorio. Quel municipio teneva un ginnasio con convitto, che dava meschini risultati didattici e morali; risoluto perciò di riformarlo, licenziò il direttore e i professori e volle mettere nelle mani di Don Bosco le sorti dell'istituto

   A perorare la causa presso Doli Dalmazzo venne apposi­tamente da Napoli, con una raccomandazione del cardinale D'Avanzo, vescovo di Calvi e Teano, il marchese Dal Pezzo, teanese, consigliere provinciale e presidente di tutte le as­sociazioni cattoliche; si voleva che il Procuratore generale inducesse Don Bosco ad accettare. Le condizioni, così come erano enunciate, sembravano buone. Il Beato rispose al Procuratore : “ Per la casa di Teano ci troviamo imba­razzati per difetto di personale. Tuttavia tra domani e posdomani faremo passare in rassegna caecos et claudos e domenica a sera nel Capitolo faremo il possibile per appa­gare chi ha riposto tanta fiducia nei Salesiani ”.

Nel Capitolo se ne trattò; ma tutta la buona volontà s'infranse dinanzi alla penuria di personale. Allora si stabilì di proporre al municipio che affidasse interinalmente la direzione al professore Don Giuseppe Manfredi, canonico di Sant'Ambrogio a Milano, per un periodo non maggiore di tre anni, nel qual tempo questi provvederebbe all'intero personale. La proposta venne accettata e si stipulò una convenzione dodicennale dal 15 ottobre 1880 al 15 ottobre 1892. Il municipio dava per dodici anni tutto il locale fino allora adibito per il ginnasio, riattandolo e mantenendolo in modo che potesse rispondere allo scopo. Nel caso che il numero dei convittori oltrepassasse i cinquanta, lo stesso municipio avrebbe provveduto all'ampliamento; il municipio assegnerebbe inoltre un sussidio annuo di dodicimila lire, più lire millecinquecento all'apertura per indennità di trasloco al personale. Don Dalmazzo si recò dite volte a Teano, dove le accoglienze non potevano essere più cordiali. Il canonico Manfredi, cercatisi i professori, assunse la direzione, in attesa che Don Bosco a suo tempo mandasse i Salesiani; ma questo tempo non venne, essendosi mutate le circostanze.

Parliamo ora di due case, una delle quali, aperta nel 1880, ebbe solo nell'anno seguente il suo assetto regolare, e l'altra dopo lunghe pratiche fu cominciata a costruire nel 1881; vogliamo dire le case di Penango e di Mogliano Veneto.

Penango è un comunello del circondario e della diocesi di Casale Monferrato. Essendo quivi in vendita un edifizio civile situato sopra una ridente collinetta, il parroco Don Giuseppe Garavelli tanto fece e tanto disse, che Don Bosco si decise ad acquistarlo, sborsando per casa e terreni la somma di lire sessanta mila ai Signori Ghiron e Fiz, israeliti casalesi, procuratori del barone Leonino Sabino proprietario. Uno dei motivi che determinarono Don Bosco all'acquisto fu il desiderio di redimere un'annessa chiesa dedicata già alla Vergine dei dolori, ma divenuta, come quella di Nizza, un cantinone, sicchè la Madonna se ne stava là tra filtri, bottiglioni, botti e mastelli doppiamente addolorata.

All'acquisto seguì immediatamente le presa di possesso. Si fecero le cose con grande solennità ai 6 di giugno. V'intervenne tutto il collegio di Borgo San Martino con i suoi 225 allievi. Monsignor Manacorda, vescovo di Fossano e nativo di Penango, celebrò, benedisse, predicò. Le buone popolazioni di Moncalvo, Cagliano, Casorzo, Vignale e di altri paesi circonvicini, avvertiti della cerimonia, si riversarono a Penango, che non aveva mai veduto intorno a sè tanta moltitudine e animazione; il nome di Don Bosco sonava per quelle terre benedetto e caro e una festa per l'apertura di un suo collegio costituiva un avvenimento per tutta la plaga. Scopo della fondazione era di stabilire ivi un convitto per giovinetti delle classi elementari, che fosse quasi succursale a quello di Borgo San Martino, dove ogni anno per mancanza assoluta di posti bisognava respingere gran numero di domande. Don Bosco vi farà la stia prima visita nell'ottobre del 1881.

Datano dal 1879 gl'inizi della casa di Mogliano Veneto, la quale però non ebbe vero cominciamento se non nel 1882. Compare ne' suoi esordi il nome di quell'avvocato Paganuzzi, che fu strenuo vessillifero dell'Azione Cattolica italiana nel periodo dell'Opera dei Congressi, e accanto a lui l'ingegnere Pietro Saccardo, altro cattolico militante di Venezia. Dolorosamente colpiti alla vista delle torme di ragazzi elle vagavano del continuo per le strade e per le piazze nella città della laguna, venendo su viziosi e bestemmiatori e per lo più senza nessuna cognizione di Dio e delle cose di religione, avversi alla fatica, disfatti nel fisico, e per patimenti e disagi d'ogni maniera guasti nell'intelletto, i due zelanti laici studiavano come portar rimedio a tanto male. C'erano, è vero, istituti di beneficenza, ma pochi e affatto insufficienti al bisogno; c'erano anche patronati serali: ma poverissimi di locali e di mezzi, esercitavano un influsso molto limitato. Come salvare tanta misera gioventù?

Prescindendo per il momento dall'idea di dare maggior impulso ai benèfici istituti cittadini e facendo proprio un disegno del defunto patriarca Ramazzotti, essi vagheggiavano la fondazione di una colonia agricola, nella quale sembrava loro di scorgere un'arca di salvezza per tanti poveri ragazzi pressochè abbandonati. In campagna, a lor modo di credere, il lavoro non mancava, massime allora che con mezzi meccanici cominciavano a essere bonificati e resi salubri vasti terreni altre volte palustri ed incolti; ivi il lavoro essere morale e igienico più che in qualunque officina, e più consentaneo alla natura umana che non fosse l'agire quasi come macchina; ivi l'istruzione, l'alloggio, il mantenimento costare assai meno che in qualunque istituto di città, senza dire che il lavoro stesso per piccolo che sia e fatto da braccia ancora inesperte frutta sempre; ivi guada­gnarci non solo i ragazzi, ma anche la società tutta quarta, perchè le idee sovversive, l'odio delle classi povere contro le agiate, e gli altri funesti principii che agitano le masse, non trovano eccitamento, ma anzi si calmano e si rettificano dinanzi allo spettacolo della natura, che produce salutari effetti sotto l'influsso benigno della Provvidenza . Supplicarono dunque Don Bosco di portare la stia attenzione e carità sii d'un problema così grave, ma più ancora sull'ideato rimedio. Il patriarca Agostini, informato della cosa, benediceva di gran cuore la proposta.

La Provvidenza sembrò venire subito incontro alla caritatevole iniziativa. Una pia signora veneziana, Elisabetta Bellavite Astori, vedova da qualche tempo, intendeva appunto creare nel vicino villaggio di Mogliano, doveva aveva i suoi possessi, una colonia agricola, e non per testamento, ma vivente e anzi quanto prima. Consigliatasi col senatore Rossi di Schio, questi le aveva fatto un conto preventivo da sbalordire; sicchè ella era sul punto di rinunziare alla colonia e limitarsi a una casa di ricovero per dodici poveri vecchi. L'ingegnere Saccardo però, incaricato di prepararne un abbozzo, ne la dissuase, facendola ritornare all'originaria sua intenzione, e proponendole di chiamare Don Bosco. All'udire il nome, di Don Bosco, già noto per fama, si rallegrò assai; quindi, fatti i suoi calcoli, decise di donargli il terreno necessario in Mogliano Veneto e la somma di lire centocinquantamila per erigere nel fondo un edifizio su disegno del sullodato ingegnere Saccardo. Avvicinandosi la festa di Maria Ausiliatrice, la signora, invitata da Don Bosco, venne a Torino, dove s'intese con lui e ne riportò la più soave impressione, come appare dalla sua corrispondenza.

Ormai essa considerava la fondazione della colonia agricola come il supremo affare della sua vita, quasi una missione da compiere per potere poscia intonare tranquilla il

Nunc dimittis; quindi non si diè pace, finchè Don Bosco non prese sopra di sè l'opera, quale istituzione affatto sua propria, tanta era la fiducia che riponeva nella santità di lui e nella protezione concessa dal Signore alle sue intraprese . Don Bosco, trattatone col suo Capitolo, accettò formalmente ; dopo di che la Signora mise a sua disposizione la somma stabilita . Essa avrebbe desiderato vivamente la venuta di Don Bosco; ma si rassegnò a rinunziarvi. “ Sono ben dolente, gli scrisse , che mi sia tolto anche questa volta l'onore di accogliere tra le mie mura la veneratissima persona di Don Bosco: ma spero che questo a miglior tempo succederà: intendo, sì: le grazie distinte suole il Signore lasciarle lungamente desiderare, poi le concede; mi concederà pur questa ”. Vi andò invece Don Sala, cui spettava per ufficio sovrintendere alle costruzioni, e portò seco una convenzione già sottoscritta da Doli Bosco, perchè ella pure la sottoscrivesse . La fabbrica fu cominciata nella primavera del 1881 e attraverso le vicende che d'ordinario accompagnano lavori di tal genere, venne condotta rapidamente a termine.

Prima però d'ogni altra cosa erasi chiesta l'autorizzazione dall'Autorità Ecclesiastica. Mogliano Veneto dipende ecclesiasticamente da Treviso, la qual diocesi era allora vacante per la morte di monsignor Zinelli, e ne aveva il governo come Vicario Capitolare il canonico Giuseppe Sarto, Egli non solo concesse quanto gli si domandava, ma volle stendere di proprio pugno l'intero atto relativo  e in termini oltremodo benevoli per Don Bosco, da lui personalmente conosciuto all'Oratorio nel 1875 . La casa fu inaugurata l'8 novembre 1882 da Don Moisè Veronesi, direttore.

L'impossibilità d'impiantare in quei luoghi una scuola di agricoltura forzò più tardi a cambiare la destinazione dell'Istituto che è tuttora assai fiorente.

Nel 1880 principiò da Oporto un carteggio per una fondazione durato molto a lungo. In quella seconda città del Portogallo ai migliori ecclesiastici piangeva il cuore alla vista delle misere condizioni religiose, in cui versava il popolo. I protestanti, favoriti dall'ignoranza, vi facevano guasti incalcolabili. Per contrapporre un argine al crescere del male un gruppo di sacerdoti mediante limosine raccolte avevano aperto alcune scuole cattoliche, delle quali non si tardarono a vedere i frutti; ma erano frutti poco durevoli. 1 giovani, usciti di là, andavano a imparare un mestiere in ambienti dove respiravano l'irreligione e l'immoralità sicchè beli presto perdevano quanto di buono avevano appreso. Uno di quei preti, ragguardevole non meno per nobiltà di sangue che per zelo sacerdotale, Sebastiano Leite De Vasconcellos, il quale fu poi Vescovo di Beja, ruminava in cuor suo come fondare uno stabilimento, dove i giovani dalle scuole cattoliche passassero a imparare ull'arte in modo da divenire un giorno bravi operai cristiani. Ora, mentr'egli si studiava d'incarnare il suo disegno organizzando un'Officina di San Giuseppe ecco che venne a sapere di Don Bosco e delle sue scuole professionali. Gli scrisse immediatamente, scongiurandolo nel nome del Sacro Cuore di Gesù, che gli mandasse almeno tre Salesiani per aprire i tre laboratori dei sarti, calzolai e falegnami. Quante altre lettere scrisse a Don Bosco dopo quella prima! Gli rispondeva Don Durando, e la risposta in diversa forma era invariabilmente una, non essere possibile allora per mancanza di personale, ma sperarsi in seguito di poter esaudire i suoi voti. Commuove il leggere le calde pagine che il buon sacerdote scriveva, non appena gli sembrasse di cogliere in qualche frase un lampo di speranza.

Credendosi di far breccia più facilmente nell'animo dei Superiori di Torino, ottenne un'autorevole raccomandazione dal padre Ficarelli, superiore dei Gesuiti nel Portogallo. Don Bosco dispose che nel 1881 Don Cagliero, andato a Siviglia per una fondazione, di cui appresso diremo, si recasse a Oporto e vedesse e sentisse. Quella visita infuse coraggio, nello zelante sacerdote, che poco dopo intraprese il viaggio di Torino per conoscere Don Bosco, osservare da vicino le sue opere, intendersi con lui e riportarne la benedizione. Il Beato lo ascoltò con molta bontà, gli diede utili consigli e alla fine gli disse: - Io credo davanti a Dio che Ella debba aprire ora quell'istituto a beneficio della gioventù; più tardi io vi manderò i Salesiani. - Il sacerdote, ritornato in patria, conformandosi alle istruzioni di Don Bosco e facendo tesoro delle cose viste all'Oratorio, a Sampierdarena e a Marsiglia, formò una commissione delle maggiori personalità cittadine e aperse l'Officina di San Giuseppe con la riserva esplicita di cedere poi ogni cosa ai Salesiani, appena arrivassero; ma gli toccò pazientare fin dopo la morte di Don Bosco, alla cui promessa diede esecuzione il suo Successore.

    Se nuove case, come abbiamo veduto, non furono aperte nel 1880 sul vecchio continente, molto si fece per lo sviluppo di quelle che già esistevano; Don Bosco ne diede relazione ai Cooperatori nel suo resoconto annuale del gennaio 1881. In Francia, la colonia agricola della Navarre ebbe ampliati i locali; fu di molto ingrandito l'orfanotrofio di Nizza Marittima; venne aggiunto all'oratorio di Marsiglia un nuovo fabbricato, che permise di triplicare il numero degli allievi. In Italia, a Vallecrosia, terminati gli edifizi per le scuole maschili e femminili e per l'abitazione dei maestri e delle maestre, e progrediti i lavori per la chiesa annessa; a Torino continuati i lavori nella chiesa di San Giovanni Evangelista e nell'unito ospizio; alla Spezia danneggiato gravemente da un uragano l'edifizio in costruzione per le scuole e la chiesa ma ripigliati tosto i lavori; messa mano alla gigantesca impresa del Sacro Cuore a Roma.

Ma perchè, nonostante le arti messe purtroppo in campo dall'avversario d'ogni bene, non gli venisse a mancar il favore della Suprema Autorità, senza il quale sarebbero caduti invano tanti suoi sforzi, nell'agosto del 1880 aveva inviato un'accurata relazione sulle cose d'America e d'Europa al Cardinale Protettore, come a colui che per la natura del suo ufficio e per la grande benevolenza verso la Congregazione poteva più di qualsiasi altro giovare a Don Bosco nei suoi rapporti con la Santa Sede.

 

           Eminenza Reverendissima,

 

Credo che all'E. V. come protettore ed amico dell'umile nostra Congregazione non tornerà discaro un ragguaglio sullo stato di alcune delle nostre case che paiono degne di particolare attenzione in America ed in Europa.

Le nostre Missioni dell'Uruguay e della Patagonia camminano con grande consolazione. Ma il Governo che aveva promesso notabili sussidi per fondare colonie, edificare chiese, scuole, ospizi e così progredire in mezzo ai selvaggi, ora a motivo delle discordie civili non può mantenere le fatte promesse e ci abbandona a noi stessi con gravi passività da estinguere. Ho già però dato le necessarie disposizioni, affinchè almeno le somme di maggior premura siano pagate.

Più complicate sono le cose in Buenos Aires capitale della Repubblica Argentina. Scuole, ospizi, case di educazione tanto maschili quanto femminili, dovettero sciogliersi e disperdersi per mettere in salvo l'onore e la vita degli allievi, dei religiosi e delle religiose. Sventuratamente questi istituti si trovavano nei siti dove succedettero le ostilità dei belligeranti. Il danno materiale deve essere rilevante, ma il fatto più doloroso fu la morte del Sac. Francesco Bodratto, Superiore delle nostre Missioni in America. Abbattuto dalle incessanti fatiche, fu costretto di porsi a letto al principio dei moti rivoluzionari. Il dolore di non poter provvedere ai crescenti bisogni gli accrebbe il male; le fucilate, le cannonate che rombavano giorno e notte sopra e intorno alla sua abitazione, contribuirono a estinguere una vita preziosa che un dispaccio telegrafico annunziava mandato ultimo respiro al quattro del corrente agosto. Con altro telegramma all'Arcivescovo di quella capitale ho scritto che provveda interinalmente nella persona del Sac. Giacomo Costamagna, assai stimato per la sua predicazione, e che fu il primo a trascorrere le Pampas fino al di là del Rio Negro e cominciare le Missioni della parte Patagonica. Appena avrò ricevuto le lettere che attendo, darò prontamente comunicazione dei fatti particolari alla E. V. e si verrà alla nomina definitiva del novello Superiore. Anzi a questo fine e per altri motivi un nostro Sacerdote è in viaggio per l'Europa per venirci a fare esatta esposizione dello stato delle cose personalmente.

Passando ora alle case di Europa, ho il piacere di poterle dire che finora i nostri istituti in Francia non ebbero alcun sintomo di futuro disturbo. A Marsiglia si lavora alacremente per la casa di noviziato e pel seminario della Patagonia. Nutro fiducia che pel fine di ottobre sarà in grati parte ultimata ed abitata. Già otto allievi sono ammessi, nell'antico edifizio ed hanno già cominciato regolarmente gli studi classici. Molti altri fanno dimanda di essere ricevuti.

La chiesa annessa all'istituto di Nizza al Mare volge al termine e sarà inaugurata al divin culto nel prossimo novembre.

Con maggior energia progrediscono i lavori per le scuole e per la chiesa di Vallecrosia presso Ventimiglia. Al prossimo febbraio speriamo di poter abitare questi novelli locali. Le scuole e la chiesa protestante continuano ad essere deserte, perchè la scolaresca frequenta esclusivamente le nostre scuole e la nostra chiesa. Sebbene, a dir vero, non siano che un meschino magazzino adattato a questo bisogno.

Con pari ardore si lavora per la chiesa e istituto di S. Gio. Evangelista accanto al tempio e scuole protestanti di Torino. Nel prossimo novembre sarà trasferito l'oratorio dei fanciulli, e nel giugno 1881 tutta la chiesa potrà essere funzionata.

Ma a qual punto si trova la nostra impresa nella piccola Ginevra ossia nella Spezia? Non si è perduto tempo e si faticò un poco a sormontare le difficoltà che moltiplicarsi ad ogni momento. Ciò nulla di meno furono sventate le insidie, che solamente l'immoralità e l'empietà protestante sa praticare. Al giorno di S. Lorenzo fecesi l'atto legale di acquisto del terreno, su cui è progettata la costruzione delle scuole, della chiesa e della casa pei nostri maestri. Desideravamo che quest'atto cotanto sospirato venisse effettuato un po' prima per farlo servire come un mazzetto di fiori da presentare alla E. V. nel suo onomastico; ma un nuovo ostacolo sopraggiunse e pareva minacciare tutta la pratica. Ciò nulla di meno, la sera di quel giorno siamo riusciti in Torino a stipulare l'atto notarile che ci rendeva padroni di 1500 metri di area fabbricabile, sborsandone il prezzo in contanti. Il relativo disegno è ultimato e da martedì 17 corrente sta sul luogo l'economo della Congregazione per dare opera in guisa che nel prossimo marzo possiamo trasferire colà le nostre tende. Non so se sarà possibile in sì breve tempo compiere tanto lavoro, ma necessità non ha legge e speriamo nel Signore di poterci riuscire.

Per le spese occorrenti in Marsiglia, in Nizza Mare, in Vallecrosia e in Torino ho fiducia di andare avanti senza difficoltà. Non così è della Spezia in cui non si può sperare nessun sussidio materiale. Finora la nostra beneficenza in quella città è stata la inesauribile carità del S. Padre. In un foglietto a parte esprimo un mio pensiero, che prego V. E. a voler leggere e comunicare a Stia Santità; se alla illuminata di Lei sapienza sembrerà cotesto conveniente.

La supplico infine a far gradire al sullodato Santo Pontefice i deboli sforzi che fanno i Salesiani pel bene di S. Chiesa, invocando l'apostolica benedizione sopra di tutti, ma specialmente sopra i nostri Missionari di America.

Mentre poi ci raccomandiamo tutti alla carità delle sante preghiere della E. V. ho l'alto onore di potermi professare con somma venerazione e con profonda gratitudine

Della E. V. Rev.ma

 

       Dalla Casa di Nizza Monferrato, 20 agosto 1880.

 

Obbl.mo servitore

  Sac. Gio. Bosco.

 

Dinanzi a tanta mole di opere sulle spalle di lui privato era ben naturale che Don Bosco si domandasse: “ Al compimento di grandi imprese a gloria di Dio e a sollievo della umanità sofferente, la prima difficoltà che suol frapporsi è la deficienza di mezzi. Come provvedere a tanti ragazzi ricoverati, come sostenere tante opere già cominciate? Ove prendere vitto, vestito, per tanti maestri e allievi? ” A così serie interrogazioni rispondeva: “La Divina Provvidenza ha tesori inesausti. Nel passato essa non ci mancò mai; doseremo dubitare per l'avvenire? No certamente. Facciamo tutti quel poco che possiamo, e Dio supplirà a quello che manca. Mentre poi mettiamo confidenza illimitata nella bontà del Signore, noli ricusiamo la nostra cooperazione. Ciascuno rifletta un momento sul precetto del Salvatore quando disse: Date e vi sarà ricambiato con abbondante misura. E altrove: Date il superfluo in elemosina. Del superfluo ne hanno tutti, e parecchi vi sono che ne hanno molto  ”.

A questi appelli che Don Bosco rinnoverà sempre più frequenti e sempre più incalzanti a misura che aumenteranno le sue opere, risponderà ognora pronta e generosa la carità de' suoi Cooperatori.

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