Il primo refettorio dei giovani - Sistema mutato nella distribuzione del cibo - Varie classi di giovani - Il primo regolamento interno: i dormitorii - Due lettere per accettazioni di giovani - Paterna tolleranza - Cagliero incomincia lo studio della musica - Tenerezza materna - Margherita e gli infermi.
del 27 novembre 2006
Sul principio del 1851 i ricoverati più non si disperdevano nel cortile o nella casa per mangiare la minestra a pranzo e a cena, ma incominciarono ad assidersi a qualche tavola disposta sotto una tettoia, ed essendo molti cresciuti in età, si era concessa a tutti in più una pagnotta a colazione. Ma nel 1852 ci fu un altro progresso. D. Bosco cessò la distribuzione dei 25 centesimi al giorno ad ogni giovane, perchè alcuni, non sapendo regolarsi, li spendevano in ghiottonerie, rimanendo poi senza pane. Aboliti i pentolini, li sostituì con capaci scodelle di stagno, e da quel punto il pane fu provvisto dalla dispensa della casa, aggiungendo regolarmente un po' di pietanza al pranzo del giovedì e della domenica. Tempo dopo, si distribuiva tutti i giorni pietanza o frutta a mezzogiorno e un bicchiere di vino nelle feste.
D. Bosco s'industriava quanto poteva per dare a' suoi giovani il vitto necessario; e questo non fu mai che mancasse, non tanto fino, ma sano ed abbondante. Minestra e pane erano sempre a piena disposizione di tutti, che ne mangiavano a sazietà. Si invigilava però che di questo non ne fosse portato fuori di refettorio, e per raggiungere tale intento si concesse una metà di pagnotta per la merenda. D. Bosco contrattava che il pane fosse di prima qualità e avendogli il Cav. Cotta suggerito di nutrire i suoi giovani con grissini, volle far la prova per una settimana. Ma scorgendo che quel nutrimento, benchè dei più fini, non li soddisfaceva, perchè essendo senza midolla bisognava mangiarlo con lentezza, subito smise. Nelle solennità e nelle feste della casa concedeva loro qualche cosa di più, che ordinariamente consisteva nel companatico a colazione, in un modesto antipasto e in una bicchierata a pranzo. Anche pel vestito non lasciava mancar nulla ai più poveri.
La massima parte dei giovani avevano miglior trattamento nell'Oratorio di quello che potevano avere nelle loro proprie famiglie, ed erano a pensione gratuita. In generale D. Bosco dava la preferenza agli orfanelli più bisognosi ed abbandonati, esposti al pericolo di commettere dei delitti, o ad essere guasti dagli scandali che avevano in famiglia, o a rimaner arreticati da qualche cattivo compagno. Egli diceva tutto commosso e colle lagrime agli occhi: - Per questi giovani farò qualunque sacrifizio: anche il mio sangue darei volentieri per salvarli. - E raccomandava a' suoi coadiutori la stessa compassione.
Esigeva però qualche tenue tangente da coloro che avevano ancora i genitori, o possedevano qualche sostanza, o avevano benefattori, solendo dire non esser giusto che fossero costoro mantenuti dalla pubblica beneficenza, la quale deve servire solo per coloro che si trovano nella vera necessità. Il loro mantenimento però era sempre più costoso di ciò che qualunque di essi corrispondesse; al che D. Bosco suppliva coi soccorsi somministratigli dalla Provvidenza.
Quello che loro dava era dunque superiore a ciò che potessero pretendere ed egli molte volte biasimava il sistema di certi Istituti moderni per cui i poveri giovani ricoverati ricevono un trattamento oltre la loro condizione ed in seguito, dovendo uscire dall'Istituto, non si adattano a certe privazioni con danno materiale ed anche morale.
Vi erano anche altri giovanetti all'Oratorio in questi primi tempi, appartenenti a famiglie piuttosto agiate, le quali pregavano D. Bosco di accettare in educazione i loro figliuoli, disposte a concorrere con una retta anche vistosa; e questi avevano un trattamento speciale. D. Bosco l ammetteva alla mensa de' suoi chierici, perchè ricevessero buon esempio. Ma questa eccezione non fu di lunga durata, cioè finchè D. Bosco non aprì altri collegi all'uopo nel 1860 e 1863.
Ma fra gli studenti e gli artigiani, chi pagava la pensione e chi non la pagava oppure la retribuiva esigua, fra chierici e ricoverati regnava la più viva amicizia e la più schietta eguaglianza. D. Bosco legava tutti i cuori. Buono come la più amante delle madri, giusto, senza parzialità per alcuno, affettuoso colle stesse persone destinate a servire, apprezzatore e rimuneratore dei meriti, sollecito cogli infermi, soccorritore dei bisognosi, pacificatore incantevole nelle piccole discordie dicendo: Chi ha maggior prudenza l'adoperi, soffriva quando i giovani si allontanavano anche per breve tempo e adoperava ogni industria per tenerli presso di sè  nelle vacanze, anche gratuitamente, perchè temeva che andando via colle ali, ritornassero colle corna.
Ma la rara tranquillità, che i giovani generalmente sani e robusti per le sue attenzioni godevano, non era senza qualche disagio. La minestra, per la grande quantità, non era sempre secondo tutti i gusti, i locali ristretti e poveri, gli alunni troppo più numerosi che la sua casa potesse capirli con agio, e varii altri incomodi che non dipendevano dalla volontà e diligenza di D. Bosco. Tuttavia l'amore che i giovani portavano all'Oratorio, anche quelli che pagavano pensione, è cosa incredibile. Ancor oggi narrano gli antichi allievi, e fra questi il Can. Ballesio: “La minestra e la pietanza non erano all'altezza dei tempi. Pensando come si mangiava e come si dormiva, adesso ci meravigliamo d'aver potuto allora passarcela senza talvolta patirne e senza lamentarci. Ma eravamo felici, vivevamo di affetto. Si respirava in una regione di splendide idee, che ci riempiva tutto di sè  e non pensavamo ad altro”.
D. Bosco in quest'anno aveva eziandio incominciato a stabilire alcune regole disciplinari, poichè , nei primordii dell'Oratorio, non vi erano regolamenti scritti. Non essendovi là entro nè  scuole, nè  laboratorii, la classificazione dei giovani veniva fatta per camerate, e perciò in ogni dormitorio fu destinato un chierico o un giovane per assistente e venne affissa una tabella la quale conteneva articoli da osservarsi nella casa. Eccone il tenore.
 
1. Ogni giovane dovrà essere sottomesso all'assistente od a chi ne fa le veci, il quale è obbligato a render conto di quanto si fa e di quanto si dice nel dormitorio.
2. Non si può introdurre nel dormitorio alcuna persona anche parente senza licenza: nemmeno i giovani di un dormitorio possono andare in quello degli altri senza speciale permesso dei Superiori.
3. Ciascuno procuri di dare buon esempio ai compagni, particolarmente nella frequenza dei Sacramenti, accostandovisi almeno ogni quindici giorni.
4. Ognuno abbia cura della nettezza tanto della persona quanto del dormitorio.
5. La sera, dette le orazioni, si venga subito in camera e non si stia a girare pel cortile: si osserverà quindi rigoroso silenzio per non incomodare coloro che hanno bisogno di riposare,
6. Al mattino al segno della levata, ciascuno si vestirà colla massima modestia, osservando esatto silenzio.
7. È strettamente vietato di vendere o comperare qualsiasi oggetto o tener danaro presso di sè . Chiunque avesse danaro deve consegnarlo al Prefetto, che ne terrà conto e lo somministrerà nei casi di bisogno.
8. È pure vietato di scrivere sui muri della casa, piantar chiodi o far rotture per qualsiasi pretesto.
9. Si raccomanda la carità fraterna, perciò sopportare pazientemente i difetti dei compagni e non mai disprezzarli od offenderli.
10. È rigorosamente proibito ogni atto sconvenevole ed ogni sorta di cattivi discorsi.
11. Chi osserverà queste regole sia dal Signore benedetto, Ognuno si ricordi che colui il quale comincia a vivere da buon cristiano in gioventù, condurrà buona vita fino alla vecchiaia, e Dio lo conserverà fino a quell'età.
N. B. Questo regolamento sarà letto a chiara voce la prima domenica di ciaschedun mese a tutti quelli del dormitorio.
 
Sac. GIOVANNI Bosco.
 
Questo regolamento col quale i giovani erano chiamati i figli della casa nell'originale primitivo, venne a poco a poco alquanto modificato e ridotto nella forma su esposta.
I giovani in que' tempi memorabili godevano moltissima libertà, essendo come in famiglia. Ma di mano in mano che sorgeva un bisogno o nasceva un disordine, D. Bosco gradatamente restringeva la libertà con qualche nuova regola opportuna. E i giovani, riconoscendo la necessità di quelle nuove disposizioni, vi si assoggettavano volontieri, ma ne rimproveravano coloro che colle mancanze ne erano stati la causa. Così ad una ad una, a varii intervalli, furono stabilite le norme disciplinari che ora formano il regolamento delle Case Salesiane.
Ogni camerata o dormitorio aveva il suo Santo titolare e patrono, il cui nome era scritto sulla porta d'entrata ed ogni anno i giovani appartenenti a quella ne celebravano la Festa coll'accostarsi tutti ai Sacramenti, e, ottenuta licenza, coll'addobbare e ornar con lumi l'effigie del Santo, col cantare inni, recitare preghiere innanzi alla stessa. Sceglievano quell'ora del giorno o della sera che meno disturbasse l'orario generale, e invitavano i Superiori. Era presente un priore scelto da essi, ed un giovane od un chierico faceva il panegirico. Talora davasi da baciare la reliquia. Era questo un mezzo, che unito agli altri, accendeva sempre pi√π il fervore della divozione. La camerata tenevasi come un santuario. In ogni dormitorio, e poi nelle sale di studio, D. Bosco prescrisse vi fosse la conchiglia coll'acqua benedetta, della quale facevasi uso. Eravi l'altarino colla statua della Madonna ed il crocifisso. Tutti i giorni del mese di maggio recitavasi prima di coricarsi una piccola preghiera innanzi all'immagine di Maria, ornata da molti lumi e di tappezzerie. Queste usanze furono ridotte per i troppi chiodi che si piantavano nel muro, ma durarono lungo tempo. Talora le feste del Titolare della camerata davan luogo in questa ad una bell'accademia, presente D. Bosco stesso. Abbiamo trovato e custodiamo alcuni sonetti composti e recitati in varii anni successivi dai giovani studenti della camerata di Sant'Agostino in onore del grande Vescovo d'Ippona e dedicati a D. Bosco, a Dori Alasonatti Vittorio, e ad uno dei loro priori, Berruto Giovanni.
In quanto all'ordine generale D. Bosco vide l'importanza che vi fosse nella casa un rappresentante permanente della sua autorità; e quando egli doveva allontanarsi da Torino, per qualche giorno, invitava, come aveva fatto nell'anno, trascorso, anche nel 1852 D. Grassino ad abitare in Valdocco:
Il suo zelo e la sua prudenza gli suggerivano i detti provvedimenti, mentre la sua carità verso i giovani traspariva anche dalle lettere che scriveva a quelli che li raccomandavano. Il Rev. Don Francesco Puecher dell'Istituto della Carità, da Stresa per lettera auguravagli la benedizione dì Dio per la sua lotteria, lo salutava insieme col Teol. Gastaldi, e, a nome dell'Ab. Rosmini, disposto a pagare una retta mensile, gli raccomandava un giovanetto. D. Bosco rispondeva il 16 Febbraio 1852. “In seguito alla lettera di V. S. Ill.ma e car.ma ho tosto fatto venire il giovanetto C ......... Io fui intenerito al solo vederlo; ha un aspetto proprio di chi patisce fame di corpo e di anima; l'indole però mi parve ottima, sicchè gli dissi che venisse presso di me nella corrente settimana, onde tenerlo per alcuni giorni per prova, senza dirgli altro. Io giudico di mandarlo ancora qualche tempo a scuola per conoscere meglio se il Signore lo chiama allo studio o ad un mestiere.... Comunque sia io conto di tener qui questo giovane perchè ne scorgo troppo grave il bisogno”. E tempo dopo scriveva al Rev. D. Gilardi: “Il giovanetto C….. è assai distinto nella buona condotta e nella pietà: dimostra propensione per lo stato ecclesiastico, primeggia nel terzo corso di grammatica latina: fa sperar bene di sè  per l'avvenire; ma tocca solo i quattordici anni; bisogna fare in modo che egli prosegua i suoi studii”.
Altra lettera indirizzava al Conte Zaverio Provana di Collegno.
 
Ill.mo Signore,
 
Comprendo tutta l'importanza di occuparci del giovane,dalla bontà di V. S. Ill.ma raccomandato, e l'assicuro che ne prenderò tutto l'interessamento possibile.
Soltanto che mi trovo in momento scabroso, perchè scarso di mezzi e affatto privo di locale, tuttavia diami cinque o sei giorni di tempo, e farò in modo di occuparlo in qualche maniera, quindi collocarlo o qui o presso qualche altra sicura persona.
La ringrazio di tutto cuore della buona memoria che conserva per me, mi raccomandi al Signore e gradisca che mi dica colla massima venerazione
Di V. S. Ill.ma
Torino, 21 febbraio 1852.
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Intanto le scuole di latinità davano eccellenti frutti. Anche il giovane Cagliero dimostrava un bell'ingegno, e un umore allegro. Sempre il primo nei giuochi e nelle partite, capo e maestro di ginnastica, e intraprendente al sommo grado.
Ma la sua indole focosa sul principio non pareva che fosse possibile frenarla. Specialmente nel recarsi alle scuole, non c'era modo che potesse piegarsi ad andare di conserva cogli altri compagni. Il ch. Rua, che era, incaricato della sorveglianza, non riusciva a metterlo in riga. Esso, appena fuori dell'Oratorio, correva in piazza Milano ove erano i ciarlatani, dava un'occhiata al giuochi, e quando i compagni giungevano alla porta del prof. Bonzanino, trovavano Cagliero che già li attendeva tutto molle di sudore
Rua dicevagli spesse volte: - Perchè tu non vieni cogli altri?
- Oh bella! a me piace più così; che male c'è passare per una strada piuttostochè per un'altra?
- E l'ubbidienza?
- L'ubbidienza? Non sono io puntuale nel giungere alla scuola? Anzi non arrivo sempre prima degli altri? Io il lavoro lo faccio, la lezione la so sempre; dunque perchè prendervi fastidio per queste bazzecole?
E continuava ad andare solo, pel matto piacere di vedere i ciarlatani. Qualcuno incominciò a proporre a D. Bosco che sarebbe meglio mandare a casa propria un giovane così poco amante della disciplina; ma D. Bosco, che teneva in massimo conto la schiettezza di Cagliero, non volle saperne. Infatti l'anno seguente il giovane Cagliero, dopo alcune ammonizioni di D. Bosco, divenne più osservante della regola e non tardò ad essere il modello di tutti.
Era adorno di molte belle qualità, e D. Bosco, che in lui aveva scoperta una felice disposizione per la musica, gliene insegnò i primi rudimenti e lo consegnò al chierico Bellia, perchè proseguisse ad esercitarlo. Egli desiderava di formare un maestro che scrivesse cose facili pel popolo, e lo fece applicare sul serio a tale studio, mercè  un buon metodo di cui in breve si videro i risultati. Un giorno venne a mancare chi alla festa suonava l'armonio in chiesa. Chi suonerà in vece sua la domenica? Che figura si farà in chiesa senza suoni e senza canti? Cagliero vede l'imbroglio, nè  vuole che sia detto che per l'assenza di uno ne scapiti l'Oratorio. Con un'energia di volontà superiore all'età sua, tanto fa e tanto si adopera che la domenica seguente siede all'armonio e con mano sicura suona le melodie solite a udirsi nelle domeniche precedenti.
Dopo questa riuscita, la sua passione per la musica si fece ognor più prepotente, e stava ore ed ore allo sgangherato pianoforte. Sonava con tanta foga note poco armoniche per un orecchio profano, che un giorno la buona Margherita perdette alquanto la pazienza, e non si peritò per cella di minacciar colla granata il giovane musico, che amava da buona madre. Essa infatti dolce, affabile, paziente, in ogni circostanza, o grande o piccola, dimostrava la grande carità che nutriva verso i poveri giovanetti. Sovente accadeva che d'inverno qualcheduno fosse costretto dal padrone a lavorare fino ad ora tardissima; non vedendoli comparire cogli altri a cena e saputa l'urgenza del lavoro: - Poveri figli! esclamava, ricordiamoci di tenere la minestra al caldo! E non aveva coraggio di andare a riposarsi, ma li stava sempre aspettando fino alle 11 ore e talora fino a mezzanotte tremando dal freddo. Quando giungevano, li rallegrava eziandio con un avanzo di pietanza che aveva messo in serbo.
Qualcuno dei pi√π piccoli talora, alla sera della domenica, dopo le funzioni di chiesa andava in cucina. - Che cosa vuoi, piccolino?
- Mamma, datemi una pagnotta.
- Ma non hai già mangiata la tua merenda?
- Sì; ma ho ancora tanta fame!
- Poveretto, prendi; e gliela dava; - ma non dirlo a nessuno, altrimenti vengono anche gli altri compagni, e poi mi lasciano i pezzi di pane in mezzo al cortile.
- Mamma, state tranquilla, non lo dico a nessuno.
E correva in cortile colla sua pagnotta in mano. I compagni, vedendo che mangiava, gli andavano attorno: - Chi te l'ha dato questo pane?
Il piccollino rispondeva subito colla bocca piena: - Mamma Margherita.
E gli altri correvano difilati da lei, che non sapeva dire di no.
La domenica seguente lo stesso fanciullo ritornava, a chiedere pane: - Tu, dicevagli Margherita, la settimana scorsa hai raccontato a tutti che io ti ho dato del pane, e mi hai messa negli imbrogli. Perciò oggi non te ne do più.
- Ma dovevo io dire la bugia? Mi hanno interrogato e ho dovuto rispondere secondo verità.
- Hai ragione, la bugia non va detta. - E senz'altro lo contentava.
Come si vede, i buoni giovani avevano un grande ascendente sopra il suo cuore. Quando nell'Oratorio erasi incominciata la classe degli studenti, alcuno di costoro, ritornato dalla scuola e avuto il pane per la merenda, andava in camera di Margherita e le diceva: - Niente altro?
- E non ti basta? rispondeva Margherita.
Il giovanetto incominciava a mangiare il suo pane e poi ripeteva:
- Mamma, non posso trangugiarlo.
- E perchè ?
- È asciutto! Se aveste un po' di formaggio o una fetta di salame, sarebbe più buono.
- Va' là, va' là, ghiottone i Ringrazia la Provvidenza che hai pan bianco.
- Oh mamma! - quasi con un gemito ripigliava il furbacchiotto, fissandola pietosamente in volto. - Oh mamma!
E Margherita finiva con dargli quanto chiedeva.
Abbiamo rammentati questi due umili fatti, che si diranno forse da qualcuno troppo comuni, perchè ci è più cara una stilla d'amore, che un pelago di glorie, di grandezze, di meraviglie, e perchè riguardano due nostri compagni che furono poi insigniti di altissime dignità'.
Da ciò puossi eziandio argomentare che cosa essa facesse per i giovanetti quando erano melanconici o ammalati. Per i primi, non lasciava di mettere in opera ogni mezzo per far ritornare il sorriso sulle loro labbra; per i secondi, gareggiava per spirito di sacrifizio e per continue cure con qualunque madre possa darsi più affettuosa. Un mal di testa, un dolor di denti che qualcuno avesse era per lei una pena grande. I giovanetti al primo sentirsi qualche leggiero malore ricorrevano a lei, ed essa era pronta in loro servigio, di giorno e di notte. Se avesse udito un gemito, un pianto, non tra tranquilla finchè non ne avesse saputa la cagione. Se per malattia uno era costretto a coricarsi, essa gli era sempre attorno; preparava le medicine, andava a lavorare vicino al suo letto, vegliavalo quando gli altri andavano a dormire. Valga, per dire tutto in breve, il seguente fatto. Un giovane cadde infermo di malattia infettiva, e il medico avendo prescritto che fosse isolato dagli altri, Margherita gli si mise al fianco amorevole infermiera. Quando fu stabilito che fosse ricoverato all'Ospedale e lo vide trasportar giù per le scale, lo seguì silenziosa fin sulla soglia; quando i servi sollevarono la barella e si avviarono, ruppe in dirotto pianto.
Margherita era l'angelo custode dell'Oratorio.
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