Capitolo 3

Visite doverose - L'antico maestro D. Lacqua - Singolare avventura - La caratteristica di D. Bosco - D. Carlo Palazzolo - Studi particolari.

Capitolo 3

da Memorie Biografiche

del 17 ottobre 2006

Per aderire al desiderio con insistenza espressogli ed anche per manifestare la sua inalterabile gratitudine verso di quanti gli avevano fatto del bene, oppure solo gli avevano dimostrato benevolenza, nelle prime settimane del suo sacerdozio D. Bosco si recò a Moncucco a far visita alla buona famiglia dei Moglia; poi fece una gita fino a Pinerolo, presso i Signori Strambio, verso de' quali andava legato pei vincoli d'amicizia coi loro tre figli, ed in pari tempo si portò a Fenestrelle, ove predicò per invito di quel Parroco suo amico. Nè dimenticò il suo antico maestro D. Lacqua, colui che avevalo iniziato nei primi rudimenti del leggere e dello scrivere, il quale, come abbiam già veduto, erasi ritirato a Ponzano ed ora aveva oltrepassati gli ottantasei anni. Annunciatagli per lettera la sua felicità per aver raggiunta la sospirata meta ed essere finalmente sacerdote, gli prometteva una sua visita. D. Bosco conservò la risposta del venerando vecchio fra le sue carte più care, e noi siamo ben felici di poterla qui riprodurre:

 

Ponzano, li 28 luglio 1841.

 

 

Carissimo amico ed allievo dilettissimo,

 

Ecco in pochi accenti il riscontro alla vostra compitissima, (scrivo sempre con la confidenza e libertà di un maestro verso il suo allievo ) ricevuta, letta e riletta più volte ieri sera. Godo e mi rallegro sommamente alla vostra promozione al grado sacerdotale; onore e premio ben dovuto e destinato dal cielo ai vostri meriti. Vi sono molto tenuto per l’attenzione da voi usata nel cercare di appagare il mio desiderio per la vita solitaria e ritirata e ve ne rendo mille grazie e mille. Per quest’anno venturo prossimo debbo ancora prestare il debole mio servizio a questo Comune a tenore della capitolazione; benchè se io avessi voluto, avrei potuto nell’ora scaduto giugno dismettere l’impiego e battere la ritirata; ma ora la strada è chiusa.

Piuttosto che accettare un'altra Magistratura o Cappellania, pensatis pensandis, io stimo meglio di tirare innanzi in questo impiego, che propriamente è una panata per un povero vecchio, quale io sono; stantechè d'inverno il numero degli scolari non passa mai i dodici o quindici, e dopo Pasqua la scuola si riduce ad uno scolaro, o a nessuno affatto. Oppure il meglio di tutto, sarà ritornare alla patria a terminare i miei giorni, dove li ho incominciati. Dulcis amor patriae, dulce videre suos: ma quel che è certo si è che sarà quel che Dio vorrà.

Accetto di buon grado la graziosa commissione delle Messe offertemi dalla vostra gentilezza….. e proseguirò a celebrare favente Deo a vostro conto fino alla metà del venturo settembre, o sino al vostro desiderato arrivo. Marianna sta bene e vi saluta.

La pagina è omai piena, perciò io chiudo il foglio e attendendovi coi cuore spalancato, insieme alla vostra genitrice, si fieri potest, vi auguro ogni vero bene e sono immutabilmente

 

Il vostro D. LACQUA.

 

 

P. S. Vi prego di farmi riverentemente presente al Signor Giuseppe Scaglia e a tutta la sua famiglia, quando vi si presenterà l'occasione.

 

 

 

Dopo aver celebrata la novena e festa del SS. Rosario, D. Bosco potè mantenere la promessa. Il 14 ottobre fu il giorno scelto per la gita a Ponzano. Là attendevano D. Bosco, insieme coll'antico maestro, Marianna, la sorella di sua madre, alla quale egli era debitore di aver potuto incominciare gli studi, ed il Parroco, antica sua conoscenza.

Ritorno a descrivere minutamente una passeggiata, perchè l'ho udita dalle stesse labbra di D. Bosco, il quale era felicissimo in queste narrazioni e nel ricordare ogni più piccola circostanza di esse. Ciò egli faceva con tanta ingenuità e con tanto gusto, da far trasparire il caro ricordo di un'impressione indelebile scolpita non solo nella mente, ma più nel cuore. Dalle sue parole trapelava la santità dei suoi fini, la correttezza de' suoi diportamenti, anche quando rappresentava un suo aneddoto solo dall'aspetto di una lieta ricreazione. Di nulla aveva anche leggiero rimorso, ossia cagione di qualche rossore. Ricordava, sorrideva, gioiva, si compiaceva di quei tempi passati, ed era per lui un grande conforto tener viva con essi la curiosità e l'allegrezza dei suoi giovanetti. Pei quali ciò era stimolo ad essere timorati di Dio nelle loro ricreazioni, facendo pure ogni chiasso possibile, ma conservando la cara innocenza. Diceva sovente D. Bosco: “Non chiamate divertimento una giornata che lasci rimorsi nel cuore, paura dei giudizi di Dio!”.

D. Bosco adunque, sceltosi per compagno di viaggio un bravo giovanotto e fattasi insegnare la strada, partì di buon mattino da Montaldo, ove era stato alloggiato presso il Rettore. Fermatosi a pranzare col parroco di Cocconato, ripreso il cammino oltrepassò Cocconito, e benchè l'ora fosse già inoltrata si avviò per la volta di Ponzano. Sgraziatamente però aveva sbagliato strada e si trovò smarrito in una folta selva. La notte si avvicinava, il cielo si copriva di densi nuvoloni e sembrava imminente un temporale. Tuttavia D. Bosco ed il compagno continuarono ancora qualche tratto di quel sentiero, quando a notte buia finirono per smarrire eziandio il sentiero battuto. L'aria era solo rischiarata da continui lampi, accompagnati da fragorosi colpi di tuono. Non ci si vedeva più, e per colmo di sventura si scatenò una dirottissima pioggia che in breve li ebbe inzuppati da capo a piedi: l'oscurità e la troppa fitta boscaglia finì col rendere impossibile il proseguimento del viaggio. Che fare? Si arresero alla contraria fortuna, e trovato un luogo, ove loro parve di essere alquanto al coperto, si sedettero per attendere che si calmasse alquanto l'impeto della bufera. La solitudine, l'oscurità, i lampi, i tuoni, il fischio del vento, lo scricchiolio dei rami che si spezzavano, il lugubre gemito di qualche uccello disturbato dal sonno, loro incutevano spavento. Stavano silenziosi. In fine però l'ostinatezza e la furia del temporale li fece prendere consiglio di cercar scampo in qualche modo. D. Bosco, recitata una preghiera a Maria SS., si alzò e disse al compagno: - Andiamo in questa direzione; in qualche luogo riusciremo. - Così fecero e dopo un breve cammino, udirono il grido di un gallo. Questo canto li rianimò a proseguire con più lena il loro viaggio: ed ecco man mano che si avanzavano, prima l'abbaiare del cane, poi il miagolare del gatto, in ultimo comparire qualche lume che indicava poco lungi esservi delle case. - Oh! ecco un paese! - esclamarono ad una voce con gioia i nostri due viaggiatori. Si affrettarono a quella volta e una grata fragranza di pane che cuoceva loro veniva incontro. Non tardarono a vedere alcune persone attorno ad un forno che lavoravano. Si avvicinarono, ma appena quella gente si accorse della loro presenza, lasciando ogni cosa, fuggì rapidamente in casa, si rinchiuse spaventata, lasciando i sopraggiunti nello stupore e nella costernazione. D. Bosco si avvicinò a quella casa: - Non temete, diceva; venite fuori; noi siamo buona gente, che abbiamo smarrita la strada, e a stento stiamo in piedi fradici dalla pioggia; non vogliamo farvi alcun male; venite ad accudire il vostro pane, che altrimenti abbrucia. - Era un parlare ai sordi; non ascoltavano ragioni di sorta. Dopo molto pregare, apersero alquanto la porta, tanto solo da poter spiare di fuori, e si fecero vedere alcuni uomini armati, chi di coltello, chi di tridente, chi di falcetto: con voce brusca interrogarono D. Bosco chi fosse, e a qual paese volesse arrivare. - Io, disse D. Bosco, sono un povero prete, e questo è un mio amico; eravamo diretti a Ponzano, ma sgraziatamente abbiamo smarrita la strada: assicuratevi; noi non vogliamo farvi male di sorta. - Intanto essendo il temporale cessato, e venuta molta gente intorno ai forestieri, rassicurò alquanto coloro che stavano armati, sicchè uscirono, ritornarono al forno, e intavolarono conversazione con D. Bosco.

Interrogati perchè si fossero lasciati prendere da tanta paura, risposero che quelle regioni erano infestate da assassini, i quali, nella notte precedente, in quello stesso villaggio avevano commesso un omicidio. Aggiunsero che i reali carabinieri battevano la campagna in cerca dei delinquenti, i quali fino allora non erano caduti in loro potere. D. Bosco allora chiese per grazia di essere accompagnato a Ponzano; ma i contadini meravigliati gli fecero conoscere come fosse troppo lontano dalla sua meta. Li pregò ad usargli la carità coll'imprestito di qualche veste, poichè non avea filo del suo abito che non gocciolasse; e l'umidità era penetrata fino alla pelle. Quella buona gente si scusò col dire che era povera; però gli indicarono un ricco signore che stava poco distante, il quale avrebbe potuto provvederlo dell'occorrente. D. Bosco chiese che gli dessero una guida, non conoscendo il paese. Coloro dopo aver esitato alquanto, armaronsi di tridenti e di falcetti, tanto era la paura degli assassini, e partirono con D. Bosco e col suo compagno. Preso uno stretto sentiero che serpeggiava per un'altura, riuscirono ai piedi di un castello che dominava tutta la borgata. La via era infossata tra due alte siepi, ma giunti al muro che serviva di cinta, ecco risuonare i rabbiosi latrati di due grossi mastini. La comitiva arrestò il passo, poichè era pericoloso avanzarsi, e ad alta voce fu chiamato il padrone, annunziando l'arrivo dei due viandanti smarriti. Il padrone, certo Sig. Moioglio, uno di quei vecchietti fatti all'antica ed alla buona, tutto cuore e carità, venne subito, chiamò i cani, che sembravano due vitelli, e introdusse D. Bosco e il suo giovane in casa, facendo loro le più grate e care accoglienze. Benchè la notte fosse già molto avanzata, avea nel suo salotto un certo numero d'amici, coi quali era solito ricrearsi in onesti giuochi. Al comparir di D. Bosco tutti si alzarono, e il vecchio invitando il prete a sedere, lo interrogò chi egli fosse. Appena seppe che veniva da Castelnuovo, enumerò le conoscenze che avea in quel paese, e la famiglia Bertagna e la tale e la tal altra casa e il parroco e il cappellano e D. Lacqua; e congratulandosi dell'arrivo di persone che conoscevano i propri amici, tosto levò loro di dosso gli abiti bagnati e coprì D. Bosco col suo mantello. Quindi fece allestire una buona cena che li ristorasse. Assisi a mensa, il vecchietto non finiva di parlare di mille cose, essendo di piacevole conversazione, e quando si alzarono: - Io nel castello ho la Cappella, disse a D. Bosco, e se Lei ci vorrà favorire domani, potremo udire la sua Messa. Sarà un gran regalo che farà alla mia signora, che professa gran divozione per le cose di chiesa. - D. Bosco acconsentì con tutto piacere, e stracco stracco, verso la mezzanotte andò a letto. All'indomani sull'alba la campana annunziava la Messa nel castello e tutta la gente dei casali circostanti accorse ad udirla.

D. Bosco voleva subito ripigliare il suo cammino per Ponzano, ma quel buon signore non permise assolutamente che partisse, e lo condusse a visitare il castello, che era di aspetto così severo da mettere i brividi indosso. Fatto il giro esterno delle mura, D. Bosco osservò l'entrata di oscure gallerie che si addentravano nella collina. - Veda, dicevagli il padrone, nessuno osò esplorare que' sotterranei, che a quel che pare sono estesi molto, perchè ivi è certo aver il loro rifugio ladri, assassini, e forse battitori di moneta falsa. Costoro vanno, vengono, ora vi sono, ora non vi sono, ma non vi è uomo così coraggioso che abbia ardire di penetrare là entro. Gli stessi carabinieri finora non si arrischiarono a questa impresa. A noi tocca tacere, perchè un colpo è presto fatto, e ciascuno ha cara la pelle. Talora incontriamo queste faccie torve che non sono del paese, e non si sa il motivo che qui le conduce; ma ci conviene dissimulare. - Nel castello, fra le altre cose gli mostrò una bella biblioteca, ove D. Bosco, per serbare grata memoria di così ospitale accoglienza scelse e chiese un libro intitolato: Compendio di storia Ecclesiastica di Lorenzo Berti Fiorentino. Il padrone glielo cedè volentieri. D. Bosco scrisse nell’ultima pagina di esso: L’anno 1841, il 14 ottobre, dopo aver camminato più ore per notte oscura, per strada incerta, ricapitai al castello dei Merli (Merletti), presso Moncalvo, dove fui colla più generosa ospitalità ricevuto e trattato da signor Moioglio speziale, da cui ho comperato questo libro per aver del mio ospite grata memoria. Bosco Giovanni. Don Bosco conservò sempre questo libro presso di sè. Quel buon signore dopo un lauto pranzo, volle accompagnare Don Bosco e il suo compagno per un buon tratto di via verso Ponzano.

Nel racconto di questa singolare avventura D. Bosco nulla lasciò mai trapelare che accennasse a dispiacere, ad inquietudine per i disagi patiti. Le contrarietà d’ogni genere diventano per lui causa di scherzo e di lieti ricordi. La pazienza e la tranquillità d’animo sono sempre la caratteristica di Don Bosco. Il suo cuore gentile più non dimentica un beneficio ricevuto. La sua generosità poi non lascia mai senza un qualche compenso gli incomodi, i disturbi, le spese per lui sopportate. Qui compera un libro, altrove contratterà una misura di vino o di grano, ad altri regalerà libri od oggetti di divozione, oppure manderà ciò che sua madre ha saputo allevare nel cortile o nell’orto o quanto di meglio hanno a lui regalato. Colle persone di servizio non lesinerà nel dare una mancia, lasciandola nel partire sul tavolino della stanza, ove ha pernottato, a dicendo a chi talora interrogavalo confidenzialmente: - Non è giusto che rimanga senza ricompensa chi ha dovuto per causa nostra sottostare ad un accrescimento di straordinario lavoro.

In quest'autunno D. Bosco non mancò di visitare anche l'antico sagrestano maggiore del duomo di Chieri, D. Carlo. Palazzolo, il quale aveva celebrata la sua prima Messa nello stesso giorno che D. Bosco. Abbiamo già visto come D. Bosco, lo avesse istruito nella lingua latina. Quando il nostro D. Giovanni era in seminario, Palazzolo andava a prendere da lui le lezioni di filosofia e di teologia, che riceveva scritte in modo limpido ed intelligibile su due o tre fogli e che mandava letteralmente a memoria, volta per volta. Subiva poscia i suoi esami dai professori del seminario con riuscita sempre onorevole. Oltre ad aiutarlo negli studi, D. Bosco gli procurò pure un sussidio di 1000 lire da una caritatevole persona. Nel giorno dell'ordinazione sacerdotale poi, come fece cogli altri compagni, lo esortò a chiedere al Signore nel tempo della prima Messa quella grazia che più desiderava, assicurandolo che sarebbe stato certamente esaudito. D. Palazzolo poi continuò a prendere da D. Bosco ripetizione di morale, venendo all'Oratorio. Fu un santo sacerdote, che lavorò con zelo e moltissimo frutto nel tribunale di penitenza; e resse per parecchio tempo il Santuario di S. Pancrazio presso Pianezza. A D. Bosco egli andava debitore di tanta sua fortuna. Gliene serbò sempre profonda riconoscenza, e felice della dignità sacerdotale, si adoperò a sua volta a promuovere le vocazioni ecclesiastiche, istruendo i giovanetti, collocandoli nell'Oratorio e soccorrendoli coi risparmi che poteva fare. Egli visse fino al 1885 quasi nonagenario. Venendo talvolta a visitare il suo amico, coll'affetto e colla gratitudine che gli dimostrava, palesava quanto fosse meritevole dell'amicizia di D. Bosco.

Non è da credere, per quanto si è detto finora, che D. Bosco perdesse il tempo in visite. Di queste si permise solo le pure doverose per riconoscenza o per altri legami particolari. Del resto egli si tenne sempre occupato o in canonica o nella sua casa dei Becchi, non pigliandosi ricreazione o riposo fuori del necessario. Continuando la sua lettura prediletta della Storia Ecclesiastica, si applicò allo studio della Teologia Morale, come ne assicura D. Giacomelli, ottenendo così il grande vantaggio di possederne a memoria un bel numero di trattati, quando dovette incominciare i corsi di Morale pratica nel Convitto al fine delle vacanze. In pari tempo si diede a preparare traccie di materie predicabili. Egli aveva il difetto che predicando gli sfuggivano con facilità parole rimate, causa le tante poesie classiche che sapeva a memoria. - Ma D. Bosco, non parli più in rima! gli dicevano talora i suoi confidenti e talora qualche critico non troppo benevolo.

E D. Bosco rispondeva sempre sorridendo tranquillamente:

Bisogna ch'io vi pensi e molto prima.

Per non parlare o predicare in rima.

I compagni rideano e scherzavano. Egli però fin dal principio pose un grande studio nello scrivere con diligenza le sue prediche, e usando una faticosa attenzione, non tardò a correggersi di questo difetto. E a questo proposito Turco e Filippello e Moglia asserivano che, sentendolo predicare essi, i loro parenti e compatriotti, ne riportavano sempre salutari impressioni di vita eterna. Una cura tutta particolare, che si era prefisso D. Bosco, era quella di farsi intendere dal popolo e dai giovanetti; e però si studiava che la sua predicazione divenisse più popolare che fosse 1 possibile, vale a dire, che il suo parlare fosse bensì corretto, ma accessibile all'intelligenza di tutti. E quanto bene sia riuscito in questo suo scopo lo possono attestare tutti coloro che come noi ebbero la fortuna di udirlo predicare.

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