Povertà e mortificazione - Il Terz'Ordine di S. Francesco - Saggi delle scuole domenicali e serali - Visite e premi - Infestazione diabolica - Colloquio misterioso - Il prezzo di un calice - Sogno: Un pergolato di rose.
del 02 novembre 2006
 Mentre D. Bosco col “Giovane Provveduto” sovveniva ai bisogni spirituali dei suoi allievi, non intermetteva di avvantaggiare la propria santificazione. Quanto più il cuore dell'uomo si distacca dalle cose della terra, altrettanto si avvicina a quelle del cielo e diviene vero seguace di Gesù Cristo. Perciò da quanto abbiamo già narrato apparisce chiaramente come D. Bosco aveva colla mortificazione interna fatto sacrificio a Dio della propria volontà, delle inclinazioni del cuore, delle tendenze più dolci della natura; e colla mortificazione esterna aveva continuamente crocifissi tutti i suoi sensi. In conseguenza, egli che amò la povertà evangelica fin da' suoi primi anni, in questo amore andava sempre crescendo. Così gli stava assai a cuore la pulizia degli abiti, ma voleva che essi, come la calzatura, fossero di poco costo e piuttosto grossolani. Per molti anni portò i zoccoli in casa e un soprabito così logoro che non aveva più colore. Indossava la veste talare per tanto tempo, quanto poteva valersene, ed allorchè la smetteva, a stento se ne poteva formare una sottanina per i chierichetti  della sua cappella. Quindi non pensando egli punto al vestire, conveniva talora che qualche benefattore provvedesse.
La sua stanza era affatto spoglia di ogni ornamento. Un letto senza cortine, un tavolino senza tappeto e senza stuoia per terra, pareti con qualche immagine in carta ed un crocifisso, una o due sedie di paglia; una piccola stufa, che rare volte si accendeva nel più forte dell'inverno e ciò con gran parsimonia per risparmiare quanto si poteva le legna! Tanta economia eragli ispirata eziandio dal desiderio di impiegare per l'Oratorio quanto sottraeva alle sue necessità, dicendo che gli averi del prete sono il patrimonio dei poverelli.
Il suo nutrimento corrispondeva al vestiario ed alla stanza. Non si potè mai sapere qual genere d'alimento fosse di suo gusto; ed ei mangiava ben poco, non già per mancanza di appetito, ma perchè si era fatta una legge di non mai soddisfarlo.
La sua mensa era tanto frugale, che avendo qualcuno dei suoi colleghi fatta la prova di vivere qualche giorno con lui, non vi potè resistere ed assuefarvisi. La minestra non era meglio condita di quella dei contadini poveri. Aveva di più una sola pietanza; ma la madre per ordine suo gliela faceva alla domenica e  gliela serviva ogni giorno per pranzo e cena sino al giovedì sera. Al venerdì ne confezionava una seconda di magro, e con questa si terminava la settimana. La famosa pietanza era generalmente una torta, e bastava farla riscaldare perchè fosse tosto preparata. Talora d'estate diveniva un po' rancida; ma D. Bosco non vi badava e figurandosi che la madre l'avesse cospersa con un po' d'aceto, se la mangiava come se fosse un piatto squisito. Questo fu l'apprestamento di tavola di D. Bosco sino a quando egli incominciò ad avere con sè chierici e sacerdoti, i quali per lo studio e le occupazioni ebbero bisogno di un vitto più confacente e sostanzioso.
È per l'affetto a questa santa povertà e per un caro ricordo della sua giovinezza che in questo tempo pare abbia egli fatto adesione al serafico sodalizio del Terz'Ordine dei penitenti in S. Francesco d'Assisi. Infatti il suo nome, benchè non comparisca nei registri di questa Congregazione, pure è notato nel suo elenco fin da questi anni. Perciò il Direttore del Terz'Ordine in Torino, P. Candido Mondo M.O. con diploma dato il 1° Luglio 1886 dal Convento di S. Tommaso, dichiarava che D. Giovanni Bosco, Patriarca dei Salesiani verso il 1848 vestiva l'abito dei Terziari, e dopo il noviziato ne professava a tempo utile la santa Regola a tenore delle Pontificie Costituzioni; e che perciò dichiaravalo vero fratello di tutti i Religiosi dei tre Ordini istituiti dal Serafico Padre.
Intanto le scuole dell'Oratorio prosperavano. L'esercizio della declamazione, e poi il canto e la musica entravano nel loro programma, e D. Bosco intendeva che contribuissero alla educazione religiosa e morale dei giovani. Quindi allorchè per utile sollievo procurava loro l'occasione di recitare, o alla presenza di insigni personaggi che visitavano l'Oratorio, ovvero in saggi scolastici per dar prova della loro istruzione, voleva che si esponessero i principi e le massime di nostra santa fede, o poesie che riguardassero qualche mistero della religione, o i privilegi e le glorie della SS. Vergine, o alcuni fatti della Santa Scrittura. Assegnava egli stesso ai giovani più istruiti ciò che dovevano imparare a memoria, loro insegnava il modo di recitare, e per animarli prometteva un regalo.
Egli vide ben presto coronata felicemente anche questa sua fatica. Infatti dopo alcuni mesi di scuola festiva e sul principio del 1847, D. Bosco volle che gli intervenuti dessero un piccolo saggio sopra il Catechismo, la Storia Sacra e la relativa geografia. A quest'uopo egli invitò ad assistervi parecchi personaggi di Torino, tra cui l'abate Aporti, il deputato Boncompagni, il Teol. Baricco, il Prof. Giuseppe Rayneri, il Superiore delle Scuole Cristiane fratello Michele, e più altri. Queste celebrità interrogarono gli allievi sulle mentovate materie; rimasero soddisfatti delle loro risposte; applaudirono al loro esperimento, lasciando ai migliori premii e ricordi. Il Prof. Rayneri, il più distinto fra gli insegnanti di Pedagogia nella Regia Università, ne rimase entusiasmato. Facendo lezione disse più volte ai suoi scolari, allievi maestri: “ Se volete vedere messa mirabilmente in pratica la pedagogia, andate nell'Oratorio di S. Francesco di Sales e osservate ciò che fa D. Bosco ”.
Animati da questa prima prova, i giovani poco dopo ne diedero un' altra sulle materie apprese alla scuola serale. Questo secondo esperimento fu dato con grande solennità. Siccome da tutte le parti di Torino si parlava di queste scuole come di una novità, e molti professori ed altri uomini cospicui le venivano con frequenza a visitare, così il Municipio stesso, avutane contezza, mandò una Commissione composta dei signori Cotta e Capello, detto Moncalvo, con alla testa il Comm. Giuseppe Duprè, appositamente incaricato di verificare, se i risultati che decantavansi fossero realtà o, esagerazioni. Quei signori fecero loro stessi da esaminatori sulla lettura e retta pronunzia, sull'aritmetica e sistema metrico, sulla declamazione e via dicendo, e non sapevano capacitarsi, come giovanotti, stati idioti sino ai sedici e diciotto anni, avessero potuto in pochi mesi portarsi così avanti nella istruzione. Allo scorgere poi un gran numero di giovani adulti, che invece di andare girovagando per le vie della città, stavano colà raccolti per istruirsi, l'onorevole Commissione se ne partiva piena di ammirazione e di entusiasmo. Fatta poscia una fedele relazione della sua visita in pieno Municipio questo ne fu tanto soddisfatto, che assegnò alle scuole di D. Bosco un annuo sussidio di lire trecento, le quali furono, dal buon padre adoperate subito in favore de' suoi protetti. Egli percepì questa somma sino al 1878 anno in cui se la vide tolta, senza averne potuto sapere la ragione.
Il Cav. Gonella, la cui carità e zelo pel bene lasciarono in Torino gloriosa e imperitura memoria, era in quel tempo Direttore dell'Opera Pia La Mendicità Istruita. Or, questo nobile signore, avendo udito a raccontare tante meraviglie delle scuole serali, le venne a visitare ancor egli; interrogò i giovani, s'informò dei metodo che si seguiva, e ne rimase molto appagato; cosicchè, avendone riferito agli amministratori di quell'Opera, ottenne che questi decretassero un premio di lire mille da consegnarsi a D. Bosco in vantaggio delle sue scuole, e a vantaggio ed incoraggiamento degli allievi, che le frequentavano. L'anno seguente poi, cioè nel 1848, le introdusse cogli stessi metodi nell'Istituto a lui affidato. Il Municipio ne seguiva l'esempio. Intanto il Re Carlo Alberto e l'Arcivescovo Fransoni gli prodigavano incoraggiamenti e sussidi; perciò D. Bosco scriveva nelle sue memorie: “ I conforti che mi vennero dalle Autorità Civili ed Ecclesiastiche, lo zelo con cui molte persone accorsero in mio aiuto con mezzi temporali e colle loro fatiche, sono segno non dubbio delle benedizioni del Signore e del pubblico gradimento degli uomini ”.
Ma il bene che faceva D. Bosco non garbava punto al principe delle tenebre, il quale, permettendolo Iddio, aveva incominciato a manifestare il suo malumore. D. Bosco stesso ci confidava quanto siamo per narrare. Fin dal primo anno, che dal Refugio egli trasportò la sua abitazione in casa Pinardi tutte le notti, dopo che si era coricato, udiva sopra il solaio della sua stanza un rumore rimbombante, continuato, che non lasciavagli chiuder occhio. Pareva che qualcuno sollevasse grossi macigni e slanciandoli a tutta forza d'uomo su quel pavimento di legno, li facesse rotolare. Sulle prime si provò a tendere alcune trappole, se fossero mai stati grossi topi, o faine, o gatti; ma nessun animale restò preso. Disseminò qua e là nel sottotetto noci, pezzi di pane e di formaggio: al mattino seguente era andato a vedere, ma con sua meraviglia nulla era stato mangiato e neanche toccato. Fece allora trasportare altrove quanto eravi sopra il solaio, legna, assi distaccati, e oggetti in disuso, per togliere in tal modo a chiunque fosse il disturbatore, ogni mezzo per fare quel terribile fracasso; e a nulla valse questa precauzione. Ne parlò con D. Cafasso, il quale, sospettando chi potesse essere la causa di uno, scherzo così maligno, lo consigliò di aspergere quel luogo, coll'acqua lustrale. Pure, non ostante la data benedizione, tutte le notti si rinnovava quel pauroso fenomeno. D. Bosco si risolse pertanto a cangiar di camera, trasportando le sue povere masserizie in quella che allo stesso piano era l'ultima verso levante; ma neppure questo espediente giovò: quella diavoleria si era pur trasportata sopra la nuova stanza. Intanto D. Bosco diveniva magro, sofferente nella sanità, perchè più non poteva nè dormire, nè riposare. Di quando, in quando sua madre alla sera gli entrava in camera e fissando gli occhi in alto, gridava: “ Oh brutte bestie, lasciatelo in pace D. Bosco, finitela una volta! ”.
Un giorno finalmente, fatto venire un muratore, D. Bosco, gli ordinò che praticasse un'apertura larga vicino al muro, nel soffitto della sua camera in forma di botola, sicchè egli potesse avere facile accesso al solaio; quindi portò una scala, assestò quanto gli occorreva per potere alla sera, al primo, colpo che sentisse, trovarsi col lume e colla testa sporgente nei sottotetti e tentare così se potesse veder qualche cosa. Ed ecco all'ora solita un primo colpo spaventevole. In men che si dice D. Bosco è al sommo della scala, spinge in su colla sinistra la ribalta di legno e col lume nella destra si affaccia sopra il solaio: guatò attorno, ma nulla vide. Allora costernato nel riconoscere evidentemente chi fosse l'autore di un tal fatto, prese un quadrettino della Madonna e lo attaccò al muro del solaio, pregando la Vergine Santissima a liberarlo da quel disturbo. Felice idea! Da quell'istante non si udì mai più niente, ed il quadretto stette là appeso, finchè si gettò giù quella casa vecchia per fabbricare l'attuale. E D. Bosco tranquillo all'ombra, direi così, del manto di Maria, per sei anni più non lasciò la nuova stanza che servivagli, eziandio per studio e per sala di ricevimento. Sull'architrave della porta esterna volle pure che fosse scritto il saluto: Sia lodato Gesù Cristo, affinchè questo santo nome fosse letto e ripetuto con devozione da chi entrava da lui. Con ciò egli intendeva di far atto di riparazione alle bestemmie che pur troppo nel volgo si facevano ognor più frequenti e che in lui destavano un orrore così profondo da farlo impallidire e fremere ad un tempo.
Intanto qui pareva si rinnovasse ciò che narra il santo Vangelo allorchè il Divin Salvatore digiunò per quaranta giorni. Quando Satana vinto si ritirò, gli angioli si avvicinarono.
La camera che D. Bosco abitava fu sempre considerata dai giovani come un recesso misterioso di ogni più bella virtù, come un santuario nel quale la Madonna compiacevasi, di far conoscere la sua volontà, come un vestibolo che metteva in comunicazione l'Oratorio colle celesti regioni; e quando vi si recavano, non potevano fare a meno di provare un senso di grande riverenza. Mamma Margherita non pensava diversamente. Ella aveva trasportato il proprio letto nella stanza più vicina a quella del figlio. Era persuasa per vari indizi che D. Bosco vegliasse pregando una parte della notte, e sospettava che in quel tempo di quando in quando accadesse qualche cosa di sorprendente che non sapeva ben definire. Infatti ella narrava al giovane Bellia Giacomo che una volta, qualche ora prima dell'alba, aveva udito D. Bosco parlare in sua camera. Talora sembrava che rispondesse, talora che interrogasse. Si era messa in attenzione, ma nulla aveva potuto intendere. Al mattino, benchè fosse certa che a sua insaputa, nessuno poteva penetrare nella camera di D. Bosco, gli chiese con chi si fosse intrattenuto. E D. Bosco: - Ho parlato con Comollo Luigi.
 - Ma Comollo è morto da più anni!
 - Eppure è così! - D. Bosco non aggiunse altra spiegazione mentre si vedeva che una grande idea signoreggiava la sua mente. Rosso in volto come bragia e cogli occhi scintillanti, era agitato da una commozione che gli durò più giorni.
Dopo qualche tempo D. Bosco aveva bisogno di un calice, e non sapeva come procurarselo, non avendo i danari occorrenti per l'acquisto. Quand'ecco una notte gli fu indicato in sogno come nel suo baule vi fosse deposta una sufficiente somma. Il domani andò in Torino per vari affari e mentre camminava rifattoglisi alla mente il sogno, pensò al piacere che avrebbe provato se questo si fosse mutato in realtà, e fu sì grande l'impressione che ne ricevette, da determinarlo a ritornare subito a casa per rovistare nel baule. Così fece, e vi trovò otto scudi, precisamente la somma colla qual e comperare il calice. Nessun estraneo aveva potuto riporveli, poichè la cassa era sempre chiusa. Sua madre Margherita non aveva danaro per fargli simili improvvisate, ed ella pure grandemente stupì quando seppe la cosa. Ma il fatto più sorprendente lo narrava lo stesso D. Bosco, per la prima volta, diciassette anni dopo che era avvenuto. Nel 1864 una sera dopo le orazioni radunava a conferenza nella sua anticamera, come era solito a fare di quando in quando, coloro che già appartenevano alla sua Congregazione: tra i quali D. Alasonatti Vittorio, D. Michele Rua, D. Cagliero Giovanni, D. Durando Celestino, D. Lazzero, Giuseppe e D. Barberis Giulio. Dopo aver loro parlato del distacco dal mondo e dalle proprie famiglie per seguire l'esempio di N. S. Gesù Cristo, continuò in questi termini:
“ Vi ho già raccontato diverse cose in forma di sogno, dalle quali possiamo argomentare quanto la Madonna SS. ci ami e ci aiuti; ma giacchè siamo qui noi soli, perchè ognuno di noi abbia la sicurezza essere Maria Vergine che vuole la nostra Congregazione e affinchè ci animiamo sempre più a lavorare per la maggior gloria di Dio, vi racconterò non già la descrizione di un sogno, ma quello che la stessa Beata Madre si compiacque di farmi vedere. Essa vuole che riponiamo in Lei tutta la nostra fiducia. Io vi parlo in tutta confidenza, ma desidero che quanto io sono per dirvi, non si propali ad altri della Casa, o fuori dell'Oratorio, affinchè non si dia appiglio alle critiche dei maligni.
“ Un giorno dell'anno 1847 avendo io molto meditato sul modo di far del bene, specialmente a vantaggio della gioventù, mi comparve la Regina del cielo e mi condusse in un giardino incantevole. Ivi era come un rustico, ma bellissimo e vasto porticato, fatto a forma di vestibolo. Piante rampicanti ne ornavano e fasciavano i pilastri e coi rami ricchissimi di foglie e di fiori protendendo in alto le une verso le altre le loro cime ed intrecciandosi vi stendevano sopra un grazioso velario. Questo portico metteva in una bella via, sulla quale a vista d'occhio prolungavasi un pergolato incantevole a vedersi, che era fiancheggiato e coperto da meravigliosi rosai in piena fioritura. Il suolo eziandio era tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi disse: “ Togliti le scarpe! ”. E poichè me l'ebbi tolte, soggiunse: “ Va avanti per quel pergolato: è quella la strada che devi percorrere ”. Fui contento di aver deposto i calzari perchè mi avrebbe rincresciuto calpestare quelle rose, tanto erano vaghe. E cominciai a camminare; ma subito sentii che quelle rose celavano spine acutissime, cosicchè i miei piedi sanguinavano. Quindi, fatti appena pochi passi, fui costretto a fermarmi e poi a ritornare indietro.
 - Qui ci vogliono le scarpe, dissi allora alla mia guida.
 - Certamente, mi rispose: ci vogliono buone scarpe. -
Mi calzai e mi rimisi sulla via con un certo numero di compagni, i quali erano apparsi in quel momento, chiedendo di camminar meco. Essi mi tennero dietro sotto il pergolato, che era di una vaghezza incredibile; ma avanzandomi quello appariva stretto e basso. Molti rami scendevano dall'alto e rimontavano come festoni; altri pendevano perpendicolari sopra il sentiero. Dai fusti dei rosai altri rami si protendevano di qua e di là ad intervalli, orizzontalmente; altri formando talora una più folta siepe, invadevano una parte della via; altri serpeggiavano a poca altezza da terra. Erano però tutti rivestiti di rose, ed io non vedeva che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei passi. Io mentre ancora provava vivi dolori nei piedi e alquanto mi contorceva, toccava le rose di qua e di là e sentii che spine ancora più pungenti stavano nascoste sotto di quelle. Tuttavia andai avanti. Le mie gambe si impigliavano nei rami stesi per terra e ne rimanevano ferite; rimoveva un ramo traversale, che mi impediva la via oppure per schivarlo rasentava la spalliera, e mi pungevo e sanguinavo non solo nelle mani, ma in tutta la persona. Al di sopra le rose che pendevano, celavano pure grandissima quantità di spine, che mi si infiggevano nel capo. Ciò non per tanto, incoraggiato dalla Beata. Vergine proseguii il mio cammino. Di quando in quando però mi toccavano eziandio punture più acute e penetranti, che mi cagionavano uno spasimo ancor più doloroso.
 ” Intanto tutti coloro, ed erano moltissimi, che mi osservavano a camminare per quel pergolato dicevano: “ Oh! come D. Bosco cammina sempre sulle rose: egli va avanti tranquillissimo; tutto gli va bene ”. Ma essi non vedevano le spine che laceravano le mie povere membra. Molti chierici, preti e laici da me invitati si erano messi a seguitarmi festanti, allettati dalla bellezza di quei fiori; ma quando si accorsero che si doveva camminare sulle spine pungenti e che queste spuntavano da ogni parte, incominciarono a gridare dicendo: “ Siamo stati ingannati! ”.
 ” Io risposi: - Chi vuol camminare deliziosamente sulle rose torni indietro: gli altri mi seguano.
 ” Non pochi ritornarono indietro. Percorso un bel tratto di via, mi rivolsi per dare uno sguardo a' miei compagni. Ma qual fu il mio dolore quando vidi che una parte di questi era scomparsa, ed un'altra parte mi aveva già voltate le spalle e si allontanava. Tosto ritornai anch'io indietro per richiamarli, ma inutilmente, poichè neppure mi davano ascolto. Allora incominciai a piangere dirottamente ed a querelarmi dicendo: - Possibile che debba io solo percorrere tutta questa via così faticosa?
 ” Ma fui tosto consolato. Veggo avanzarsi verso di me uno stuolo di preti, di chierici e di secolari, i quali mi dissero: “ Eccoci; siamo tutti suoi, pronti a seguirla ”. Precedendoli mi rimisi in via. Solo alcuni si perdettero d'animo e si arrestarono, ma una gran parte di essi giunse con me alla meta.
 ” Percorso in tutta la sua lunghezza il pergolato, mi trovai in un altro amenissimo giardino, ove mi circondarono i miei pochi seguaci, tutti dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Allora si levò un fresco venticello e a quel soffio tutti guarirono. Soffiò un altro vento e come per incanto mi trovai attorniato da un numero immenso di giovani e di chierici, di laici coadiutori ed anche di preti, che si posero a lavorare con me guidando quella gioventù. Parecchi li conobbi, di fisionomia, molti non li conosceva ancora.
 ” Intanto, essendo io giunto ad un luogo elevato del giardino mi vidi innanzi un edificio monumentale sorprendente per magnificenza di arte, e varcatane la soglia, entrai in una spaziosissima sala, di tale ricchezza che nessuna reggia al mondo può vantarne una eguale. Era tutta sparsa e adorna di rose freschissime e senza spine dalle quali emanava una soavissima fragranza. Allora la Vergine SS., che era stata la mia guida, mi interrogò: - Sai che cosa significa ciò che tu vedi ora, e ciò che hai visto prima?
 - No, risposi: vi prego di spiegarmelo.
 ” Allora Ella mi disse: - Sappi che la via da te percorsa tra le rose e le spine significa la cura che tu hai da prenderti della gioventù: tu vi devi camminare colle scarpe della mortificazione. Le spine per terra rappresentano le affezioni sensibili, le simpatie o antipatie umane che distraggono l'educatore dal vero fine, lo feriscono, lo arrestano nella sua missione, gli impediscono di procedere e raccogliere corone per la vita eterna. Le rose sono simbolo della carità ardente che, deve distinguere te e tutti i tuoi coadiutori. Le altre spine significano gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Colla carità e colla mortificazione, tutto supererete e giungerete alle rose senza spine.  Appena la Madre dì Dio ebbe finito di parlare, rinvenni in me e mi trovai nella mia camera ”.
D. Bosco, che aveva intesa la qualità del sogno, concludeva affermando che dopo quel tempo vedeva benissimo la strada che doveva percorrere, che le opposizioni e le arti colle quali si tentava di arrestarlo gli erano già palesi e che sebbene molte dovessero essere le spine tra le quali aveva da camminare, era certo, sicuro della volontà di Dio e della riuscita della sua grande intrapresa.
Con questo sogno D. Bosco era avvisato eziandio di non, scoraggiarsi per le defezioni che sarebbero avvenute fra coloro che parevano destinati a coadiuvarlo nella sua missione. I primi che si allontanano dal pergolato, sono i preti diocesani ed i secolari, che sul principio si erano consacrati all'Oratorio festivo. Gli altri che sopraggiungono, rappresentano i Salesiani, ai quali è promesso l'aiuto e il conforto divino, figurato dal soffiare del vento. Più tardi D. Bosco manifestò essersi ripetuto questo sogno o visione in anni diversi, cioè nel 1848 e nel 1856, e che ogni volta gli si presentava con qualche variazione di circostanze. Noi qui le abbiamo collegate in un solo racconto, per non dar luogo a superflue ripetizioni.
Ma benchè D. Bosco nel 1847 avesse serbato per sè questo segreto, pure, come ci faceva osservare Buzzetti Giuseppe, fin d'allora si vedeva apparire sempre più viva la sua devozione verso Maria SS. e si adoperava con modi sempre più insinuanti perchè i giovani celebrassero con frutto le feste della Madonna e il mese di Maggio. Era evidente essersi egli gettato nelle braccia della divina Provvidenza, come un bambino in quelle di sua madre. La risolutezza colla quale senz'ombra di esitazione prendeva il suo partito nelle più gravi questioni o difficoltà, dimostrava troppo chiaro come avesse innanzi un programma già preparato da seguire, un modello da imitare e che a lui fosse stato detto come a Mosè:       - Inspice et fac secundum exemplar. In fine si aggiunga che gli sfuggivano di quando in quando esclamazioni, per cui i suoi confidenti, intravedevano un mistero. Pareva che egli vagheggiasse una figura di Maria SS., risplendente, campeggiante in alto, al cospetto di tutto il mondo ed in atto di invitare ognuno a ricorrere al suo patrocinio.
 
 
 
 
 
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