L'Oratorio a S. Pietro in Vincoli - La serva del Cappellano - Una lettera di accusa - Due disgraziati accidenti - I giovani dell'Oratorio respinti da S. Pietro - Analogia tra certi fatti della vita di S. Filippo Neri e quella di D. Bosco - Si fanno pratiche perchè D. Bosco venga nominato cappellano di S. Pietro in Vincoli - Il Municipio non acconsente a questa domanda - La festa di S. Luigi.
del 24 ottobre 2006
 Nessuna cosa poteva distrarre D. Bosco dal continuo pensiero dell'Oratorio. Nella sua prudenza antiveniva il giorno nel quale avrebbe dovuto ritirarsi dai locali dell'Ospedaletto, e nel timore che i giovani rimanessero abbandonati a se medesimi, anche solo per breve tempo, incominciò a ricercare qua e là un'altra più, comoda e stabile dimora. La Marchesa Barolo infatti più di una volta mostravasi annoiata di aver sempre quella casa ingombra di fanciulli, i quali talora colle loro voci recavano disturbo ai vicini istituti. Eziandio qualche fiore svelto dagli spensierati da un rosaio che ornava il viale d'entrata, aveva dato causa a qualche malumore e la Marchesa ne aveva fatte rimostranze a D. Bosco.
Egli pertanto un mattino uscito dal Rifugio andava a caso tutto assorto nelle sue meditazioni, e si trovò innanzi alla Chiesa di San Pietro in Vincoli. Qui gli venne l'ispirazione di presentarsi al cappellano, certo D. Tesio Giuseppe ex - cappuccino, e di pregarlo acciocchè gli volesse permettere di radunare per qualche tempo i suoi giovani in quel luogo. D. Tesio non lasciò neppure che D. Bosco finisse di esporgli la sua domanda, e festeggiandolo gli disse: - Venga, venga pure D. Bosco coi suoi giovani che mi farà molto piacere! Forse la deliberazione della Ragioneria non era stata comunicata al Cappellano e ai catechisti, perchè questi si erano già ritirati da S. Pietro, dopochè i loro allievi avevano fatta la Pasqua. D. Bosco voleva tentare un esperimento e la Marchesa Barolo approvò un disegno che secondava le sue intenzioni.
La Domenica 25 maggio, D. Bosco celebrate le funzioni dei mattino all'Ospedaletto, dopo il pranzo conduceva i giovani a S. Pietro. D. Tesio non era in casa. Il lungo porticato, lo spazioso cortile e la Chiesa adatta per le sacre funzioni eccitarono nei giovani il pi√π vivo entusiasmo, e li resero come frenetici per la gioia.
Ma ohimè! avevano appena cominciato a gustarla, che già loro si mutava in grande amarezza. Presso quei sepolcri si trovava un terribile avversario. Non era già questi uno dei morti, che avevano riposo colà; era un vivo; era la vecchia serva dei Cappellano. Appena costei cominciò ad udire i canti, le voci, e soprattutto gli schiamazzi dei giovanetti, uscì di casa in sulle furie, e colla cuffia per traverso, colle mani sui fianchi si diede ad apostrofarli con quella garbata eloquenza, di cui è maestra la lingua di una donna inviperita.
E la rabbia si accrebbe quando vide alcuni dar principio al giuoco della palla ed una sua gallina accovacciata in un cesto, volare via spaventata da un ragazzetto e l'uovo cadere
in terra e rompersi. Insieme con lei inveiva anche una ragazza, abbaiava il cane, miagolava il gatto e cantarellavano le galline; avresti detto imminente una guerra europea.
Accortosi D. Bosco di ciò, avvicinossi alla fantesca per acquetarla, facendole osservare che i ragazzi non avevano, alcuna cattiva intenzione; che si trastullavano solamente, nè facevano alcun peccato, che un piccolo scapito potevasi portare in pace e facilmente ripararlo; ma era un parlare al sordo, perchè non vi è sdegno peggiore di quel della donna. Lungi dal poterla calmare, il povero D. Bosco si sentì scaricare addosso da colei un nugolo d'ingiurie e d'improperi. Urlando come una maniaca e stringendo i pugni, gridava ora rivolta ai giovani e ora a D. Bosco: - Se D. Tesio non vi manderà immediatamente via di qui, saprò ben io come fare….. E lei, lei, D. Bosco, invece di tenere a freno questi monelli, questi asini, disturbatori, sfaccendati, mascalzoni, li va educando in questo bel modo? Domenica ventura si guardi bene dal por piede qui, perchè altrimenti saranno guai!...
Ma charitas non aemulatur, la carità non è astiosa, e D. Bosco per troncare la disgustosa diatriba diede tosta ordine di cessare dalla ricreazione; quindi rivoltosi a quella donna le diceva pacatamente: - Mia buona signora! ella stessa non è sicura di essere qui nella domenica seguente, ed ora fa tanto scalpore per dirci che assolutamente un'altra domenica non ci lascerà più venire in questo luogo? - Quindi si avviava verso la chiesa circondato dai giovani, fra i quali erano i fratelli Melanotti e Buzzetti che tennero memoria
delle vicende di questo giorno, e anni dopo le narravano a D. Cesare Chiala, il quale ne scrisse la relazione.
Alcuni di quei giovani dissero allora a D. Bosco: - Come è cattiva quella persona che grida a questo modo! Egli scusolla dicendo doversi compatire perchè la poveretta non istava bene in sanità; e quindi soggiungeva ad alcuni altri, i quali gli facevano osservare non essere più conveniente fare ricreazione presso quella chiesa: - State tranquilli che domenica ventura quella donna non vi griderà più.
Entrati tutti in chiesa, D. Bosco fece fare un poco di catechismo e recitare il santo Rosario. Appresso li congedò, ed essi si avviarono alle loro case, fiduciosi di poter ritornare colà la domenica seguente e ritrovarvi maggior quiete. Ma s'ingannavano, poichè quella fu la prima e l'ultima volta che loro fu dato raccogliersi tutti insieme in quel sito. Intanto, mentre D. Bosco usciva dall'atrio della chiesa, la bisbetica fantesca continuava a brontolare e a scagliare minacce, tenendole bordone alcune femmine da trivio accorse al rumore. Un giovane giudizioso, certo Melanotti di Lanzo, che in quel momento si era avvicinato a D. Bosco, ci raccontava come il santo prete senza sconcertarsi, senza adirarsi, rivoltosi a lui e sospirando, sottovoce gli dicesse: - Poveretta! ci intima di non portar più i piedi qui, ed essa stessa la prossima festa sarà già in sepoltura!
In quel mentre D. Tesio rientrava in sua casa, posta dietro al coro della chiesa, e la fantesca gli andava incontro descrivendogli D. Bosco e i suoi giovanetti come altrettanti rivoluzionari, profanatori dei luoghi santi e tutti fior di canaglia. Il Cappellano, benchè conoscesse l'irritabile suscettibilità della sua Perpetua per cose da nulla, tuttavia dalle maligne istigazioni si lasciò metter su contro l'Oratorio. Quindi venne fuori dal recinto e visto D. Bosco che in fondo alla piazzetta si intratteneva cogli ultimi giovani rimasti, lo raggiunse e gli disse con voce alterata: - Un'altra domenica non verrà più qui a piantare un simile baccano e a disturbarci tutti: farò io i passi necessari; oh, per un'altra domenica non verrà più qui, oh no! - E D. Bosco nell'atto che quegli si allontanava, gli rispose: - E povero Lei, non sa neppure se un'altra domenica sarà ancor vivo! - Di queste parole fu eziandio testimonio il sopraddetto Melanotti, il quale ebbe ad ammirare la sorridente tranquillità di D. Bosco mentre lo accompagnava al Rifugio.
Alla sera la fantesca si pose attorno a D. Tesio, e tante gliene ripetè contro l'Oratorio, che lo spinse a scrivere subito al Municipio. Sotto il dettato dell'infuriata donna egli vergò una lettera piena di acrimonia, dipingendo i giovani di Don Bosco coi più neri colori, asserendo fra le altre cose che essi avevano scritto eziandio epiteti ingiuriosi sulle lapidi mortuarie, e qualificava quell'adunanza come atto di intrusione e di insubordinazione. Duole il dirlo; ma quella fu l'ultima lettera scritta dal povero Cappellano. Al lunedì vi pose il suggello, e chiamata la fantesca, le ordinò: - Fa portare questa lettera al Palazzo di città. - E furono le sue parole estreme. Poche ore dopo mentre partiva il messo, D. Tesio veniva colto da un insulto apoplettico, e moriva il 28 maggio alle ore 0, 30 di notte in età di 68 anni, munito però dei Santi Sacramenti.
La lettera di D. Tesio aveva intanto esercitato tale impressione nei Sindaci della città, che fu immediatamente spiccato ordine di cattura contro D. Bosco, se coi giovani fosse colà ritornato.
Ma a S. Pietro era appena chiusa una tomba che già se ne apriva un'altra. Colpita dalla stessa sorte del padrone la serva lo seguiva due giorni dopo; sicchè prima che finisse la
settimana quei due avversari dell'Oratorio erano già scomparsi dalla scena di questo mondo. È più facile immaginare che descrivere lo spavento che questi due accidenti destarono in tutti gli abitanti di quel borgo. Era impossibile non vedervi la mano di Dio, e i giovanetti ne furono così intimamente persuasi, che invece di staccarsene presero vie maggiormente ad amare D. Bosco e l'Oratorio, promettendo di non abbandonarli giammai. Tale era eziandio la persuasione del Teologo Borel. Egli sedeva un giorno a mensa con D. Bosco, Don Bosio e D. Pacchiotti suo aiutante. In quel frattempo facevasi lettura della vita di S. Filippo Neri e precisamente di quelle pagine che narravano come tutti coloro che perseguitavano il santo Apostolo di Roma in breve morissero. Il Teologo notò subito come ciò si avverasse eziandio per D. Bosco e in conseguenza doverglisi prestare aiuto in ogni occasione, anche nei più gravi cimenti, sicuri di assecondare l'opera della Provvidenza.
Nella domenica seguente, 31 maggio, alla porta di quella chiesa stava affisso un Decreto municipale che vietava ogni assembramento nel vestibolo e nell'atrio. Non avendo una gran parte dei giovani ricevuto alcun avviso preventivo, una moltitudine di questi si recò a S. Pietro. Quivi trovato con gran meraviglia tutto chiuso e respinti dalle guardie appostate all'intorno, corsero spaventati al Rifugio, e accolti festosamente da D. Bosco si ripigliarono mattino e sera le consuete funzioni.
Intanto D. Cafasso, pensando che colla morte di D. Tesio fossero spente tutte le opposizioni, si adoperò a procurare a D. Bosco stesso dal Municipio l'impiego di Cappellano a S. Pietro in Vincoli; ivi gli ampli locali dell'abitazione annessa erano adattati alle radunanze festive, e D. Bosco avrebbe goduta una condizione più indipendente. A tal uopo scrisse una lettera alla Contessa Bosco di Ruffino consorte di uno dei Sindaci.
 
“Ill.ma Sig.ra Contessa,
 Un certo sacerdote per nome Bosco Giovanni, già allievo di questo Convitto, ed attualmente Cappellano all'Opera del Rifugio della Sig.ra Marchesa Barolo, incominciò in detto luogo un'opera di grande gloria di Dio, quale è di radunare nei giorni festivi una quantità di ragazzi abbandonati onde istruirli e tenerli lontani dai pericoli: non potendo più in detto luogo continuare una si bell'opera per la strettezza dei locale, sta per dimandare, di concerto colla predetta Signora Marchesa, di essere nominato a Cappellano di S. Pietro in Vincoli di Dora, onde approfittarsi di detto locale per un'opera sì vantaggiosa. Essendo questo affare della maggior gloria di Dio, io mi avanzo a raccomandarlo alla bontà di V. S. Ill.ma, qualora nella sua prudenza giudicasse di farne parola all'Ill.mo Sig. Conte. Perdoni la mia libertà; mentre ho l'onore di potermi dire coi sensi della più distinta stima.
 
D. V. S. Ill.ma
Torino, dal Convitto, 29 maggio 1845
Devot.mo servo
Cafasso Giuseppe Sacerdote”
 
 
Malgrado queste ed altre raccomandazioni non si riuscì nell'intento, o perchè tali adunanze parvero disdire alla quiete dei sepolcri, o per timore di guasti a quel monumentale cimitero, o più veramente per l'avversione che in qualcheduno del mondo ufficiale cominciava a manifestarsi contro l'Oratorio di D. Bosco. Tuttavia D. Bosco non si scoraggiò, mentre alcun tempo dopo pervenne alla Ragioneria la seguente supplica:
 
 
 
“Eccellenze e Illustrissimi Signori,
  I Sacerdoti Teol. Giov. Borel, D. Sebastiano Pacchiotti e D. Giovanni Bosco impiegati alla Direzione Spirituale della Pia Opera di Maria SS. Rifugio dei peccatori; e Direttori pur anche per autorità di Mons. Arcivescovo di una società di ragazzi, i quali si radunano ogni domenica in un Oratorio, sotto la protezione di S. Francesco di Sales, aperto nella casa di loro abitazione, per imparare il catechismo, assistere alla S. Messa, frequentare i Sacramenti, e talvolta ricevere la benedizione col Venerabile:
“ Per il numeroso concorso dei giovani, che le ultime feste ascese anche al N. di 200 e per la stagione estiva, riconoscendo la necessità di trasferirsi in Oratorio più grande del presente per non avere da dimettersi da quest'opera di riconosciuto grande vantaggio della gioventù; e giudicando che l'Oratorio del Cimitero di S. Pietro in Vincoli sia per diversi riguardi molto adattato agli esercizi di pietà che si praticano nel loro Oratorio; incoraggiti che la natura di quest'opera sia per ottenere il gradimento delle EE. SS. LL. Illustrissime tanto intente ad ogni maniera di promuovere in questa città il comun bene civile e morale:
” Rispettosamente osano supplicarle a volersi degnare di accordar loro la permissione di portarsi alla Chiesa del predetto Cimitero a esercitare le funzioni suddette a pro della gioventù, secondo loro parrà più utile e secondo le condizioni che le EE. SS. LL. Ill.me si degneranno prescrivere”.
La Ragioneria non esaudiva questa domanda come consta da un verbale delle sedute in data 3 luglio 1845.
“ Il P. Mastro di Ragioneria presenta la domanda dei Sacerdoti Borel, Pacchiotti e Bosco con cui chiedono di potersi valere della chiesa del Cimitero di S. Pietro in Vincoli, per catechizzare i numerosi giovani che attualmente concorrono nella piccola cappella dell'Opera del Rifugio.
” La Ragioneria considerando che in precedente seduta simile domanda venne denegata per la considerazione che non parve conveniente che la chiesa addetta al cimitero venisse destinata ad altro uso, oltre quello per cui venne eretta, a maggioranza di voti delibera non potersi far luogo alla inoltrata domanda.
(Ragioneria N. 22, 3 luglio 1845)
 
Firmati: Bosco m Ruffino, Sindaco;
D. Pollone, M. di Ragioneria;
Cesare Saluzzo;
Vittorio Colli”.
 
 D. Bosco, ricevuta questa negativa, si rassegnò alle disposizioni della Provvidenza, poichè solo da essa aspettavasi con certezza quell'aiuto che gli uomini gli negavano. Di grande conforto gli fu l'ascendere a S. Ignazio per gli esercizi spirituali, ottenendo per sè le grazie necessarie dal Signore e col sacramento della penitenza riconducendo a sua Divina Maestà più di un figlio che aveva abbandonata la casa paterna. Nello stesso tempo, come accenna il Teologo Borel in un suo memoriale, cagionavagli una gioia soave il ricordo di una bella festa con numerosissime comunioni celebratasi nella sua piccola cappella alcuni giorni prima. Al Convitto di S. Francesco la festa di S. Luigi non permetteva una gran pompa, con clamorosa espansione di affetti, per causa dei cittadini che affluivano tutto il giorno in quella chiesa. Al Rifugio invece D. Bosco nella sua cappella era come padrone, e mattino e sera aveva potuto intrattenere i giovani come meglio era piaciuto alla sua divozione. Da quel giorno ogni anno, egli solennizzò questa cara festività con splendore ognor crescente, poichè se ne valeva in modo efficace per inculcare a' suoi giovani l'amore alla santa Purità. Non si potrebbe convenientemente ritrarre quanto si adoperasse a ben prepararli ad onorare S. Luigi. Se tale festa si celebra tuttora non solo nell'Oratorio di Torino, ma ben anco in tutte le altre Case salesiane e con tanto trasporto, ciò si deve a quel ardore che egli vi pose fin da principio e che volle rimanesse tradizionale in tutti i suoi figli spirituali.
 
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