Capitolo 31

Occupazioni di D. Bosco negli Istituti dei Refugio - La Marchesa Barolo ordina che i giovani sgombrino dai locali destinati per l'Ospedaletto - Un altro sogno: moltitudine di fanciulli; la misteriosa Signora; un prato; tre chiese in Valdocco; il luogo del martirio dei Santi Avventore ed Ottavio; la fondazione di una Società di religiosi in aiuto di D. Bosco - Narrazione del martirio dei Santi Solutore, Avventore ed Ottavio stampata dal Can. Lorenzo Gastaldi.

Capitolo 31

da Memorie Biografiche

del 24 ottobre 2006

 Sette mesi erano ormai trascorsi dallo stanziamento dell'Oratorio all'Ospedaletto. Erano accresciuti di numero i giovani che lo frequentavano, e questi gli avevano posto amore come ad un paradiso, e speravano che avrebbe durato ancora per molto tempo in quel sito medesimo. Ma le muraglie dell'ampio e nuovo locale destinato alle piccole inferme andavansi rasciugando assai lentamente e quindi si giudicava che non così presto fosse atto all'abitazione.

La Marchesa era molto soddisfatta di D. Bosco che vedeva tuttodì affaccendato nella cura delle sue protette. Lungo la settimana egli aiutava il Teologo Borel nella direzione delle suore e delle figlie pericolate: faceva scuola di canto ad un coro di queste; dava regolarmente lezione di aritmetica ad alcune delle religiose che si preparavano ad essere maestre; confessava, predicava e teneva conferenze sulla vita e sulla perfezione monastica. Mons. Cagliero, che più volte esercitò il ministero sacerdotale tra le Suore di S. Giuseppe e tra le religiose Maddalene, riferisce aver inteso da esse come in D. Bosco avessero sempre riscontrate delle virtù straordinarie che lo distinguevano dagli altri sacerdoti benchè esemplari e dotti, e che in lui avevano sempre venerato un santo. Affermavano eziandio che persone pie se potevano impadronirsi di piccoli oggetti che a lui appartenessero, li custodivano gelosamente come preziose reliquie.

Tuttavia nel mese di luglio ecco venirsi a troncare ogni filo di speranza per una più lunga dimora al Rifugio. La Marchesa Barolo, sebbene vedesse di buon occhio ogni opera di carità, tuttavia, avvicinandosi il tempo di aprire il suo piccolo Ospedale, cioè il 10 agosto 1845, voleva che l'Oratorio fosse allontanato di là. Le si fece rispettosamente osservare che il locale destinato a cappella, a scuola e a ricreazione dei giovani non aveva alcuna comunicazione coll'interno dell'Istituto; che le persiane erano fisse e colle stecche rivolte all'insù; che si sarebbe procurato altresì che ogni cosa fosse fatta col minor disturbo possibile; ma la buona Signora non volle arrendersi: era padrona e fu d'uopo ubbidirla.

D. Bosco però era pronto a soffrire qualunque disagio piuttostochè abbandonare i suoi giovani, e l'aveva apertamente dichiarato alla Marchesa. Tuttavia angustiavalo grave pena, non sapendo dove condurli. Aveva in animo di cercare un luogo dalle parti di Portanuova; ma il Teologo Borel si provò di fargli mutar parere e vi riuscì con gran facilità, persuadendolo a rimanere nella regione di Valdocco.

Ma sogni singolari venivano a confortare D. Bosco, e l'occupavano l'intera notte, come egli raccontò la prima e l'ultima volta, solo a D. Giulio Barberis ed allo scrittore di queste pagine, il 2 febbraio 1875. In queste misteriose apparizioni vi era un intreccio di quadri ripetuto, vario e nuovo, ma sempre con riproduzione dei sogni precedenti, ed eziandio con altri simultanei aspetti meravigliosi che convergevano in un punto solo: l'avvenire dell'Oratorio.

Ecco il racconto di D. Bosco: “Mi sembrò di trovarmi in una gran pianura piena di una quantità sterminata di giovani, Alcuni rissavano, altri bestemmiavano. Qui si rubava, là si, offendevano i buoni costumi. Un nugolo di sassi poi si vedeva per l'aria, lanciati da costoro che facevano battaglia. Erano giovani abbandonati dai parenti e corrotti. Io stava per allontanarmi di là, quando mi vidi accanto una Signora che mi disse: - Avanzati tra quei giovani e lavora.

” Io mi avanzai, ma che fare? Non vi era locale da ritirarne nessuno: voleva far loro del bene, mi rivolgeva a persone che in lontananza stavano osservando e che avrebbero potuto essermi di valido sostegno; ma nessuno mi dava retta e nessuno mi aiutava. Mi volsi allora a quella Matrona, la quale mi disse: - Ecco del locale; - e mi fece vedere un prato.

 - Ma qui non c'è che un prato, diss'io.

Rispose: - Mio figlio e gli Apostoli non avevano un palmo di terra ove posare il capo. - Incominciai a lavorare in quel prato ammonendo, predicando e confessando, ma vedeva che per la maggior parte riusciva inutile ogni sforzo, se non si trovasse un luogo recinto e con qualche fabbricato ove raccoglierli e ove ritirarne alcuni affatto derelitti dai genitori e respinti, e disprezzati dagli altri cittadini. Allora quella Signora mi condusse un po' più in là a settentrione e mi disse: - Osserva! - Ed io guardando vidi una chiesa piccola e bassa, un po' di cortile e giovani in gran numero. Ripigliai il mio lavoro. Ma essendo questa chiesa divenuta angusta, ricorsi ancora a Lei, ed Essa mi fece vedere un'altra chiesa assai più grande con una casa vicina. Poi conducendomi ancora un po' d'accanto, in un tratto di terreno coltivato, quasi innanzi alla facciata della seconda chiesa, mi soggiunse: - In questo luogo dove i gloriosi Martiri di Torino Avventore ed Ottavio, soffrirono il loro martirio, su queste zolle che furono bagnate e santificate dal loro sangue, io voglio che Dio sia onorato in modo specialissimo. - Così dicendo, avanzava un piede posandolo sul luogo ove avvenne il martirio e me lo indicò con precisione. Io voleva porre qualche segno per rintracciarlo quando altra volta fossi ritornato in quel campo, ma nulla trovai intorno a me; non un paio, non un sasso: tuttavia lo tenni a memoria con precisione. Corrisponde esattamente all'angolo interno della cappella dei SS. Martiri, prima detta di S. Anna al lato del vangelo nella chiesa di Maria Ausiliatrice.

” Intanto io mi vidi circondato da un numero immenso e sempre crescente di giovani; ma guardando la Signora, crescevano anche i mezzi ed il locale, e vidi poi una grandissima chiesa precisamente nel luogo dove mi aveva fatto vedere che avvenne il martirio dei santi della legione Tebea con molti edifizi tutto all'intorno e con un bel monumento in mezzo.

“Mentre accadevano queste cose, io, sempre in sogno, aveva a coadiutori preti e chierici che mi aiutavano alquanto e poi fuggivano. Io cercava con grandi fatiche di attirarmeli, ed essi poco dopo se ne andavano e mi lasciavano tutto solo. Allora mi rivolsi nuovamente a quella Signora, la quale mi disse: - Vuoi tu sapere come fare affinchè non ti scappino più? Prendi questo nastro, e lega loro la fronte. - Prendo riverente il nastrino bianco dalla sua mano e vedo che sopra era scritta questa parola: Obbedienza. Provai tosto a fare quanto mi disse quella Signora, e cominciai a legar il capo di qualcuno dei miei volontari coadiutori coi nastro, e vidi subito grande e mirabile effetto: e questo effetto sempre cresceva mentre io continuava nella missione conferitami, poichè da costoro si lasciava affatto il pensiero d'andarsene altrove, e si fermarono ad aiutarmi. Così venne costituita la Congregazione.

” Vidi ancora molte altre cose che ora non è il caso di farvi sapere (sembra che alludesse a grandi avvenimenti futuri), ma basti dire che fin da quel tempo io camminai sempre sul sicuro, sia riguardo agli Oratori, sia riguardo alla Congregazione, sia sul modo di diportarmi nelle relazioni cogli esterni di qualunque autorità investiti, Le grandi difficoltà che devono sorgere, sono tutte prevedute, e conosco il modo di superarle. Vedo benissimo parte a parte tutto ciò che dovrà succederci, e cammino avanti a chiara luce. Fu dopo aver visto chiese, case, cortili, giovani, chierici e preti che mi aiutavano, ed il modo di condurre avanti il tutto, ch'io ne parlava con altri e raccontava la cosa come se fosse già fatta. Ed è per questo che molti credevano ch'io sragionassi e fui tenuto per folle ”. Di qui ebbe adunque origine quell'incrollabile fede nel buon esito della sua missione, quella sicurezza che pareva temerità nell'affrontare ogni sorta di ostacoli, quel cimentarsi ad imprese colossali, superiori a forze umane e pur condurle tutte a felicissimo termine.

Riguardo al sito che la Beata Vergine indicò a D. Bosco come quello in cui avvenne il martirio dei SS. Avventore ed Ottavio e donde fuggiva S. Solutore ferito da un colpo di lancia per morire ad Ivrea confessando Gesù Cristo, ecco più ampia spiegazione. D. Bosco continuò: “Io non volli mai narrare a nessuno questo sogno e molto meno manifestare la mia fondata opinione sul luogo preciso del glorioso avvenimento. Quindi nel 1865 suggerii al Canonico Lorenzo Gastaldi di scrivere e stampare un libro sulla vita dei tre santi, martiri Tebei e di fare studi, ricavando dalla storia, dalla tradizione e dalla topografia, in qual luogo della città più approssimativamente fosse avvenuto detto martirio.

Il dotto Canonico acconsentì; scrisse e stampò le memorie storiche dei tre confessori della fede, e dopo lungo studio concluse: ignorarsi il luogo preciso del loro martirio; ma sapersi certamente che si erano ricoverati fuori delle porte della città, presso il fiume Dora, e che furono scoperti e uccisi dai carnefici presso il loro nascondiglio: il vasto tratto che dalle mura di Torino si estende verso la Dora a ponente dei borgo di questo nome, nei tempi antichi essere stato chiamato in latine, vallis o vallum occisorum, la valle o vallata degli uccisi, ed ora Val d'occo dalle prime sillabe di tali parole; e ciò forse in allusione ai martiri quivi uccisi; essere poi certissimo questo tratto di terreno evidentemente la benedizione di Dio per i meravigliosi istituti di carità e di pietà che vi sono sorti, indizio questo pure di essere stato innaffiato dal sangue di quei valorosi cristiani. Aggiungeva ancora l'autore che da più a meno consultando l'antica topografia della città, l'Oratorio di S. Francesco di Sales sorgeva presso a quel luogo benedetto, o forse lo conteneva dentro l'ambito delle sue mura”.

D. Bosco fu lieto oltremodo di questa risposta, la quale in certa guisa confermava quanto aveva appreso nel sogno, e verso questi santi Martiri egli fin dal principio professò una particolare divozione. Ogni anno nel giorno di S. Maurizio, unendo il nome del comandante alla gloria della sua legione e di questi tre suoi soldati, volle che se ne celebrasse la festa, al mattino con gran numero di Comunioni e alla sera coi Vespri cantati solennemente, col panegirico di questi eroi della Chiesa e colla benedizione del SS. Sacramento.

 

 

 

 

 

 

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