Capitolo 34

1863 - Numero - lei membri della Pia Società - Suppliche per soccorsi al Ministero di Grazia e Giustizia: ai Principi della Casa reale: al Sovrano: al Regio Elemosiniere - La strenna di D. Bosco agli alunni - Sogno: la madre di D. Bosco: la statuetta della Madonna: un elefante nell'Oratorio, in chiesa, in cottile ove la strage dè giovani: il manto della Madonna rifugio de' minacciati e dei feriti: i partigiani dei mostro e i difensori degli alunni: il mostro e i suoi complici sprofondati in una voragine: iscrizioni sul manto della Madonna: il vessillo di una processione: Parole di Maria SS. ai giovani - Effetti salutari della strenna: i giovani comprovano che non è sogno, ma visione - Don Bosco svela il segreto di una lettera - Un antico allievo attesta l'avveramento di una predizione fattagli da D. Bosco riguardo al sogno - Tre verbali del Capitolo: accettazione di nuovi ascritti e professioni triennali.

Capitolo 34

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Il primo di gennaio dei 1863 la Pia Società di S. Francesco di Sales constava di trentanove membri compreso D. Bosco. La massima parte era di chierici dei quali ventidue consacrati a Dio co' voti triennali. Si aggiungano cinque sacerdoti professi, ed uno solamente ascritto.

D. Bosco incominciava l'anno chiedendo soccorsi. Il ricavo della Lotteria, per quanto considerevole, non poteva bastare da solo a pagare le spese della fabbrica nuova lungo la via della Giardiniera, a provvedere al mantenimento di tanti giovani ricoverati e a realizzare alcuni grandiosi progetti, che da qualche tempo aveva in mente. Da prima si rivolgeva ad eminenti personaggi dello Stato esponendo diversi motivi, secondo le diverse persone. Scriveva dunque su carta da bollo di 22 centesimi al Ministro di Grazia Giustizia e Culti; e in carta libera e di rispetto ai singoli principi della Casa reale, al Re Vittorio Emanuele e all'abate Camillo Peletta di Cortanzone, incaricato di reggere l'Uffizio di primo Elemosiniere del Sovrano.

Intanto D. Bosco aveva un debito da saldare co' suoi giovani e nello stesso tempo sentiva la necessità di svelare qualche cosa di straordinario pel bene delle loro anime. Le morti predette sul finir dell'anno avevano trionfato di molti cuori ma non di tutti. Un numero di nuovi alunni e alcuni degli antichi non avevano ancor voluto far pace con Dio e continuavano a vivere spensieratamente, mentre il Signore abbondava con essi di misericordia. “ Il Signore è buono e giusto, si legge nel salmo 24; per questo ei darà ai peccatori la legge della via da tenere (per ritornare a Lui). Condurrà gli umili (ma non i superbi) alla giustizia, insegnerà le sue vie ai mansueti ”.

E ciò che abbiamo già veduto e vedremo ancora.

D. Bosco dunque non avendo potuto dare l'ultimo giorno dell'anno la strenna ai suoi alunni, ritornato da Borgo Cornalense, il giorno 4, Domenica, aveva promesso loro di darla la sera della festa dell'Epifania.

Era il 6 del mese di gennaio 1863 e tutti i giovani, artigiani e studenti, radunati nel medesimo parlatorio, aspettavano ansiosi la strenna.

Recitate le orazioni, il buon padre salì sulla tribuna solita e così prese a dire:

Ecco la sera della strenna. Ogni anno sino dalle feste Natalizie, soglio innalzare a Dio preghiere, perchè voglia ispirarmi qualche strenna, che possa esservi di giovamento. Ma quest'anno raddoppiai le preghiere stante il cresciuto numero dei giovani. Scorse però l'ultimo giorno dell'anno, venne il giovedì, il venerdì e nulla di nuovo. La sera del venerdì vado a letto, stanco delle fatiche del giorno, nè mi fu dato prendere sonno lungo la notte, di modo che al mattino mi levai spossato, quasi semimorto. Non mi conturbai per questo, anzi mi rallegrai, poichè sapeva che ordinariamente quando il Signore è per manifestarmi qualche cosa, passo malissimo la notte antecedente. Continuai le mie solite occupazioni nel paese di Borgo Cornalense e la sera del sabato giunsi qui tra voi. Dopo aver confessato mi posi a letto, e per la stanchezza cagionata dalla predicazione e dalle confessioni a Borgo, e dal poco riposo della notte antecedente facilmente mi addormentai. Ecco, qui comincia il sogno da cui riceverete la strenna.

Cari giovani, sognai che era giorno di festa, dopo pranzo, nelle ore di ricreazione e voi eravate intenti a divertirvi in mille modi. Mi parve di essere nella mia camera col Cav. Vallauri, professore di belle lettere: avevamo discorso di parecchie cose letterarie e di altre riguardanti la religione, quando improvvisamente sento all'uscio un ticc, tacc di chi bussava.

Corro a vedere. Era mia madre, morta da sei anni, che affannata mi chiamava. - Vieni a vedere, vieni a vedere.

 - Che c'è? risposi.

 - Vieni, vieni! replicò.

A queste istanze mi portai sul balcone ed ecco in cortile veggo in mezzo ai giovani un elefante di smisurata grandezza.

 - Ma come va? esclamai! Corriamo sotto! - E sbigottito mi rivolgeva al Cav. Vallauri, ed egli a me, come per interrogarci in qual modo fosse entrata quella belva mostruosa. Scendemmo tosto precipitosi nel porticato col professore.

Molti di voi, come è naturale, erano accorsi a vederla. Quell'elefante sembrava mite, docile: si divertiva correndo coi giovani; li accarezzava colla proboscide: era tanto intelligente che obbediva ai comandi, come se fosse stato ammaestrato ed allevato qui nell'Oratorio dalla sua prima età, di modo che era sempre seguito ed accarezzato da un gran numero di giovani. Non tutti però eravate intorno a lui vidi che la maggior parte spaventati fuggivate qua e là, cercando un luogo ove ricoverarvi e infine vi siete rifugiati in Chiesa. Io pure cercai d'entrarvi per l'uscio che mette nel cortile; ma nel passare vicino alla statua della Vergine, collocata presso la pompa, avendo io toccato l'estremità del suo manto, come in segno d'invocarne il patrocinio, essa alzò il braccio destro. Vallauri volle imitare il mio atto dall'altra parte e la Vergine mosse il braccio sinistro.

Io rimasi sorpreso non sapendo come spiegare un fatto così straordinario.

Venne intanto l'ora delle sacre funzioni e voi, o giovanetti, andaste tutti in Chiesa, lo pure entrai, e vidi l'elefante ritto in fondo vicino alla porta. Si cantarono i vespri, e dopo la predica andai all'altare assistito dal Sac. D. Alasonatti e da D. Savio per impartire la benedizione col SS. Sacramento. Ma nel momento solenne nel quale tutti erano profondamente inchinati ad adorare il Santo dei santi, vidi sempre al fondo della Chiesa, in mezzo al passaggio, fra le due file dei banchi, l'elefante inginocchiato e inchinato in senso inverso, col muso cioè e le orribili zane rivolte alla porta principale.

Terminate le funzioni io voleva subito uscire nel cortile per osser­vare ciò che avvenisse, ma trattenuto da alcuno in sacrestia che bra­mava darmi qualche avviso, dovetti indugiare.

Esco dopo breve tempo, sotto i portici e voi nel cortile per incominciare i divertimenti come prima. L'elefante uscito di chiesa si avanzò nel secondo cortile intorno al quale sono in costruzione gli edifizii. Notate bene questa circostanza, poichè in quel cortile, accadde la scena straziante che ora vi descriverò.

In quel mentre là al fondo compariva uno stendardo, su cui stava scritto a caratteri cubitali: Sancta Maria succurre miseris e lo seguivano i giovani processionalmente. Quando a un tratto, all'impensata di tutti, vidi quel brutto animale, che prima pareva tanto gentile, avventarsi con furiosi barriti in mezzo agli alunni circostanti e prendendo i più vicini colla proboscide scagliarli in alto, sfracellarli sbattendoli in terra, e co' piedi farne uno strazio orrendo. Tuttavia quelli che erano siffattamente maltrattati non rimanevano morti, ma in uno stato da poter guarire, quantunque le ferite fossero orribili. Era un fuggi fuggi generale; chi gridava, chi piangeva, e chi ferito invocava l'aiuto dei compagni: mentre, cosa straziante, alcuni giovani risparmiati dall'elefante, invece di aiutare e soccorrere i feriti, avevano fatta alleanza col mostro per procacciargli altre vittime.

Mentre avvenivano queste cose (ed io mi trovava nel secondo arco del porticato presso la pompa) quella statuetta che vedete là (indicava la statua della SS. Vergine) si animò e s'ingrandì, divenne persona di alta statura, alzò le braccia ed aperse il manto, nel quale erano intessute con arte stupenda molte iscrizioni. Questo poi si allargò smisuratamente tanto, da coprire tutti coloro che vi si ricoveravano sotto: quivi erano sicuri della vita, pel primo un numero scelto de' più buoni corse a quel refugio. Ma vedendo Maria SS. che molti non si prendevano cura di affrettarsi a Lei, gridava ad alta voce: Venite ad me omnes, ed ecco che cresceva la folla dei giovanetti sotto il manto che sempre si allargava. Alcuni però invece di ricoverarsi sotto il manto, correvano da una parte all'altra e venivano feriti prima che fosse loro dato di ripararsi al sicuro. La Vergine SS. affannata, rossa in viso, continuava a gridare, ma più rari si vedevano quelli i quali correvano a Lei. L'elefante seguitava la strage e parecchi giovani, che maneggiando una spada, chi due, sparsi qua e là, impedivano ai compagni, che ancora si trovavano nel cortile, col minacciarli e col ferirli, di andare a Maria. E costoro l'elefante non li toccava menomamente.

         Alcuni dei giovani ricoverati vicino a Maria e da lei incoraggiati, facevano intanto rapide scorrerie. Strappavano all'elefante qualche preda e trasportavano il ferito sotto il manto della statua misteriosa e quegli subito restava guarito. E quindi ripartivano correndo a nuove conquiste. Varii armati di bastone allontanavano l'elefante dalle sue vittime, e si opponevano ai suoi complici. E non cessarono, anche a rischio della loro vita da quel lavoro, finchè quasi tutti li ebbero seco loro condotti in salvo.

Il cortile ormai era deserto. Alcuni erano distesi a terra pressochè morti. Da una parte presso i portici una moltitudine di fanciulli sotto il manto della Vergine. Dall'altra in distanza l'elefante col quale erano rimasti solamente un dieci o dodici giovani, che lo avevano coadiuvato a far tanto male e che insolentemente imperterriti brandivano le spade.

Quand'ecco quell'elefante sollevatosi sulle gambe posteriori, cambiarsi in un fantasma orribile con lunghe corna; e preso un nero copertone o rete che fosse, avviluppò que' miseri, che avevano parteggiato con lui, e mandò un ruggito, Allora un denso fumo tutti li involse e si sprofondarono e sparirono col mostro in una voragine improvvisamente apertasi sotto i loro piedi.

Terminata questa orrenda scena mi guardai attorno per esporre qualche mia riflessione a mia madre ed al Cav. Vallauri, ma pi√π non li vidi.

Mi rivolsi a Maria, desideroso di leggere le iscrizioni, che apparivano intessute sovra il suo manto e vidi che parecchie erano tratte letteralmente dalla Sacra Scrittura e altre pure scritturali, ma alquanto modificate. Ne lessi alcune: - Qui elucidant me vit√°m aeternam habebunt: qui me invenerit inveniet vitam si quis est parvulus veniat ad me: refugium peccatorum: salus credentium: plena omnis pietatis, mansuetudinis et misericordiae. Beati qui custodiunt vias meas.

Dopo la scomparsa dell'elefante tutto era tranquillo. La Vergine pareva quasi stanca dal suo lungo gridare. Dopo breve silenzio, rivolse ai giovani belle parole di conforto, di speranza; e, ripetendo quelle parole che là vedete sotto quella nicchia, fatte scrivere da me: Qui elucidant me, vitam aeternam habebunt, disse: - Voi che avete ascoltata la mia voce, e siete sfuggiti dalla strage del demonio, avete veduto ed avete potuto osservare que' vostri compagni sfracellati. Volete sapere quale è la cagione della loro perdita? Sunt colloquia prava; sono i cattivi discorsi contro la purità, quelle opere disoneste che tennero immediatamente dietro ai cattivi discorsi. Avete pur veduto que' vostri compagni armati colla spada: ecco quelli che cercano la vostra dannazione, allontanandovi da me e che cagionarono la perdita di tanti vostri condiscepoli. Ma quos diutius expectat durius damnat. Quelli che Dio più a lungo aspetta più severamente punisce: e quel demonio infernale avviluppatili, seco li condusse all'eterna perdizione. Ora voi andatevene tranquilli ma ricordatevi delle mie parole: Fuggite que' compagni amici di Satana, fuggite i cattivi discorsi specialmente contro la purità abbiate in me una illimitata confidenza ed il mio manto saravvi ognora sicuro rifugio.

Dette queste ed altre simili parole, si dileguò e null'altro rimase al solito posto, se non la nostra cara statuetta. Allora mi vidi ricomparire la defunta mia madre, di bel nuovo si innalzò lo stendardo colla scritta: Sancta Maria succurre miseris; tutti i giovani si ordinarono dietro a questo in processione ed intonarono il canto - Lodate Maria, o lingue fedeli.

Ma non andò molto che il canto incominciò ad illanguidirsi, poi svanì tutto quello spettacolo ed io mi svegliai bagnato interamente di sudore. Ecco! Questo è quanto ho sognato.

         O figli miei; ricavate voi stessi la strenna: chi era sotto il manto chi era gettato in alto dall'elefante, e chi aveva la spada se ne accor­gerà dall'esaminare la propria coscienza. Io non vi ripeto che le parole della Vergine SS.: Venite ad me omnes; ricorrete tutti a Lei, in ogni pericolo invocate Maria e vi assicuro che sarete esauditi. Del resto pensino  coloro che furono sì maltrattati dalla belva a fuggire i cattivi discersi, i cattivi  compagni; e quelli che cercavano di allontanare gli altri da Maria, o mutino vita o partano subito da questa Casa. Chi poi vorrà sapere il posto che teneva, venga da me anche nella mia camera, ed io glielo manifesterò. Ma lo ripeto; i ministri di Satana o cambiare o partire. Buona notte!

Queste parole furono pronunziate con tanta unzione e commozione di cuore, che i giovani meditando tal sogno per una settimana pi√π non lo lasciarono in pace. Al mattino molte confessioni, dopo pranzo quasi tutti da lui per sapere qual luogo tenessero in quel sogno misterioso.

E che non fosse sogno, ma visione, lo aveva pure indirettamente affermato D. Bosco stesso, dicendo: - Quando il Signore è per manifestarmi qualche cosa, passo ecc.; Soglio innalzare a Dio preghiere, perchè voglia ispirarmi e poi col proibire che fece qualunque scherzo intorno a questa nar­razione.

Ma vi è ancora di più. Questa volta egli stesso scriveva in un foglietto il nome degli alunni, che nel sogno aveva visti feriti, di quelli che maneggiavano una spada, e di altri che ne maneggiavano due: e lo consegnò a D. Celestino Durando, dandogli incarico di sorvegliarli. D. Durando ci trasmise questa lista e l'abbiamo sottocchio. I feriti sono 13 quelli probabilmente che non furono ricoverati sotto il manto della Madonna, quelli che avevano una spada erano diciassette; quelli che ne avevano due si riducevano a tre. Qualche nota a fianco di un nome indica mutazione di condotta. Si osservi ancora che il sogno, come vedremo, non rappresentava solamente il tempo presente, ma riguardava anche il futuro.

Ma sopratutto che questo sogno abbia dato nel segno lo comprovarono gli stessi giovani. Uno di questi riferiva: “ Non credevo che D. Bosco così mi conoscesse; mi ha manifestato lo stato dell'anima mia, le tentazioni cui sono soggetto con tale precisione, che nulla potrei aggiungere. Due altri giovani cui D. Bosco aveva detto che portavano la spada - Ah! sì, è vero, dicevano, è molto tempo che me ne sono accorto; lo sapeva anch'io. - E mutarono condotta.

” Un giorno dopo pranzo egli parlava del suo sogno, e dopo di aver riferito come alcuni già eran partiti ed altri dovevano partire per allontanare la loro spada dalla Casa, venne a discorrere della sua furberia, come egli diceva, ed a tal proposito riferiva questo fatto. - Un giovane scriveva, è poco tempo, a casa sua appioppando alle persone dell'Oratorio più degne di stima, come a superiori e a preti, gravi calunnie ed insulti. Temendo che D. Bosco potesse vedere quel foglio, cercò, studiò finchè gli fu possibile impostarlo senza, che alcuno lo sapesse. La lettera partì. Dopo pranzo lo mandai a chiamare: si presenta nella mia camera ed io, dopo di avergli mostrato il suo fallo, lo interrogava che cosa lo avesse indotto a scrivere tante menzogne. Egli negò sfacciatamente il fatto, io lo lasciai parlare, poscia, cominciando dalla prima parola, gli recitai tutta la lettera. Confuso allora e spaventato, piangendo si gettò ai miei piedi, dicendo: - Non è dunque andata la mia lettera? - - Sì, gli risposi, a quest'ora sarà a casa tua, ma pensa tu di ripararvi. - Gli alunni lo interrogarono in qual modo avesse ciò saputo. - Oh! la mia furbizia, rispose ridendo .... ”.

Questa furbizia doveva essere quella stessa del sogno, il quale riguardava non solo il presente stato, ma la vita futura di ciascun giovane, uno dei quali, in stretta relazione con Don Rua, cosi gli scriveva molti anni dopo. Si noti che il foglio porta il nome e cognome dello scrivente, col titolo della strada e il numero della sua abitazione in Torino.

 

 

 

Carissimo D. Rua,

 

Fra le altre cose mi ricordo di una visione, che D. Bosco ebbe nel 1863, mentre io era ritirato nella sua casa; nella quale vide la vita fu­ tura di tutti i suoi, e raccontataci da lui stesso dopo le orazioni della sera. Fu il sogno dell'elefante. (Qui descritto quanto sopra abbiamo es­posto, continua): Don Bosco terminata la sua narrazione ci disse: -

Se voi desiderate sapere dove vi siete trovati venite da me nella mia

camera, ed io ve lo dirò.

Dunque anch'io andai. - Tu, mi disse, eri uno di coloro che correvi appresso all'elefante prima e dopo le funzioni, quindi naturalmente fosti sua preda; fosti lanciato in alto colla proboscide e cadendo rimanesti malconcio in modo, che non potevi più fuggire, ancorchè facessi ogni sforzo. Quando un tuo compagno sacerdote, a te incognito, viene ti prende per un braccio e ti trasporta sotto il manto della Madonna. Fosti salvo.

Questo non sogno, come diceva D. Bosco, ma vera rivelazione del futuro che il Signore faceva al suo Servo, avvenne nel secondo anno che io era nell'Oratorio, in un tempo che io era di esempio a' miei compagni sì nello studio che nella pietà; eppure Don Bosco mi vide in quello stato.

Vennero le vacanze scolastiche del 1863. Andai in vacanza per motivi di salute e non ritornai pi√π all'Oratorio. Aveva 13 anni compiuti. Vanno seguente il mio padre mi mise ad imparare il mestiere da calzolaio. Due anni dopo (1866) mi recai in Francia per ultimare d'imparare il mio mestiere. Quivi m'incontrai con gente settaria e poco per volta lasciai la chiesa e le pratiche religiose, principiai a leggere libri scettici ed arrivai al punto di abborrire la S. Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, come la pi√π pestifera delle religioni.

Dopo due anni ritornai in patria e qui pure continuai sempre a leggere libri empii e sempre pi√π lui allontanavo dalla vera Chiesa.

In tutto questo tempo però non ho mai tralasciato di pregare il Signore Iddio Padre a nome di G. C., affinchè mi illuminasse e mi facesse conoscere la vera religione.

Durarono questi tempi ben 13 anni, durante i quali io faceva ogni sforzo per rialzarmi, ma era ferito, era preda dell'elefante, non mi poteva muovere.

Sul finire dell'anno 1878 si diede una missione spirituale in una parrocchia. Molti intervenivano a queste istruzioni ed anch'io cominciai ad andarci tanto per sentire quei famosi oratori.

Trovai tutte cose belle, verità inconstestabili, e finalmente l'ultima predica che trattava appunto del SS. Sacramento, ultimo punto e principale che mi restava in dubbio (poichè io non credeva più alla presenza di G. C. nel SS. Sacramento, nè reale, nè spirituale) seppe l'oratore sì bene spiegare la verità, confutare gli errori e convincermi, che io tocco dalla grazia del Signore mi decisi a fare la mia confessione e ritornare sotto il manto della B. Vergine. D'allora in poi non tralascio più di ringraziare Dio e la B. Vergine della grazia ricevuta.

Noti bene che a compimento della visione, seppi poi che quell'oratore missionario era mio compagno nell'Oratorio di D. Bosco.

Torino, 25 febbraio 1891.

 

Domenico N.

 

PS. - Se la S. V. Rev. crede bene di pubblicare questa mia, Le do ampia facoltà anche di ritoccarla, purchè non si scambi il senso essendo questa la pura verità. Rispettosamente Le bacio la mano, caro Don Rua, intendendo con questo bacio di baciare quella del nostro amato D. Bosco.

 

Ma da questo sogno D. Bosco aveva certamente ricevuto eziandio lume per poter giudicare le vocazioni allo stato religioso o ecclesiastico, le attitudine degli uni e degli altri nel fare in vario modo il bene. Aveva visti que' coraggiosi che affrontavano l'elefante e i suoi partigiani per salvare i compagni e strappar loro i feriti per portarli sotto il manto della Madonna. Egli perciò continuava ad accogliere le domande di quelli fra costoro, che desideravano far parte della Pia Società, oppure ad ammetterli, essendo già ascritti, a pronunciare i voti triennali. E per loro sarà in eterno titolo onorifico la scelta che ne fece D. Bosco. Una parte di questi non pronunciò i voti o compiuta la triennale promessa, uscì dall'Oratorio; ma è un fatto che questi perseverarono quasi tutti nella, loro missione di salvare ed istruire la gioventù o come preti in diocesi o come professori secolari nelle regie scuole.

I loro nomi stanno nei tre seguenti verbali del Capitolo Salesiano.

Li 12 gennaio 1863 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales, premessa la solita preghiera, fece l'accettazione formale dei seguenti individui proposti dal Sig. D. Bosco Rettore: Lagorio Giovanni, Finino Gio. Battista, Bongiovanni Domenico, Chicco Stefano, Nasi Gio. Battista, Alessio Felice, Cuffia Francesco, Delù Luigi, Ravetti Giovanni, Pellegrini Giovanni, Ricchiardi Chiaffredo.

Li 18 gennaio 1863 il Sig. D. Bosco Rettore radunò tutti i confratelli della Società di S. Francesco di Sales, per la cerimonia dei voti che emisero cinque confratelli. Il Sig. D. Bosco vestito di cotta invitò i confratelli ad inginocchiarsi ed alternativamente con essi recitò il Veni Creator, a cui tenne dietro l'Oremus dello Spirito Santo, la recita delle Litanie della Beata Vergine; un Pater, Ave, Gloria a S. Francesco di Sales coll'invocazione propria ed Oremus. Dopo questo D. Fusero Bartolomeo, inginocchiato in mezzo ai due professi D. Alasonatti e Don Rua, innanzi ad una immagine della Madonna con due candellieri accesi, pronunziò in presenza del Rettore con voce chiara e distinta la formola dei voti. Quindi scrisse il suo nome nel libro dei Professi.

Lo stesso fece successivamente il Chierico Rovetto Antonio, Mignone Giuseppe, Racca Pietro, Fabre Alessandro, i quali tutti, dopo pronunziata la formola prescritta innanzi al Rettore, scrissero il proprio nome nel libro dei Professi.

Li 8 febbraio 1863 il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales, dopo essersi radunato, fatta la solita invocazione allo Spirito Santo, fece, secondo le regole, l'accettazione dei seguenti giovani: Fagnano Giuseppe, Croserio Augusto, Belmonte Domenico, Morielli Giuseppe. Nasi Angelo, Buratto Vincenzo.

 

 

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