Capitolo 37

Trattato di pace tra la Prussia e l'Austria - Bismarck prepara la persecuzione contro la Chiesa Cattolica - Prudenza di D. Bosco nel proporre nuove pratiche religiose ai Salesiani - La vita dell'Oratorio è una continua aspirazione all'eterna felicità -Giudizio del Vescovo di Mondovì al proposito - I primi esercizi spirituali dei Salesiani a Trofarello - Alcune diserzioni dalla Pia Società - D. Bosco dà notizie di una di queste alla Contessa Callori - Guarigione d'un alunno - D. Bosco conosce lo stato di un'anima - Suo augurio ad una buona signora - Lettera alla suddetta Contessa, per un ripetitore a suo figlio, e per il predicatore di un triduo: egli andrà a Vignale ed a Mirabello - Secondo corso di esercizi a Trofarello -Il Vescovo di Savona - Morte di due giovanetti.

Capitolo 37

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Quella guerra che, D. Bosco aveva preveduta sul principio del 1862 come apportatrice di grandi mali alla Chiesa, ritardata per sei anni e scoppiata con tanta violenza, era dunque finita.

Il 4 agosto il Re Guglielmo rientrava trionfante in Berlino e il 24 si firmavano a Praga le Condizioni del trattato di pace imposte dalla Prussia all'Austria: - Scioglimento dell'antica Confederazione Germanica, colla formazione di una nuova da cui l'Austria sarà esclusa. - La nuova Confederazione comprenderà gli Stati tedeschi al nord del Meno, il Meclemburgo, la Sassonia, il Brunswick, ecc. - La Prussia riconoscerà l'integrità dell'Impero Austriaco, eccettuata la Venezia: e si terrà come preda di guerra i due ducati di Schleswig e di Holstein, il Lauemburgo, il regno di Annover, l'Assia Elettorale, il ducato di Nassau e la città libera di Francoforte. Con il Württemberg, il Baden, la Baviera, e l'Assia Darmstadt, la Prussia successivamente venne facendo convenzioni militari, in forza delle quali il comando supremo delle milizie di questi Stati appartenne a Re Guglielmo I.

La guerra del 1866 venne definita dal Kreuzzeitung: - Una cavalcata di Gustavo Adolfo attraverso l'Impero tedesco. Nel regno prussiano, causa le annessioni, i protestanti vennero a formare i due terzi dell'intera popolazione, sicchè Bismarck, approvando Re Guglielmo, potè poi proporre nella Dieta Prussiana una serie di leggi per staccare i sudditi cattolici da Roma e costringerli a formare una Chiesa nazionale dipendente dallo Stato. La setta dei Vecchi Cattolici sarebbe riconosciuta come l'unica religione cattolica. Così si preparava una tremenda persecuzione, la quale incominciata colle leggi di maggio nel 1873 doveva cessare, e solo in parte, nel 1886.

Le sette imperanti in ogni regione d'Europa si apparecchiavano a seguirne l'esempio. I cattolici si stringevano intorno al Sommo Pontefice prevedendo che sarebbe stata diuturna, benchè insana, la lotta contro il regno di Gesù Cristo sulla terra; e l'Episcopato di tutto il mondo vegliava concorde col suo clero pronto a dare sostanze e vita per sostenere la causa della Fede.

Anche D. Bosco si accinse ad agguerrire sempre meglio i Salesiani, i quali, se allora erano pochi, dovevano crescere in numero considerevole. Cogli esercizi spirituali, S. Ignazio di Loiola aveva formato in difesa della Chiesa campioni invincibili che non solo arrestarono le invasioni del Protestantesimo, strappandogli innumerevoli prede, ma convertirono molte nazioni pagane; e D. Bosco agguerrì i suoi colle stesse esercitazioni.

Dalla fondazione dell'Ospizio fino al 1866 i chierici e i preti dell'Oratorio avevano, ogni anno, preso parte con edificante raccoglimento agli esercizi spirituali degli alunni, ma per essi in particolare non eravi stato alcun ritiro, tranne quello che prescrivono i SS. Canoni avanti ogni sacra ordinazione. Don Bosco soleva condurne a S. Ignazio qualcuno di cui forse conosceva necessario rinnovare lo spirito; ma erano pochi. Perciò aveva deciso di radunare in luogo appartato i suoi figli ed insieme con essi meditare le verità eterne e l'importanza dei propri doveri come religiosi: con ciò voleva eziandio contentare chi desiderava che la Pia Società pigliasse esternamente qualche costumanza di vita più ascetica, secondo le Regole. E quest'anno eseguì il suo disegno.

Ma il Venerabile era solito a fare le cose con discretezza, in modo che non fossero di peso, si facessero volentieri, e a poco a poco divenissero coll'abitudine ben accette e volontarie. Si noti che la massima parte dei Salesiani era composta di chierici e giovani preti ai quali si dovevano togliere alcuni giorni di vacanza: ed avevano studiato e preso esami, assistito gli alunni e fatto scuola regolare tutto l'anno e dovevano farla ancora interrompendo le ferie autunnali, poichè a que' tempi gli alunni dalla metà di agosto alla metà di settembre ritornavano in buon numero nell'Oratorio e ne' collegi per le ripetizioni, e molti giovani non venivano ritirati dai parenti; perciò continua era l'assistenza anche per le passeggiate più frequenti e più lunghe, per render loro meno spiacevole la lontananza dalle proprie case. Nell'agosto era anche grave occupazione ultimare le faccende dell'anno scolastico spirato, e nel settembre e nell'ottobre preparare tutto l'occorrente pel nuovo anno.

Per questi e per altri motivi potevano sorgere ripugnanze e D. Bosco voleva evitarle.

Indisse adunque due corsi di esercizi spirituali, l'uno nella prima, l'altro nell'ultima settimana di agosto. Coll'introduzione e la chiusura avrebbero durato solo cinque giorni, cioè tre intieri; si sarebbero udite quattro prediche al giorno. Oltre la visita al SS. Sacramento prima di mezzodì e le litanie dei Santi finita la ricreazione del dopo pranzo, vi sarebbero state letture spirituali, si sarebbe recitato il piccolo ufficio della Madonna e la giornata si sarebbe chiusa colla benedizione del SS. Sacramento preceduta dal Rosario. Però in tutto il tempo libero dalle funzioni di chiesa D. Bosco annunziava che vi sarebbe libertà di parlare, ridere, passeggiare: volere che mentre si sarebbe pensato di proposito alle cose dell'anima, quei giorni fossero destinati anche al riposo dalle fatiche ed all'allegria; quindi a pranzo antipasto ed una pietanza di più dell'ordinario. La proposta fu accolta con entusiasmo.

Con questa prudenza condusse i confratelli insensibilmente al termine voluto. Nel 1867 si incominciò a raccomandare il silenzio dalle 10 ½ alle 12 meridiane. L'anno seguente si aggiunse il silenzio dalle 4 ½ pomeridiane alle 5 ½, tollerando le infrazioni di qualche irrequieto. Nel 1869 si inculcò il parlare sotto voce dopo colazione e dopo cena, proibendo amorevolmente i giuochi rumorosi, che spontaneamente furono tralasciati anche dopo il pranzo. Erano però permessi i canti dopo pranzo e dopo cena. Verso il 1870 i tre giorni intieri di esercizi divennero sei ed otto, e furono accompagnati da quel silenzio e da quella serietà anche nelle ricreazioni, che col moltiplicarsi del numero degli esercitandi sono indispensabili per ricavare pienamente il frutto del quale l'anima ha di bisogno, per rivestirsi di quell'armatura di fede, che infonde coraggio e difende dalla punta delle armi del nemico.

Ma, a dir vero, questo frutto già non mancava di maturare e questa armatura era indossata, prima ancora che la pratica di questi esercizi avesse regolarmente principio. Secondo il sistema educativo di D. Bosco le verità eterne erano continuamente sott'occhi ai figli dell'Oratorio, che ogni mese praticavano l'esercizio di buona morte. E le parlate serali del Servo di Dio non si potevano dimenticare. Predicava tutte le domeniche con tanta unzione e naturalezza, che le sue prediche quantunque lunghe, pure sembravano sempre brevi. Udimmo i confratelli e i giovani a dire che tutt'il giorno sarebbero stati volentieri in chiesa per ascoltarlo. Trattando della morte, del giudizio particolare, dell'ingratitudine degli uomini verso il Signore, o dei procrastinanti a darsi a Dio, piangeva lui e faceva piangere gli altri; e parecchie volte la sua commozione giungeva al punto da dover troncare il discorso perchè impedito dai singhiozzi. È perciò che tutti volevano confessarsi da lui.

La stessa santa unzione nel parlare D. Bosco l'aveva perfino ne' suoi discorsi familiari, specialmente negli avvisi che da mane a sera dava ai suoi figli, ricordando loro il Paradiso ad ogni pie' sospinto.

Testificava D. Rua: “D. Bosco udendo qualcuno a lamentarsi di qualche tribolazione, fatiche od ufficio, tosto lo incoraggiava: - Ricordati che soffri e lavori per un buon padrone quale è Dio. Lavora e soffri per amore di Gesù Cristo che tanto lavorò e soffrì per te. Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto.

” Se gli si annunziava una difficoltà da superare o qualche atto a lui ostile, egli: - Di questo nulla in Paradiso. - Se nominavansi le vacanze autunnali, diceva: - Le nostre vacanze le faremo in Paradiso. - Tornando stanco dalla città, ove era stato alla questua, il segretario invitavalo a riposare alquanto prima di mettersi al tavolino o nel confessionale; ed egli rispondeva: - Mi riposerò in Paradiso. - Dopo una lunga disputa egli concludeva: - In Paradiso non vi sarà più nessuna controversia. Saremo tutti dello stesso pensare.

” Ci assicurava che aveva chiesto ed ottenuto dal Signore, ad intercessione di Maria SS., il Paradiso per tante centinaia di migliaia di suoi figli, e in ogni tempo innalzava la mente degli alunni al Cielo, dando loro la più sicura speranza di trovarsi lassù con lui. Ma poi sempre esclamava: - Guai a chi mancherà all'appuntamento! E ciò potrebbe succedere se noi non saremo fedeli ai nostri doveri di buon cristiano. - E ispirando fiducia nella Madonna altra volta soggiungeva dopo aver dato un consiglio: - Fa' questo per onorare Maria SS. e te ne troverai contento ”.

” Spesso diceva a ciascuno di noi: - Se sarai buono, ti terrò preparato un bel posto in Paradiso! - Ciò indicava una fiducia tale da presupporre quasi una rivelazione avuta da Dio ”.

Mons. Ghilardi, Vescovo di Mondovì, che conosceva perfettamente l'Oratorio, quando D. Celestino Durando andava nel suo seminario a fare gli esercizi per le sacre ordinazioni, (e fu ordinato sacerdote il 21 maggio 1864), invitavalo a far qualche passeggiata in sua compagnia, ora a piedi, ora in carrozza. Don Durando osservava umilmente al Prelato:

- E gli esercizi?

- Ma che esercizi! esclamava il santo e dotto Vescovo; voi all'Oratorio li fate tutto l'anno!

I Salesiani adunque chiamati pel primo corso di esercizi si radunarono nella casa di Trofarello il 2 agosto. Predicò le meditazioni il can. Lorenzo Gastaldi e le istruzioni D. Bosco. Egli, come fece poi sempre, incominciò col parlare della vocazione e dei mezzi per conservarla; dei vantaggi temporali e spirituali che offre la vita religiosa; e dei tre voti che come vincoli spirituali legano al Superiore, al Capo della Chiesa e a Dio medesimo. Il 6 agosto prima di chiudere gli esercizi dava alcuni ricordi, dei quali ecco un sunto quale ci fu trasmesso da D. Giuseppe Campi.

Mandavit illis (Deus) unicuique de proximo suo (Eccl. XVII, 12). Ecce ego mitto vos sicut oves in medio luporum. Estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae.

Per dirigere bene tre cose sono necessarie:

1° Operare tutto per la gloria di Dio e per la salute delle anime.

2° Far vedere ai soggetti (principalmente in principio dell'anno)

che il bene dell'anima loro è l'unico nostro movente. Far questo nelle scuole, nel refettorio, nel correggere, nel premiare e sempre.

3° Studiare i naturali, e migliorarli; non urtar mai, secondarli sempre; edificare, non distruggere.

Il Superiore deve avere tre qualità speciali:

1° Pronto a perdonare.

2° Tardo a punire.

3° Prontissimo a dimenticare.

- Mancando di consiglio nelle cose difficili, raccomandarsi nell'elevazione della S. Messa alla potenza ed amore del Sacramento.

- Non far preferenze, non badare ad antipatie.

- Per comandare, bisogna saper ubbidire.

- Procurare sempre di diminuire la malevolenza ed aumentare la benevolenza.

 

I Salesiani avevano passato que' giorni con grande piacere e ritornarono soddisfatti alle loro mansioni.

Il Signore aveva concesso a D. Bosco una grande consolazione, e nello stesso tempo permetteva che anche questa iniziativa fosse, come tutte le opere di sua gloria, segnata colla croce. Il Venerabile aveva predicato sul voto di obbedienza e degli obblighi che induce sotto pena di peccato più o meno grave, anche in virtù del quarto comandamento della legge di Dio. Nell'ascoltarlo un confratello sacerdote volle persuadersi essere nulli i suoi voti triennali perchè quando li aveva emessi, credeva di obbligarsi solo nel caso che il Superiore gli comandasse colla formola in virtù di santa obbedienza. Dopo la predica, deliberando di uscire dalla Pia Società, cominciò a dire coi compagni che non si credeva tenuto ai voti fatti: e con questo suscitò un subbuglio in mezzo ad essi. Tutti prendevano a contraddirlo, poichè Don Bosco in tanti anni e in tante conferenze aveva chiaramente dichiarato la natura dei voti.

Avendo ciò saputo, con dolce zelo e prudentemente, senza nominarlo, Don Bosco correggevalo nella predica successiva come un pericoloso sovvertitore; ma quell'incauto, che pure era molto istruito in teologia ed era stato beneficato per dieci anni e in cento modi da D. Bosco, finiti gli esercizi, ritornava all'Oratorio e poco dopo ne usciva per sempre con modi indelicati.

Anche due chierici, decisi di procurarsi uno stato più comodo, lo abbandonavano in quei giorni. Dotati di grande ingegno D. Bosco li aveva fatti ascrivere nella R. Università ai corsi di Filosofia e di Lettere, e pendenti questi studii aveva dovuto affrontare gravi spese per mantenerli, poichè nella sua generosità non faceva mai le cose a mezzo. Essi sarebbero riusciti due valenti professori pei suoi giovani, ma le due lauree non servirono per lui.

Di uno di questi, tra altre cose, scriveva alla Contessa Callori Sambuy, la quale era stata alle acque di Courmayeur.

 

Benemerita Signora Contessa,

 

Persuaso che mentre dimora in codeste fresche regioni le rimanga un po' più di tempo a leggere, le scriverò la lettera un po' più lunga.

A suo tempo ho portato la somma intesa al suo portinaio. Avvenne soltanto un po' di contrattempo, chè il Sig. Conte, come avevami scritto, venne all'Oratorio per ritirarla e non mi trovò a casa; la sua lettera venne a raggiungermi a Lanzo, ma il tenore di essa era già stato eseguito prima, sicchè egli andò a prendere il danaro dall'indicato portinaio.

Maria SS. Ausiliatrice, è cosa intesa, terrà ben conto dei f. mille che condonò pel pulpito della novella chiesa. Credo che la ricompensa l'avrà in Paradiso con un bel trono abbastanza spazioso, da capire comodamente Lei con tutta la sua famiglia e forse con qualche amico. Fiat, Fiat.

E il famoso libro? Il libro è incominciato, ma bisogna andare adagio. Io mi pensava che il lavoro fosse come perfetto, ma messo poi a rigoroso esame c'è ancora molto da fare. Tuttavia lo faremo andare avanti ed è l'unico lavoro che io abbia tra mano.

Altra notizia un po' più singolare, ma forse non inaspettata. Il ch. L... non è più all'Oratorio. Il poverino si lasciò dominare da alcune idee di fantasia; lusingato da ripetute promesse di abito e di sussidio se ne volle andare. Gli ho usato troppi riguardi. Spero però che continuerà nella carriera ecclesiastica. Mi rincresce un poco perchè egli mette in scena V. S. dicendo che la Contessa Callori gli aveva detto aver fatto male a mettersi nella Società di S. Francesco di Sales e che, appena fosse uscito dall'Oratorio, Ella avrebbegli tosto fatto il patrimonio ecclesiastico, ecc. Credo che ciò sia una interpretazione immaginaria, ma credo bene che ne sia informata per sua norma.

Mentre poi raccomando me e questi miei giovanetti alla carità delle sante sue preghiere, auguro ogni celeste benedizione a Lei, al sig. Cesare e a tutta la famiglia e mi professo con sentita gratitudine

Di V. S. Benemerita

Torino, 10 agosto 1866,

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

P.S. -Mentre sigillava la lettera ricevo la venerata sua per cui devo cangiare indirizzo (Casale Monferrato).

Il ch. L... andò via pel motivo, dissemi, che egli non poteva più uniformarsi al mio vitto. Attendo ulteriore avviso pel prete. A Vignale ci parleremo dei resto. - Ma coraggio, nè mai dimentichi che le pillole più amare sono le migliori per la sanità.

A proposito di detto chierico D. Giovanni Bonetti aveva aggiunte alcune righe alla sua cronaca: “ Con mio dolore debbo qui notare che a questo amico carissimo mancò il più gran dono, quello della perseveranza. Se ne uscì dall'Oratorio con poca buona grazia e con immenso disgusto di Don Bosco. Gli mancò l'umiltà, e si esentava facilmente da ogni regola della casa negli ultimi anni ”. D. Guassardo, direttore spirituale del Collegio Nazionale in Torino, che nel 1864 aveva ospitato D. Bosco e i suoi giovani a Capriata d'Orba, gli ottenne un posto di istitutore.

Poco dopo un terzo chierico usciva nei debiti modi dall'Oratorio per andare nel Seminario diocesano d'Ivrea.

Questi, essendosi recato a trovar D. Bosco per prendere da lui congedo, vide che il Servo di Dio ne era spiacente e sentì dirsi: - Tu vai in un luogo santo, ed io non posso dirti che faccia male, e meno ancora impedirtelo. Ma tu non sei fatto per vivere nel mondo.

E pur troppo ciò si avverava. Quegli stette in Seminario tre anni e ricevette anche gli ordini minori; ma poi non sentendosi, o non credendosi più chiamato alla carriera ecclesiastica, ne uscì con dispiacere dei Superiori, che lo esortavano a rimanervi.

Deposto l'abito clericale intraprese gli studii di medicina, riuscì ad ottenerne la laurea ed esercitò anche con buon successo l'arte salutare per diciasette o diciott'anni. Ma l'esercizio di questa professione non gli piaceva, e benchè godesse di uno stipendio assai buono, contrasse dei debiti, e negli ultimi due anni fu preso da tale melanconia e mania di persecuzione che fu ritirato in una casa di salute, dove morì di crepacuore in pochi mesi. E quello che è peggio, egli aveva pur deviato un poco dalla fede e dalla pietà cattolica. Tuttavia si mostrò sempre religioso, buono e retto, e negli ultimi giorni rientrò in se stesso, si ravvide e chiese da sè spontaneamente il confessore per aggiustare con Dio le cose dell'anima sua, e morì dopo aver ricevuto i conforti della Cattolica Religione che nell'Oratorio e nel Seminario avea tanto amata e di cui aveva osservato i precetti in modo esemplare.

Dopo gli esercizi D. Bosco guariva un infermo e dava altra prova di leggere nelle coscienze.

D. Giacomo Bertolotto scrive: “ Sono entrato all'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino il giorno 8 di agosto del 1866. Al mattino seguente mi alzo con alcune vescicole sparse pel corpo che mi davano non poco dolore. Nei giorni seguenti, anzichè diminuire, crescevano di numero e di intensità. Non potendo io più resistere, i superiori mi mandarono ad una visita all'Ospedale Mauriziano. Presi con fiducia ogni medicina ordinata dai dottori, ma tutto era inutile. Un giorno stavo piangendo sotto i portici dell'Oratorio disperato dal male, quando mi imbattei nel rev. D. Rua, allora prefetto della Casa. Erano le 4 dopo mezzogiorno. Egli mi suggerì di farmi benedire da D. Bosco, che in quel giorno si trovava appunto in casa. Vi andai subito. D. Bosco mi fece inginocchiare, mi benedisse! Al mattino seguente io ero affatto libero da ogni vescicola e da ogni dolore. Il giorno prima ero deciso di far ritorno a casa; invece la grazia ottenuta per mezzo di D. Bosco mi permise di stare all'Oratorio per cinque anni continui ”.

Un altro nostro allievo ci confidava il seguente fatto: “ Ogni qual volta mi recavo a Torino, mi facevo un dovere di recarmi all'Oratorio di S. Francesco di Sales e, se fosse stato possibile, di parlare col Venerabile D. Bosco. Egli mi accoglieva sempre colla più espansiva amabilità. Una volta mi presentai a lui, che non ero in grazia di Dio. Ed egli non mi fece nessuna carezza, non mi guardò nemmeno, non mi rivolse parola e mi lasciò mortificato dietro a tanti altri che poterono baciargli la mano ”.

Sul finir di agosto il Venerabile si accingeva a ritornare a Trofarello per dar principio al secondo corso di esercizi spirituali, ai quali dovevano prender parte tutti coloro che non erano stati al primo corso. Prima di partire visitava una distinta signora per ringraziarla dei benefizi da lei fatti all'Oratorio e le rilasciava questo autografo: - “Dio faccia che la Damigella Giacosa diventi ognor più madre pietosa dei poveri nel tempo; e la coroni poi un giorno di gloria nella beata eternità. Amen. Agosto 1866 ”. - La buona signora scrisse sotto queste righe: - “ Il veneratissimo Signor D. Bosco scriveva a mia istanza le poche linee qui sopra ed io accetto con gratitudine i suoi voti. Teresa Giacosa ”.

Gli esercizi incominciarono il 29 agosto. D. Bosco nella predicazione ebbe per compagno D. Bonetti, e da Trofarello rispondeva ad alcune domande della chiarissima signora la Contessa Callori Sambuy - Casale Monferrato.

 

Benemerita Signora,

 

La sua lettera mi raggiungeva a Trofarello dove detto gli Spirituali esercizi ai nostri maestri preti ed assistenti. La dimanda che fa di un prete per la ripetizione del sig. Cesarino è molto complicata. Desidera scuola di letteratura latina, italiana e greca? Ci vuole un professore non di basso taglio. Vuole di fisica, aritmetica, geometria, trigonometria? Ce ne vuole un altro. Lo stesso chiamo di Storia antica, del Medio Evo e Moderna. Altro della storia naturale e geografia. Insomma questo esame liceale è così esteso per cui ci vogliono non meno di quattro professori. Facciamo adunque così. Aspettiamo se l'esame sostenuto sarà convalidato ed allora ogni difficoltà è sciolta. Se poi fosse necessario un mese di ripetizione, allora è meglio che venga addirittura a Torino e potrà con qualche facilità avere gli insegnanti richiesti.

Debbo però notarle che ho sempre riserbato il prof. D. Durando per Lei, ma lunedì l'ho inviato a casa Fassati, nella persuasione che forse Ella non ne avrebbe avuto bisogno. Se però me lo dice, credo poterne avere uno di nostra conoscenza che potrà servire per sua casa.

Giunto a Torino parlerò al Can. Galletti; di poi le farò risposta. Ritenga però che il T. Abbondioli è un buon predicatore e buon cattolico. Mi capisce.

Credo che la sua dimora attuale sia stabile in Vignale, perciò fra breve le farò sapere il giorno in cui passerò a farle visita andando a Mirabello.

La prego di dire al suo sig. Marito che io non voglio che il suo mutuo rimanga senza interesse. Al giorno della Natività di Maria tutti i nostri giovanetti faranno la loro Comunione, io dirò la messa, tutti secondo la pia di lui intenzione.

Dio benedica Lei, tutta la sua famiglia. Preghi per me che le sono nel Signore

Trofarello, 31 agosto 1866,

Obbl.mo Servitore

Sac. BOSCO GIOVANNI.

 

P.S. - Compatisca la fretta nello scrivere.

 

In quei giorni Mons. Riccardi di Netro, Vescovo di Savona, si recava a far visita a D. Bosco, del quale era amicissimo. Il Prelato soleva passare le sue vacanze autunnali a Trofarello presso la Contessa Casassa, sua sorella, insigne benefattrice dell'Oratorio; e in quel tempo non mancava di andar spesso ad intrattenersi con qualche Salesiano, mandato colà dai Superiori per ritemprarsi in salute, e di fare con quei confratelli lunghe passeggiate. Quando poi si recava a Torino, per vedere D. Bosco, talora scendeva senz'altro nel refettorio sotterraneo, ove dopo il pranzo questi fermavasi spesso in mezzo a una folla di giovani.

Il 2 settembre finivano gli esercizi e il chierico Giuseppe Daghero pronunziava la formula dei voti triennali. Fu il primo ad emettere i voti negli esercizi stabiliti per i soli salesiani. D. Bosco, come aveva incominciato, continuò poi a dettare gli esercizi ai confratelli tutti gli anni fino agli ultimi tempi del viver suo.

Nell'Oratorio era passato in que' giorni a miglior vita un giovanetto del quale scrisse D. Rua:

Ropolo Michele di Villafranca Piemonte moriva in età di 12 anni il 31 agosto. Ottimo fanciullo: l'innocenza gli traspariva dal volto. L'amore allo studio e alla pietà, occupavano il suo cuore tenerello. Lasciò di sè gran desiderio. Ci mandi sovente il Signore anime così belle.

Anche un altro, poco tempo prima, era stato chiamato da Dio all'eternità e D. Rua notava nel necrologio:

Muore Nicolini Francesco in età di 14 anni. Povero giovane! Abbandonato da tutti venne accolto in quest'Oratorio mentre trovavasi in estrema miseria di anima e di corpo. Dotato di somma vivacità e non mancante di intelligenza, andava facendo profitto poco alla volta, quando, colto da malattia lenta, dovette pensare a prepararsi alla morte. Accolto all'Ospedale Cottolengo vi morì con buone disposizioni e munito dei SS. Sacramenti.

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