La classe di retorica - Luigi Comollo e sua relazione con Giovanni - Questi lo difende contro alcuni insolenti - Umile confessione - Begli esempi dell'amico.
del 11 ottobre 2006
Beato Chi trova un vero amico. L'amico fedele è una protezione possente; e chi lo trova, ha trovato un tesoro. Nessuna cosa è da paragonarsi all'amico fedele; e non è degna una massa d'oro e d'argento di essere messa in bilancia colla bontà della fede di lui.
Questa felicità l'ebbe il nostro caro Giovanni, nel suo anno di retorica. È un tratto invidiabile della sua vita, e noi lo lasceremmo raccontare da lui medesimo.
“Sul cominciare dell'anno scolastico 1834 - 35, tempo in cui io frequentava la scuola di retorica nella città di Chieri, mi trovai casualmente in una casa di pensione del fu Marchisio Giacomo, ove si andava parlando delle buone qualità di alcuni studenti: - Mi fu detto, prese a narrare il padrone di casa, mi fu detto che a casa del tale vi deve andare uno studente santo.
- Io feci un sorriso, prendendo la cosa per facezia.
- È appunto così, soggiunse il padrone, ci deve essere il nipote del prevosto di Cinzano, giovane di segnalata virtù. Suo zio sacerdote è pure assai rinomato per santità di vita.
Non feci gran caso allora di queste parole, ma fra i miei compagni di retorica questa notizia aveva accesa una viva aspettazione. Io desiderava far conoscenza di questo giovane, ma ne ignorava il nome. Un fatto molto notevole però melo fece ben presto conoscere. Era già più giorni che io vedeva uno studente, sui quindici anni, che dimostrava tanta compostezza nella persona, tale modestia camminando per le vie, e tanta affabilità e cortesia con chi gli parlava, che io ne era, del tutto meravigliato. Crebbe questa meraviglia allorchè ne osservai l'esattezza nell'adempimento de' suoi doveri e la puntualità, colla quale interveniva alla scuola. Ivi appena giunto si metteva al posto assegnato, nè più si muoveva, se, non per fare cosa che il proprio dovere gli prescrivesse.
Egli è costume degli studenti di passare il tempo d'ingresso in scherzi, giuochi e salti pericolosi. I più dissipati e meno amanti dello studio ne sono avidissimi e ordinariamente sono quelli che si rendono più celebri. A ciò pure era invitato il modesto giovinetto, ma egli si scusava sempre con dire che non era pratico, non aveva destrezza. Nulla di meno un giorno un suo compagno insolente, gli si avvicinò, mentre, senza badare agli schiamazzi altrui, era occupato a leggere o a studiare. Presolo per un braccio, colle parole con importuni scuotimenti, pretendeva costringerlo a prendere parte a quei salti smoderati che nella scuola si facevano - No, mio caro, non so, rispondeva l'altro dolcemente, e tutto umiliato; non so; non ho mai fatto questi giuochi; non sono esperto, mi espongo a far brutta figura. - Io voglio che tu venga assolutamente, altrimenti ti fo venire a forza di calci e di schiaffi. - Puoi battermi a tuo talento, ma non so, non posso, non voglio....
Il maleducato e cattivo condiscepolo, quando vide che non voleva arrendersi, lo strinse al braccio, lo urtò e poi gli diede due schiaffi, che fecero eco in tutta la scuola. A quella vista io raccapricciai, mi sentii bollire il sangue nelle vene e temeva che l'offeso rendesse la pariglia a quell'impertinente; tanto più che l'oltraggiato era di molto superiore all'altro in forze ed età. Ma l'offeso aveva ben altro spirito. Quale non fu la mia meraviglia, quando il buon giovinetto, colla sua faccia rossa e quasi livida, dando un compassionevole sguardo al maligno compagno che l'aveva percosso, dissegli soltanto:
 - Se questo basta per soddisfarti, vattene pure in pace, che io sono contento e ti ho già perdonato. - Quell'atto eroico mi fece ricordare di quanto avevo udito, che doveva venire alle scuole un giovanetto santo, e chiestone la patria ed il nome, conobbi essere quello appunto il giovane Luigi Comollo, nipote del prevosto di Cinzano, di cui si erano uditi tanti encomi nella pensione del Marchisio”.
Luigi Comollo era nato il 7 aprile 1817, nella borgata detta Apra del paese di Cinzano, ove era parroco. D. Giuseppe Comollo, suo zio paterno, santo e dotto ecclesiastico. Da bambino aveva mostrato grande inclinazione alla pietà; fanciulletto, nei giorni festivi raccoglieva nelle ore di ricreazione alcuni suoi coetanei per raccontar loro qualche esempio, edificante in sui dieci anni si era acquistata tale stima dai terrazzani, che, se qualcuno avesse osato pronunciare, lui presente, parole oscene: - Zitto, dicevano, gli altri: c'è Luigi che sente - Conducendo i bestiami al pascolo, leggeva sempre libretti spirituali da solo o cogli altri pastorelli e talora li invitava a pregare o a cantare laudi sacre. Per onorare la Madonna si asteneva di qualche porzione di cibo o di frutta che gli si dava, dicendo:
- Questo bisogna regalarlo a Maria. Il giorno della sua prima Comunione aveva donato, col suo piccolo peculio, un vestito ad un fanciulletto povero. Amatissimo delle funzioni di chiesa, erasi deciso per lo stato ecclesiastico, dicendo: - Essendo i preti quelli che aprono il Paradiso agli altri, spero che lo potrò poi aprire anche a me stesso. - I primi rudimenti di lingua latina avevali appresi dallo zio parroco. A Caselle, presso il sacerdote Strumia, compiva la terza ginnasiale. Luigi Comollo era stato sempre la consolazione e la gioia della casa paterna. Ed egli era l'amico, che la Provvidenza divina aveva preparato pel nostro Giovanni.
Simile in tutto a lui in quanto a virtù, benchè di indole diversa, Giovanni sentissi attratto verso di questo giovanetto da una viva affezione, che mai diminuì finchè visse, venendo da lui pienamente corrisposto. I modi verecondi ed umili di Comollo, quel non osare prevalersi della confidenza che gli era data, quel non ardire trattare con libertà, furono per Giovanni argomento di ringraziare il Signore. “Se l'amico si umilia dinanzi a te e si ritira dalla tua presenza, avrai un'amicizia buona e leale”.
“Egli faceva umanità, e quindi era a me inferiore di un corso, continua a scrivere D. Bosco; ma eravamo in una stessa scuola ed avevamo il medesimo professore. Da quel tempo l'ebbi sempre per intimo amico, e posso dire che da lui ho cominciato ad imparare a vivere da cristiano. Ho messa piena confidenza in lui; egli in me. L'uno aveva bisogno dell'altro: io di aiuto spirituale, l'altro di aiuto corporale; perciocchè il Comollo per la sua grande timidità non osava nemmeno tentare la difesa contro gli insulti dei cattivi, mentre io da tutti i compagni, anche maggiori di età e di statura, era temuto pel mio coraggio e per la mia forza gagliarda. Ciò aveva un giorno fatto palese verso di taluni, che volevano disprezzare e percuotere il medesimo Comollo ed un altro, di nome Antonio Candelo, modello di bonomia.
Vedendo quegli innocenti maltrattati, io volli intervenire in loro favore, ma non si voleva badare.
-         Guai a voi, dissi allora ad alta voce, guai a chi fa ancora oltraggi a costoro.
- Un numero notabile dei più alti e dei più sfacciati si misero in atteggiamento di comune difesa e di minaccia contro di me, mentre due sonore ceffate caddero sulla faccia del Comollo. In quel momento io mi dimenticai di me stesso ed eccitando in me non la ragione, ma la mia forza brutale, non capitandomi tra mano nè sedia, nè bastone, strinsi colle mani un condiscepolo alle spalle e di lui mi valsi come bastone a percuotere gli avversari, pronti a continuare le offese. Quattro caddero stramazzoni a terra, gli altri fuggirono gridando e dimandando pietà. Ma che? In quel momento entrò il professore nella scuola, e mirando braccia e gambe sventolare in alto in mezzo ad uno schiamazzo dell'altro mondo, si pose a gridare dando spalmate a destra ed a sinistra. Il temporale stava per cadere sopra di me, quando, fattosi raccontare la cagione di quel disordine, volle fosse rinnovata quella scena o meglio sperimento di forze. Rise il professore, risero tutti gli allievi, ed ognuno meravigliandosi, non si badò più al castigo che mi era meritato”.
Ammiriamo qui l'umiltà di Giovanni nell'esporre questo fatto. È difficile persuadersi che nel suo animo generoso non vi sia stata una forte commozione nel veder trattato così brutalmente un innocente fanciullo. Chi trovandosi in simile caso non avrebbe fatto altrettanto, anche avendo poco cuore? “Libera dalla mano del superbo colui che soffre l'ingiuria, e non sia ciò gravoso all'anima tua”, ha detto lo Spirito Santo. Del resto Giovanni senza dubbio esagera il fatto. Tutti i suoi compagni di ginnasio, che ci narrano gli anni della sua giovinezza, convengono nel dipingerlo quale modello di mansuetudine. E noi sappiamo che egli, battuto ed insultato, sopportò pazientemente l'ingiuria senza difendersi. D'altronde, il professore non avrebbe fatto ripetere quella scena, se avesse avuto carattere non di giusta difesa, ma di smoderata vendetta, e se fosse stata in qualche modo di danno o pericolo alla clava vivente o a coloro che erano percossi. D. Bosco stesso, raccontando talora questo aneddoto a' suoi preti nelle ore di ricreazione, gli dava un tale aspetto mescolato comicamente di scherzevole e di serio, da far smascellare dalle risa chi lo ascoltava. Tuttavia, se questo fu un lampo del suo naturale ardente, dimostra quali eroici sforzi facesse continuamente per tenersi a freno, in maniera da essere giudicato da quanti lo conobbero nella lunga sua vita come il più mite degli uomini. In lui vediamo realmente avverarsi ciò che dice lo Spirito Santo dell'uomo giusto: “Il giusto è primo ad accusare se stesso; vien poi il suo amico e lo tiene a sindacato” ; perchè il giusto è contento che l'amico lo rimproveri.
Dopo la descrizione del fatto suesposto, leggiamo ancora nel manoscritto di D. Bosco: “Ben altre lezioni mi dava Comollo: - Mio caro, dissemi appena mi potè parlare tra noi soli, la tua forza mi spaventa; ma credimi, Dio non te la diede per massacrare i compagni. Egli vuole che ci amiamo, ci perdoniamo e che facciamo del bene a quelli che ci fanno del male. - Egli infatti d'indole dolcissima, non si vide mai altercare con alcuno de' suoi compagni, ma alle ingiurie ed alle derisioni rispondeva sempre colla pazienza e coll'affabilità. Io ammirai la carità del venerato mio collega, e mettendomi affatto nelle sue mani, mi lasciava guidare dove e come voleva egli. D'accordo coll'amico Garigliano, andavamo insieme a confessarci, comunicarci, fare la meditazione, la lettura spirituale, la visita al SS. Sacramento, a servire la santa Messa. Comollo sapeva invitare con tanta bontà, dolcezza e cortesia, che era impossibile rifiutarsi ai suoi inviti”. È proprio vero che “l'unguento e la varietà degli odori rallegrano il cuore, e i buoni consigli dell'amico dando conforto all'anima”.
” Mi ricordo che un giorno, chiacchierando con lui, passai davanti ad una chiesa senza scoprirmi il capo. Egli mi disse tosto in modo assai garbato: - Giovanni mio, tu sei così attento a discorrere cogli uomini, che dimentichi perfino la casa del Signore. - Altra volta accadde che, scherzando, mi servii sbadatamente parole della S. Scrittura, udite da persone di chiesa. Comollo vivamente mi riprese dicendomi non doversi faceziare colle parole del Signore.
” Interrogandolo un giorno sui monumenti più ragguardevoli di Chieri, e vedendo come egli non ne fosse punto informato, gli dissi: - Tante persone partono da lontano per venirli a vedere, e tu che dimori in Chieri non ti dai nemmeno pensiero di visitarli. - Eh, mio caro, rispose scherzando; ciò che non giova per domani, mi do poca premura di cercarlo oggi - volendomi con ciò significare che se tali rarità avessero contribuito ai beni eterni, che formavano il suo domani, non le avrebbe trascurate.
” In un giorno di vacanza, mentre ritornavamo da una passeggiata, traversando Chieri e giunti alla piazza detta del Piano, ci siamo trovati vicino ad un saltimbanco, che con giuochi e salti tratteneva i buontemponi e gli oziosi. - Guarda qui un momento, dissero due compagni al Comollo; ascolta che belle cose! costui ne dice tante, che fa ridere assai - Il Comollo con una strappata si licenziò dai due poco delicati amici, dicendo: - Costui dirà dieci parole per farvi ridere, ma l'undecima è cattiva e vi darà scandalo; d'altronde mio zio mi ha molto raccomandato di non mai fermarmi ad assistere nè ai ciarlatani, nè ai saltimbanchi, nè ai giocatori di bussolotti, nè ad altri pubblici spettacoli; perchè egli diceva: In questi luoghi uno può andare coll'anima innocente, ma sarà un miracolo se ne ritorna nel medesimo stato”. Quest'ultimo aneddoto, che D. Bosco stesso stampò nella biografia di Comollo, sembra a prima vista quasi un indiretto rimprovero per lui, che a simili giuochi fin da giovinetto soleva intervenire; ma ponderando attentamente le cose, non lo ferisce menomamente. La sua semplicità ed innocenza di costumi, la sua retta coscienza ed il fine santo onde accorreva a quei divertimenti, ben giustificano quanto egli aveva fatto ne' suoi primi anni, senza alcun danno della sua anima, e con grande vantaggio di quelle del prossimo. In tutto il tempo della sua vita ebbe per norma il gran detto: Ama et fae quod vis. Da ciò quel suo modo di agire franco, senza angustie di spirito, e colla piena libertà dei figliuoli di Dio. La carità espelle il timore. Appena ebbe appreso quanto reputava necessario, tralasciò di assistere agli spettacoli sulle piazze; rinunzierà ai giuochi di ginnastica, quando vedrà questi repugnanti al contegno necessario nello stato di persona che si vuol consacrare al Signore; continuerà però nei giuochi di prestigio per più anni ancora, essendo essi mezzo acconcissimo per attirargli l'affezione dei giovani e causa di onesta ricreazione agli amici. Per lui contadinello erano anzi una indispensabile scuola per formarlo alla sua missione, rendendolo disinvolto, gioviale, padrone delle assemblee, conservando sempre modi convenienti, riservati, improntati a virtù. Un aspetto di asceta e di penitente sarebbe stato ributtato dalla società, che si andava allora formando e in mezzo alla quale egli doveva vivere.
È cosa commovente vedere come D. Bosco conservasse religiosamente i consigli dell'amico suo, e ciò è prova della sua grande umiltà. Afferma aver egli da Luigi Comollo imparato a vivere da cristiano; ma il fatto si è, come ce ne assicura D. Giacomelli loro compagno ed intimo, che Bosco e Comollo reciprocamente si ammonivano per correggersi dei propri difetti, si animavano l'un l'altro a progredire nella perfezione, si eccitavano ad impiegare utilmente tutto il tempo e s'invitavano ad accostarsi con molta frequenza e regolarità ai SS. Sacramenti. Comollo aveva in Giovanni un compagno di speciale confidenza per conferire di cose spirituali. “Il trattare e parlare di tali argomenti con lui, scrive D. Bosco, tornavagli di grande consolazione. Ragionava con trasporto dell'immenso amore di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione. Quando discorreva della B. Vergine, si vedeva tutto compreso di tenerezza, e dopo aver raccontato o udito raccontare qualche grazia concessa a favore del corpo, egli, sul finire, tutto rosseggiava in volto ed alle volte rompendo anche in lagrime, esclamava - Se Maria favorisce cotanto questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? Oh! Se tutti gli uomini fossero veramente divoti di Maria, che felicità ci sarebbe in questo mondo!” - Tali espansioni di cuore non si fanno, se non a quelli che sono capaci di intenderle e gustarle. E tale era Giovanni, il quale per modestia tace il suo nome.
Luigi Comollo poteva essere proposto per esemplare ad ogni giovane per l'intemerata condotta, per l'ubbidienza e la docilità sua. In un'età, che è tanto vaga di mutazioni si manteneva uniforme e costante nella pratica di ogni virtù. Amantissimo del ritiro, non usciva mai senza licenza dei padroni di casa, ove stava in pensione, ed era di grande stimolo per gli altri pensionanti a vivere virtuosamente. D'umore sempre eguale ed allegro, non dava mai a conoscere quello che fosse di speciale suo gusto. Giovanni, che era con lui in tanta famigliarità, non l’udì mai querelarsi del caldo o del freddo delle stagioni, del cibo, del troppo lavoro o del troppo studio; anzi, qualora avesse avuto un po' di tempo libero, tosto correva da qualche compagno per farsi schiarire alcune difficoltà. Volentieri discorreva di storia, di poesia, di lingua italiana o latina, e questo in maniera umile e gioviale sì, che, mentre proferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo all'altrui.
Come studente primeggiava per ingegno tra i giovani più distinti. Era così diligente nello studio, che il suo professore ebbe a dire di non ricordarsi di averlo mai avuto a rimproverare della benchè minima negligenza.
Assiduo alle congregazioni delle scuole, compostissimo, sempre attento alla divina parola, devotissimo nell'assistere alla santa Messa, professava la massima riverenza e rispetto ai sacri ministri, e non permetteva che nessuno, con ischerzi o narrazioni, mancasse loro di ossequio.
Nei giorni festivi, terminate le funzioni nella cappella della congregazione, per lo pi√π gli studenti andavano al passeggio od a qualche altro divertimento; ma il Comollo, persuaso di poter fare a meno di questi passatempi, tosto recavasi con Giovanni al catechismo dei fanciulli, solito a farsi nella chiesa di S. Antonio.
Ogni giorno Comollo andava puntualmente al duomo a visitare il SS. Sacramento, e Giovanni per varii mesi colà recavasi appunto in quell'ora per riceverne edificazione. Così egli ce lo descrive: “Di solito ponevasi in qualche canto più vicino all'altare, ginocchioni, colle mani giunte, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi bassi e tutto, immobile della persona; insensibile a qualunque voce o rumore. Non di rado mi avveniva, che, compiuti i miei doveri, voleva invitarlo a venir meco per essere da lui accompagnato a casa; ma aveva un bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire, perchè egli si movesse; era sempre lo stesso, immobile, finchè io accostandomi non lo scuoteva. Allora, come risvegliato dal sonno, si moveva, e sebbene a malincuore aderiva al mio invito. Egli serviva molto volentieri alla santa Messa anche nei giorni di scuola, quando poteva; ma nei giorni di vacanza servirne quattro o cinque era per lui cosa ordinaria. Se il tempo glielo permetteva, interveniva ad ogni religiosa funzione, che si celebrasse nelle chiese della città. Benchè fosse così concentrato nelle cose di spirito, non vedevasi mai rannuvolato in volto o tristo, ma sempre ilare e contento. Colla dolcezza del suo parlare rallegrava tutti quelli, con cui trattava, ed era solito a dire che gli piacevano grandemente quelle parole del Profeta David: Servite Domino in laetitia Servite il Signore in santa allegrezza”.
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