La sanità di D. Bosco deperisce - Il Teol. Borel difensore dell'Oratorio - I parrochi di Torino - L'opuscolo: Le sei domeniche e la novena in onore di S. Luigi Gonzaga.
del 26 ottobre 2006
 In sul finire dell'anno 1845 parve che D. Bosco non potesse più reggere alla fatica pel lento deperire delle sue forze. Il Teol. Borel aveva di ciò dato avviso alla Marchesa Barolo, che non erasi ancor mossa da Roma, e questa Signora scrivevagli risolutamente che a tutti i costi si procurasse di curare la preziosa sanità di D. Bosco. Alcuni giorni dopo gli mandava 100 lire per l'Oratorio. Il Teologo Borel affrettavasi a risponderle:
 
“Ill.ma Signora Marchesa,
 
“ Il suggerimento caritatevole di V. S. a vantaggio dei carissimo D. Bosco e il favore che Ella si degna di accordargli, mostra quanto Le sia cara la vita di questo zelante sacerdote. Egli non mancherà di profittarne, ed io gliene porgo ringraziamenti con tutto il cuore.
“” Già dal principio di dicembre vedendo come il riposo gli fosse necessario, D. Pacchiotti prese a celebrare la S. Messa nell'Ospedaletto, lasciando a D. Bosco la seconda Messa nel ritiro. Fu riconosciuta l'eccellenza di questo rimedio dal felice risultamento che se ne ebbe; tuttavia non potendosi dire perfettamente guarito, essendoci dato per le attenzioni di V. S. di accordargli perfetto riposo per un po' di tempo dalle occupazioni del Rifugio mediante l'allontanamento dal suo Ritiro e la intimazione di dover cessare da ogni altra occupazione sino al perfetto ristabilimento, io nutro ferma speranza di vederlo guarito assai presto.
“ Quest'oggi medesimo mi ha dato decisiva risposta di quello che intende di fare e l'indomani dell'Epifania si mette all'ubbidienza; e avrà da fare col molto Rev. sig. D. Guala e D. Cafasso, se non sarà puntuale nell'eseguirla. Questi due ultimi hanno fatto graziosa offerta di un sacerdote per la seconda Messa nel Ritiro; ed in caso che la nostra diligenza raddoppiata non bastasse per soddisfare i desiderii della Casa, ricorrerò al Rev. Padre Rettore degli Oblati per avere uno dei confessori soliti.
“ Intanto, quando sia volere di Dio di farne conoscere un sacerdote che sia fornito dello spirito necessario per questa casa, non mancherò di renderne avvisata V. S. e mostrarle quanto mi torni grata la esibizione per un collega di più ecc.
3 Gennaio 1846.
Obb.mo Servitore
T. G. Borel”
 
Per un po' di tempo adunque D. Bosco si dovette rassegnare ad un parziale riposo forzato, cessando dalle sue incombenze nell'Ospedaletto e nel Rifugio; ma nessuno osò indurlo ad abbandonare i suoi giovani. Infatti l'Oratorio, continuato in casa Moretta, aveva necessità dei cuore di D. Bosco in persona per essere mantenuto in vita, a dispetto di tanti disagi. Venne la festa di S. Francesco di Sales e i giovani non poterono altrimenti solennizzarla se non andando ad ascoltare la santa Messa fuori di casa. Ma quando ritornarono, D. Bosco aveva loro preparata la dolce sorpresa di tanti doni pel valore di lire 50 e più, come scrisse il Teologo Borel; e così la giornata si passò in grande allegrezza. Intanto, come Mons. Arcivescovo aveva preveduto, l'Oratorio incontrò un ostacolo contro cui va al solito ad urtare ogni opera non parrocchiale, e che, per quanto ottima, non sia approvata con pubblico decreto della legittima autorità. D. Bosco finora aveva ottenute licenze e approvazioni solamente a voce, e qualche rescritto giudicavasi concedergli facoltà personali e temporanee. Infatti sul principio del 1846 tenevasi in Torino una conferenza di molti zelanti Ecclesiastici per trattare dei mezzi più efficaci a promuovere il bene delle anime. Fra i convenuti erano il Teol. Borel e D. Giacomelli. Si venne a parlare del catechismo ai fanciulli e da ciò il Teol. Dellaporta Carlo, Curato della parrocchia del Carmine, prese occasione a lamentarsi dell'Oratorio festivo e di D. Bosco. Diceva che per esso i giovani formavano una classe indipendente di parrocchiani e che avrebbero finito per non conoscere più il loro parroco; perciò parergli che questo D. Bosco non fosse abbastanza ossequioso verso coloro ai quali avrebbe dovuto in ordine gerarchico rimanere soggetto, nulla arbitrandosi di fare senza il loro consenso. Questo argomento, più specioso che vero, fu subito confutato dal Teologo Borel, il quale dimostrò essere l'Arcivescovo pienamente conscio di quanto faceva D. Bosco; che moltissimi giovani del suo Oratorio erano forestieri e non delle parrocchie; e che privi di assistenza non avrebbero neppure ascoltata la santa Messa alla domenica. In quanto ai Torinesi, asserì, non essere in gran numero, e la maggior parte di essi, giovanotti mal cresciuti ed ignorantissimi, i quali non potevano essere tenuti in freno se non da quella specie di fascino salutare che D. Bosco esercitava sopra dì loro; lasciati liberi di sè, non avrebbero certamente presa la via che conduce alla parrocchia e, imbrancati nuovamente nelle antiche compagnie cattive, si sarebbero perduti. Essere poi cosa evidente tutti questi giovani venir meglio istruiti e potersi più facilmente tener lontani dai pericoli nell'Oratorio che non altrove. Del resto rincrescergli che il vero spirito di D. Bosco non fosse abbastanza conosciuto ed apprezzato. D. Bosco non distogliere mai i giovani dalle parrocchie, ma accettar quelli che spontaneamente accorrevano a lui; e coll'esempio e colla parola loro infondere riverenza ai curati, preparandoli ad essere col tempo fedeli e fervorosi parrocchiani; di ciò far egli la più ampia testimonianza. E concludeva: - Supponiamo che si riesca a condurli tutti nelle vostre chiese. Non è ora una nuova popolazione di migliaia di garzoni che invade la città e che andrà sempre crescendo? Chi manterrà l'ordine e il silenzio fra tanta moltitudine indisciplinata? Chi si prenderà cura di ciascuno di essi? Non diventerebbero forse un disturbo grave per gli altri parrocchiani? I parroci e i vice - parroci non sono abbastanza carichi di serie occupazioni, specialmente alla domenica? Io adunque sostengo doversi fare voti perchè non uno ma dieci, ma venti Oratorii vengano eretti in questa città, con sicurezza che i giovani non mancheranno nè a questi nè alle parrocchie. - La maggioranza di quell'assemblea accolse, approvando, le sue ragioni e si passò ad altro.
Tuttavia il Curato del Carmine non ne era rimasto persuaso. Egli voleva che rimanesse incontestabile e intero il principio della giurisdizione parrocchiale sovra i singoli fedeli; altra autorità fuori della propria non poteva permettere che fosse riconosciuta dentro ai confini di quel territorio che a lui era stato canonicamente affidato. I suoi colleghi erano dello stesso parere; non era però una miserabile ambizione o gelosia quella che animavali, perchè desideravano sinceramente la salute delle anime. Essi ragionavano così: - L'Oratorio di D. Bosco allontana i giovani dalla parrocchia; quindi ciascuno di noi si vedrà la Chiesa vuota nell'ora specialmente dei catechismi, e non potrà più conoscere i fanciulli, di cui dovrà rendere conto al tribunale di Dio. Dunque D. Bosco cessi di raccoglierli intorno a se e li mandi alle nostre chiese! - E risolsero di chiedere spiegazione allo stesso D. Bosco.
Difatto, due rispettabili parroci gli si presentarono un giorno e gli parlarono nel senso sopra esposto.
 - I giovani che io raccolgo, rispose D. Bosco, non impediscono per nulla la frequenza alle parrocchie.
 - Perchè?
 - Perchè sono quasi tutti forestieri, senza la sorveglianza dei loro parenti lontani, venuti in Torino per cercare lavoro Savoiardi, Svizzeri, Valdostani, Biellesi, Novaresi, Lombardi, sono questi la maggior parte dei ragazzi che frequentano l'Oratorio.
 - Non potrebbe mandarli alla parrocchia nel cui distretto hanno domicilio?
 - Non la conoscono.
 - E perchè non farla conoscere?
 - Perchè è moralmente impossibile. La diversità dei linguaggio, la incertezza del domicilio, lavorando ora pressa questo ed ora presso quell'altro padrone, l'esempio dei compagni per lo più poco affezionati alla Chiesa, sono un impedimento insuperabile che questi giovani conoscano e frequentino le parrocchie. Di più: molti di essi sono già adulti; taluni toccano i 15, i 18, i 20 anni, e sono tuttora ignari delle cose di religione. Or chi mai potrebbe indurre costoro ad andarsi ad associare in classe con ragazzi di otto o dieci anni molto più di loro istruiti?
 - Non potrebbe Ella stessa condurli, e venire a fare il catechismo nella chiesa parrocchiale?
 - Potrei al più recarmi in una parrocchia, ma non in tutte, perchè non posso moltiplicarmi. I nostri biricchini sono dispersi ai quattro angoli della città. Si potrebbe a ciò provvedere, se ogni parroco volesse prendersi la cura di venire od inviare a raccogliere questi giovani nel giorno festivo, e condurli alle rispettive chiese. Ma anche questo riesce difficile in pratica. Non pochi di questi ragazzi vengono all'Oratorio adescati dalla ricreazione, dai trastulli, dalle passeggiate che hanno luogo tra noi (D. Bosco avrebbe potuto aggiungere: - Adescati dalle belle maniere con cui li tratto); e con questi mezzi si attirano anche al catechismo e ad altre pratiche di pietà. Senza di ciò, essi non andrebbero forse in nessuna chiesa, e così non li avrebbero nè i parroci, nè Don Bosco, con grave danno delle loro anime. Per evitare questo pericolo, soggiunse egli, sarebbe cosa utilissima che ogni parrocchia avesse eziandio un luogo determinato, dove radunare e trattenere questi giovanetti in piacevole ricreazione.
 - Questo non è possibile; noi non abbiamo nè locali, nè personale da ciò.
 - Dunque? - domandò D. Bosco.
 - Dunque per ora, - conchiusero i due parroci, faccia Lei come giudica; noi intanto ci raccoglieremo e stabiliremo quello che ci parrà bene.
Infatti, radunatisi poco dopo tutti i parroci di Torino, venne ora loro agitata la questione, se gli Oratorii si dovessero promuovere oppur riprovare. Si disse pro e contro, ma prevalse l'opinione favorevole. Il Curato di Borgo Dora, D. Agostino Gattino, ed il Teol. Vincenzo Ponzati, Curato di Sant’Agostino, furono incaricati di portare a D. Bosco la risposta concepita in questi termini: “I Parroci della città di Torino, raccolti in conferenza, trattarono sulla convenienza degli Oratorii. Ponderati i timori e le speranze da una parte e dall'altra, non potendo ciascun parroco provvedere un Oratorio nella rispettiva parrocchia, incoraggiano il Sacerdote D. Bosco a continuare nell'opera sua, finchè non siasi presa altra deliberazione”.
E qui siaci permessa un'osservazione: Il Parroco è certamente obbligato ad impartire la necessaria istruzione religiosa ai grandi ed ai piccoli alle sue cure affidati; ma quando vede o sa che questa in un luogo o in un altro viene convenientemente impartita, a noi pare che egli commetterebbe per lo meno una imprudenza, e vi si opponesse. Questa imprudenza non commisero mai i Reverendi Parroci Torinesi, amanti e desiderosi quali furono sempre del maggior bene della gioventù. Anzi, parecchi di loro non solo promossero gli Oratorii già esistenti, raccomandando ai padri e alle madri di famiglia d'inviarvi i proprii figliuoli; ma in progresso di tempo, a costo d'ingenti spese e non leggeri sacrifizi personali, ne impiantarono lei nuovi, come fecero tra gli altri i Curati della Gran Madre di Dio, dei Santi Pietro e Paolo, di Santa Giulia, di S. Alfonso, della Madonna della Salute, del Sacro Cuore di Gesù, di S. Gioachino, e della Pace. Con questo mezzo eglino si procurarono la dolce consolazione di vedere ben pascolati i cari agnelletti di loro parrocchie e nel tempo stesso tenuti lontani dai lupi rapaci, mediante onesti trastulli e giardini di ricreazione. Dal canto suo Monsignor Fransoni, Arcivescovo di Torino, era sempre largo al nostro D. Bosco del suo appoggio e de' suoi conforti, aiutandolo in tutti i modi, e stimolando così i suoi parroci a fare altrettanto.
Non ostante queste importune distrazioni, D. Bosco continuava a dare alle stampe gli scritti che finiva di correggere in questo inverno. Alla biografia di Luigi Comollo, alla Corona dei dolori di Maria, all'Angelo Custode, alla Storia Ecclesiastica, faceva seguito il libretto di 46 facciate in - 32° col titolo: “Le sei Domeniche e la novena in onore di S. Luigi Gonzaga, con un cenno della vita del medesimo Santo”.
Con questo cenno rappresentava S. Luigi nel vero suo carattere, e ne faceva risaltare ciò che formava i suoi primi ideali, desideroso di trasfonderli eziandio ne' suoi allievi: la virtù della purità, custodita colla preghiera e colla penitenza; la secondata vocazione allo stato religioso; il desiderio di portarsi nelle missioni estere e dare la vita per Gesù Cristo. Trascrivo questa pagina perchè non vada perduta, essendo scomparsa fino dalla seconda edizione, intieramente esaurita. Dice così: “San Luigi, detto l'Angelico pel candore de' suoi costumi e per l'ardore che aveva di far penitenza, era primogenito dei Marchesi Gonzaga, padroni del Castello di Castiglione. Fin da fanciullino diede segni di quella santità a cui il Signore lo chiamava. A soli quattro anni amava già la ritiratezza, ed era sovente ritrovato in qualche cantuccio della casa, o sul solaio, ove genuflesso, colle mani giunte avanti il petto, fervorosamente pregava. A questo spirito di tenera divozione, il quale conservò sin che visse, aggiunse le più rigorose austerità: non si scaldava mai, qualunque freddo facesse; portò tant'oltre il suo digiuno, che ridusse il proprio alimento ad un'oncia al giorno; poneva scheggie in letto per tormentarsi anche nel sonno; spesso dormiva sulla nuda terra; sovente si flagellava a segno che vestimenta, cilici, pavimenti rimanevano tinti del suo innocente sangue. Al fine poi di patire e di giorno e di notte, si applicava sulle carni delle cinture fatte di acute punte di speroni.
” Giunto all'età di dieci anni, conosciuto quanto era grata al Signore la preziosissima virtù della purità, si portò in chiesa dinanzi ad una immagine di Maria SS., e fece strettissimo voto di conservarla per tutta la sua vita. Maria gradì molto l'offerta che il santo giovanetto, il fedele servo Le faceva, e lo favorì per modo che ebbe la gloria di portare all'altra vita intatta la stola dell'innocenza battesimale. Divenuto grandicello, scorgendo i gravi pericoli che s'incontrano nel secolo, risolvè, di abbandonare mondo, parenti, amici con tutta l'eredità del padre, per occuparsi unicamente delle cose che riguardano Dio, l'anima e l'eternità. Dopo molti contrasti, specialmente dalla parte del padre, ottenne di entrare nella Compagnia di Gesù, dove fece risplendere ogni sorta di virtù nel grado più eminente e perfetto che da uomo si possa praticare.
“Invidiava la sorte di quelli che davano la vita per la fede, ed egli stesso desiderava ardentemente di morir martire; ed ottenne dal Signore la palma del martirio di carità, giacchè, sorta in Roma una fierissima peste, Luigi chiese di andare a servire gli appestati, e venne anch'egli colto dallo stesso morbo in guisa che trasferito al convento, venne dal male lentamente consumato e in breve ridotto all'estremo di sua vita. Accade che quelli i quali poco pensano alla morte, quando si avvicina, paventano e tremano, ed alle volte si dánno anche in braccio alla disperazione. Di Luigi non fu così. Egli considerava la morte come mezzo per unirsi al suo Dio e andare al possesso della sua eterna felicità: onde, accortosi che si avvicinava al suo fine, non poteva più capire la piena di gioia che gli innondava il cuore, e tripudiante diceva a quelli che lo andavano a visitare: - Ah, ce ne andiamo, ce ne andiamo! Dove? Al Paradiso, al Paradiso: cantate un “Te Deum” per me. - Stette alquanto in gran calma, e mentre si sforzava di pronunciare il santissimo nome di Gesù, col sorriso sulle labbra dolcemente spirò, in età di soli ventitrè anni e sei mesi nel 1591”.
Il libretto incominciava colla seguente prefazione: “Eccovi, giovani in Gesù Cristo carissimi, un modello ed un esemplare in cui specchiandovi, potrete formarvi un metodo di vita atto a condurvi alla vera felicità. S. Luigi viene proposto quale esempio d'innocenza e di virtù a tutti, ma specialmente alla gioventù, in favore della quale in ogni tempo impetrò moltissime grazie dal Signore. I Romani Pontefici, a fine di accrescere il culto di questo gran Santo a vantaggio spirituale de' fedeli, concedettero indulgenza plenaria a tutti quelli che, confessati e comunicati, avranno santificato le sei Domeniche continue precedenti alla festa del Santo, od altre sei successive nel corso dell'anno, con pie opere ed orazioni ad onore dei Santo medesimo e a gloria di Dio. Tale indulgenza si può lucrare per ciascuna delle Domeniche suddette, ed è applicabile alle anime del purgatorio. Affinchè poi siate tutti in grado di conoscere le opere e le orazioni da praticarsi in ciascuna Domenica, furono disposti in questo libretto per ogni giorno quegli esercizi che potranno servire per chi vorrà celebrare le Domeniche e la novena di questo Santo, e partecipare di quelle grazie e di que' segnalati favori che tuttodì ottiene a suoi divoti.”
Quindi complessivamente, per ogni Domenica e per ogni giorno della novena, esponeva una delle virtù principali del Santo con una preghiera, una giaculatoria ed una pia pratica. Queste pratiche di pietà, o fioretti, sugo, essenza dei consigli, delle prediche, delle esortazioni private che D. Bosco dava fin dai primi tempi continuamente a' suoi giovani, sono le seguenti: - Se trovate la vostra coscienza rea di qualche peccato, chiedetene di cuore perdono al Signore con promessa di confessarvene al più presto possibile. Non differite la penitenza alla vecchiaia, quando le forze non la comportano più. A chi vi dice che non conviene usar tanto rigore contro del vostro corpo, rispondete: Chi non vuol patire con Gesù Cristo in terra, non potrà godere con Gesù Cristo in Cielo. - Stabilite oggi di non voler mai più riguardare oggetti pericolosi, nè parlare di cose contrarie alla virtù della purità. - Risolviamoci oggi di voler frequentare, per quanto ci è possibile, i Sacramenti della Confessione e Comunione; e di mettere in pratica i consigli del confessore. - Procurate di recitare le preghiere del mattino e della sera avanti l'immagine di Gesù crocifisso, e baciatelo spesso. I Sommi Pontefici concedono molte indulgenze a chi bacia il Crocifisso. Quando potete, andate a fare qualche visita a Gesù Sacramentato, specialmente dove è esposto per l'adorazione delle quarant'ore. - Fate ogni possibile per dare buon esempio. Procurate di condurre qualche vostro compagno ad ascoltare la parola di Dio o ad accostarsi al Sacramento della Confessione. Fuggite i cattivi compagni. Fuggite l'ozio, che è la cagione funesta di tanto tempo perduto, e cominciate oggi una vita nuova che piaccia al Signore. - Procurate per l'avvenire di recitare sempre con divozione e raccoglimento le preghiere del mattino e della sera. Recitate lungo il giorno qualche giaculatoria a Dio e al vostro avvocato S. Luigi. Pensate ogni sera, se doveste morire in quella notte, quale sarebbe la vostra morte. - Nella festa di S.Luigi: Offerite a S. Luigi gli esercizi di pietà di questo giorno, affinchè vi ottenga il dono della perseveranza finale.
Di questa prima edizione ne fece imprimere 3000 esemplari dalla tipografia Speirani e Ferrero e poi la riprodusse nel Giovane Provveduto.
Negli anni seguenti ristampò con notevoli aggiunte questo libretto ben undici volte e in tante migliaia di copie da essere assai difficile farne il computo. In queste edizioni dimostra come la Chiesa sia sempre in capo a' suoi pensieri. Ei dice ai lettori: “Fortunati i Cattolici che si trovano in una Religione, la quale in ogni tempo, in ogni luogo, di ogni età e condizione, ebbe sempre gloriosi eroi che colla innocenza della vita giunsero a tali gradi di santità, cui solamente la santa Religione di Gesù Cristo può condurre”. E concludeva: “Iddio, infinitamente buono ed infinitamente ricco di grazie, benedica i lettori di questo libretto, e ne' cuori di tutti infonda grazia e desiderio di praticare le virtù che ivi sono accennate. Tutto a maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime”.
D. Bosco regalò il suo nuovo libretto a tutti i giovani dell'Oratorio, e sulle labbra dei figli del popolo, prima avvezze a canti profani, risuonò l'inno “Infensus hostis gloriae” e la lode: “Luigi, onor dei vergini”, poesie stampate nelle ultime pagine. Esse divennero famigliari a centinaia di migliaia di fanciulli artigiani sparsi in tutto il mondo, i quali certamente non le avrebbero mai apprese senza l'opera di D. Bosco. Sono i cantici trionfali della purità, di quell'angelica virtù che D. Bosco non si stancava mai di raccomandare con quelle parole: - Che cosa sono i capricci di questo mondo? Ciò che non è eterno, è nulla. Quod aeternum non est, nihil est! Quelli che si lasciano vincere dalle passioni, colti dalla morte e sepolti tra le fiamme eterne dell'inferno urleranno piangendo: Nos insensati: erravimus!
 
 
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