Grande carestia in Piemonte - Strettezze di famiglia - La vedova cristiana - Sapienza di Margherita nell'educazione dei figli.
del 02 ottobre 2006
La morte di Francesco mise tutta la famiglia nella costernazione. Erano cinque persone che Margherita dovea mantenere, poichè non reggevale il cuore a congedare i due servitori di campagna. Fin dall’anno antecedente 1816, la carestia aveva ridotto a miserevole stato il Piemonte. I raccolti dell’annata, unica sua risorsa, andarono falliti per il gelo sopravvenuto fuori di stagione e per una terribile ed ostinata siccità. I campi, ove erano state seminate le biade, i prati, gli alberi di frutta, presentavano al riguardante uno spettacolo di desolazione. I commestibili giunsero a prezzi favolosi: il frumento si pagò fino a 1.25 l’emina, il grano turco o la meliga l.16. Parecchi testimoni contemporanei assicurano che i mendicanti chiedevano con premura un po’ di crusca da mettere nella bollitura dei ceci e dei fagiuoli per farsene nutrimento. Si trovarono persone morte nei prati colla bocca piena di erba, con cui avevano tentato di acquetare la rabbiosa fame. In tanta distretta la gente si rivolgeva a Colui, dal cui cenno dipende la pioggia, e si videro pubbliche dimostrazioni di penitenza, quali non sembrava dovessero più ricomparire, dopo tanta vantata indifferenza religiosa
portata dalla rivoluzione. Le popolazioni estenuate, squallide, andavano pellegrinando di santuario in santuario, scalze i piedi, con catene al collo, croci pesanti sulle spalle, chiedendo misericordia. Nel ritorno alle loro case, folle di miserelli, scoprendo in mezzo ai campi alcuna fattoria che avesse aspetto di agiatezza, là si trascinavano, e inginocchiate innanzi alla soglia, con voce fioca chiedevano un po’ di limosina. Il padrone, altre volte ricco signore ed ora ridotto a pensare con ansietà all’avvenire, usciva con un sacco, in fondo al quale eravi crusca e ne ponea un pugnello in mano a ciascuno di quegli affamati, che talora così asciutta l’ingollavano, bagnandola delle loro lagrime.
Causa le privazioni, si erano sviluppate molteplici malattie che menavano gran gente alla tomba. Nelle città, sulle soglie dei palagi e delle chiese, nelle vie, nelle piazze si affollavano torme di poveri, sfiniti, seminudi, tormentati da schifose piaghe prodotte dal tifo petecchiale, di cui facevano dolente mostra per eccitare l’altrui compassione e carità! A ciò si aggiunga che le strade erano malsicure. Accadde tale invasione di lupi fuggiti dalla Svizzera, ove loro si era data una caccia generale ed accanita, che ne erano infestati i boschi dell’Abbazia di Stura presso Torino e di là si spingevano in altre regioni condotti dalla fame.
Fra tante miserie la buona Margherita diede alimento alla famiglia fin che ne ebbe; di poi porse una somma di danaro ad un suo vicino di nome Bernardo Cavallo, affinchè andasse in cerca di cibarie. Nessuno della borgata di Morialdo voleva vendere per qualsivoglia prezzo le poche derrate che ancor possedeva. Le vacche e i buoi non erano più condotti sulle fiere mancando i compratori, poichè nessuno aveva potuto fare raccolta di fieno. Quell’amico andò in varii mercati e non potè nulla provvedere anche a prezzi esorbitanti. Ritornò dopo due giorni, e giunse aspettatissimo in sulla sera. Ma all’annunzio che nulla avea seco, se non danaro, il terrore invase la mente di tutti, giacchè in quel giorno avendo ognun ricevuto scarsissimo nutrimento, temevansi in quella notte le funeste conseguenze della fame.
Margherita, senza sgomentarsi, andò ancora una volta dai vicini per farsi imprestare qualche commestibile, ma non trovò chi fosse in grado di venirle in aiuto. Radunata allora la famiglia, così prese a parlare: - Mio marito morendo mi raccomandò di avere sempre gran confidenza in Dio. Venite adunque, inginocchiamoci e preghiamo. - Dopo breve preghiera si alzò e disse: - Nei casi estremi si devono usare mezzi estremi. - Quindi coll’aiuto di quel vicino, andò alla stalla, uccise un vitello, e facendone in tutta fretta cuocere una parte, potè con quella sfamare la sfinita famiglia. Pei giorni seguenti si provvide con cereali, che a carissimo prezzo poterono farsi venire da lontani paesi. Ognuno può immaginare quanto abbia dovuto soffrire e faticare mamma Margherita in quella calamitosa annata. Ma con un lavoro indefesso, con un’economia costante, con una speculazione nelle cose più minute e con qualche aiuto veramente provvidenziale, si potè passare quella crisi annonaria. “Sono stato giovane, dice il reale Profeta, ed ora son già vecchio; e non ho veduto derelitto il giusto, nè la stirpe di lui cercante del pane”. In mezzo a tante pene e tante fatiche, un dolore vivissimo feriva il cuore di Margherita. Sua madre Domenica moriva alli 22 marzo 1818 in età di 60 anni.
Questi fatti ci furono raccontati dalla stessa Margherita e confermati da vicini, parenti ed amici.
Passata quella terribile penuria e ritornate le cose domestiche in migliore stato, venne fatta a Margherita la proposta di un convenientissimo collocamento; ma ella rispose costantemente: - Dio mi ha dato un marito e me lo ha tolto; morendo egli mi affidò tre figli, ed io sarei madre crudele, se li abbandonassi nel momento in cui hanno maggior bisogno di me. - Le fu replicato che i suoi figli sarebbero affidati ad un buon tutore, che ne avrebbe avuto gran cura... - Il tutore, rispose la generosa donna, è un amico; io sono la madre dei miei figli; non li abbandonerò giammai, quando anche mi si volesse dare tutto l’oro del mondo. È mio dovere consecrarmi tutta alla loro educazione cristiana. - Nello stesso tempo protestava di voler essa stessa provvedere ai bisogni della vecchia suocera.
A questo punto debbo fare un riflesso. L’educazione dei figli riesce come lo meritano le preghiere e le virtù delle madri, e come esse la vogliono colla loro solerzia cristiana e collo spirito di sacrifizio. L’amore semplicemente naturale non è altro che egoismo, e riesce sterile ogni sua fatica. E Iddio aveva dato a Giovanni Bosco una vera madre cristiana che doveva formarlo secondo i suoi disegni. Margherita comprese la sua missione.
Ha detto lo Spirito Santo: “Hai tu dei figliuoli? Istruiscili e domali fin dalla loro puerizia, perchè siano docili e sappiano frenare i loro capricci e le loro passioni. Un cavallo indomato diventa intrattabile, e un figliuolo abbandonato a se stesso diventa pervicace. Piaggia il figliuolo, e ti darà delle angosce; scherza con lui, e ti arrecherà grandi dolori. Non lo lasciar fare a’ modo suo nella gioventù e non far le viste di non vedere quel ch’egli pensa. Il giovanetto, presa che ha la sua strada, non se ne allontanerà nemmeno quando sarà invecchiato”.
Queste verità, che Margherita aveva apprese alla più grande scuola pedagogica che sia al mondo, nella Chiesa, alle istruzioni parrocchiali, furono la costante sua legge, interpretata dal materno amore cristiano e resa sempre più amabile dagli esempi persuasivi di sue virtù.
Il figlio ricopiò in se stesso la madre, e vedremo risplendere in lui la stessa fede, la stessa purità, lo stesso amore alla preghiera; la sua pazienza, l’intrepidezza, la costanza, la fiducia nel Signore; lo zelo della salute delle anime, la semplicità e l’amorevolezza nei modi, la carità verso tutti, l’operosità instancabile, la prudenza nel porre e condurre a termine gli affari, nel sorvegliare con mirabile maestria i soggetti, la tranquillità nelle cose avverse; tutti pregi riflessi in lui dal cuore di Margherita e in lui impressi, come la lente fotografica imprime sul vetro preparato le immagini che le stanno innanzi.
E questa stessa preparazione fu opera di Margherita, colle sue sante industrie e la sua antiveggenza, che non contrastava, ma andava modificando e rivolgendo a Dio le inclinazioni e i doni naturali, dei quali era arricchito Giovanni. Manifestava egli grande apertura di mente, attacco ai propri giudizii, tenacità di propositi; e la buona madre lo assuefece ad una perfetta obbedienza, non lusingandone l’amor proprio, ma persuadendolo a piegarsi alle umiliazioni inerenti al suo stato: in pari tempo non lasciò mezzo intentato, perchè potesse darsi agli studii, e ciò senza affannarsi soverchiamente e lasciando che la divina Provvidenza determinasse il tempo opportuno. Il cuore di Giovanni, che doveva un giorno aver ricchezze immense di affetto per tutti gli uomini, era pieno di esuberante sensibilità che poteva riuscir allora pericolosa, se fosse stata secondata: Margherita non abbassò mai la maestà di madre a inconsulte carezze, o a compatire o tollerare ciò che poteva avere ombra di difetto; non per questo ella usò mai con lui modi aspri o maniere violenti, che lo esasperassero o fossero cagione di raffreddamento nella sua figliale affezione. Giovanni aveva in sè quel sentimento di sicurezza nell’agire, pel quale l’uomo sentesi naturalmente portato a sovrastare e che è necessario in chi è destinato a presiedere alle moltitudini, ma che si può con tanta facilità trasnaturare in superbia; e Margherita non esitò a reprimerne i piccoli capricci fin dal principio, quando egli non poteva ancor essere capace di responsabilità morale. Quando però lo vedrà rimeggiare fra i compagni per scopo di fare il bene, osserverà in silenzio i suoi andamenti, non contrarierà le sue piccole imprese, e non solo lo lascierà libero di agire a suo piacimento, ma gli procaccerà ancora i mezzi necessari, anche a costo di sue privazioni. Per tal modo ella dolcemente e soavemente s’insinuerà nell’animo di lui e lo piegherà a far sempre la propria volontà.
Insomma le virtù della mamma dánno ragione delle virtù del figlio medesimo, perchè l’uno era ben degno dell’altra. Con ragione adunque Maria Matta, ava paterna di D. Secondo Marchisio Salesiano, e la signora Benedetta Savio, figlia di Evasio e maestra nell’asilo infantile di Castelnuovo, le quali convissero con Margherita, la dissero con enfatica espressione: La regina delle madri cristiane. Ed il metodo, che Margherita tenne con Giovanni, lo usò pure sempre cogli altri suoi figli.
Ed ora passiamo a contemplare in azione questa degna madre nel suo santo ufficio di educatrice.
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