Festa solenne in onore di S. Luigi - Nota buffa e caso doloroso - Lettere dei Vescovi per la Lotteria - Il Vescovo di Fossano all'Oratorio - Discorso memorabile del Vescovo di Biella - Estrazione della Lotteria - Mons. Fransoni si congratula con D. Bosco.
del 27 novembre 2006
 Nell'oratorio era un continuo avvicendarsi di feste. A S. Giovanni, che per l'ultima volta aveva in quest'anno visto il tradizionale falò in piazza Castello, il 29 giugno teneva dietro S. Luigi, al quale D. Bosco aveva dedicato un altare nella sua nuova chiesa. - Egli in questi giorni, diceva D. Savio Ascanio, non faceva che parlare ai giovani, con grande tenerezza, della purità di coscienza di questo santo, proponendolo per modello da imitarsi, e noi potevamo dalle sue stesse parole dedurre quanto egualmente pura fosse l'anima sua. E per sfogo della sua vivissima devozione, stando in mezzo a noi, frequentemente intonava egli stesso la lode di S. Luigi. - Lasciò scritto Brosio. “La festa fu un non plus ultra. La chiesa era tutta tappezzata dentro e fuori, con un così grande numero di candele all'altar maggiore e ai due altari laterali, che pareva un paradiso. Le Comunioni oltrepassarono le 300, numero assai grande poichè nelle settimane precedenti vi erano già state due comunioni generali. Ottocento e più giovani ebbero pane e salame a colazione. Un Vescovo del quale non ricordo più il nome celebrò i sacri riti. Non mancò il santo spettacolo di una bella processione. Accorsero molti invitati. Nel tempo delle sacre funzioni io di quando in quando faceva la questua dentro e fuori del luogo sacro, ed ho raccolto circa 80 lire.
”Di servizio per il buon ordine non vi fu più solo la mia grande armata coi fucili di legno e la semplice tromba del bersagliere, ma eziandio una compagnia della guardia nazionale in grande tenuta co' suoi tamburi, comandata dall'ufficiale sig. Dasso, negoziante di nastri e nostro amico. Tutti i collegi ed oratorii passati, presenti e futuri non ebbero e non avranno mai tanti divertimenti quanti ne abbiamo avuti noi nel dopo pranzo di quel giorno; semplici sì, ma causa di grande unione, di grande vivacità e cordialità in chi li godeva. Vi era la corsa nel sacco, giuochi di bussolotti, evoluzioni militari, ginnastica, fontane nel cortile che gettavano zampilli rossi e bianchi per le droghe infuse nell'acqua, e globi areostatici. I piccoli divertimenti erano poi senza numero.
”Sotto una tenda stava una grande dispensa, la quale con certe condizioni distribuiva caramelle, confetti, frutta, gazeuse, birra, acque dolci e via via; e in tutte le parti del cortile si vedevano altre piccole dispense ambulanti per comodo dei compratori. Il Conte Cays, il Barone Bianco di Barbania, il Cav. Gonella Marco, il cav. Duprè , il Conte d'Agliano, un generale d'armata, il March. Gustavo di Cavour, il Conte Viancino, i sacerdoti Teologi Carpano, Chiaves, Murialdo Roberto, Borel, Vola l'juniore, Marengo, e i semplici preti D. Giacomelli, D. Merlo, D. Trivero cappellano della Basilica Mauriziana e moltissimi altri ad ogni istante mandavano a comperare qualche cosa da distribuire ai giovani. Io solo ho distribuito, così alla spicciolata, circa dieci lire di caramelle per ordine di D. Bosco e di altri signori. Questi e molti altri dolciumi erano di soprappiù dei gran fondo che era disposto nella dispensa fissa.
In mezzo a tanta abbondanza D. Bosco non gustò la più piccola cosa. Io gli aveva data una caramella affinchè si inumidisse la gola, essendo affranto per il caldo soffocante; ma egli ne regalò la metà ad un giovine. Tutto per noi, niente per lui.
”Un arco trionfale di frondi eretto in mezzo al prato, vicino alla tettoia affittata dal Sig. Visca, al cadere della notte apparve splendidamente illuminato con fiammelle, e la festa si chiuse con bellissimi fuochi artificiali e con grandi evviva a D. Bosco. Mille e più giovani, dei quali almeno trecento toccavano od oltrepassavano i 20 anni, rinchiusi in un cortile non ebbero la più piccola questione, ma erano tutti d'accordo ed uniti come tanti fratelli ”. Fin qui il giovane Brosio.
Tuttavia siccome nelle cose umane anche le più liete interviene sempre qualche circostanza che disturba, così la bella festa era incominciata con una nota buffa ed era terminata con un caso doloroso.
D. Bosco al mattino aveva fatto portare all'Oratorio da una bottega della piazza della Consolata, cioccolata, caffè, latte con le paste dolci per venti persone. Faceva le spese il banchiere Cav. Cotta priore della festa. Il garzone caffettiere essendo andato ad ascoltare la santa Messa, aveva lasciato senza guardiano la camera nella quale aveva deposta la colazione. Finita la Messa, gli invitati trovarono quasi vuote le caffettiere e poche le paste. Chi grida, chi ride, chi esclama rimaner i giovani cantori senza colazione, e intanto giunge D. Bosco dalla cappella. Si dovette mandare in fretta alla bottega, che era abbastanza lontana, per provvedere l'occorrente. Il caffettiere non sa che dirsi, s'impazienta, ma provvede. Intanto, che è che non è , D. Bosco è avvertito che il giovane esterno Vilietti giace infermo disteso in un campo vicino. Va e lo trova in un fosso: - Che cosa hai? gli dice.
- Mi sento male; mi confessi!
- Che cosa hai mangiato?
- Niente, niente.
- Ma di' la verità. Hai mangiato qualche cosa che ti ha fatto male?
- Non ho mangiato altro che un po' di quella roba che era in sagrestia. - Poveretto! In fretta e in furia per non essere sorpreso aveva divorato e sorbito in una scodella almeno la metà di quanto era stato preparato per venti.
D. Bosco sorrise alla sua risposta, e Vilietti da lui aiutato si alzò per avviarsi a casa sua. Ma tutta quella roba in corpo aveva incominciato a fermentare. Si trovava in aperta campagna, e pochi erano gli alberi. Cercava di nascondersi dietro a questi, ma da tutte parti si avanzava la gente. I giovani lo osservavano dal cortile, ridendo della sua confusione e delle conseguenze della sua ghiottoneria. Fu condotto a casa e stette infermo per più giorni. Ma risanato rare volte tornò all'Oratorio perchè tutti lo burlavano. Egli prima era catechista, sagrestano, cantore, faccendiere e confidente dei Superiori ed ora accadde nei compagni una reazione in suo danno, tanto più grande quanto prima era più ammirato ed invidiato. Gli mutarono il nome e lo chiamarono quello della cioccolata e incontrandolo gli chiedevano: - Ti piace la cioccolata?
Alla sera poi il giovane Chiesa Giovanni girava tra la folla presso l'Oratorio vendendo molti piccoli razzi, che teneva in un canestro appeso al collo. Questi accesi e slanciati in aria col loro scoppio accrescevano il rumore festivo. Ed ecco che alcune scintille partite da un razzo, che imprudentemente un vicino compagno teneva in mano, caddero nel canestro. In un istante tutte quelle polveri divamparono, gli abiti del Chiesa si accesero ed egli, gettato il canestro, e pieno di ustioni corse a tuffarsi nell'acqua di un canale. Fu portato all'Ospedale. Era in tale stato, che i medici credettero morisse in quella stessa notte, e gli fecero cedere il letto da un convalescente, poichè tutti i posti erano occupati. D. Bosco si recò subito a visitarlo e lo benedì. Chiesa guarì lentamente, ma quando da se stesse si staccarono dalla faccia le croste e la pelle, avevano insieme la forma di una vera maschera. E fu, diremmo, un miracolo se i suoi occhi rimasero illesi.
Queste feste non interrompevano le incombenze della lotteria. Circolari su circolari, e a migliaia, prima annunziavano l'estrazione dei premi pel 30 di giugno e poi avvisarono, essere protratta al 12 di luglio.
I Vescovi continuavano a prestare a D. Bosco il loro aiuto.
Mons. Galvano gli scriveva: “Io fo sincero plauso al commendevolissimo ed edificante zelo che la S. V. M. R. spiega nell'erezione di un adatto Oratorio, che non si poteva meglio dedicare che a quel Santo, che è protettore munificentissimo di questi Stati, e che liberò una distinta parte della Savoia dalla peste dell'eresia, che al momento par che voglia eruttare la velenosa sua bava nel nostro Piemonte. Sia dunque la dovuta lode alla specchiata pietà di Lei, che son certo troverà ostacoli al compimento della nobile impresa; ma non le mancheranno que' conforti e sussidii che la divina Provvidenza non mai nega a quanti pongono piena confidenza in Essa.
”Accetto intanto di buon grado gl'inviati duecento biglietti, che procurerò di dividere co' miei diocesani, ed Ella riceverà bentosto l'ammontare dei medesimi per mano amica. Prosegua con alacrità l'opera sì bene incominciata e che verrà dal Signore benedetta in modo particolare, come quella, che non poteva esser più opportuna alle circostanze dei tempi. Aggradisca le cordiali mie felicitazioni, ecc. ecc.
Nizza, 22 giugno 1852.
                                                                                                   Domenico, vescovo”.
 
 
E Monsig. Jourdain: “Ho ricevuto la sua lettera insieme coi centi biglietti di lotteria. Guarderò di esitarli, ed in ogni caso, metterò a conto della S. V. le lire cinquanta. Mi rallegro che la sua chiesa sia terminata, e che già vi si celebri la Santa Messa; questo deve tornare di grande consolazione alla S. V. ed alle persone dabbene. L'amabile Provvidenza ha benedetto l'opera e ricompensato lo zelo della S. V.
”La ringrazio sinceramente per ciò che già ha fatto, per ciò che fa, e per quello che farà in avvenire pei poveri miei diocesani.
Aosta, li 28 Giugno 1852.
                                                                                                        Andrea, vescovo”.
 
 
Spedivagli eziandio un suo foglio Mons. Gentile: “Avendo in questi giorni domandato conto ad un tale che aveva incombenzato dello smercio dei biglietti della di Lei lotteria, trovo che non ne avrebbe esitato se non una dozzina circa, perchè mi dice esserne stati mandati da costì ad altri per lo stesso fine.
”Vedendo però vicino il giorno dell'estrazione, non posso ritardare di più a dare alla S. V. M. R. relazione dell'esito. Già in vista specialmente che alcuni giovani di questa diocesi, come Ella accennava, frequenteranno l'Oratorio eretto dallo zelo della S. V., io aveva preso un centinaio di detti biglietti, come già scrissi altra volta, ed oggi mi determinai a prenderne altrettanti.
”Colla posta di domani Le spedirò l'importo dei biglietti con un vaglia.
”Mi è grato, ecc. ecc.
Gozzano, 9 luglio 1852.
Filippo, vescovo di Novara.”
 
 
E Mons. Biale: “Unitamente al pregiatissimo suo foglio dei 9 giugno p. p. ho ricevuto i 200 biglietti che Ella con tanta carità e zelo ha voluto affidarmi per l'esitazione in mia diocesi. Mentre io lodo sommamente l'opera buona da Lei intrapresa in questi tempi, son pago poterla riscontrare aver esitato tutti gli anzidetti biglietti, il di cui ammontare non essendo per anco del tutto in mia mano, starò alquanto attendendo, per quindi in una sol volta inviarlo alla S. V., oppure rimetterlo a chi si compiacerà indicarmi.
”Intanto La prego, appena fatta l'estrazione degli oggetti indicati, in un solo involto spedire alla mia direzione quelli che saranno per toccare in sorte agli acquirenti degli anzidetti 200 biglietti coll'indicazione di ciaschedun numero, che subitamente loro farò tenere.
”Mi è ben grato, ecc. ecc.
Ventimiglia, 10 luglio 1852.
Lorenzo, vescovo”.
 
Nè  i Vescovi si contentavano delle lettere e delle offerte, ma colla loro presenza onoravano la povera casa di Valdocco. Era presente Tomatis Carlo quando venne Mons. Fantini Vescovo di Fossano. D. Bosco lo accolse festosamente facendo cantare da Gastini Carlo, che aveva una bellissima voce, alcune strofe come romanza, che D. Bosco stesso aveva scritte in onore del Prelato.
Poche Domeniche dopo la solenne benedizione della chiesa giungeva all'Oratorio il Vescovo di Biella Mons. Losanna. Salito il pulpito, fece una stupenda allocuzione, infiammata dal sapere come centinaia di quei giovanetti fossero garzoni muratori biellesi. Ringraziava la Provvidenza, ringraziava Don Bosco, incoraggiava quel popolo di piccolini a frequentare l'Oratorio, loro scudo e difesa contro l'immoralità e l'iniquità protestante. Concludendo esclamava. Ma non è qui solo che D. Bosco è chiamato ad edificare una chiesa. Là vicino al corso del Re, là a Portanuova, là vicino alla sinagoga dei seguaci di Lutero, Calvino e Pietro Valdo, D. Bosco ne deve innalzare una seconda. È necessario, Dio lo vuole, D. Bosco lo farà. - E fu profeta.
Intanto tutti i biglietti della lotteria erano stati spacciati. Vi fu chi ne andava in cerca offrendo di pagarli cinque lire l'uno, ma non potè  più rinvenirne anche perchè i promotori non avevano ancor restituiti quelli non venduti. Finalmente venne fatta l'estrazione dei premii pubblicamente nel Palazzo di città. Quanta diligenza e fatica costasse questa operazione si comprende al solo leggere il verbale che ne fu redatto, al pensare alle altre circolari di ringraziamento agli oblatori, ai fogli stampati coll'elenco dei numeri vincitori e colla corrispondente indicazione del premio vinto, alle spedizioni di molti doni, alle risposte per lettere manoscritte a coloro che domandavano informazioni, spiegazioni, o facevano reclami.
Molti che guadagnarono qualche dono lo lasciarono con gran piacere a beneficio della chiesa e così si potè  ricavare altro provento. Non piccole però erano state le spese. Moltissimi biglietti erano andati dispersi e smarriti e quindi se ne ricavò il prezzo di settantaquattromila: somma nondimeno considerevole. Ma D. Bosco, come aveva promesso, nella sua generosità ne fece parte eziandio, alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, consegnandola al Can. Luigi Anglesio.
D. Bosco alcuni giorni dopo l'estrazione della lotteria aveva dato contezza a Mons. Luigi Fransoni della solenne benedizione della nuova chiesa; e questi ne dimostrava il suo gradimento con una lettera da cui traspira l'alta stima e la paterna benevolenza che quell'illustre prelato nutriva sempre per l'Oratorio. Mancheremmo al compito nostro se la interdicessimo ai nostri lettori.
 
Lione, 29 luglio 1852.
 
Carissimo Don Bosco,
 
Voglio ben supporre che la chiesa sia della più stretta semplicità, ma il pensare che in undici mesi fu fabbricata e resa uffiziabile, mi pare un prodigio. Ne sia benedetto e ringraziato il Signore, che Le diede l'inspirazione d'innalzarla e la grazia di poterla compiere a vantaggio di tanti giovani, che premurosi vi accorrono.
Mi spiace che Ella non abbia potuto smaltire tutti i centomila biglietti, perchè gli esitati 74 mila, oltrechè debbono soffrire la deduzione delle spese della lotteria, sono ben lungi dal produrre per la sua chiesa lire 32 mila, dappoichè la metà venne da Lei generosamente ceduta a favore della Piccola Casa.. Sono due stabilimenti vicini, per i quali si può dire visibile la mano del Signore.
Ignoro ancora se i miei cento biglietti abbiano guadagnato qualche oggetto postabile. Nell'elenco, ossia catalogo, ne ho visto un certo numero da riuscire graditi, ma in generale a me suol toccare qualche parafuoco o porta-salviette. Vorrei che fosse di un valore tal quale per farne godere la sua chiesa.
Nel desiderio che tutti i suoi Oratorii continuino a prosperare, e confidando nella misericordia del Signore, me Le protesto col pi√π cordiale attaccamento
Dev.mo ed affmo servitore
Luigi, Arcivescovo di Torino.
 
D. Bosco aveva ricevuta questa cara lettera dopo il suo ritorno con D. Cafasso dagli esercizi spirituali a S. Ignazio. Per qualche tempo se ne erano dettati quattro corsi all'anno, ma nel 1852 si dovettero ridurre a soli due corsi, l'uno per i preti e l'altro per i laici, essendo mancati i sussidi che soleva dare l'Opera di S. Paolo. Era questa una vittoria del nemico del bene.
La Compagnia di S. Paolo per vari secoli aveva recati prodigiosi frutti mantenendo nel popolo l'unità e la purità della fede e nel sovvenire ad ogni generazione di miserie.
Ora però si erano fatte correre voci calunniose contro i suoi amministratori, cittadini dei più commendevoli per onestà e religione. I settari volevano avere luogo nell'amministrare il ricco patrimonio dell'Opera che saliva a più di sei milioni. Il Sindaco dunque aveva avocato al Comune l'amministrazione di quell'Istituto di beneficenza a termini di una legge del 1848: e un decreto reale stabiliva che la nuova direzione si comporrebbe di venticinque membri estranei alla Compagnia nominandi dal Municipio e di quindici da scegliersi tra i Confratelli. Era questa una flagrante violazione della volontà dei testatori. I Confratelli della Compagnia protestarono e respinsero le pretese del Municipio e il decreto reale; chiesero poi che almeno i consiglieri eligendi fossero eguali in numero a quelli dati dal Municipio. Ma non si ammisero ragioni. E il 17 gennaio 1832 il Rettore era stato costretto a consegnare ad un Commissario regio e gli atti e i libri dei conti.
 
 
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