La Commissione di Ancona per i soccorsi ai danneggiati dal colera annunzia a D. Bosco una prossima spedizione di altri orfani - La pensione per questi giovani - Accordo per le provviste di vestiari - Arrivo degli orfani nell'Oratorio - Spiacevole incontro per D. Bosco - Sua calma e suoi modi per tranquillizzare i riottosi - Malumori - Trattative per mutare una convenzione - Fermezza di D. Bosco nell'affermare il suo diritto - Arrendevolezza della Commissione - Numero degli orfani Anconitani entrati nell'Oratorio.
del 06 dicembre 2006
 Nel mese di settembre Don Bosco ebbe anche da sciogliere alcune difficoltà insorte colla benemerita Commissione di Ancona, per i soccorsi ai danneggiati dal colera. Questa il 16 maggio gli aveva espresso il desiderio di collocare nell'Oratorio, alle condizioni già stabilite, otto giovani orfani, pronti per la partenza; ma non erasi detto chi avrebbe dovuto pensare al loro corredo. Il Servo di Dio aveva già esposto il suo pensiero in proposito, e la Commissione gli aveva mandata questa risposta.
 
N. 353
Ancona, 9 luglio 1866.
 
Il Comitato nella sua adunanza di ieri, sentite le due proposte fatte dalla S. V. Ill.ma pel fornimento del vestiario ai giovani ultimamente da Lei accettati, aderì alla prima, cioè che la S. V. debba incaricarsi del vestiario, a condizione che, uscendo qualcuno dei suddetti giovani, nulla più le venga richiesto in restituzione, sebbene non sia ancora compiuto il corso dei tre anni essendo con ciò compiute, parmi, le trattative per l'ammissione suddetta, avverto la S. V. Ill.ma che i giovani saranno inviati non appena sia liberamente percorribile la linea ferroviaria Ancona-Torino.
Accolga i pi√π profondi ossequi.
Il Presidente
C. MARINELLI.
 
Sul principio di Agosto sei di questi giovani arrivavano all'Oratorio, ove si trovavano già cinque loro compagni, giunti prima. D. Bosco era fuori di città e perciò furono consegnati al prefetto. Le fisionomie di alcuni palesavano insolenza, disprezzo, prepotenza; oltre d'essere rozzi e d'indole focosa e ghiotti, non potevano soffrire disciplina, perchè rimasti per mesi e mesi in balia di se stessi; avevano in saccoccia il coltello ed erano capaci di maneggiarlo in una rissa. I Superiori se ne avvidero, ma non era cosa prudente nei primi momenti il tentare di disarmarli; chè, sempre uniti in crocchio, avrebbero fatto resistenza. I giovani dell'Oratorio se ne stavano lontani da essi, poichè temevano di venire a contese. Infatti poco tempo dopo venne ferito da uno di loro il capo calzolaio Musso.
All'indomani dopo pranzo D. Bosco era sotto i portici, quando gli furono presentati questi giovani, i quali neppure si tolsero il cappello. Con amorevole sorriso il Venerabile tentò di accarezzarli e chiese loro:
- Avete fatto buon viaggio? Come state?
- Male.
- E perchè state male?
- Perchè qui in questo luogo ci stiamo mal volontieri. Vogliamo tornare a casa.
- E perchè ci state mal volontieri?
- Perchè qui non c'è da mangiare. Quello che ci dànno è roba da....
- Olà! È questa la maniera di rispondere? Quella minestra che voi mangiate è quella che mangiano i vostri compagni, che mangiano volentieri quelli venuti da Ancona prima di voi, che mangiano i vostri superiori, che mangio anch'io.
- Se Lei vuoi mangiarne, padronissimo.
- Sapete con chi parlate?
- Che me ne importa!
- Là, là: a questo modo non si può discorrere.
E Don Bosco, sempre sereno in volto, si volse altrove a intrattenersi con varii fra quei giovanetti che numerosissimi erano venuti a fargli corona ed erano stati testimonii di questo bel dialogo. Fremevano essi e qualcuno voleva avanzarsi e chieder ragione di quell'insulto, ma qualche prudente gli suggerì all'orecchio: - Hanno il coltello e sono faccie da adoperarlo! - Certo il reagire con fatti poteva avere disgustose conseguenze.
Que' poveretti, data l'ultima risposta, alzarono villanamente le spalle, guardarono attorno provocanti, e si ritirarono in crocchio in un angolo del cortile.
Ma non venne meno la magica influenza di D. Bosco sulla gioventù e il dono di ammansare i caratteri più difficili a domarsi. Più di una volta aveva visto nei primi giorni dell'entrata di qualche giovane nell'Oratorio, scene violenti di indisciplinatezza; ma sotto la pelle di una belva bestemmiatrice era riuscito a formare a poco a poco un docile agnello e a destare la retta e sempre grande sensibilità di cuore della gioventù. Egli non contrastava, calmava gli animi colla bontà, scopriva e faceva risplendere la parte buona di ogni individuo e lo traeva a Dio. Tali modi producevano effetti di singolare importanza, perchè non v'ha ordine nella società, al quale il suo spirito santamente espansivo non abbia preparato uomini di merito, formati anche fra giovani tolti dall'abbandono o dalle strade e dalle piazze.
Egli dunque prese separatamente ad uno ad  uno que' nuovi venuti, e colla dolce parola ne guadagnò gli animi, perchè quasi tutti avevano buon cuore. Li trovò arrendevoli al suo consiglio di fraternizzare cogli altri alunni della casa, e con occhio maestro investigati i varii talenti di ciascuno, chi mandò allo studio, chi ad un laboratorio: ed essi si assoggettarono e adattarono alle costumanze dell'Oratorio ed al lavoro. Anche quelli che in sulle prime erano stati così ritrosi nella loro condotta esteriore, non mostravano nulla di riprovevole: sebbene qualcuno conservasse in cuore un po' d'avversione alla disciplina dell'Oratorio.
Vi fu però chi scrisse ad Ancona, protestando contro i parenti che avevano voluto mandarli a Torino e lamentandosi dei commissarii del Comitato ai quali chiedevano il rimpatrio:
- Noi non vogliamo lavorare, dicevano; e siamo costretti al lavoro tutti i giorni.
La Commissione si impensierì per questi malumori, e scriveva a D. Bosco:
 
N. 371.
Ancona, 9 settembre 1866.
 
Contemporaneamente alla presente invio al Prefetto di cotesta provincia sig. Conte Carlo Torre, membro di questa Commissione, la somma di lire 2200 pregandolo di versarle in mano della S. V. Ill.ma a compimento della somma totale dovutale per pensione e corredo dei sei giovanetti testè condotti in cotesto stabilimento e di ritirarne la relativa quitanza ed obbligazione in tutto simile all'accluso modulo, che credo incontrerà l'approvazione della S. V. Ill.ma.
Accolga i miei profondi ossequi.
Il Presidente
C. MARINELLI.
 
Ma il modulo di quitanza e di obbligazione variava, come vedremo, la convenzione approvata da ambe le parti il 9 luglio. Con questa erasi stabilito non essere tenuto l'Istituto a restituzione o a rimborso pel caso che per motivi da esso indipendenti, alcuno degli orfani sortisse dall'Oratorio prima di avere compiuto il triennio. D. Bosco, pronto a soccorrere generosamente i poveretti e a largheggiare in concessioni quando si trattava di contratti, era fermo nel sostenere le ragioni della comunità, cioè dell'Oratorio, reputandosi di ogni sussidio che gli mandava la Provvidenza un semplice amministratore. Tali furono sempre al riguardo anche le idee di D. Rua, cui allora spettava d'ufficio l'estendere le risposte, riguardanti queste vertenze. Pertanto il 15 settembre veniva proposto alla Commissione un nuovo modulo di quitanza con una lettera, firmata da D. Bosco, diretta al Presidente.
 
Ill.mo Signore,
 
Colla lettera del 9 corrente V. S. Ill.ma inviava eziandio un modulo di quitanza variato sostanzialmente da quanto erasi convenuto. Si accrebbe poi la meraviglia quando si andò dal Prefetto di questa città e si ebbe comunicazione di non procedere al versamento se non si approvava la clausola di sostituire altri giovanetti in caso che qualcheduno degli accettati uscisse dallo stabilimento.
Credo che siasi dimenticato quanto fu stabilito per lettera, confermato in mia camera, e col medesimo prefetto di questa casa.
Si stabiliva adunque che noi ci obbligavamo di tenerli anche al di là di tre anni e di provvederli di vestiario a condizione che uscendo qualcheduno dallo stabilimento non si dovesse più nulla rimborsare. Il periodo aggiunto reca difficoltà e condurrebbe la cosa al principio delle trattative.
In queste cose noi siamo leali e sinceri; se il periodo aggiunto è condizione assoluta, allora ci sia significato, e noi disporremo dei giovani come loro tornerà di maggior gradimento. Se poi non si vuole violare quanto per iscritto e verbalmente erasi convenuto, allora si scriva altra lettera al prelodato sig. Prefetto con cui sia autorizzato a versare il compimento della somma convenuta, senza condizioni, fuori di quelle stabilite di comune accordo.
Colla dovuta stima ho l'onore di professarmi
Della S. V. Ill.ma
Torino, 15 settembre 1866,
Dev.mo Servitore
ac. Bosco GIOVANNI.
 
 
Il Modulo diceva:
 
Torino, 15 settembre 1866.
 
Io sottoscritto Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino dichiaro di aver ricevuto nel detto stabilimento gli orfani:
Gentili Demostene, Lucchetti Roberto, Pieroni Giovanni, Crucciani Vitaliano, Taffettani Eugenio,  Sottiletti Ciriaco, di Ancona collocativi a nome della Commissione del Pubblico soccorso pei danneggiati dal colera di quella città, promettendo ed obbligandomi in corrispettivo alla somma oggi stesso pagatami dalla detta Commissione di L. 4.200, di tenere, vestire, alimentare, curare, istruire ed educare, avviandoli ancora a qualche arte o mestiere, secondo le regole e gli usi dell'Istituto, gli orfani medesimi per un tempo non minore di tre anni, senza essere tenuto ad alcuna restituzione o rimborso pel caso che alcuno dei detti orfani sortisse per motivi da me indipendenti dallo stabilimento, prima di avere compiuto il triennio,
- Tanto dichiaro e prometto, facendo quitanza della somma di L. 4.200, come sopra pagatami
Firma ...........
 
Il Presidente rispondeva:
 
Molto Rev. Signore,
 
Mi permetta che innanzi di rispondere ufficialmente alla pregiatissima di lei lettera del 15, io le scriva in via particolare, lo che forse potrà condurci a meglio venire alla finale composizione sull'affare degli orfani ultimamente inviati al di Lei Istituto dalla Commissione cui ho l'onore di presiedere.
L’intelligenza originariamente firmata tra Lei e la Commissione di non rimpiazzare i fanciulli che indipendentemente dal fatto della S. V. sortissero anzi tempo dal Pio Istituto, correva bene a cose normali; quando nulla faceva presentire che una qualche sortita intepestiva fosse probabile, prossima, imminente. Ma dopo la condotta di alcuni degli orfani testè spediti, i quali non appena entrati mostraronsi vogliosi di uscire, e vi furono lasciati non con una piena loro persuasione, ma per disposizione combinata fra i nostri Commissarii e la S. V., è facile comprendere come il pericolo di una molto anticipata partenza è assai verosimile; e che in tal caso la convenzione di non rimpiazzare sarebbe da parte della Commissione un abbandono poco ragionevole d'una somma, la cui destinazione è la carità per gli orfani del nostro paese. Ed Ella che è veramente un modello di cristiana Carità non potrebbe davvero nella delicatezza della sua coscienza volere, che il suo stabilimento lucrasse sulla intempestiva partenza, non straordinariamente eventuale, ma probabile e preveduta d'alcuni dei nostri fanciulli. Lo che tanto più giustamente parmi di poter dire, in quanto che dagli anteriori di Lei rapporti non si è potuta ritrarre l'assoluta fiducia della tranquilla e durevole permanenza di coloro che sulle prime si palesarono cotanto riottosi; ed il silenzio da Lei tenuto nella lettera, cui ho il piacere di rispondere, non contribuisce a rendermi su ciò pienamente tranquillo.
Vegga Ella adunque che non è troppo propria quella frase di violare quanto erasi convenuto che nella celerità dello scrivere le cadde giù dalla penna e che la introdotta modificazione è in armonia colla mutazione delle circostanze.
Tuttavia si potrebbe a mio avviso, trovar modo di ravvicinarsi, collo stabilire un periodo non angusto di tempo, al di là del quale l'intempestiva partenza di alcuno degli allievi non lasciasse più alla Commissione il diritto di sorrogarli.
Sono convinto che la S. V. nella sua ragionevolezza e nel suo amore di prossimo sarà per accettare il temperamento da me proposto ed attendo ad ogni modo di Lei riscontro per promuovere dai miei colleghi le determinazioni definitive.
Pieno sempre di riconoscenza pel bene da Lei fatto ai nostri orfanelli, ho il piacere di raffermarmele
Ancona, 20 settembre 1866,
Avv. CLEMENTE MARINELLI,
Pres. della Comm. di soccorso pei danneggiati dal colera.
 
 
Dall'Oratorio si replicava:
 
Chiarissimo Signore,
 
Ho letto attentamente la sua lettera e pregio assai le ragioni che espone intorno a quanto fu convenuto per gli Orfani Anconitani. Sembrami per altro che le cose non debbano variare dalle primitive intelligenze. Le circostanze, che Ella mi dice essere cangiate, sarebbero soltanto una speranza di ricavare utilità in un contratto dopo che è stato concluso, e, se si può così chiamare, consegnata la merce medesima. È vero che non si versò il danaro siccome era stato inteso, ma ciò fu unicamente per nostra condiscendenza verso gli onorevoli personaggi che ne erano e ne sono pienamente garanti.
Ora le noto che, dopo gravi disturbi, i giovani affidatici manifestarono buona volontà, e sono tutti tranquilli, giudicando dal loro contegno. Non voglio per altro costringere la Commissione incaricata a far del bene, a stare ad un contratto che si reputasse rovinoso. Io non appongo difficoltà di ritornare alle loro madri i medesimi giovanetti col relativo danaro e così conservarci in Ancona amicizia ed armonia.
In caso diverso io la pregherei di sollecitare una lettera al Sig. Prefetto di Torino affinchè sia autorizzato a versare la somma che presso di lui rimane depositata, che in questo tempo sarebbe da noi con vantaggio impiegata, essendo l'epoca della provviste che occorrono per lo Stabilimento.
Mi creda con perfetta stima
Della S. V. Chiarissima,
Torino, 25 settembre 1866,
Dev.mo Servitore
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
La conclusione fu che si mantenne integro il primitivo contratto, mentre D. Bosco aderiva alla proposta di sostituzione, rifiutandone però obbligazione legale. Il Presidente e la Commissione, certi della sua lealtà, gli mandarono l'ultima determinazione.
Scrivevagli il Presidente:
 
In effettuazione dei concerti presi tra noi, ho scritto oggi stesso al Sig. Prefetto di Torino pregandolo di consegnare alla S. V. Ill.ma la somma di L. 2.200, oltre la già pagata a V. S. dal signor P. Passarini, ritirando della intera somma di L. 4.200 quietanza conforme al primo modulo presentatole dai nostri incaricati.
Mentre cediamo così ai desiderii della S. V. Ill.ma ci crediamo in dovere, per la nostra condizione di amministratori dei danari degli orfani, di porgerle preghiera di voler ricoprire con altri giovani i posti di quelli almeno che fra poco tempo uscissero dallo stabilimento, constandoci che alcuni hanno manifestata alle famiglie questa intenzione.
 
E D. Bosco non mancò alla sua promessa. Il 18 dicembre tornava ad Ancona uno degli orfani, e il Presidente avvocato Marinelli scriveva: “ Desidererei sapere se per favore volesse accettare al posto di Taffettani Eugenio un altro giovinetto che è in estremo bisogno di collocamento ”. Il raccomandato era Pasquali Bagni e D. Bosco senz'altro lo accettò.
Finito ogni disparere, compresi i cinque ricevuti gratuitamente e qualche altro raccomandato dal Cardinale Vescovo di quella città, venti furono i giovani Anconitani collocati presso Don Bosco.
Dei secondi, tre vennero destinati agli studi, Lucchetti Roberto, Berlutti Gaetano, Gentili Demostene, ed agli studi furono avviati anche alcuni dei primi arrivati. Di tutti questi la maggior parte fece ottima riuscita, come più volte ci narrava D. Rua, per il quale gli Anconitani mostravano deferenza; anzi qualcuno di essi ebbe per lui rispettosa e grande amicizia. Dopo molti anni essendo D. Bosco andato in Ancona, ne incontrò uno che nell'Oratorio era stato insofferente di regola, il quale lo fece stupire con le sue dimostrazioni di affetto e per la buona memoria da lui conservata dell'Ospizio di Valdocco.
L'epistolario amichevole di D. Bosco e di D. Rua con la Commissione durò ancora, per dare relazione della condotta dei giovani: e l'ultima lettera, che il Servo di Dio ricevette, conteneva i più vivi e sentiti ringraziamenti.
 
 
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