Costruzione del nuovo Ospizio - Secondi esercizii spirituali a Giaveno - Un santo Artigianello - Una predica di Don Bosco e la castità - Un testimonio della vita di Doti Bosco in questi anni e della sua carità.
del 27 novembre 2006
Don Bosco ritornato di Lanzo in Torino diè  subito principio all'attuazione di altro suo disegno. Colla nuova chiesa di S. Francesco di Sales si possedeva un sacro edifizio sufficiente al numero dei giovani, che nei giorni festivi da varie parti della città intervenivano alle religiose funzioni; e nell'antica cappella si aveva eziandio un acconcio locale per le scuole serali e diurne frequentate sempre da più centinaia di ragazzi di ogni età e condizione. Ma un sito mancava tuttavia per dare albergo a molti poveri fanciulli derelitti, che ad ogni ora del giorno si presentavano a D. Bosco e chiedevano di essere tolti di mezzo alla strada e caritatevolmente ricoverati. Le poche camerette esistenti, alcune delle quali pressochè rovinate dallo scoppio della polveriera, più non bastavano al bisogno. Per il che considerata per bene la cosa D. Bosco disse un giorno: “Dopo di aver provvista una casa al Signore, è necessario prepararne un'altra pei suoi figli. Dunque mettiamoci all'opera”. Furono eseguiti i disegni. La nuova costruzione doveva occupare lo spazio della fabbrica Pinardi, e protendersi fino alla casa Filippi, con doppia fila di stanze a tre piani e uno stretto corridoio nel mezzo, e colle cantine. A questa estremità un braccio parallelo ed uguale in lunghezza alla sporgenza della chiesa di S. Francesco di Sales con tre stanze in una sola linea ad ogni piano limitava il cortile a levante. Come abitazione di campagna poteasi dir vasta. Era con soffitte e portici sostenuti da pilastri a pian terreno. Un voltone nel mezzo lasciava il passaggio ai carri per entrare nella striscia di terreno dietro alla casa. A destra di questo eravi l'unica scaletta interna, per la quale salivasi fino alle soffitte mettendo ai balconi di prospetto, e scendevasi nei sotterranei, una parte dei quali dovevano poi essere destinati per le cucine, le cantine ed i refettorii. Una seconda scaletta nella torre del campanile doveva mettere anche nei corridoi, nelle soffitte e in due stanze poste sulla cappella della Madonna e sulla sagrestia. In tutta la lunghezza dei due piani superiori, avanti e dietro la casa, correvano due balconi in pietra con ringhiera di ferro, per i quali si entrava nelle stanze che avevano le finestre ad invetriata. Il corpo principale della casa misurava in lunghezza circa 40 metri, in larghezza11 e 64. Il braccio a levante lungo metri 12 e 1/2 e largo 6. L'altezza fino al sommo del tetto 16 metri.
Il disegno non solo nulla aveva di grandioso, ma anzi era mancante delle necessarie comodità. I chierici e i giovani stessi, specialmente Cagliero Giovanni, aveano fatto osservare a D. Bosco che i corridoi erano troppo angusti ed oscuri, le scale e le porte troppo strette per un collegio di giovani, e i dormitorii del sottotetto molto incomodi in causa della loro bassezza. Ma egli sempre rispondeva: - Contentiamoci di poco, lasciamo il bello ed il comodo, e saremo più ben visti ed aiutati dalla Divina Provvidenza! - E disse loro assai di più, cioè che la nuova casa, appunto perchè meschina e povera, sarebbe stata rispettata un giorno dalle Autorità civili e militari, e i giovani non ne sarebbero scacciati. Infatti, alcuni anni dopo, nel 1859, il Municipio di Torino chiedeva a D. Bosco, a titolo di patriottismo, le stanze dell'Oratorio per mettervi i feriti dopo la battaglia di Solferino. Annuì Don Bosco, ma i commissarii avendo trovato troppo strette le scale, i corridoi e le porte, lo ringraziarono e lo lasciarono in pace.
Ma non si poteva distruggere la primitiva casipola, non essendovi altro locale per dormire. D. Bosco pertanto deliberò di erigere per primo quel tratto di fabbricato verso levante, incominciando dal punto ove era disegnata la scaletta, presso il portone. Vi si accinse di quell'estate medesima pochi giorni dopo la benedizione della chiesa.
Messo mano all'impresa, i lavori progredirono con ardore. Chi non conosceva appieno le vie e le fonti della divina Provvidenza a suo favore, vedendo ogni giorno tanti operai e materiali raccolti, e l'edifizio venir su come per incanto, domandava: - Ma D. Bosco dove prenderà i denari per pagare tanta gente, e per fare una casa così presto? La stessa domanda continuossi a ripetere dai profani in tutte le imprese dell'uomo di Dio, il quale sempre rispondeva: La Provvidenza li manderà. Il Signore conosce i nostri bisogni e ci aiuterà.
Spinti avanti questi lavori, nei primi giorni di settembre D. Bosco conduceva oltre a cinquanta de' suoi giovani a fare gli esercizi spirituali nel seminario di Giaveno. Parte erano alunni dell'Ospizio, parte dell'Oratorio festivo. Fino a Rivoli andarono tutti in omnibus, e passando per Avigliana proseguirono la strada a piedi. Non entreremo in minuti particolari; solo diremo Cagliero e Turchi aver asserito come essi e i compagni restassero molto compresi delle prediche del Can. Arduino e di D. Bosco; e che eziandio fra gli esterni artigiani vi erano modelli di virtù. Fra questi Morello Giuseppe, il quale nell'Oratorio alla Domenica assisteva alle ricreazioni, godeva dei divertimenti altrui, ma di rado vi prendeva parte; e quando tutto il cortile era in movimento, egli in bel modo, credendo di non essere osservato, si ritirava in chiesa, e senza essere disturbato pregava per le anime del Purgatorio, faceva la visita al SS. Sacramento, recitava la terza parte del Rosario, percorreva le stazioni della Via Crucis. Tuttavia malgrado la sua precauzione nel sottrarsi agli sguardi altrui, alcuni compagni, dati anch'essi alla divozione, se ne accorsero e ne seguirono l'esempio. Da ciò ne derivò l'uso, che si conservò nell'Oratorio, di recitare la terza parte del Rosario dopo la benedizione del SS. Sacramento a cui prendeva parte chi voleva senza ve ne fosse alcuna obbligazione.
D. Bosco raccontava del Morello: “Una sera sul farsi della notte mi recava a casa passando pel viale che da Po conduce a Porta Palazzo. Giunto ad un certo punto della strada, raggiunsi un giovinetto che portava una lunga e pesante stanga di legno, armata di grosse cavicchie di ferro. Pareva che il portatore, oppresso dal peso, gemesse, pareva che parlasse. - Povero giovane (dissi tra me), bisogna ch'egli sia ben affaticato. - Quando gli fui più vicino, vidi che di quando in quando chinava il capo, come si suol fare al Gloria Patri, o quando si nomina qualche cosa di grande venerazione: sicchè potei accorgermi che pregava. Costui era Morello.
- Giuseppe (gli dissi), mi sembri molto stanco!
- Non tanto, sono andato a fare una commissione pel mio padrone; porto il cilindro di una macchina, che si era guastata, e che ora fu fatta aggiustare.
- Mi pareva che tu parlassi; con chi l'avevi?
- Eh! veda, questa mattina non ho potuto andare a Messa, perciò non ho detto il Rosario, e poichè mi trovo solo per questo viale, lo vado qui recitando, e mi dò particolarmente premura di recitarlo, perchè oggi è martedì, giorno in cui morì una mia zia che mi voleva tanto bene, e che mi aveva fatto motti favori. Non potendo altrimenti dimostrarle la mia gratitudine, recito ogni martedì la terza parte dei Rosario per l'anima di lei”.
Or dunque in questi esercizi spirituali a Giaveno si videro due meraviglie. La prima fu lo stesso Morello e Don Bosco diceva ancora di lui:
“In principio di ciascuna predica Morello collocavasi in qualche cantuccio come per osservare quale argomento fosse per trattare il predicatore. Io vedeva che talvolta si avanzava più in su verso il predicatore, e talvolta usciva di chiesa frettolosamente. Avendo notato ciò farsi ripetutamente, volli saperne la ragione.
- Giuseppe, gli dissi un giorno, perchè tal novità, e non vai dirittura cogli altri al posto assegnato? A che ti arresti in fondo alla chiesa?
- Ciò faccio, egli rispose, per non recar disturbo a' miei compagni.
- In che maniera, replicai, temi di recar disturbo a' tuoi compagni?
”Ed egli: - Veda, se il predicatore fa la predica sul peccato mortale, io non posso reggere; mi sento straziare in tal maniera il cuore, che debbo uscire o gridare.
”Allora conobbi perchè talvolta uscisse improvvisamente dalla chiesa dell'Oratorio, e con tutta fretta, e talora rompesse anche in grida, o facesse moti strani. Per questo motivo se mi accorgevo che egli era presente alla predica, procurava di temperare le mie espressioni; ma bastava profferire la parola peccato mortale con un po' di emozione, e tosto balzava dal banco e fuggiva. Per tale ragione in tempo di predica soleva restarsi vicino alla porta della chiesa.
”Il suo cuore era così buono ed affettuoso, che provava la più tenera e sensibile impressione udendo ragionare di cose spirituali. Bastava parlargli del paradiso, dell'amor di Dio o de' suoi benefizi, che egli sentivasi tutto commosso. Un dì standomi attorno con altri suoi compagni, gli indirizzai queste parole: - Giuseppe, se tu sarai sempre buono, che gran festino faremo un giorno su nel cielo col Signore! Saremo sempre con lui, lo godremo e lo ameremo eternamente! Queste parole, dette quasi a caso, produssero sopra di lui tale impressione, che tosto fu veduto impallidire, svenire, e sarebbe certamente caduto a terra se i suoi compagni non lo avessero sostenuto”.
La seconda meraviglia fu una predica di D. Bosco sulla castità. Così la ricordava Mons. Cagliero:
“Nei santi spirituali esercizii che D. Bosco ci diede nel Seminario di Giaveno nelle vacanze autunnali del 1852 ci parlò della castità con tanto calore e santo trasporto, che ci trasse a tutti le lagrime e proponemmo di voler custodire così bella virtù sino alla morte”. E poi soggiungeva:
“Posto sotto la sua spirituale direzione conobbi in lui più che un Direttore, un padre zelantissimo pel bene delle anime, e desiderosissimo di infondere nei nostri cuori un amore grande e puro alla bella virtù della castità.
”Ricordo che nelle prediche e nelle conferenze che spesso ci teneva, era delicato al punto che non osava parlare della disonestà, e per parecchi anni non lo sentii mai a discorrere su questo argomento, il quale però veniva trattato dal Teol. Borel e dal Canonico Borsarelli e da altri Sacerdoti suoi cooperatori ed amici.
”Egli perciò preferiva trattenerci sulla virtù della castità, dicendola fiore bellissimo di paradiso, e degno di essere coltivato nei nostri giovani cuori, e giglio purissimo che col suo candore immacolato ci avrebbe fatti somiglianti agli angeli del cielo. Cori queste ed altre belle immagini D. Bosco ci innamorava di questa cara virtù, intantochè il suo volto raggiava di santa gioia; la sua voce argentina usciva calda e persuasiva, ed i suoi occhi inumidivansi di lagrime, per timore che ne appannassimo la bellezza e preziosità anche solo con cattivi pensieri o brutti discorsi. Noi giovanetti, mentre lo amavamo come un tenerissimo padre ed usavamo con lui una più che figliale confidenza e famigliarità, nutrivamo tale rispetto e venerazione per lui che stavamo alla sua presenza con un religioso contegno; e ciò perchè eravamo intimamente compresi della santità di sua vita”.
D. Bosco, reduce da Giaveno donde, come altre volte poi, aveva condotto i giovani a visitare il santuario di Trana, seppe che Bartolomeo Bellisio, allievo suo e della scuola di pittura, era stato messo a ruolo come militare. Egli, che in ogni bisogno de' suoi giovani per quanto gli era possibile, prestava loro aiuto, gli scrisse a Cherasco ove quegli passava le sue vacanze autunnali. Erasi adoperato, perchè stante varie circostanze di famiglia non fosse chiamato sotto le armi, e ad una sua lettera così rispose:
 
Carissimo Bellisio,
 
Ho ricevuto la cara tua lettera, e mentre ammiro e lodo la tua disposizione per adattarti alla Divina Provvidenza che ti chiama al servizio militare, ho tuttavia stimato bene di raccomandarti ancora al Signor Conte Lunel tuo grande benefattore, per fare ancora una prova.
Intanto tu pregalo e raccomandati nuovamente, e nel tempo stesso non cessa di rinforzare e duplicare le istanze a quella nostra cara Madre Maria onde in ogni cosa si faccia la divina volontà.
Il Signore ti accompagni; prega per me e credimi in ogni cosa
 
Tuo aff.mo amico in G. C.
Sac. BOSCO GIO.
 
P. S. Una moltitudine de' tuoi compagni ti salutano.
 
Al Sig. Bellisio Bartolomeo. - Cherasco.
 
E Bellisio andò soldato. La sera prima, che si trovò nella caserma della Cittadella in Torino, suonato il silenzio, udì vicino a sè  come un sommesso mormorio. Era la preghiera del suo vicino, che ben presto riconobbe per fervoroso cattolico. Non tardò a scoprirne altri, e fecero insieme come un rosario vivente, prendendosi ciascuno un giorno del mese per recitarlo. A lui toccò il 23 del mese. Due altri si erano provvisti di una scatola da tabacco che si chiudeva ermeticamente, e la riempivano nelle chiese di acqua benedetta e poi di nascosto si facevano il segno della croce. Bellisio dopo otto mesi ebbe il suo congedo, per pratiche che fece D. Bosco. D. Bosco diceva di lui: - Sfido tutti i giovani insieme a trovare in Bellisio un difetto!
Fu lui che ritrasse dalla fotografia D. Bosco nell'atto di confessare, e che nel 1855 fece il ritratto di Mamma Margherita e lo presentò a D. Bosco nel giorno del sua onomastico. Se non l'avesse fatto Bellisio sì sarebbe perduta la memoria di quella simpatica fisonomia.
Ricordiamo il Bellisio, perchè è uno degli antichi allievi che trasmise molte notizie a D. Bonetti per scrivere i cinque lustri di storia dell'Oratorio Salesiano e perchè la lettera suesposta, è una delle prime in ordine di tempo che noi possediamo, scritta da D. Bosco ad uno de' suoi figli.
Bellisio nel mandarcela così esprimevasi:
 
Cherasco, 4 Marzo 1891.
 
Molto Rev. Signore,
 
Ho letto nel Bollettino che si desidera per il processo di Beatificazione del nostro amatissimo D. Bosco di ven. memoria che si spedisca alla Sig. Sua Rev.ma o lettere od altro suo scritto che uno può possedere; perciò, avendo questa, mi faccio dovere di inviargliela. In essa non vi è alcuna data, perchè , se ben ricordo, sarà stata messa in altra lettera diretta al mio grande benefattore Abbate Conte Lunel, il quale in aprile del 1850 mi aveva collocato all'Oratorio. - Confrontando l'epoca in cui fui arruolato soldato, essa è stata scritta nelle mie vacanze autunnali del 1852. -E’ ingiallita dal tempo, non ostante che l'abbia sempre tenuta gelosamente chiusa tra le più accurate carte. I molteplici atti veduti, sentiti, spettanti ad altri o a me, relativi a Don Bosco nella dimora di oltre sei anni nella pacifica sua Visione, li notificai nella relazione in scritto che feci quando, anni sono, si richiese per circolare agli antichi allievi di partecipare quanto videro, sentirono od esperimentarono - le quali relazioni saranno negli archivii dell'Oratorio. - Come lessi che saranno rimandati gli originali, mi sarà graditissimo il di nuovo riceverla, e mi sarà sempre di maggior prezioso tesoro stante la sperata sua Onorificenza sugli Altari. - Mia somma gloria si è quella di essere stato da esso grandemente beneviso e beneficato. - Ciò che mi rincresce e che mi accora, è quando leggo il bisogno e la richiesta di offerte per l'Opera sua in generale, e il non poter corrispondere come cordialmente desidererei stante le circostanze critiche e le malattie, non restandomi che offrire a Dio il mio desiderio ed attendere da Esso un tempo più propizio per soddisfarlo.
Offrendole intanto i miei cordialissimi rispetti, estensibili all'amatissimo Superiore generale D. Rua Michele ecc.... mi pregio di professarmi di Sua Signoria molto Rev.da
 
um.mo dev.mo oss.mo Suddito in D. Bosco
BELLISIO BARTOLOMEO pittore.
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