Capitolo 43

Chierici che si ritirano dall'Oratorio - Previsioni avverate di D. Bosco - Sua bontà - Nuovi giovani iniziati negli studi - Accettazione memorabile e conversione di un giovane.

Capitolo 43

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Don Bosco aveva acquistati due nuovi chierici, ma purtroppo ne perdeva quattro. Carlo Gastini per mancanza di sanità, che rendevagli troppo pesante lo studio, aveva deposto l'abito clericale. Due altri, quasi contemporaneamente, si erano decisi di entrare nella Congregazione degli Oblati di Maria, attratti dal fervore e dallo spirito che vi regnava e persuasi che tale fosse la loro vocazione. D. Bosco però, da loro consultato, rispondeva essere ottima l'idea e la volontà, ma che Dio non li chiamava a quella Congregazione. Essi vollero tuttavia, entrarvi. Don Rua è testimonio di quanto siamo per narrare, e come D. Bosco prevedesse con sicurezza l'avvenire. “Un mattino, ci scrisse C. Tomatis, Savio Ascanio, oggetto di santa invidia pel suo amore allo studio ed alla virtù, era scomparso dall'Oratorio, e poi si venne a sapere che erasi fatto Oblato di Maria Vergine alla Consolata. D. Bosco nel congedarlo gli disse: - Va', ma non vi resterai lungo tempo! - Infatti dopo qualche anno, per atroci dolori di testa, sicchè parevagli che fosse divisa in due, e minacciato, secondo il giudizio dei medici, da un colpo d'apoplessia, dovette uscirne, ed essendosi rimesso in sanità, fu in Torino per scienze teologiche uno splendido ornamento del sacerdozio. Lo stesso Teol. Savio ci narrò il suo caso, venendo all'Oratorio, per far scuola di morale ai sacerdoti.

Il Ch. Vacchetta volle alcun tempo dopo seguire il Savio, e le ultime parole di D. Bosco furono: - Va pure anche tu, giacchè vuoi andare; ma se ora tu non sei privo di senno, diventerai tale. - Il povero giovane, assorto ne' suoi disegni, non fece conto di queste parole, partì per la casa del noviziato, fece la professione religiosa, e rimase. Impazzito però e rinchiuso nel manicomio, divenne quasi inutile alla sua Congregazione, sicchè dopo lunghe cure appena poteva occuparsi del catechismo ai fanciulli: così attesta D. Paolo Albera, che incontrollo a Nizza Marittima, a S. Pons dopo la morte di D. Bosco.

Così eransi avverate le predizioni di D. Bosco.

Del quarto chierico daremo qualche maggior notizia, perchè s'intendano certe e non rare contrarietà che incontrò più di un giovane desideroso di consacrarsi all'Opera di D. Bosco. Il suo Curato D. Gattino, esigendo che i chierici dell'Oratorio andassero in maggior numero ed ogni volta che li richiedeva, a servire in parrocchia, si recò in Curia ed espose le sue lagnanze. Il Can. Vogliotti gli rispose: - Intendete bene che D. Bosco si è fatti lui que' chierici, ed è giusto che se ne serva per custodire i suoi giovanetti de' quali laggiù in Valdocco ne ha una nidiata. Se lei vuole dei chierici a' suoi comandi, se ne faccia e ne avrà.

Il Curato restò punto da questa risposta e investigando le condizioni sociali ed economiche dei chierici dell'Oratorio, venne a conoscere che il Ch. G... apparteneva a famiglia benestante, era figlio d'un capomastro muratore e quindi non aveva bisogno che altri gli facesse la carità: concluse pertanto che D. Bosco questo chierico non se l'era fatto. Tale ragionamento non era giusto, poichè se G... aveva studiata la lingua latina, suo maestro era stato D. Bosco; se aveva indossata la veste chiericale, D. Bosco ne aveva ottenuta la facoltà dall'Arcivescovo. Il giovanetto poi era tutto di Don Bosco, dal quale era trattato con singolare confidenza, e da lui mandato a scuola di filosofia. Egli passava le intiere giornate all'Oratorio ritirandosi alla sera nella casa paterna presso il Rifugio; e il padre era pronto a pagargli pensione.

Il chierico viveva felice, quando vi fu chi prese a parte suo padre e cercò persuaderlo di allontanare il figlio dall'Oratorio; poichè , dicevagli, ei non poteva nutrire speranze che restando con D. Bosco, potesse riuscire teologo, parroco, canonico; affermava il giovane aver tanto ingegno, da riuscire ottimamente, e l'unica via per fare splendida carriera essere quella di compiere gli studii, entrando come alunno in un seminario.

Il capomastro era un uomo leale, ed amico di D. Bosco, il quale compiacevasi di chiamarlo col nome di padre. Aveva eseguiti i primi lavori nell'Oratorio, e per la costruzione della chiesa di S. Francesco aveva formata società coll'impresario Bocca. Erasi però ritirato, avvisando D. Bosco, poichè vedeva come fossero malmenati gli interessi dell'Oratorio, benchè l'ingegnere facesse i disegni gratuitamente. E l'assistente, messo da D. Bosco per invigilare i contratti e l'esecuzione dei lavori, forse teneva più dalla parte dell'impresario che dalla sua.

Tuttavia quel buon padre era stato ferito nel suo amor proprio, dalle abili insinuazioni sovradette; essendo però uomo prudente, prima di risolversi sì recò in seminario a Chieri per chiedere il parere di quel Rettore.

La risposta fu: essere certamente il seminario il luogo dove il giovane poteva sperare con maggior probabilità di far carriera: essendo egli capomastro del Seminario, non sembrargli conveniente che mantenesse il figlio chierico in altra casa di educazione; in seminario potersi sperare un posto a mezza pensione e anche un posto interamente gratuito in favore dell'alunno.

L'uomo fu vinto. Ritornato a casa, venne in vettura nel cortile dell'Oratorio, e chiamato il figlio gli comandò: - Prendi il cappello e vieni con me. - Il figlio obbedì senza conoscere le intenzioni del padre e fu subito condotto nel Seminario di Chieri. D. Bosco sofferse molto nel vedersi tolto così bruscamente un giovane che amava, nel quale aveva riposte tante speranze e che era stato suo segretario, scrivendo sotto la sua dettatura le prime sue opere. Aveagli pochi mesi prima donato un breviario e le Institutiones del Rebaudengo.

Il chierico intanto, assuefatto alle usanze dell'Oratorio non si trovava bene in Seminario; D. Bosco più volte andò a visitarlo, e come era suo costume, non cercò distoglierlo dal nuovo tenor di vita al quale era stato costretto, ma lo incoraggiò a proseguire, rimettendosi alle disposizioni della Divina Provvidenza. Le maniere concilianti di D. Bosco erano conosciute nel Seminario, sicchè il Rettore concedevagli di condurre per Chieri il suo giovane amico, e una volta fu con lui a pranzo dal Can. Luigi Cottolengo. Da queste visite il buon chierico ritraeva un grande conforto; ma nello stesso tempo esse gli facevano poi rimpiangere i suoi ideali svaniti; finchè essendosi alterata la sua sanità fu restituito alla famiglia. Ma qui gli fu proibito di volgere il passo all'Oratorio, e anche di andarsi a confessare da D. Bosco. Egli prese allora a frequentare il Santuario della Consolata, e a poco a poco s'innamorò della pace che godevano gli Oblati di Maria in quel convento. Parendogli che Dio lo chiamasse fra que' religiosi.

Andò a visitare D. Bosco per manifestargli il suo pensiero. D. Bosco lo sconsigliò di fare quel passo: - Tu sei chiamato, gli disse, ad appartenere a D. Bosco. - E gli raccontava come il consiglio di D. Cafasso avesse a lui stesso indicata la sua vocazione; quindi lo esortò ad aver pazienza ed attendere, e gli ripeteva non essere quella da lui vagheggiata la scelta migliore. Ma il chierico non seppe resistere alle assicurazioni di altri consiglieri, chiese di essere accettato fra i novizi degli Oblati, e il padre, benchè a malincuore, gli diede il proprio consenso.

Prima però di partire per Nizza Marittima, ove era la casa di noviziato, egli volle salutare ancora D. Bosco, il quale gli disse: - Va' pure, ma la tua testa avrà a patirne, e non potrai perseverare in quello stato.

Vicino a fare la professione, scrisse una lettera a D. Bosco per chiedere anche una volta consiglio, il quale gli rispose: - Farai del bene, ma non quel bene che vuole da te il Signore. - Egli fece i voti perpetui, ma non andò molto che fu preso da scrupoli e poi da tale esaltazione di mente da credersi chiamato a grande perfezione di virtù, sicchè era in pericolo d'impazzire. Per questa cagione e per motivi di famiglia, dopo dieci anni che aveva professato, consigliato dal Padre Berchialla, del quale era segretario, chiese ed ottenne di essere sciolto dalla Congregazione degli Oblati. Ritornato in Torino, guariva perfettamente, riconoscendo di aver ottenuto una grazia segnalata dal Signore.

I fatti avevano data ragione a D. Bosco, e G... che era stato ordinato sacerdote ne faceva spesso testimonianza: “Essere un grande imprudente chi si arrischia a scegliere da se stesso la sua vocazione”. Suo ardente desiderio era di rientrare nell'Oratorio; ma l'Arcivescovo Fransoni non lo ricevette in Diocesi, avendo stabilito di non ammettervi quelli che uscivano da un ordine religioso. Allora D. Bosco stesso lo raccomandò al Vescovo di Biella, il quale accettollo a condizione che rimanesse presso di lui.

Passarono molti anni; e mutate le condizioni nella diocesi di Torino, il buon sacerdote, che sempre mantenevasi affezionato all'Oratorio, sentendosi tuttavia risvegliare l'idea di riunirsi a D. Bosco ascrivendosi alla Pia Società, gliene fece domanda per lettera. D. Bosco gli rispose: - Aspetta che tuo padre sia chiamato dal Signore all'eternità, e allora verrai. - Il padre si avvicinava agli 80 anni e per molte sofferte disgrazie aveva bisogno per sua consolazione della presenza del figlio prete.

Quanto era delicata la bontà di D. Bosco, anche per coloro i quali di propria elezione o costretti lo abbandonavano nei momenti nei quali maggiormente aveva bisogno dell'opera loro! E nel ritirarsi di questi chierici il suo dispiacere era grande perchè apprezzava le esimie virtù onde erano ornati; tuttavia da questa perdita seppe anche ritrarne una lezione di umiltà. D. Giacomelli udillo esclamare quando partiva Savio Ascanio: - Vana salus hominis! dando a divedere che egli doveva confidare più in Dio che negli uomini. Quindi con inalterabile calma continuò a scegliere nuovi alunni per lo studio.

Nell'ottobre i giovani dell'Ospizio erano trentasei, perchè anche i chierici della diocesi occupavano una parte di quel povero abituro. Dai registri di D. Bosco noi tracopiamo il nome di alcuni che ci importa di non dimenticare. Nel 1851 erano stati accettati Gioliti, Calamaro, Gurgo Pietro; nel 1852 entravano Mattone Francesco, Bonino, Savio Bernardo da Castelnuovo d'Asti, Turco Giovanni da Montafia, Fusero Bartolomeo da Caramagna, Benovia Giovanni, Vittorio Turvano, Bertagna, Fontana, Gio. Batta Bonone. Quasi tutti i nominati andavano a scuola dal Prof. Bonzanino, col giovanetto.

Francesia Giovanni, che incominciava il corso di latinità, venuto allora come interno nell'Oratorio, ma assiduo già da tempo alle radunanze festive.

Fra questi giovani uno vi fu, la cui accettazione è degna di memoria. Nell'anno antecedente suo padre non aveva ascoltato il consiglio dato da persone prudenti ed amiche, di metterlo in educazione nell'Oratorio. Collocavalo invece in un di que' collegi alla moda, che hanno fama di scienza e disciplina, ma dove la preghiera è brevissima e si recita in piedi una sol volta al giorno; alla S. Messa non si assiste fuorchè nei giorni festivi; e ai Sacramenti si va alla Pasqua, e non di più. Il povero giovane, d'indole molto pieghevole, di carattere dolce, non aiutato da soccorsi spirituali, a poco a poco famigliarizzò coi compagni cattivi, si diede a letture perverse, gli venne in uggia lo studio e la religione e in fin dell'anno non fu promosso alla classe superiore.

Ritornato a casa per le vacanze autunnali, il padre ebbe a mettersi le mani nei capelli nel riconoscere a sue spese lo sproposito fatto consegnando suo figlio ad istitutori di poca religione. Il figlio, che prima era molto buono, ora lo vedeva essere divenuto disobbediente, sfrontato, giuocatore, avverso alla Chiesa e peggio. Non tollerava nè  castigo nè  rimprovero. Il padre era già sul punto di farlo chiudere in una casa di correzione, ma sì appigliò a più mite consiglio. Siccome il giovanetto conservava un affetto ardentissimo per sua madre morta da poco tempo, sicchè tutti i giorni soleva fare una preghiera per l'anima di lei prima di andare a letto, egli volle tentare un'ultima prova, ormai persuaso che senza religione non si può educare la gioventù. Si avvicinava la fine di ottobre ed era giuocoforza scegliere un altro collegio per suo figlio. Perciò, smesso ogni rimprovero, gli procurò doni che sapeva riuscirgli graditi; e condottolo ad una bella scampagnata, ritornato a casa lo chiamò in sua camera, e prese a ricordargli gli ultimi istanti di vita della santa sua madre. Il giovanetto a queste rimembranze diede in un pianto dirotto, e il padre allora gli svelò come la madre sua avesse manifestato vivo desiderio che fosse scelto per luogo di sua educazione ed istruzione l'Oratorio di S. Francesco di Sales. Quindi gli chiedeva se in quest'anno avrebbe gradito di entrare in quel collegio. Il figlio non esitò e senz'altro rispose: - Son nelle vostre mani. Tutto ciò che avrebbe fatto piacere a mia madre, piace anche a me; sono pronto a fare qualunque sacrifizio per eseguirlo.

Il padre non si pensava di poter così presto risolvere il figlio a quella mutazione, e la riconobbe come una benedizione del cielo. Affinchè poi l'indugio non generasse difficoltà, volle il dì seguente condurlo nell'Oratorio di Valdocco per trattarne l'ammissione.

D. Bosco fu non poco maravigliato alla prima comparsa di quel giovanetto che aveva nome Giovanni. Abiti nuovi e fatti con eleganza, un cappellotto alla calabrese, un cannino in mano, una catenella luccicante sul petto, una lisciata scriminatura dei capelli azzimati erano gli indizi che rivelavano lo spirito di vanità che regnava nel cuore del giovane. Il padre si accordò facilmente intorno alle condizioni di accettazione; di poi adducendo aver altro a fare lasciò il figlio solo a discorrere con D. Bosco. Alla vista di un giovanetto così atteggiato, D. Bosco non giudicò opportuno parlargli di religione; ma discorse soltanto di passeggiate, di corse, di ginnastica, di scherma, di canto, di suono. Le quali cose facevano bollire il sangue nelle vene al vanerello allievo al solo udirne parlare. Ritornato poi il padre, appena potè  discorrere liberamente con Giovanni, - Che te ne pare, gli disse, ti piace questo luogo, che ne dici del direttore?

- Il luogo mi piace assai, il direttore sembra tutto di mio genio, ma ha una cosa che mi è affatto ripugnante.

- Che mai? dimmelo, siamo ancora in tempo a provvedere diversamente.

- Tutto in lui mi piace, ma egli è un prete, e questo me lo fa mirar con ribrezzo.

- Non bisogna badare alla qualità di prete: piuttosto bada al merito ed alle virtù che l'adornano.

- Ma venir con un prete vuol dire pregare, andarsi a confessare, andarsi a comunicare. Da alcune parole che egli mi disse, parmi che già conosca i fatti miei.... basta.... Ho promesso, manterrò la parola, il resto vedremo.

Pochi giorni dopo Giovanni entrò nell'Oratorio. Il padre giudicò d'informare D. Bosco di quanto era avvenuto del figlio, e come nutrisse tuttora una grande affezione verso la defunta genitrice. Separato dai compagni, distolto dalle cattive letture, la frequenza dei buoni condiscepoli, l'emulazione in classe, musica, declamazione, alcune rappresentazioni drammatiche in un teatrino, fecero presto dimenticare la vita dissipata che da circa un anno conduceva. Il ricordo poi della madre, - fuggi l'ozio ed i cattivi compagni, - gli ritornava sovente alla memoria. Anzi con facilità ripigliò l'antica abitudine alle pratiche di pietà. La difficoltà era nel poterlo risolvere a fare la sua confessione. Aveva già passati due mesi in collegio. Si erano già fatte novene, celebrate solennità, in cui gli altri allievi procurarono tutti di accostarsi ai santi Sacramenti; ma Giovanni non potè  mai risolversi a confessarsi. Una sera D. Bosco lo chiamò in sua camera, e memore della grande impressione che faceva sopra il suo cuore la memoria di sua madre, prese a dirgli così: - Mio buon Giovanni, sai di quale rimembranza ti è la giornata di domani? Sì che lo so. Domani è anniversario della morte di mia madre. O madre amatissima, potessi una sola volta vedervi, od almeno una volta ancora udire la vostra voce!

- Faresti tu dimani una cosa che sia di gradimento a lei e di grande vantaggio a te stesso?

- Oh se lo farei! Costasse qualunque cosa!

- Fa' dimani la tua santa comunione in suffragio dell'anima di lei, e le recherai grande sollievo qualora ella si trovasse ancora nelle dolorose fiamme del purgatorio.

- Io la farei volentieri, ma per fare la comunione bisogna confessarsi.... Se per altro questo piace a mia madre, lo farò, e se lo giudica a proposito io mi confesso subito in questo momento da lei.

D. Bosco, che altro non aspettava, lodò il divisamento, lasciò che si calmasse la commozione, di poi lo preparò e con reciproca consolazione lo confessò; e il dì seguente Giovanni si accostò alla santa Mensa facendo molte preghiere per l'anima della compianta genitrice.

Da quel giorno la vita di lui fu di vera soddisfazione a D. Bosco. Conservava ancora Giovanni alcuni libri parte proibiti, parte dannosi ai giovanetti, e li portò tutti al direttore perchè li consegnasse alte fiamme dicendo: - Io spero che bruciando essi non saranno più cagione che l'anima mia bruci nell'inferno.

Conservava eziandio alcune lettere degli antichi compagni, colle quali essi gli davano parecchi cattivi consigli; ed egli le ridusse in minutissimi pezzi.

Ripigliò di poi gli studi, e scrisse sopra la coperta dei libri i ricordi di sua madre, fuga dall'ozio e dai cattivi compagni. Mandò quindi una lettera di buon capo d'anno al padre, che provò grande consolazione nel vedere il figlio ritornato ai pensieri che per tanti anni aveva nutriti. Così passò il tempo di ginnasio.

Richiamando alla memoria come nella casa paterna vi erano parecchi libri e giornali cattivi, scrisse Giovanni tante lettere a suo padre, seppe tanto accarezzarlo soprattutto in tempo di vacanza, fecegli tante promesse, che lo risolse a disfarsi di tutto. Inoltre per alcuni frivoli pretesti il padre mangiava grasso nei giorni proibiti. Giovanni col suo contegno, con parole, raccontando esempi, e facendone umile richiesta al padre, riuscì a farlo desistere, inducendolo ad osservare le vigilie comandate dalla Chiesa, appunto come deve fare ogni buon cristiano.

L'educazione data da D. Bosco produsse infinito numero di volte simili trasformazioni.

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